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Autore: Glenda    17/10/2024    2 recensioni
In un mondo in cui la magia è rara e con un grande peso politico, ed i maghi figure temute e inquietanti, Heze, un giovane viaggiatore dal cuore limpido e il carattere solare, viene ingaggiato da uno di loro perché lo accompagni fino alla capitale a consegnare un messaggio segreto. Ma la persona con cui si trova ad affrontare questa avventura è completamente diversa dalle aspettative che si era costruito: svagato, onesto, gentile e smaccatamente vulnerabile, Yèlveran diventa per Heze un mistero da svelare, e finisce per legarsi a lui al punto di farsi trascinare in un complotto che potrebbe costare la vita a entrambi...
Storia di avventura con una componente politica, ma principalmente focalizzata sulla relazione tra i personaggi (a cui sono affezionatissima e dei quali ho volentieri indugiato nel descrivere i pensieri). Un bel po' di bromance e molto drama.
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Yèlveran sentiva la testa instabile: non era una sensazione spiacevole, ma lo costringeva a cercare, lungo la banchina del porto fluviale, punti fermi su cui posare lo sguardo.

“Nemmeno su una barca eri mai salito?” scherzò Heze, rendendosi conto della difficoltà.

“Non che io ricordi” commentò lui “quindi abbi un briciolo di compassione per la mia testa che continua a dondolare.”

Heze rise, ma Yèlveran insistette, fingendo un’espressione serissima.

“Del resto, non ci sono fiumi a Villanuova e non perché le Maledizioni abbiano rubato l’acqua ma perché il mirdev è poco permeabile e impedisce alle fonti sotterranee di aprirsi in superficie. Così mi ha spiegato qualcuno.”

“È un tentativo di adularmi o di prendermi in giro?”

“Per quanto io ti stimi, penso la seconda...”

“Spiacente, amico mio, ma la strada dell’ironia per te è ancora lunga!”

Erano tutti di buon umore: dopo la tensione che li aveva accompagnati per l’ultimo tratto del viaggio, una volta saliti a bordo erano riusciti a rilassarsi. Nessuno li aveva ostacolati, né alcuno aveva fatto loro domande o mostrato segni di riconoscere Xau come Maledizione; forse i loro inseguitori non avevano avuto ancora modo di occuparsi di questo, forse il confine era stato molto difficile da smontare e gli aveva sottratto più tempo del previsto, ma Yèlveran in cuor suo si augurava che Iruvàn non avesse mai avuto veramente intenzione di mettere in atto le sue minacce. In fondo, c’erano ottime ragioni per sperarlo: quell’uomo aveva giurato che lo scopo della propria intera vita era proteggere le Maledizioni. Per un individuo così motivato da portare avanti un complotto lungo quindici anni, infrangere per ritorsione il principio cardine della propria ideologia doveva essere un boccone veramente troppo amaro. Inoltre Xau aveva gli aveva confessato di avere un gemello con cui condivideva gli occhi e le orecchie: non ostacolare la sua fuga avrebbe permesso a Iruvàn di seguire le loro mosse finché non si fossero separati.

Evento che era però prossimo ad accadere, per forza di cose.

“Adesso,” spiegò Yèlveran una volta che ebbero lasciato il molo e si furono inoltrati, guardinghi, nei vicoli nodosi del quartiere portuale “voi due troverete un posto dove fermarvi, io vado ad incontrare colui che devo incontrare e poi vi raggiungerò. Il resto lo vederemo passo dopo passo…”

Heze tentò una debole resistenza.

“Non è più sicuro che io venga con te?”

“Temo che questo sarebbe stato impossibile anche se tutto fosse filato liscio: non sei un Persuasore e ci sono luoghi a cui non puoi avere accesso neppure come mia guida. Da questo momento in poi,” lo rassicurò “sono capace di cavarmela da solo. Il difficile è fatto: ora mi muovo di nuovo nel mio terreno. ”

Non ne era così certo: la sola enclave che aveva conosciuto era quella di Villanuova, dieci Persuasori totali, di cui due istruttori responsabili che si comportavano più da familiari che da superiori, e un luogo che, per la sua stessa lontananza dagli ambienti che contavano, non aveva bisogno di troppe misure di protezione. Ma per le enclavi di Feuzte la situazione era diversa: doveva aspettarsi sorveglianza estrema, confini solidi e un controllo rigido su chi entrava o usciva. Prima della partenza, Luxei lo aveva istruito minuziosamente su chi cercare e quali parole usare, altrimenti, nonostante potesse farsi riconoscere come Persuasore, non sarebbe stato scontato essere ricevuto: figuriamoci se poteva portare Heze con sé!

