1
Logan non era del tutto convinto del viaggio. Anzi, la sua natura riflessiva lo spingeva a dubitare delle reali intenzioni di Alexander e Richard. “Ti farà bene staccare un po',” gli aveva detto Alexander, con quel suo tono schietto che non lasciava molto spazio alla discussione. E prima che potesse obiettare, si era ritrovato catapultato in una macchina diretta a Berlino, senza troppe spiegazioni e con i più felici auguri da parte di suo fratello, che si era occupato di preparargli il bagaglio.
La città era affollata, caotica. I rumori incessanti delle auto, le voci dei passanti e i suoni metallici delle biciclette che sfrecciavano lungo i marciapiedi sembravano amplificare l’inquietudine che sentiva dentro di sé. Berlino non gli era mai piaciuta particolarmente – troppo rumorosa, troppo distante da quella quiete a cui era abituato. Ma con Alexander non c’era mai stata alcuna possibilità di discussione, non quando il suo amico si metteva in testa qualcosa.
Il viaggio si concluse in una zona tranquilla, lontano dal trambusto del centro. Una piccola bifamiliare, nascosta tra alberi e viali tranquilli, apparve davanti a loro come un rifugio sicuro. Nonostante la sua reticenza iniziale, Logan si trovò a respirare leggermente più a fondo, il caos della città finalmente lasciato alle spalle.
“Eccoci,” disse Alexander, fermando la macchina con una manovra decisa. “Vedrai, ci divertiremo.” Lo guardò dallo specchietto con occhi brillanti.
“Vorrei tanto sapere chi è l’imbecille che ha mandato un pryderi da solo ad occuparsi di un nido.” Borbottò Logan, inspirando pesantemente. “Che cosa inutile.”
“Noi ti portiamo a distruggere un po’ di eidolon e questo è il tuo ringraziamento?” Richard ridacchiò dalla parte opposta della macchina. “Scommetto che ti sentirai molto meglio dopo qualche giorno qui.”
Logan non rispose, limitandosi a sollevare le sopracciglia in segno di scetticismo.
“È una ragazza?” Chiese, scandagliando gli amici con occhi penetranti.
“E ti farà il culo, probabilmente.” Annuì Alexander.
Logan scese dall'auto con un sospiro appena accennato, mentre il freddo autunnale gli pizzicava la pelle. Trascinò dietro di sé la sua valigia, sentendo il peso non solo dell'oggetto, ma anche dei ricordi che avevano cominciato ad appesantirgli la mente fin dal momento in cui Alexander aveva proposto il viaggio. Alzò lo sguardo verso la casa davanti a lui: era più piccola di quanto si aspettasse, con un aspetto rustico e accogliente, qualcosa di stranamente fuori luogo rispetto all’immagine moderna e vibrante che aveva di Berlino. Le finestre dai vetri antichi riflettevano un pallido sole che stava lentamente scivolando dietro l’orizzonte, gettando lunghe ombre sul cortile.
Logan esitò per un attimo prima di avanzare, osservando i contorni della casa come se cercasse di immaginare chi o cosa l’aspettasse dall’altra parte della porta. Alexander, sempre energico e impaziente, bussò con forza. L'eco del suo bussare risuonò nell'aria, spezzando il silenzio del quartiere tranquillo. Dall'interno si udì un leggero rumore di passi, quasi impercettibili, che avvicinavano qualcuno alla porta. Logan sentì il suo respiro accelerare senza motivo apparente. Era una reazione inspiegabile, o forse troppo spiegabile.
La porta si aprì con un cigolio e il mondo intorno a Logan sembrò fermarsi di colpo. Davanti a lui, con una compostezza quasi surreale, c'era Vittoria. Non la vedeva da anni, ma il tempo sembrava non aver avuto alcun impatto su di lei. I suoi occhi brillavano ancora di quella sfumatura di verde che Logan non aveva mai dimenticato, gli stessi occhi di giada che anni prima lo guardavano con timore, ora brillavano di forza.
Vittoria lo osservava con un misto di sorpresa e confusione, come se il suo cervello stesse ancora cercando di accettare l'immagine di Logan davanti a lei. "Logan?" La sua voce era un soffio, un suono delicato che riuscì comunque a scuoterlo dalle sue riflessioni. La sorpresa era evidente nel suo tono, ma c’era anche una nota di curiosità, come se non fosse del tutto certa che quell'uomo fosse davvero la persona che ricordava. In quel momento, gli anni che li separavano sembrarono evaporare.
