NONTISCORDARDIME
Ricordo indimenticabile
Ricordo indimenticabile
«Ciao».
Sasuke non avrebbe mai più parlato al vento, dopo quella volta. Lo avrebbe fatto solo nella sua testa, silenziosamente. Ma ora stava partendo e non sapeva quale sarebbe stato l’esito di quel viaggio. Aveva avuto molto tempo per riflettere, giù nei sotterranei di Konoha. Talmente tanto che, ad un certo punto, gli era sembrato di impazzire. Ciò che lo aveva mantenuto lucido, per assurdo, era stato l’autoconvincimento che meritasse quella condizione, e che pertanto dovesse essere presente a se stesso al fine di subire, su di sé, le conseguenze di ciò che aveva fatto. Troppo facile perdersi e dimenticare.
«Sto per lasciare Konoha».
Forse il silenzio opprimente della prigione lo aveva reso più incline alla conversazione. Normalmente non avrebbe trovato nessun senso nel fermarsi a parlare con una tomba.
«Non so quando torno. Potrei… potrei non tornare. Ci ho pensato. Ma Naruto cercherebbe di rompermi anche l’altro braccio, se lo facessi davvero».
Il timbro è basso, tanto da perdersi nell’arco di qualche metro.
Si china a sedere, poggiando le ginocchia sull’erba fresca. «Volevo dirti una cosa, Itachi».
Aveva i suoi occhi da tempo ormai. La maggior parte delle persone pensavano che volesse dire ereditarne il potere, ma non era solo questo. Trapiantarsi gli occhi del proprio fratello significava vivere assieme ad una parte di lui, sentirla pulsare ancora nonostante non possedesse un cuore, percepire, seppur flebili, le sue volontà, i suoi sogni. Soprattutto la notte, gli occhi di Itachi gli restituivano sempre molte immagini. A volte erano nostalgiche, altre erano devastanti. Ovviamente non c’era più una mente che potesse governarli – perché lui stesso l’aveva privata della linfa vitale, anni addietro - ma quelli continuavano ad esistere e ad imprimere ciò che avevano visto nella testa del suo attuale possessore.
«Ti ho perdonato».
Tre semplici parole che risuonano dolcemente nella foschia di quella mattina, mischiandosi alla nebbia nell’accompagnare il lieve spuntare del sole. «Non so se riuscirò a fare lo stesso con me» aggiunge con gravità, come se sapesse che sentire quell’affermazione avrebbe procurato il disappunto di suo fratello. «Ma non puoi biasimarmi. Ho bisogno di tempo. Devo capire, devo… guardarmi intorno. Sono stato ceco per troppo tempo».
Il vento aumenta, facendogli svolazzare i capelli qua e là, quasi fastidioso.
«Non mi importa se non sei d’accordo. So cosa pensi, ma non mi basta. Se devo...» si blocca un istante, a corto di parole e forse anche di aria. «Se devo vivere in questo mondo, dovrò anche cercare il mio posto. Trovare qualcosa per cui valga la pena esserci».
Quasi d’istinto, il volto di Sasuke incontra quelli di pietra degli Hokage, sulla rupe in lontananza. L’ultimo appartiene al suo ex maestro, Kakashi: è grazie a lui se ora non ha più una camicia di forza a bloccargli i movimenti e può girovagare come un qualsiasi altro cittadino di Konoha.
«Quella testa quadra sarà il prossimo ad avere la sua faccia scolpita lassù» commenta con un briciolo di bonaria incredulità, riferendosi a Naruto, ma in realtà sa bene quanto non ci sia persona che lo meriti più di lui.