“Sarò più al sicuro io di voi.” si sentì in dovere di dire “Non preoccuparti per me.”

“Mi dispiace, ma questo non lo posso proprio fare.” disse Heze con un sorriso velato “Non posso impedirmi di provare preoccupazione: ma non temere, a me non è vietato!”

 

Feuzte era diversa da come la ricordava: a differenza della struttura di Villanuova, o degli altri paesi che aveva visitato lungo il cammino, gli sembrava costruita in verticale, come se volesse staccarsi da terra, come se non avesse delle radici solide. Eppure, solida lo era eccome, dato che nei secoli niente era mai riuscito ad intaccare il suo splendore. Il fiume faceva da grande protagonista del paesaggio: tagliava la città in due come un enorme spina dorsale d’argento e lungo il suo percorso svettavano le guglie degli edifici di rappresentanza e delle dimore delle famiglie più in vista.

Yèlveran si trovò a pensare che anche durante l’infanzia, quando abitava lì, non doveva essere uscito spesso. Aveva sempre sentito dire che le cose viste da bambini una volta adulti ci sembrano più piccole: a lui invece sembrava più grande, immensa. Ma era un’immensità molto diversa da quella della voragine del Valico del Vento: era rumorosa, confusa, brulicante… non ci si poteva svanire dentro, ma solo essere sballottati e trascinati. Gli faceva paura. Tuttavia, quel viaggio gli aveva anche portato una piccola certezza: a lui, tutto sommato, piaceva l’umanità… avrebbe solo voluto che la gente gli desse il tempo necessario per osservarla e trovare le parole giuste per comunicare. Avrebbe voluto che gli uomini avessero la pazienza dei monti, i silenzi vuoti dei temporali, e le domande belle di Heze.

La giornata era piena di luce e il maestoso edificio dell’enclave si rifletteva nell’acqua.

Ce ne erano tre, nella capitale, ma il destinatario del messaggio esercitava il proprio ruolo lì, in quella affacciata sul fiume, la stessa in cui aveva studiato e poi insegnato Luxei.

Lo sguardo di Yèlveran indugiò sui riflessi colorati del mirdev, usato in abbondanza per decorare tetto e vetrate, e gli vennero in mente Mantog e Neirseim, le cave, gli incidenti. Era davvero così indispensabile ammantarsi di una bellezza che aveva le fondamenta in incidenti, sacrifici e duro lavoro? Eppure, marito e moglie erano così orgogliosi di assistere alla Celebrazione dell’Umanità!

Ripassò mentalmente le istruzioni, poi prese un bel respiro e salì la scalinata.

Subito la sua percezione del luogo fu confusa: ci doveva essere un ben strano confine lì - si disse -non nascondeva l’edificio, semplicemente rendeva complicato salire quei gradini e, man mano che ci si avvicinava, rendeva meno chiaro dove si trovassero le cose, a partire dalla porta d’ingresso. Una distorsione della realtà, più che un nascondimento: una tecnica molto sottile, studiata per rendere difficile ad una persona qualsiasi avvicinarsi, ma senza celare alla popolazione una struttura che era simbolo di potere. Yèlveran lo trovò interessante e per un attimo si perse a cercare di cogliere i punti di riferimento che erano stati utilizzati per creare quel lavoro così visionario: ma non c’era di che sorprendersi… in quel luogo studiavano e risiedevano i migliori Persuasori del paese. Di certo, c’erano altre misure di sicurezza che al momento non poteva vedere, forse celate dal confine stesso.

Mentre era concentrato sull’osservazione, qualcuno gli rivolse la parola: un servo, indubbiamente.

Fosse stato un Persuasore, avrebbe indossato gli abiti d’ordinanza: in un’enclave del genere, la forma era sostanza, serviva a sottolineare l’appartenenza ad un’elite e a solidificare lo stereotipo.