Logan sentì il suo cuore battere forte nel petto, eppure il suo volto rimase impassibile, come se avesse indossato una maschera per proteggersi dall'ondata di emozioni che lo stava travolgendo. Riuscì solo a sussurrare il suo nome: "Vittoria." La parola gli uscì strozzata, come se dovesse lottare contro se stesso per pronunciarla. La realtà della sua presenza lo colpì con una forza che non avrebbe mai immaginato, come se tutto il tempo che era passato non avesse fatto altro che accumulare tensione tra loro.
Per un lungo momento, rimasero lì, immobili, a guardarsi, mentre il mondo intorno a loro sembrava dissolversi in una bolla di silenzio. Non c’era bisogno di parole: tutto ciò che avevano provato e vissuto si rifletteva nei loro occhi. Ma il momento venne brutalmente interrotto da Alexander, che entrò con un gran sorriso, del tutto ignaro dell’atmosfera tesa tra i due. Si infilò in casa con la sua consueta noncuranza, senza neanche aspettare un invito. "Ah, come puoi vedere da te, non è una pryderi," disse con una risata, facendo una battuta che Logan ignorò. "Non starete lì tutto il giorno, vero? Io ho fame." La sua voce ruppe definitivamente l'incantesimo, e Richard, con un sorriso divertito, lo seguì all’interno, portando con sé la propria valigia.
Logan sussultò, notando come Alexander avesse iniziato a parlare in italiano, volontariamente. Aggrottò impercettibilmente le sopracciglia, sorpreso. Loro non avevano bisogno di cambiare lingua, quando erano insieme. Non era necessario, con le opè. Deglutì. Lui e Vittoria rimasero ancora un attimo immobili, osservando Alexander e Richard che si sistemavano senza alcun imbarazzo. L’interno della casa sembrava accoglierli con il calore di un focolare familiare, un contrasto netto con la tempesta emotiva che Logan sentiva crescere dentro di sé. Il silenzio tra lui e Vittoria tornò, ma questa volta era diverso. Non più carico di sorpresa, ma di una tensione sottile. Da quant’è che non si vedevano?
"Non sapevo che venissi anche tu," disse Vittoria infine, spezzando il silenzio. La sua voce era più calma ora, ma Logan percepì un lieve tremore nascosto dietro la facciata di serenità. Era una maschera, simile alla sua, e lui la riconobbe immediatamente.
"Neanche io," rispose Logan, lasciandosi sfuggire un sorriso appena accennato. Decise di assecondare l’utilizzo di una lingua diversa dalla propria, visto che in quella casa sembravano farlo tutti. Abbassò lo sguardo per un momento, cercando di riordinare i suoi pensieri. "Alexander non mi ha detto nulla."
"Sei un rinforzo!" disse il biondo con un tono scherzoso, incrociando le braccia al petto. Vittoria scosse leggermente la testa, un sorriso divertito si allargò sulle sue labbra. "Cretino," aggiunse con un mormorio quasi affettuoso.
Logan annuì, cercando di nascondere la marea di emozioni che minacciava di travolgerlo. Il silenzio cadde di nuovo su di loro, ma questa volta sembrava quasi che entrambi ne avessero bisogno. Era un silenzio denso, pieno di ricordi non detti e parole non pronunciate. Logan avrebbe dovuto dire qualcosa di più, magari una battuta per alleviare la tensione, ma ogni parola gli sembrava pesante, difficile da articolare.
"Beh, entriamo," disse infine Vittoria, voltandosi e invitandolo a seguirla all'interno della casa. "Non voglio che Alexander inizi a girare per casa come un tornado."
Logan la seguì con passo misurato, lasciando che la porta si chiudesse alle sue spalle. L'interno della casa era semplice, ma accogliente, con una cucina e un soggiorno che si aprivano su uno spazio comune. L'atmosfera era calda e familiare, e Logan si sentì stranamente sollevato da quella sensazione di normalità. Alexander era già impegnato a rovistare tra i mobili della cucina, come se fosse padrone di casa.
"Sei qui da sola?" chiese Logan, osservando l'ambiente intorno a lui.
"Ho diciotto anni," rispose Vittoria, appoggiandosi con disinvoltura al muro. Lo osservava con attenzione, ma senza fretta, come se stesse cercando di capire cosa fosse cambiato in lui durante tutto quel tempo.
“Cibo.” Alexander aprì il frigo. “Bingo!” Sorrise e lo richiuse, mentre teneva stretta una teglia coperta dalla stagnola. “Posso?”
“Te la scaldo?”
“Non serve.” L’altro si strinse nelle spalle e cercò una forchetta, per poi prendere posto a tavola e scartare le lasagne fredde.
“Sono le quattro di pomeriggio.” Vittoria piegò la testa di lato.
“Ora di cena.” Affermò Alexander, riempiendosi la bocca. “Mi era mancata la tua cucina.” Disse.