Quando torna con gli occhi sulla lastra di pietra, un piccolo fiore blu attira il suo sguardo. Il colore è così intenso che Sasuke è quasi certo del fatto che prima non ci fosse. Ma poteva non averci fatto caso, si dice, quando ne vede spuntare un altro all’estremità opposta della lastra. Allora si guarda intorno con fare sospetto: qualcuno doveva per forza esserne l’artefice, qualcuno nelle vicinanze, perché i fiori non crescevano dal nulla, tantomeno quel tipo di fiore blu che non gli sembrava di aver mai visto in quella zona. Eppure il suo sguardo attento e i suoi sensi straordinariamente allenati non percepiscono anima viva, solo il chakra di una bambina e di un nonno che stanno passando nelle sue vicinanze proprio in quel momento.
«Nonno, guarda!» esclama la ragazzina, entusiasta. «Ci sono due nontiscordardime! Com’è possibile?»
Il signore anziano lancia un’occhiata diffidente a Sasuke e tira via la nipotina: «Tesoro, non disturbare» si limita a sussurrarle, mentre si allontanano verso un’altra lapide.
«Non ti scordar di me?» ripete il ragazzo, sempre più stupito. Ora i fiori erano cinque.
«Ti ho già detto di averti perdonato, Itachi, non c’è bisogno di fare tutta questa messa in scena».
Si alza, intenzionato ad andarsene, ma altri fiorellini continuano a sbocciare, decorando di un intenso color azzurro tutta la zona attorno alla tomba di suo fratello. Sasuke, suo malgrado, rimane inchiodato ad osservare quel fenomeno inspiegabile, per poi cogliere uno stelo e rigirarselo tra le dita. Non sapeva se una cosa del genere fosse davvero possibile, ma era appena successa davanti ai suoi occhi.
«In fondo sei sempre stato un po' pretensioso» lo accusa, ignorando una lacrima solitaria il cui residuo gli cola sotto il mento per andare a posarsi proprio su uno di quei fiori. «Beh, non c’è pericolo che questo accada, Nii-san» lo tranquillizza, infilandosi il gambo di quello che aveva tolto nella tasca del mantello. «Ma smettila di parlarmi come un dannato spirito dei boschi».
Stavolta è davvero deciso a lasciare quel luogo. «Ho i tuoi occhi, Itachi. Ogni giorno vedo ciò che c’era nel tuo cuore, e ne non so se questa sia una benedizione o una condanna ma, dannazione, non mi scorderò di te, stupido idiota».
Si asciuga di nuovo il volto, promettendo che quelle saranno le ultime lacrime che avrebbe versato. Conoscendo suo fratello, quella specie di messaggio divino poteva riferirsi al Villaggio. In fondo, Sasuke stava lasciando la terra per la quale Itachi aveva strenuamente lottato quand’era in vita – alla quale, di fatto, aveva votato la propria esistenza. Era possibile che quel sentimento così potente avesse spinto il suo spirito a comunicarglielo? Quale che fosse la reale natura del miracolo al quale aveva appena assistito, comunque, Sasuke è certo di una cosa.
«Rimarrai un eroe di Konoha» afferma, a mo’ di saluto. «Ma prima di questo, sei e sarai sempre mio fratello».
Sasuke non avrebbe mai più parlato al vento, dopo quella volta. Lo avrebbe fatto solo nella sua testa, silenziosamente. Ma ora stava partendo e non sapeva quale sarebbe stato l’esito di quel viaggio. Aveva avuto molto tempo per riflettere, giù nei sotterranei di Konoha. Talmente tanto che, ad un certo punto, gli era sembrato di impazzire. Ciò che lo aveva mantenuto lucido, per assurdo, era stato l’autoconvincimento che meritasse quella condizione, e che pertanto dovesse essere presente a se stesso al fine di subire, su di sé, le conseguenze di ciò che aveva fatto. Troppo facile perdersi e dimenticare.
«Sto per lasciare Konoha».
Forse il silenzio opprimente della prigione lo aveva reso più incline alla conversazione. Normalmente non avrebbe trovato nessun senso nel fermarsi a parlare con una tomba.
«Non so quando torno. Potrei… potrei non tornare. Ci ho pensato. Ma Naruto cercherebbe di rompermi anche l’altro braccio, se lo facessi davvero».