Yèlveran lo studiò: molto giovane, ma con spalle larghe e muscolose, visibilmente armato. A Villanuova non avevano servitori ufficiali, anche se spesso Garlan richiedeva i servigi di alcuni popolani sia per ricevere dal paese tutto il necessario alla loro autosufficienza, sia per lavori di fatica che non riteneva adeguato far svolgere ai compersi giovani: ma Yèlveran sapeva che tutti quelli che erano entrati anche solo una volta nell’enclave erano stati riaccompagnati sulla porta da Luxei, che aveva manipolato ogni loro ricordo su ciò che avevano visto o eventualmente sentito all’interno.

La stessa cosa, e in modo più meticoloso, doveva avvenire a persone, come quel ragazzo, che venivamo ammesse a lavorare così vicino ai Persuasori.

“Mostratemi la vostra lettera di presentazione o di convocazione.” esordì.

Il permesso di accedere ad un’enclave avveniva solo per richiesta interna o per raccomandazione da parte di un altro Persuasore. Ma la sua situazione, stando a quanto sosteneva Luxei, avrebbe dovuto permettergli di saltare questo passaggio.

“Vengo dall’enclave di Villanuova.” recitò, seguendo il copione e mostrando il tatuaggio sul polso “Sono Persuasore di Confini. Chiedo di parlare con il Primo Addestratore di Ricordi per consegnargli un messaggio urgente. Riferitegli che mi manda Luxei.”

 

Àtsuran non avrebbe mai permesso ad un imprevisto di disturbare il suo lavoro, neppure se a chiederlo fosse stato uno dei Nove in persona, ma non sentiva il nome del suo vecchio amico da più di dieci anni, quando aveva ricevuto la sua ultima lettera, perciò il desiderio di avere sue notizie fu più forte del disappunto.

Non era da lui neppure presentarsi personalmente alla porta dell’Enclave per incontrare un messaggero, ma il passato che lo legava a Luxei lo spingeva a voler evitare troppi passaparola, per quanto fosse nella posizione di cancellarne il ricordo.

L’intermediario lo aspettava sulla soglia: si era presentato all’usciere come Persuasore – e certamente lo era, altrimenti non avrebbe potuto trovarsi di fronte all’effetto del Confine senza mostrare alcuna forma di smarrimento – ma non indossava le vesti ufficiali e aveva un aspetto piuttosto trasandato, come di una persona che ha affrontato un lungo viaggio.

“Seguitemi,” si limitò a dire “e parlate solo quando saremo all’interno.”

Lui annuì a gli si fece incontro, ma più gli fu vicino più la sua espressione gli sembrò familiare e lo stesso sospetto parve dipingersi sul volto dell’ospite. Poi il giovane sollevò le sopracciglia e spalancò gli occhi: gli stessi di tanti anni prima, gli stessi che lo avevano tenuto sveglio la notte, e diversi da tutti quelli della sua famiglia. Come diverso era sempre stato lui.

“Non posso crederci…” gli sfuggì.

Poi lo afferrò per il polso e lo trascinò all’interno, travolto da un sentimento che era di sorpresa, paura ma anche, in qualche modo, di sollevato piacere.

“Non posso crederci…” ripeté, come facendo eco a se stesso, appena furono soli “Yèlveran…?”

Sul viso di lui c’era lo stesso turbamento, ma senza gioia né sollievo.

“Sono qui per conto di Luxei…” iniziò, meccanicamente.

Già: come altro avrebbe potuto comportarsi? L’ultima volta che si erano visti, c’erano due cadaveri a terra tra loro, e la responsabilità non era solo di quel ragazzo sfortunato. Il nono consigliere non era mai stato né un buon padre né un uomo buono: era collerico, violento, anaffettivo, e lui lo sapeva benissimo. Ma era un eccellente politico, e ad un Persuasore bastava quello. Doveva bastare quello.

“Yèlveran,” gli strinse le spalle con le mani, con sincera commozione “sono davvero felice di vederti.”

A quel gesto, lui si irrigidì, ma le parole parvero avere l’effetto contrario. Abbozzò un timido sorriso.

“Io avrei francamente preferito evitarlo. Non sarei tornato in questa città mai e mai. Ma se ho dovuto farlo, suppongo sia per una questione importante.”

Lui si rabbuiò.

“È successo qualcosa a Luxei?”

Yèlveran scrollò la testa.