“Sei un pozzo senza fondo.” Commentò Richard scuotendo la testa senza però riuscire a trattenere un sorriso.
“Ne vuoi un po’?” Alexander gli porse la forchetta.
“Certo. Per chi mi hai preso?” Richard prese posto di fianco ad Alexander.
Vittoria si girò verso Logan e sospirò. “Vuoi una forchetta anche tu o posso apparecchiare la tavola, almeno? E mettere su qualcosa di caldo. Anche se è allucinante dover cenare alle quattro di pomeriggio.” Fece una smorfia.
“Come preferisci.” Logan fece un passo in avanti. “Posso aiutarti?” Si offrì, facendosi mostrare dove fossero piatti e bicchieri.
Logan si mosse lentamente, quasi con riluttanza, verso la cucina. Era come se ogni gesto, ogni passo, lo legasse ancora di più a quel luogo, a quel momento con Vittoria che stava cercando di gestire senza lasciarsi travolgere dalle emozioni. Lei indicò con un cenno del capo uno degli armadietti in alto. "I piatti sono lì," disse, mentre si avviava verso un altro mobile per prendere delle posate.
Mentre Logan apriva l'armadietto e prendeva i piatti, non poté fare a meno di osservare Vittoria di sottecchi. Sembrava così a suo agio lì, in quella cucina, come se fosse padrona dello spazio e del tempo stesso. Ogni suo movimento era fluido, sicuro, come se stesse orchestrando una sinfonia invisibile. Eppure, nonostante tutta la sua compostezza, Logan sapeva che qualcosa ribolliva sotto la superficie. Lo sentiva nei piccoli gesti: la leggera tensione nelle spalle, il modo in cui stringeva le posate un po' troppo forte, il modo in cui evitava di incontrare direttamente il suo sguardo per più di un attimo.
Posò i piatti sul tavolo, accanto ad Alexander e Richard, che stavano già affondando nelle lasagne fredde come se fossero il pasto più delizioso del mondo. Alexander, sempre esuberante, non mostrava alcun segno di voler rallentare, continuando a infilzare i pezzi di lasagna con una voracità che faceva sorridere Logan.
"Questa è la vera cena dei campioni," disse Alexander con la bocca piena, alzando un pezzo di lasagna come se stesse facendo un brindisi.
Richard annuì in accordo, prendendo un altro boccone. “Il cibo degli dei.”
Vittoria sorrise, ma era un sorriso leggero, quasi distratto. "Se solo mi avessi avvisato, avrei preparato qualcosa di meglio," disse con un accenno di ironia. “Visto che sarebbe stato il pranzo di domani.” Aggiunse con un leggero tono di rimprovero. Poi si voltò verso Logan, che stava ancora cercando di orientarsi nel contesto. "Allora? Ti sei deciso per la forchetta o posso metter su un po' di tè?"
Logan si concesse un attimo per rispondere, guardando la scena davanti a lui. C'era qualcosa di incredibilmente normale in tutto questo, qualcosa che contrastava con la complessità dei sentimenti che aveva provato appena aveva visto Vittoria sulla soglia. Forse era proprio quella normalità a dargli una sorta di conforto. "Va bene il tè," disse infine, appoggiando una mano sul tavolo. "Credo di preferire qualcosa di caldo."
"Perfetto," rispose Vittoria, dirigendosi verso il bollitore. In quel momento, la tensione tra loro sembrò allentarsi leggermente, come se entrambi avessero accettato tacitamente che questo era il modo migliore per andare avanti. Fare finta di nulla.
Logan si lasciò scivolare su una sedia, osservando Alexander e Richard ridere tra di loro, le loro voci che riempivano la stanza con una leggerezza contagiosa. Eppure, ogni tanto, il suo sguardo si spostava verso Vittoria, che stava preparando il tè con gesti misurati. Era strano quanto tutto sembrasse così naturale, quasi come se gli anni non fossero mai passati. Tutto aleggiava nell'aria, come una nebbia che poteva disperdersi in un attimo o addensarsi ancora di più.
Il fischio del bollitore interruppe i suoi pensieri. Vittoria versò l'acqua calda in alcune tazze e le portò al tavolo, posandole con delicatezza davanti a Logan e agli altri. "Ecco," disse semplicemente, prendendo posto accanto a lui. Non disse altro, e per un momento, sembrava che la pace fosse davvero tornata.
Logan si sistemò meglio sulla sedia, la tazza di tè tra le mani, lasciando che il calore si diffondesse attraverso le dita mentre i suoi pensieri cercavano di afferrare il senso della situazione. Gli era chiaro che il problema con gli eidolon era grave, ma Alexander era stato evasivo sui dettagli, come al solito. Probabilmente per trascinarlo lì con loro.
