“Allora, mio caro, lo vogliamo leggere questo messaggio?”
Yèlveran non si aspettava una domanda così diretta, e pronunciata a bruciapelo con un’aria tanto svagata e casalinga, dopo averlo svegliato che ancora non era sorto il sole.
Si era sentito scrollare la spalla e si era trovato Àtsuran lì, accanto al suo letto, già perfettamente vestito e pettinato, come se non fosse mai andato a dormire.
“Adesso?”
“Mi pareva che fino all’altroieri avessi molta fretta.”
“Ne ho, infatti. Ma…”
“Ma ti stai chiedendo perché qui, perché non all’enclave, e perché a quest’ora.”
Lui annuì vigorosamente, mentre si stropicciava gli occhi e cercava di mostrarsi più lucido di quanto non fosse.
“Rispondo in ordine.” proseguì “Primo: perché questo è un luogo dove c’è una persona a cui avevi concesso la tua fiducia, in passato, ed io posso usufruire di riflesso di quella fiducia per lavorare con te. Secondo: perché Luxei è un uomo prudente, e l’enclave un covo di spie, dunque se il messaggio che porti è importante e segreto, più lontani siamo da altri Persuasori meglio è. Ultimo, perché sei ancora mezzo addormentato ed è sempre meglio cogliere di sorpresa uomini come te, così ben allenati al controllo.”
Spalancò le tende e una timida luce rosata rischiarò la stanza.
“Il tempo di vestirmi e lavarmi il viso ce l’ho?”
“Vorrei dartene il meno possibile. Vorrei che pensassi di potertene tornare a dormire tra pochi minuti. E sarà esattamente così, anche se i minuti non saranno così pochi.”
Stava ancora sfoggiando quel sorriso ciarliero, ma nel suo sguardo c’era una sicurezza assoluta. Dopotutto era il Primo Addestratore di Ricordi della capitale, la carica più alta accessibile ad un Persuasore della sua specialità.
“Mi concedi il tuo permesso, Yèlveran?”
“Sì, ti concedo il mio permesso.”
All’inizio fu davvero come addormentarsi di nuovo, in un sonno scomodo, in cui poteva vedere e sentire ma il corpo non era presente. L’unica cosa che avvertiva era la mano che gli si posava sulla fronte, ma non era quella di Àtsuran, era quella di Luxei: avrebbe riconosciuto il peso della sua mano sulla propria testa tra mille sensazioni.
Il posto era l’Enclave di Villanuova, ne era sicuro, ma i rumori che arrivavano dall’esterno non erano quelli che ricordava: il passato e il presente mescolavano i propri suoni in una disarmonia fastidiosa.
E poi arrivò la voce di Luxei, come da una voragine profondissima, al tempo stesso chiara e sfocata, e le parole che non gli aveva sentito pronunciare.
…
“Yèlveran, ti chiedo scusa per ciò che stai per venire a sapere: hai il diritto di odiarmi per averti mentito e anche per essermi servito di te, ma se ho scelto di affidarti questo compito è perché sei l’unica persona nelle cui mani metterei la mia vita. So bene che non volevi partire, so che temi che il trovarti a contatto con la cattiveria del mondo possa spingerti a servirti di un potere che ti farebbe soffrire dover usare, e so anche che hai acconsentito solo per non dire un no a me. Quindi perdonami se io ho invece pensato che quel potere ti difenderà in caso di pericolo, e che la tua vita mi sta a cuore più di quella di coloro che potrebbero cercare di farti del male. La tua vita mi interessa più di ogni cosa, persino più del tuo dolore, perché sono le persone come te quelle per cui vale la pena credere nel concetto di umanità e che possono ancora cambiare il mondo.
Un tempo pensavo di poterlo cambiare io, e ci ho creduto con un’arroganza e un’ambizione tali da essere pronto a sacrificare molte persone per questo: primi tra tutti coloro che si sono affidati a me, e di cui mi sono servito caricando su di loro la maggior parte del peso.
Fin da giovane mi sono interessato a quel fenomeno che chiamiamo dispregiativamente Maledizioni. Ho sempre ritenuto che ci fosse davvero poca differenza tra i loro poteri e quelli dei Persuasori, e che la scelta di bandirle dalla società e considerarle un pericolo nascesse solo dal fatto che molti di loro avevano capacità superiori, e quindi meno controllabili, rispetto a quelle che l’Istituzione era riuscita a classificare nel suo assurdo schema. Ma ogni volta che ho cercato di esporre la mia teoria sono stato messo a tacere, finché non mi è stato intimato di abbandonare questo tipo di ricerche, pena l’accusa di tradimento.