“No. O almeno, spero di no. Non lo so…”

Àtsuran comprese.

“Porti un ricordo sepolto con te.” constatò.

“Sì, e ho perso più tempo di quello che speravo.”

Lo osservò: aveva ancora lo sguardo distante e triste che aveva da bambino, ma l’effetto d’insieme era quello di un giovane uomo calmo e sicuro di sé stesso. Provò un forte desiderio di sapere come fosse stata la sua vita in quegli anni: Luxei era davvero riuscito ad addestrarlo come Persuasore? Come gestiva quello spaventoso potere? Se era lì, davanti a lui, con quella pacatezza sul volto e nel portamento, era chiaro che in qualche modo ne era in grado: e poi Luxei non avrebbe mai commesso l’imprudenza di far viaggiare da solo un pericolo del genere…

Invece no.

Luxei era un imprudente. Era l’imprudente che, chiamato in aiuto di fronte al risveglio di una Maledizione capace di uccidere a distanza, non solo si era prestato a collaborare senza fare una piega, ma era andato incontro a quel ragazzino spaventoso senza alcun timore e lo aveva rassicurato come se lui fosse nient’altro che quello: un ragazzino da rassicurare.

Il ricordo di quella notte gli diede un brivido.

“Per estrarre un ricordo sepolto ci vogliono concentrazione e tempo. Ma soprattutto la tua tranquillità e collaborazione…”

“Questo lo so.” ci tenne a precisare Yèlveran.

“Bene: quindi comincia a svuotare la tua mente dal concetto di fretta. Penso tu già sappia che ci aspetta un lavoro lungo. Mi serve un po’ della tua fiducia, e immagino che, data la nostra pregressa relazione, non sarà semplice averla.”

“Hai quella di Luxei: basterà per tutti e due.”

“Queste sono proprio frasi degne di lui, un Persuasore eccellente quanto presuntuoso.” sorrise “Ma io sono Primo Addestratore di Ricordi: se si parla di tecnica, la mia parola fa più testo della sua. Dunque, lascia che io mi prenda il tempo che mi serve e parliamo un po’ di te, prima. Ci sono cose che forse vuoi sapere e cose che hai diritto o devi sapere. E ci sono cose che devo e ho diritto di sapere io. Sei un ospite, qui, e non hai bisogno di svelare la tua identità per ricevere tutti gli onori dell’enclave. Dopotutto, sei un Persuasore come me. O sbaglio?”

“Persuasore di Confini.” confermò.

“La seconda arte di Luxei. Ti ha istruito lui?”

“Lui e l’altro addestratore di Villanuova.”

“Sarei molto curioso di vederti al lavoro.”

“Dopo che avrai letto il messaggio, magari sì.”

“Sei piuttosto determinato, vedo.”

“Mi piace fare le cose per bene.”

Àtsuran ciondolò appena la testa in un cenno di comprensione.

“Ci sono delle persone per cui ti stai preoccupando?”

Yèlveran sollevò le sopracciglia, allarmato.

“Hai letto i miei pensieri? Io non…”

“No, non ho letto i tuoi pensieri.” lo rassicurò “Per quanto io possa essere abile, te ne saresti accorto: Luxei è sempre stato estremamente pignolo nell’insegnare ai suoi allievi questo tipo di precauzioni.”

Sul viso dell’altro si dipinse un interrogativo, a cui Àtsuran diede immediata risposta.

“Sono molto allenato nello studiare i comportamenti umani: i Persuasori che lavorano per le famiglie devono fare questo ogni minuto del giorno, tanto che negli anni diventa persino un automatismo. Ho notato che qualcosa ti inquietava, e non era legato né alla mia presenza né al ricordo sepolto. Dunque deduco che tu ti stia preoccupando per altri: un accompagnatore, magari. Del resto, non avrai certo viaggiato solo. Chiedimi pure qualunque cosa: posso fare mettere al sicuro e trattare con ogni riguardo chiunque tu desideri, se questo mi renderà più semplice godere ancora della tua compagnia.”