"Alexander ha accennato qualcosa su un nido di eidolon nelle vicinanze," iniziò Logan, mantenendo un tono pratico. Non era uno che si lasciava trascinare dalle emozioni quando si trattava di lavoro. "Ha detto solo che è piuttosto grande, ma non ha specificato altro. Cos'è che rende questo nido così particolare?"
Vittoria lasciò andare un sospiro, incrociando le braccia sul tavolo, lo sguardo che si spostava dalla tazza a Logan. "È semplicemente enorme," disse, e c'era un filo di frustrazione nella sua voce. "Non c'è una ragione precisa per cui gli eidolon si stiano concentrando qui, non sono attratti da niente in particolare. È solo che... questo nido è cresciuto fuori controllo. Troppi mostri, troppo pericolosi per essere affrontati da sola."
Logan annuì lentamente, assorbendo le sue parole. Gli eidolon erano creature insidiose, nate dall'oscurità, che si nutrivano delle paure umane e si moltiplicavano come una piaga quando lasciate libere. Non c'era nessun mistero dietro il perché di quel nido – a volte i mostri semplicemente proliferavano senza una ragione precisa, come la muffa in una stanza buia. Ed era lì che entravano in gioco persone come lui.
"Alexander mi ha detto che era una questione seria," continuò Logan, il tono fermo. "È per questo che siamo qui, noi tre. Non siamo venuti solo per fare una visita di cortesia." Fece una pausa, fissando Vittoria con uno sguardo risoluto.
Vittoria lo guardò per un lungo momento, poi abbassò lo sguardo, annuendo lentamente. "Avevo detto ad Adrian che mi serviva una mano, ma voi tre…” Sorrise e socchiuse gli occhi, stanca. “Ogni volta che mi avvicino, ne escono sempre di più. Ho ucciso decine di loro, ma non riesco mai ad avvicinarmi abbastanza da fare danni reali."
Logan si accigliò leggermente. Immaginava che la ragazza fosse abile in combattimento, d’altronde, era come loro. Ma combattere un nido così grande da sola era follia, persino per lei. "Lo so che sei brava," disse, cercando di mantenere la calma. “Ma è meglio essere in quattro.”
Alexander, che fino a quel momento aveva osservato la conversazione con un'aria divertita, decise di intervenire. “Già, faremo squadra, tesoro.” Le fece l’occhiolino. “So quanto ti piace lavorare in gruppo.” Commentò con voce canzonatoria. “Ma questa volta o così o ci rimetti la pelle.”
Questa volta, lei sbuffò esplicitamente e tamburellò le dita intorno alla tazza fumante davanti a lei.
“Dove sono?” Chiese Logan, quando vide gli occhi di Alexander brillare, certo che il biondo avesse una battuta pungente sulla punta della lingua.
Vittoria girò la testa verso di lui e si inumidì le labbra, distogliendo lo sguardo dopo pochi secondi e spingendo la sedia all’indietro. Prese il telefono e tornò a sedersi, per aprire l’app delle mappe. Gli indicò un punto segnato da un pallino azzurro. “Qui ci siamo noi.”
Logan si avvicinò leggermente per poter guardare meglio, mentre lei usava pollice ed indice per allargare la visuale e indicargli una zona periferica della città. “Questo è un vecchio edificio abbandonato. Non so perché continuino a scegliere posti del genere, quella villa sta cadendo a pezzi, ma sono qui.”
Logan si spostò più vicino a Vittoria per poter guardare meglio lo schermo del telefono. Mentre lo faceva, il profumo leggero e fresco di lavanda lo colpì all'improvviso, invadendo i suoi sensi e facendogli mancare per un attimo la concentrazione. Si prese un momento per inspirare profondamente, riordinando i pensieri. Il suo sguardo si abbassò sulle dita di Vittoria che scivolavano sicure sullo schermo, mostrando con precisione la mappa. Logan si sentì involontariamente più vicino di quanto avrebbe voluto, eppure rimase fermo, come se non ci fosse altra opzione.
"E quante armi hai qui?" chiese, la voce più roca del previsto mentre tentava di focalizzarsi sul piano davanti a loro.
Vittoria, senza sollevare lo sguardo dal telefono, rispose con semplicità. "Ne ho abbastanza. Ho quasi finito le frecce di nex, però. È complicato recuperarle, con quei mostri disgustosi che ronzano in giro," disse. Poi si strinse nelle spalle e aggiunse: "Qualche lama, una spada corta, dovrei avere un paio di giavellotti ma sono troppo ingombranti per essere portati in giro in modo discreto." La sua risposta, breve e pratica, non lasciava spazio a ulteriori dettagli. Era chiaro che aveva affrontato questa situazione da sola per troppo tempo.