Così ho continuato a lavorare nell’ombra: ho riunito un gruppo di persone che, per motivi diversi, avevano l’incoscienza e la motivazione per imbarcarsi in una follia del genere e con loro ho ordito una congiura per rovesciare il governo dei Nove. Non l’ho fatto per altruismo: ora so che l’ho fatto per presunzione e rivalsa, e questo è stato solo il primo dei miei errori.
Grazie alla mia posizione di Addestratore a Feuzte, ho coinvolto tre Persuasori e raccolto attorno a me persone che si trovavano nella posizione di colpire i consiglieri senza troppo sospetto: guardie fidate, segretari, nobili invidiosi e persino familiari. Il cuore del progetto era un uomo a me molto caro: un allievo, un amico. Ho fatto sì che venisse ammesso a studiare la Persuasione dell’Aria in modo da far risuonare il nostro gesto nelle coscienze della popolazione come un atto necessario e imprimere nel pensiero collettivo l’idea che le Maledizioni non avevano alcuna colpa, mentre i tiranni che le avevano sempre perseguitate meritavano di essere puniti.
È dannatamente facile diffondere una superstizione, figuriamoci se hai il potere di amplificarla a dismisura. E allora – pensavamo – perché non permettere alle superstizioni, per una volta, di fare qualcosa di buono? Perché non far credere che la morte dei nove fosse voluta dal cielo? Perché non convincere il mondo che erano loro i non umani?
Quest’anno ricorrerà la cinquantesima Celebrazione dell’Umanità: sarà festeggiata in maniera grandiosa, a Feuzte accorreranno pellegrini da tutto il paese.
Il nostro piano prevedeva che nel momento in cui i Nove si sarebbero mostrati in pubblico per ricevere le spade con cui abbattere il fantoccio della Maledizione, sarebbero stati assassinati davanti agli occhi di tutti: la presenza di un Persuasore di Cesura insospettabile, in quanto uomo di fiducia del Sesto Consigliere, e di un Persuasore di Sensi al servizio dei Giudici, avrebbe reso tutto abbastanza semplice. Non avevamo la certezza di riuscire ad ucciderli tutti, ma sarebbe bastato ammazzarne qualcuno in maniera eclatante e visibile per ottenere un risultato; tu conosci come funziona la Persuasione dell’Aria: un abile Persuasore d’Aria è capace di imporre il proprio potere su un gran numero di persone, non interferendo con l’evento a cui assistono ma decidendo come questo verrà percepito. Se un Persuasore d’Aria imprime nel pensiero di una comunità che un omicidio è una cosa buona, quel determinato omicidio sarà raccontato e tramandato come cosa buona.
Il mio compito era paradossalmente il più vile e sicuro: permettere ai miei compagni di arrivare al momento designato senza sospetto. Per questo, una volta definiti i dettagli, ho sigillato il ricordo del piano per quindici anni, il tempo che serviva al nostro Persuasore d’Aria per apprendere l’arte alla perfezione.
Fino a pochi giorni fa, tutti noi ricordavamo solo di essere complici in una congiura contro il sistema e che il nostro fine ultimo era restituire alle Maledizioni il diritto di vivere, ma nessun Persuasore di Ricordi avrebbe potuto leggere cosa intendevamo davvero fare, né nessuno di noi rivelarlo ad altri.
Anche la mia memoria era oscurata quando ho incontrato te, quindi non ho mai pensato – ti prego di credermi – che il tuo potere potesse essere per noi uno strumento. Ma l’ho pensato e temuto dopo, quando la serratura si è rotta: per questo ti ho mandato ad incontrare qualcuno di cui mi fido e che ti terrà fuori da tutto questo.
Non voglio che tu sia al mio fianco quando io non mi presenterò all’incontro coi miei compagni, quando qualcuno di loro verrà inesorabilmente qui a cercarmi, quando non gli dirò la verità.
La verità che invece dico adesso a te, Yèlveran, perché in molti modi, pur senza saperne niente, la ragione della mia scelta sei stato tu.
Dal momento in cui i miei ricordi si sono riaffacciati, non sono riuscito a fare altro che pensare a come mi avresti giudicato tu. E anche – e soprattutto – a quale scelta avresti fatto al mio posto.