Aveva bisogno di trattenerlo lì e fargli domande, e non si trattava solo di senso di colpa e di coinvolgimento personale: doveva rimettere insieme il quadro per tenere sotto controllo quell’imprevisto. Gli equilibri di potere andavano preservati, era questo il compito che gli uomini come lui svolgevano di comune accordo affiancando i nove consiglieri. Per quanto ciascuno di loro fosse considerato Persuasore di fiducia di una delle famiglie, il loro principale ruolo era fare in modo che nulla turbasse lo stato di fatto, insabbiando ogni evento che potesse portare una famiglia a prevalere su un’altra. Già la mancanza di un erede diretto aveva indebolito la posizione dei Devenya… se qualcosa degli eventi di tredici anni prima fosse trapelato, avrebbe potuto dare il colpo di grazia alla nona famiglia, creando uno scompenso nel sistema. In questo quadro la potenziale utilità di una figura come Yèlveran – erede legittimo e Persuasore al tempo stesso – andava soppesata bene. Àtsuran non sapeva quanto Luxei lo avesse istruito alla politica, ma quel giovane era rimasto lontano dalla capitale e dal suo ambiente per tredici anni: doveva capire le sue intenzioni e indirizzare le sue scelte di conseguenza.

“D’accordo,” disse ad un tratto Yèlveran “d’accordo, accetto l’aiuto.” Si morse il labbro inferiore irridendo con quel gesto all’apparente sicurezza.

“Figliolo,” fece Àtsuran “sono il Persuasore di fiducia della tua famiglia. Aiutare te è mio dovere.”

Il volto di lui si rabbuiò.

“Io non ce l’ho, una famiglia.” sentenziò “Anzi, sì… ” si corresse “è Luxei.”

Àtsuran abbozzò un sorriso nostalgico.

“Credo sarebbe molto felice di sentirti dire questo.”

 

Àtsuran credeva di non aver mai conosciuto Luxei fino in fondo. Si erano frequentati da quando erano poco più che bambini, si erano addestrati insieme nella stessa arte, ma avevano sempre avuto visioni del mondo lontanissime. Luxei era uno stravagante e un anarchico, desideroso di modificare il sistema dall’interno e pieno di astio verso le menti che riteneva chiuse e rivolte al passato. Lui era invece ambizioso, aveva sempre puntato a diventare ciò che era diventato, voleva utilizzare la sua influenza per migliorare la società; non aveva una reale stima delle famiglie al potere, ma proprio per questo trovava fondamentale che i Persuasori fungessero da guide.

Eppure erano stati amici, molto amici.

Forse per questo Luxei aveva osato condividere con lui la sua teoria eterodossa sulla natura delle Maledizioni e il suo sogno di poter mettere fine ad una persecuzione sanguinosa, trovando a quegli esseri un posto nel mondo. Riteneva che ci fosse qualcosa in comune tra il funzionamento della loro mente e quella dei Persuasori, e che dunque non fosse corretto considerarle creature non umane, dato che, di fatto, apparivano tali in tutto e per tutto, salvo per i loro poteri. Ma non aveva mai avuto la possibilità di dimostrare la sua tesi: già un pensiero del genere era tabù.

Non avrebbe dovuto neppure parlarne con tanta leggerezza: una frase di troppo avrebbe potuto destare dei sospetti, persino esporlo ad un’indagine. Tuttavia, lo aveva fatto con lui.

“Io ritengo che tu abbia deciso di tenere incatenata la tua intelligenza.” gli aveva detto un giorno “Hai scelto di accontentarti del sapere che ti è stato consegnato già scritto, perché sai bene che, se lasciassi libera la tua mente, rischieresti di inciampare in contraddizioni che minerebbero la solidità della tua posizione. Non vuoi porti troppe domande, perché sei un eccellente Persuasore di Ricordi e sai che qualcuno altrettanto in gamba potrebbe leggere ogni tuo dubbio. Ma sei una brava persona, ed io ho fede nella bontà. Se la bontà bastasse a rendere il mondo un posto migliore, tu saresti il politico ideale. Però non basta, Àtsuran.”

Quando era diventato Persuasore di famiglia dei Devenya, aveva provato ad insistere affinché anche Luxei intraprendesse la stessa strada: era certo che una persona come lui potesse davvero fare la differenza. Luxei aveva sempre categoricamente rifiutato. Era rimasto nell’enclave ad insegnare e non aveva mai cercato di fare carriera: persino il posto di Primo Addestratore di Ricordi, se solo lo avesse chiesto, avrebbe potuto essere suo, ma era stato lui a fare un passo indietro.