Richard, che stava seguendo la conversazione in silenzio, prese la parola con la sua calma abituale. "Noi abbiamo altre frecce. Alex ha qualche punta di riserva, se vuoi." disse, con un breve cenno del capo verso Logan e Alexander.
Vittoria accennò un sorriso, come se apprezzasse il loro arrivo, ma non volesse ammettere troppo apertamente il sollievo che provava. "Perfetto," mormorò. Poi prese un respiro e sollevò di nuovo lo sguardo verso di loro.
"E le gemme?"
Logan la osservava con una certa intensità, come cercando di decifrare chi fosse diventata in tutti questi anni. Non la vedeva da tanto tempo che ora quasi gli sembrava una sconosciuta. Eppure, c'era qualcosa di familiare in lei, forse nella determinazione che emanava o nella sicurezza con cui parlava. Gli occhi verdi di Vittoria erano penetranti, vivaci, e si scontravano con il suo sguardo ogni volta che i loro occhi si incrociavano. Lei elencava i nomi delle gemme con precisione, ma Logan non poteva fare a meno di notare la curva dei suoi capelli castani che le incorniciavano il viso e il modo in cui le sue labbra si muovevano quando parlava.
"E voi?" chiese infine Vittoria, interrompendo i suoi pensieri.
Logan distolse lo sguardo per un attimo, rispondendo in modo pratico e asciutto. "Ne abbiamo alcune anche noi," disse. "Siamo coperti." Non entrò nei dettagli, non era necessario. Si fidavano l'uno dell'altro abbastanza da sapere che avrebbero avuto tutto sotto controllo.
Mentre parlava, si accorse che Alexander e Richard lo fissavano con sguardi intensi, quasi divertiti. I due lo osservavano con occhi che brillavano di una strana curiosità, come se stessero aspettando che accadesse qualcosa di più di una semplice pianificazione di battaglia. Alexander, in particolare, aveva un sorriso sottile sulle labbra, che Logan riconobbe subito: un sorriso che indicava che il biondo aveva notato qualcosa e si stava godendo la scena.
Logan sbuffò lievemente, cercando di ignorarli, ma sentiva il loro sguardo bruciare su di lui. Era come se si aspettassero che scoppiasse una battuta, un commento sarcastico da parte sua o di Vittoria, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a dare loro quella soddisfazione.
“Come mai avete portato solo lui?” La ragazza guardò Richard negli occhi, il capo leggermente piegato di lato.
Il moro tamburellò le dita sul tavolo, completamente a suo agio. “Cos’è? Non ti bastiamo?”
Lei socchiuse gli occhi e scosse la testa, mordicchiandosi il labbro inferiore. “Non è la mia domanda.”
E Logan guardò attentamente gli amici, anche se intuiva già il motivo, vista la briosità che aveva avuto Lucas nel fargli lo zaino e spingerlo in macchina garantendogli che avrebbe mantenuto l’Oikos sotto controllo per tutto il tempo necessario.
“Lucas aveva delle cose da fare.” Fu la risposta del francese.
Vittoria guardò Logan con la coda dell’occhio e lui le restituì lo sguardo, poi sospirò.
"Domani mattina ci muoviamo," disse Logan, tagliando corto. Il tono era deciso, come per riportare l'attenzione al problema reale, ignorando le insinuazioni che serpeggiavano nell'aria. "Andiamo, ammazziamo qualche schifoso mostro e ce ne torniamo a casa."
Vittoria annuì con un'espressione seria, accogliendo la sua direttiva senza esitazione. Poi, con un respiro profondo, si alzò dalla sedia e fece un cenno con la testa verso il corridoio. "Seguitemi, vi mostro dove dormirete," disse, dirigendosi con passo sicuro verso la stanza accanto al soggiorno.
Logan, Alexander e Richard la seguirono in silenzio. Entrarono in una piccola stanza con pochi mobili, ma pulita e ordinata. Al centro, un divano letto ancora chiuso occupava gran parte dello spazio. "Questo sarà per voi due," disse Vittoria, indicando il divano. "Visto che non mi avete dato il tempo di preparare nulla, apritevelo da soli."
I ragazzi si misero subito al lavoro, tirando via i cuscini e srotolando la struttura del divano letto. Logan afferrò un lato della rete mentre Alexander e Richard lo affiancarono dall'altro. In pochi secondi, il divano si trasformò in un letto abbastanza largo per due persone. Vittoria osservò il tutto con un piccolo sorriso di soddisfazione.
"Non è il massimo," ammise Vittoria con un leggero sorriso, "ma è il meglio che posso fare al momento. Avrei preferito sapere del vostro arrivo, mi sarei attrezzata meglio."