Il timbro è basso, tanto da perdersi nell’arco di qualche metro.
Si china a sedere, poggiando le ginocchia sull’erba fresca. «Volevo dirti una cosa, Itachi».
Aveva i suoi occhi da tempo ormai. La maggior parte delle persone pensavano che volesse dire ereditarne il potere, ma non era solo questo. Trapiantarsi gli occhi del proprio fratello significava vivere assieme ad una parte di lui, sentirla pulsare ancora nonostante non possedesse un cuore, percepire, seppur flebili, le sue volontà, i suoi sogni. Soprattutto la notte, gli occhi di Itachi gli restituivano sempre molte immagini. A volte erano nostalgiche, altre erano devastanti. Ovviamente non c’era più una mente che potesse governarli – perché lui stesso l’aveva privata della linfa vitale, anni addietro - ma quelli continuavano ad esistere e ad imprimere ciò che avevano visto nella testa del suo attuale possessore.
«Ti ho perdonato».
Tre semplici parole che risuonano dolcemente nella foschia di quella mattina, mischiandosi alla nebbia nell’accompagnare il lieve spuntare del sole. «Non so se riuscirò a fare lo stesso con me» aggiunge con gravità, come se sapesse che sentire quell’affermazione avrebbe procurato il disappunto di suo fratello. «Ma non puoi biasimarmi. Ho bisogno di tempo. Devo capire, devo… guardarmi intorno. Sono stato ceco per troppo tempo».
Il vento aumenta, facendogli svolazzare i capelli qua e là, quasi fastidioso.
«Non mi importa se non sei d’accordo. So cosa pensi, ma non mi basta. Se devo...» si blocca un istante, a corto di parole e forse anche di aria. «Se devo vivere in questo mondo, dovrò anche cercare il mio posto. Trovare qualcosa per cui valga la pena esserci».
Quasi d’istinto, il volto di Sasuke incontra quelli di pietra degli Hokage, sulla rupe in lontananza. L’ultimo appartiene al suo ex maestro, Kakashi: è grazie a lui se ora non ha più una camicia di forza a bloccargli i movimenti e può girovagare come un qualsiasi altro cittadino di Konoha.
«Quella testa quadra sarà il prossimo ad avere la sua faccia scolpita lassù» commenta con un briciolo di bonaria incredulità, riferendosi a Naruto, ma in realtà sa bene quanto non ci sia persona che lo meriti più di lui.
Quando torna con gli occhi sulla lastra di pietra, un piccolo fiore blu attira il suo sguardo. Il colore è così intenso che Sasuke è quasi certo del fatto che prima non ci fosse. Ma poteva non averci fatto caso, si dice, quando ne vede spuntare un altro all’estremità opposta della lastra. Allora si guarda intorno con fare sospetto: qualcuno doveva per forza esserne l’artefice, qualcuno nelle vicinanze, perché i fiori non crescevano dal nulla, tantomeno quel tipo di fiore blu che non gli sembrava di aver mai visto in quella zona. Eppure il suo sguardo attento e i suoi sensi straordinariamente allenati non percepiscono anima viva, solo il chakra di una bambina e di un nonno che stanno passando nelle sue vicinanze proprio in quel momento.
«Nonno, guarda!» esclama la ragazzina, entusiasta. «Ci sono due nontiscordardime! Com’è possibile?»
Il signore anziano lancia un’occhiata diffidente a Sasuke e tira via la nipotina: «Tesoro, non disturbare» si limita a sussurrarle, mentre si allontanano verso un’altra lapide.
«Non ti scordar di me?» ripete il ragazzo, sempre più stupito. Ora i fiori erano cinque.
«Ti ho già detto di averti perdonato, Itachi, non c’è bisogno di fare tutta questa messa in scena».
Si alza, intenzionato ad andarsene, ma altri fiorellini continuano a sbocciare, decorando di un intenso color azzurro tutta la zona attorno alla tomba di suo fratello. Sasuke, suo malgrado, rimane inchiodato ad osservare quel fenomeno inspiegabile, per poi cogliere uno stelo e rigirarselo tra le dita. Non sapeva se una cosa del genere fosse davvero possibile, ma era appena successa davanti ai suoi occhi.