Ho vissuto accanto a te per tredici anni: per tredici anni ti ho visto portare sulle spalle il peso di una colpa che non ritenevo tua, per tredici anni ho avuto ogni giorno voglia di dirti che tuo padre e tuo fratello avevano meritato il loro destino, che avevi diritto di mettere la tua vita al di sopra della loro. Ma non sono mai riuscito a farlo, perché il tuo senso di giustizia, a differenza del mio, non passa attraverso la vendetta. La vendetta è un sentimento che tu non conosci, al punto da non riuscire a comprenderlo: dunque non avrei mai potuto spiegarti che è stato prima di tutto per vendetta che io e i miei compagni abbiamo deciso di ammazzare nove uomini e tutti coloro che ci avrebbero ostacolati nel farlo. Vendetta per le Maledizioni che erano state condannate, vendetta per le nostre voci che non erano state ascoltate, vendetta per una legge incapace di cambiare e che ci costringe a percorrere sempre la stessa strada, anche se l’errore nel percorso è sotto gli occhi di tutti.
Non ho mai avuto fiducia negli esseri umani: li ho sempre trovati egoisti, capaci di compiere le azioni peggiori pur di averne un piccolo vantaggio, oppure semplicemente troppo stupidi per poter fare una sola scelta consapevole, un solo gesto rivolto verso il bene comune.
Ma poi ho incontrato te.
Te, che per aver ucciso due persone, pur nell’intento di salverne una terza, non riuscivi a perdonarti di essere vivo. Te che, nonostante questo, sei riuscito a rimanere onesto, trasparente, forte.
Camminando al tuo fianco, mi sono scoperto a pensare che la giustizia può percorrere molte strade: che la gentilezza è un’arma, e che con la gentilezza una persona come te avrebbe potuto fare di più di quanto potevo io con tutta la mia passione, la mia rabbia e la mia sapienza.
Ho amato la tua incapacità di odiare, il coraggio con cui ti sei tenuto in piedi cercando comunque del bello e del buono in ciò che avevi intorno, la tua infinita pazienza, la tua dolcezza.
Ti ho insegnato che esiste sempre una seconda soluzione, mentre io ne avevo vista soltanto una.
Invece ce ne sono altre, ce ne sono di certo, anche se i miei occhi non le hanno trovate.
Voglio credere in una soluzione invisibile.
Non voglio che questo piano giunga a compimento.
Non voglio macchiarmi le mani di sangue, e non vorrei che lo facesse nemmeno l’amico che ho trascinato in questa pazzia servendomi vigliaccamente della sua perdita e del suo rimpianto.
Sono stato un egoista con lui.
L’ho costretto a rinchiudersi per quindici anni in un’enclave isolata, permettendo che la sua mente venisse costantemente manipolata e i suoi ricordi manomessi, senza per questo avere la garanzia di non poter essere scoperto ogni giorno, e ora sono io che mi tiro indietro.
Sono disposto a scontare la mia pena e l’uomo a cui in questo momento starai consegnando le mie parole agirà come è giusto.
Àtsuran, impedisci la Celebrazione.
Impedisci a uomini per cui conservo ancora stima e affetto di commettere un crimine. Lo hanno pensato e desiderato, come ho fatto io: ma puoi fermarli finché sono ancora innocenti.
So che ti sarebbe più facile se ti svelassi i loro nomi, so che sapresti trattarli con clemenza: ma per processarli dovresti leggere i loro ricordi, e non posso permettertelo. Per quanto ti stia permettendo di sventare la congiura di cui io stesso sono l’artefice, per quanto io stia distruggendo il sogno di giustizia dei miei compagni, tu mi conosci abbastanza bene per sapere che non lo sto facendo per ripensamento politico. Io sono e rimarrò l’uomo che disprezza questo sistema marcio e corrotto e che ha giurato di lottare dalla parte delle Maledizioni: nessuna Maledizione verrà mai messa in pericolo da me.
Dunque se ancora pensi di potermi chiamare amico, se ancora credi di dover saldare il debito che hai contratto con me tredici anni fa, non cercare di fare più di ciò che ti chiedo.
Mi assumerò io ogni responsabilità: sarò io ad affrontare questo processo e ad offrirmi come unico colpevole.
Ma sopra ogni cosa, ti prego, proteggi Yèlveran.
Lui è la prova vivente di quanto una Maledizione possa essere meravigliosamente umana, anche in mezzo a uomini disumani.”