Alexander rise, scrollando le spalle. "Non ti preoccupare, va benissimo così. Siamo abituati a situazioni peggiori," disse, con il tono giocoso di chi ha vissuto di tutto. Richard annuì, già appoggiato contro il bordo del letto, apparentemente a suo agio.
Logan si guardò intorno, notando che c'era ancora un altro divano più piccolo nell'angolo della stanza. "Prendo il divano?" chiese con un sorriso leggero.
Vittoria gli indicò il divano singolo. "Già. Non si apre, ma è abbastanza comodo," disse, con una piega scherzosa sulle labbra. "Spero tu non abbia bisogno di troppo spazio."
"Mi accontento," rispose Logan con un sorriso, sistemandosi sul divano e saggiandone la morbidezza. Non era perfetto, ma dopo anni di missioni e riposi improvvisati, aveva imparato a dormire ovunque ci fosse un cuscino – o anche senza.
Vittoria annuì e poi si passò una mano tra i capelli. "Vado a preparare la cena," disse con un tono calmo, ma gentile. "Io e Logan non abbiamo ancora mangiato. E se avete ancora fame," aggiunse rivolta ad Alexander e Richard, "vedrò di preparare qualcosa anche per voi."
Alexander lanciò un'occhiata complice a Richard e annuì con entusiasmo. "Come possiamo dire di no alla tua cucina?" disse ridendo, ricevendo un piccolo sbuffo divertito da parte di Vittoria.
Vittoria lasciò la stanza, dirigendosi verso la cucina. Logan la seguì con lo sguardo mentre spariva oltre la soglia, consapevole di come ogni suo movimento fosse fluido e controllato, come se il tempo non avesse scalfito il suo spirito guerriero. Era strano pensare che non si vedevano da anni, eppure quel breve tempo passato insieme sembrava aver riaperto una connessione che credeva sepolta.
Alexander e Richard si erano già messi comodi sul divano letto, chiacchierando tra loro a bassa voce, ma Logan non si unì subito alla conversazione. Restò seduto per qualche minuto, riflettendo sulla situazione che si era creata e sul fatto che presto sarebbero stati tutti immersi in una battaglia contro un nemico oscuro e pericoloso. Era un lavoro a cui era abituato, certo, ma questa volta c'era qualcosa di diverso. Forse era la presenza di Vittoria, forse il ricordo di un tempo passato che tornava a bussare, o forse solo l'odore di lavanda che sembrava ancora aleggiare nell'aria, lasciando una scia sottile nella stanza.
Alzò lo sguardo verso gli amici, sentendosi osservato.
“Cosa?”
“Allora?” Richard accennò alla cucina con il mento.
Logan scosse la testa e si alzò dal divano. Alzò la mano e gli fece un gestaccio, prima di uscire dal soggiorno. Seguì l'odore del cibo e il suono dei piatti in cucina, raggiungendo Vittoria mentre lei si stava già occupando di preparare la cena.
Lei era lì, con movimenti rapidi e precisi, mentre prendeva degli ingredienti dal frigorifero e li sistemava sul piano di lavoro. Logan si appoggiò al telaio della porta, osservandola in silenzio per un attimo, prima di offrirsi di nuovo di aiutarla.
"Posso darti una mano?" chiese, la sua voce profonda riempiendo la cucina, spezzando il lieve rumore del cucinare.
Vittoria alzò lo sguardo e incrociò i suoi occhi con quelli di Logan, un'espressione di sorpresa per un momento, prima di trasformarsi in un sorriso quasi impercettibile. "Va bene," disse semplicemente.
Logan entrò nella cucina e si avvicinò lentamente, il calore della stanza e l'odore invitante del cibo in preparazione gli fecero dimenticare per un attimo il freddo che aveva sentito fuori. Vittoria gli fece spazio, indicando il tagliere con un cenno del capo. "Puoi tagliare queste," disse, passandogli una manciata di verdure.
Logan prese un coltello e cominciò a lavorare in silenzio, concentrato sul compito ma consapevole della presenza di Vittoria accanto a lui. Il ritmo dei loro movimenti sembrava sincronizzarsi naturalmente, come se avessero fatto questo mille volte prima. In realtà, Logan non ricordava di aver mai condiviso momenti così tranquilli con lei, eppure l’atmosfera era stranamente confortevole, un silenzio complice che sembrava legarli senza parole.
Ogni tanto, Logan gettava un’occhiata verso di lei, studiandola con discrezione. I suoi capelli castani, ora più lunghi rispetto a come li ricordava, le incorniciavano il viso mentre si muoveva con sicurezza tra il piano cottura e il frigorifero. I suoi occhi verdi, concentrati sul cibo, sembravano celare mille pensieri. Era come se ci fosse qualcosa di irrisolto tra di loro, qualcosa di non detto, e Logan non sapeva se fosse giusto parlarne o lasciarlo lì, sospeso nell'aria insieme all'odore del cibo che riempiva la cucina.