Teneva un piede nell’istituzione e uno fuori, come se quella posizione sospesa potesse permettergli di non sentirsi un corrotto e al tempo stesso di continuare a lavorare sulla sua teoria.

Aveva davvero a cuore il destino delle Maledizioni: non le temeva, le guardava solo come uomini toccati da uno strano destino, come dei “diversi” qualsiasi, della cui diversità si doveva imparare a non aver paura.

Per questo Àtsuran non aveva esitato a chiedere il suo aiuto, quella terribile notte.

Da anni ormai aveva la piena fiducia nono consigliere ed era certo di poter spingere, attraverso di lui, l’intero Consiglio a scelte amministrative sagge, volte all’interesse del benessere collettivo.

Però sapeva anche che tipo di uomo Devenya fosse nel privato: conosceva i metodi con cui educava i figli e, se il primogenito aveva reagito trasformandosi in un giovane uomo freddo e incline alla violenza, lo stesso non era stato per gli altri due. La mezzana, una ragazza di rara bellezza ma scarso intelletto, aveva indossato la maschera della bambola di cera, sottomessa e insignificante, e si difendeva dal mondo con un’indifferenza fatta di belle maniere e accondiscendenza. Ma il minore non aveva né la durezza del primo né la passività della seconda: era un bambino attento ad ogni dettaglio, sensibile persino ad un sussurro o ad un’occhiata, ed era, per mille ragioni, il figlio più sbagliato che al nono consigliere potesse capitare. Fisicamente impacciato, incapace di sostenere l’aggressività, mai deciso, mai sicuro, mai volitivo, con la voce e lo sguardo eternamente bassi e la testa eternamente persa chissà dove: per quel tipo di padre, era una delusione permanente. Àtsuran sapeva cosa Yèlveran era costretto a subire, sapeva dei maltrattamenti, delle umiliazioni, dell’incidente a cavallo, e si aspettava che un giorno o l’altro quella situazione sarebbe esplosa.

Ma non avrebbe mai immaginato in quel modo.

Mai avrebbe anche solo osato ipotizzare che un membro di una delle Famiglie potesse essere una Maledizione.

Eppure, perché non avrebbe dovuto essere possibile?

Le Maledizioni rivelavano la propria natura a qualsiasi età, ve ne erano tra i ricchi e tra i poveri, tra i violenti e tra i miti: non importava come erano cresciute, dove erano vissute… Una Maledizione era una Maledizione, non aveva un nome di famiglia.

Probabilmente anche lui, che si riteneva un sapiente e uno studioso, era caduto nella trappola della superstizione: si era convinto che tra i Nove, i discendenti di coloro che avevano condotto la grande battaglia con gli spiriti maligni, mai avrebbe potuto nascere una creatura simile.

Invece Yèlveran Devenya aveva ucciso due persone.

Che avrebbe dovuto fare di lui?

Lo sapeva, in verità.

Avrebbe dovuto allertare l’enclave, far accorrere altri Persuasori, prendere atto del potere che possedeva, inserirlo tra i registri delle Maledizioni attualmente identificate e poi condannarlo a morte.

Ma quali sarebbero state le conseguenze?

Se una notizia del genere fosse sfuggita, sarebbe stata la rovina dei Devenya e le ripercussioni sull’opinione pubblica sarebbero state devastanti: la gente comune avrebbe cominciato a pensare che se persino i Nove potevano allevare in seno una Maledizione, allora anche la loro capacità di proteggerli era discutibile...

E poi…

Poi quella Maledizione era il bambino che aveva visto crescere, che aveva osservato sopportare e sopportare e che, per politica e quieto vivere, lui non aveva mai fatto niente per aiutare.

Così, ignorando protocolli e prudenza, aveva chiesto aiuto a Luxei.

Luxei, con la sua incredibile calma, con il suo quieto ma spaventoso carisma.

Àtsuran non avrebbe mai dimenticato quelle immagini: il suo migliore amico che passava oltre due cadaveri quasi ignorandone la presenza, si chinava accanto ad un ragazzino terrorizzato, incurante del fatto che quel ragazzino avesse il potere di ucciderlo, gli diceva poche cose e gli allungava la mano.

Da quello che poteva vedere ora, le loro mani non si erano più lasciate.

 

  
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