Paura delle botte
Le peggiori condanne sono quelle degli innocenti
Ti ho vista scorticarti.
Umanamente frammentata, porgevi richieste di perdono.
Genuflessa alle ginocchia sue, disonoravi te stessa.
Io mi specchiavo negli ematomi, pronunciati come le urla, rossi come le tue guance, cariche di vergogna.
E il mio riflesso mi appariva così miserabile.
Oh madre, ti vidi…
Ti piansi…
Ed ebbi paura.
Paura che si avverasse la tremenda previsione: qui o lì fuori, non fa differenza.
Non c’è scampo.
Nemmeno tra le braccia di chi ti ama.
E le mie…
Sono molli, come il mio spirito tradito da paterna viltà.
Te lo giuro, raccoglierò i frammenti.
I tuoi.
I miei.
E i suoi.
E ci riunirò.
Ma eccolo che ritorna.
Tragico copione familiare, si ripete nella penombra la glorificazione del dolore.
Ecco, dunque, la verità: il mondo è un posto oscuro.
E noialtri ne siamo gli oscuri cavalieri.
Tu sei la nostra regina, caduta in disgrazia…
Io, il tuo inutile vassallo.
Lui, re impazzito.
Mi sono specchiato nei tuoi lividi e ho visto la pelle fracassata dal dolore che avrei voluto soffrire io al tuo posto.
Ma quando quegli occhi scuri hanno lampeggiato nella mia direzione, io mi sono ritratto, la paura pari soltanto al disprezzo per me stesso.
Ho paura delle botte. Di quelle che avrei dovuto prendere per te ma non ho preso, rifiutandomi di prenderle dal mio stesso padre. Per ogni colpo avrei sentito il nucleo della nostra famiglia tremare fin nelle fondamenta e questo mi avrebbe fatto più male di quanto avrei mai potuto permettermi.
Ho paura di realizzare quello che siamo. Una famiglia in cui nessuno può più sentirsi al sicuro.
Ho paura del mio odio. Ho paura di sentirmi tanto solo da odiare mio padre per quello che ci ha fatto.
Ho paura di picchiarlo tanto forte da ucciderlo.