Ad un tratto, Vittoria si girò verso di lui, il viso appena illuminato dalla luce soffusa della lampada sopra il tavolo. "Hai sempre avuto quella faccia concentrata quando cucini?" chiese con un sorriso divertito, rompendo il silenzio.
Logan sollevò un sopracciglio, sorpreso dalla domanda. "Non lo so," rispose con un sorriso di lato. "Di solito non cucino. Usiamo la mensa."
Lei rise piano, il suono melodioso e leggero, quasi in contrasto con la tensione che aleggiava nella stanza fino a poco prima. "Beh, sei bravo. Potrei farti fare la parte difficile ogni volta."
"Non ci sperare," ribatté lui, tagliando le verdure con un gesto preciso. Ma il tono della sua voce era rilassato, e si ritrovò a pensare che forse non sarebbe stato così male ripetere momenti come questo.
Passarono i successivi minuti in un silenzio confortevole, con i rumori della cucina a riempire lo spazio tra loro. Vittoria versò dell'acqua in una pentola e iniziò a cuocere qualcosa sul fornello, mentre Logan terminava di affettare le verdure.
“Posso chiederti una cosa?” Chiese lui dopo qualche minuto, mentre guardava le mani spoglie da qualsiasi gioiello mescolare il contenuto della pentola con un cucchiaio.
“Non voglio indossare l’opè.” Rispose lei, senza alzare lo sguardo dal fornello. Logan ebbe un tremito di sorpresa. La sua curiosità era così scontata?
“Parlo italiano, inglese, tedesco e francese senza bisogno della gemma. E non frequento l’Oikos, non ne ho bisogno.” I muscoli del collo si contrassero, rigidi.
“Hai imparato quattro lingue?”
“Cinque, in realtà. Ma da quando è morta Helena non mi sento a mio agio a parlare castillano.” Fece schioccare la lingua sul palato.
Logan rimase in silenzio, assorbendo le informazioni. Fece un passo verso di lei, guardando il contenuto nella padella. “E dov’è la tua gemma?” Domandò, dopo qualche secondo.
“Credo ce l’abbia Alex. Non so se l’ha portata, ma l’ho lasciata a lui.”
Logan annuì, ma non riusciva a nascondere una certa perplessità. Si passò il pollice sul bordo dell'anello che portava al dito, sentendo il metallo freddo contro la pelle. La gemma incastonata, l’opè, scintillava leggermente alla luce tenue della cucina, e Logan si sentì improvvisamente consapevole del suo peso, non solo fisico ma anche simbolico. Quell'anello non era solo un ornamento, era il simbolo del suo status, il riconoscimento delle sue capacità e del suo impegno.
Logan aveva sempre portato l'opè con orgoglio, sapendo che la gemma gli concedeva un vantaggio inestimabile: la capacità di comprendere e parlare qualsiasi lingua, di comunicare con chiunque, indipendentemente dalle barriere culturali o linguistiche. Era un simbolo di potere e di prestigio, un segno tangibile della sua appartenenza all'Oikos, la comunità che lo aveva addestrato e che rappresentava una parte fondamentale della sua identità. Quella gemma lo aveva accompagnato in situazioni complesse, diplomatiche e militari, gli aveva aperto porte che altrimenti sarebbero rimaste chiuse.
Ma ora, mentre osservava Vittoria, c'era qualcosa che lo turbava. Lei aveva rinunciato alla sua opè, e non sembrava affatto pentita. Non ne aveva bisogno, diceva, con la disinvoltura di chi considerava la cosa quasi irrilevante. Logan non riusciva a capire come potesse fare a meno di uno strumento così prezioso. Si chiese se dietro la sua scelta ci fosse qualcosa di più profondo, qualcosa che andava oltre il semplice fatto di conoscere più lingue.
"E non ti manca?" chiese, cercando di mantenere la voce neutra, mentre il suo sguardo scivolava dai movimenti delle sue mani alla sua espressione, in cerca di qualche segnale nascosto.
Vittoria si fermò per un attimo, come se stesse valutando la domanda, poi scrollò le spalle. "Non mi è mai sembrata indispensabile. Ho imparato a cavarmela da sola."
Logan serrò la mascella, ma non disse nulla. Era vero, certo, ma non poteva fare a meno di sentire una fitta di disapprovazione. Lui aveva abbracciato il potere dell'opè, lo aveva usato per costruire la sua reputazione, la sua carriera, e in un certo senso la sua stessa identità. L'idea che qualcuno potesse volontariamente rinunciarci, lasciandolo da parte come un vecchio oggetto inutile, gli sembrava quasi un tradimento verso tutto ciò che rappresentava.