«In fondo sei sempre stato un po' pretensioso» lo accusa, ignorando una lacrima solitaria il cui residuo gli cola sotto il mento per andare a posarsi proprio su uno di quei fiori. «Beh, non c’è pericolo che questo accada, Nii-san» lo tranquillizza, infilandosi il gambo di quello che aveva tolto nella tasca del mantello. «Ma smettila di parlarmi come un dannato spirito dei boschi».
Stavolta è davvero deciso a lasciare quel luogo. «Ho i tuoi occhi, Itachi. Ogni giorno vedo ciò che c’era nel tuo cuore, e ne non so se questa sia una benedizione o una condanna ma, dannazione, non mi scorderò di te, stupido idiota».
Si asciuga di nuovo il volto, promettendo che quelle saranno le ultime lacrime che avrebbe versato. Conoscendo suo fratello, quella specie di messaggio divino poteva riferirsi al Villaggio. In fondo, Sasuke stava lasciando la terra per la quale Itachi aveva strenuamente lottato quand’era in vita – alla quale, di fatto, aveva votato la propria esistenza. Era possibile che quel sentimento così potente avesse spinto il suo spirito a comunicarglielo? Quale che fosse la reale natura del miracolo al quale aveva appena assistito, comunque, Sasuke è certo di una cosa.
«Rimarrai un eroe di Konoha» afferma, a mo’ di saluto. «Ma prima di questo, sei e sarai sempre mio fratello».
Qualche minuto dopo, davanti alla stessa lapide, un ragazzo dai capelli biondi osserva con un pizzico di malinconia e stupore negli occhi quella splendida fioritura che riflette quasi il colore delle proprie iridi. Tira fuori dalla tasca un coprifronte di Konoka, sbarrato nel mezzo. Per molti, apparteneva ad un traditore. Per lui, era sempre appartenuto ad un amico.
«Sta tranquillo, Itachi-san» mormora, le sopracciglia piegate dalla determinazione. «Penserò io a lui».
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Siamo giunti alla fine, quasi non ci credo. Un capitolo al giorno, per trentuno giorni. Non è andata sempre come avrei voluto, a volte sono stata più soddisfatta, altre meno. Prompt e scadenze sono due limiti che influiscono molto sul mio stato mentale quando scrivo, ma questo credo di averlo già detto a inizio raccolta, quindi non voglio essere ripetitiva.
Il finale è un po' una rivisitazione del “vero” finale di Naruto. Ho immaginato il momento precedente a quando Naruto e Sasuke si incontrano per salutarsi, prima della partenza di quest’ultimo. Lo so che la storia dei fiorellini è più in stile Disney che Manga, ma l’idea mi piaceva e anche in Giappone hanno molte leggende e credenze, quindi, come al solito, mi sono presa la licenza. È stato un Uchihatober molto Uchiha, ma riconosciamo che Naruto ha sempre avuto un ruolo fondamentale (non solo perché è il protagonista del manga LOL) nella vita di Sasuke, e anche in quella di Itachi. Mi spiace di non aver incluso Shisui nel finale, in realtà, ma spero che possa piacervi lo stesso e che abbiate apprezzato le scene dove c’è anche lui.
Bene, credo di non avere altro da dire.
Se qualche lettore silenzioso vuole farmi sapere la sua opinione, io ne sarei molto felice. E con l’occasione, ringrazio veramente di cuore la mia amica Gio, senza la quale questa sfida non sarebbe nemmeno iniziale. Grazie di avermi sopportata e supportata e di aver vissuto assieme a me la storia di questi personaggi. Mi mancheranno? Sì. Ho bisogno di una pausa? Pure. Quindi, magari rispunterò, prima o dopo, ma adesso godiamoci il traguardo!
Alla prossima,
Vavi