“L’oro è…”
“L’oro è il motivo per cui non la voglio indossare.” Tagliò corto lei.
Logan annuì di nuovo, ma dentro di sé sentiva una crescente distanza tra loro. Era come se, in quel momento, l'opè non fosse più solo una gemma, ma un simbolo delle loro differenze. Lui aveva costruito la sua vita attorno al potere che quella gemma gli concedeva, mentre Vittoria sembrava aver trovato la sua forza altrove, dentro di sé.
Eppure, non poteva fare a meno di provare un misto di rispetto e irritazione. Rispetto per la sua indipendenza, ma irritazione per la sua apparente indifferenza verso qualcosa che, per Logan, era fondamentale. La sua mente tornò alle parole di Vittoria, a quel suo modo sicuro di affermare che non ne aveva bisogno, come se fosse un mero accessorio.
Logan abbassò lo sguardo sull'anello al suo dito. Per lui, l'opè era tutto fuorché un accessorio. Era un simbolo della sua identità, del suo percorso, delle sue scelte. E forse era proprio questo a separarlo da Vittoria in quel momento: lei sembrava aver scelto un cammino diverso, uno che non richiedeva l'uso di quel potere magico.
Ma mentre continuavano a cucinare in silenzio, Logan si rese conto che, nonostante quella differenza, c'era ancora qualcosa che li legava. Qualcosa di non detto, che fluttuava nell'aria tra di loro, insieme al profumo del cibo e al crepitio delle verdure che sfrigolavano in padella. E forse, pensò Logan, alla fine non era l'opè a definire chi erano, ma le scelte che facevano e come decidevano di affrontare le difficoltà che la vita gli poneva davanti.
A un certo punto, il rumore di passi leggeri li fece voltare entrambi verso la porta. Alexander e Richard si erano materializzati sull'uscio della cucina, i volti illuminati da un'aria di aspettativa divertita.
"Ma che scena tenera," disse Alexander, appoggiandosi al telaio della porta con un ghigno malizioso. "Mi sembra di vedere una coppia sposata che prepara la cena insieme. Non è adorabile, Richard?"
Richard alzò le sopracciglia, cercando di trattenere una risata. "Molto casalingo. Direi che la vita domestica ti si addice, Logan."
Logan sospirò, scosse la testa e lanciò loro uno sguardo che avrebbe dovuto farli desistere. "Se avete fame, potreste almeno essere utili," rispose seccamente, senza nascondere del tutto un sorriso. "Prendete i piatti."
Alexander si allontanò dal telaio, alzando le mani in segno di resa. "Siamo solo qui per dare una mano," disse con tono ironico, ma fece come richiesto, prendendo i piatti dalla credenza e posandoli sulla tavola. Richard seguì l'esempio, cercando di nascondere il suo divertimento mentre apparecchiava il tavolo.
Vittoria, che aveva osservato l'interazione con un misto di affetto e rassegnazione, fece un piccolo sorriso e si voltò verso Logan. "Sai, a volte mi chiedo come fai a sopportarli."
Logan scrollò le spalle. "È una questione di abitudine. Dopo un po', impari a ignorare metà delle cose che dicono."
Vittoria ridacchiò e aggiunse un tocco finale alla cena. Prese una padella e la portò al tavolo, seguita da Logan con il resto del cibo. Alexander e Richard si erano già seduti, affamati e pronti a mangiare, ma stavano ancora osservando Logan e Vittoria con quello stesso sguardo divertito che li aveva accompagnati fin dall'inizio.
Quando tutti furono finalmente seduti a tavola, Vittoria si lasciò andare su una sedia, guardando il gruppo con un'espressione di stanchezza ma anche di soddisfazione. "Se continuate a mangiare per venti, domani andate a fare la spesa." Li rimbeccò.
“Certo, capo.” Richard annuì, con la bocca già piena.
"Finchè cucini tu, possiamo fare tutte le commissioni che vuoi, Honey. Lo sai." rispose Alexander con entusiasmo, mentre affondava una forchetta nel cibo. Richard gli fece eco con un cenno del capo, il sorriso che non accennava a sparire.
# Angolo autrice
Sì, lo so. Non è domenica. Ma mi sono ricordata che domani mattina vado via di nuovo e torno lunedì. Quindi aggiorno ora per domenica. E vi lascio due capitoli invece che uno.
Prima che mi uccidiate (ormai metto le mani avanti per qualsiasi cosa), sì. Non saprete cos'è successo a Lucas e Vittoria per un po'. Ma potete conoscere Logan. Vi assicuro che è simpatico :)