II
Partenza
“State tutti dietro di me!”
L’urlo lacerò l’aria come una lama affilata, seguito dalle strida di qualcosa che Lorelay ritenne comparabile alle campane sepolcrali che annunciavano la fine dei tempi, qualcosa che sarebbe dovuto per sempre rimanere nelle storie della sua balia e non avrebbe mai toccato il mondo reale, non è vero?
“TUTTI DIETRO DI ME!!!”
Si riebbe, il respiro affannato. Beiro… dov’era? Eccolo… a terra, gambe all’aria come in una pantomima, gli si era pure sfilato uno stivale. Morgana! La vide vicino alla fontana, mentre si copriva il volto con la lunga veste tutta impolverata. Hito… l’aveva perso di vista. E Mel… lei… era in piedi, quella spada fronzuta e carina sguainata, l’unica barriera fra loro e la bestia.
Mentre la polvere si depositava, Lorelay costrinse le gambe, molli come gelatina, a trattenerla in piedi, mentre tossiva e cercava di capire cosa diavolo stesse succedendo.
Com’era possibile? Era iniziata come una mattina normale. Non poteva andare tutto in frantumi così presto! Non poteva! Persino un vaso di argilla meritava di passare un giorno a riposo… prima di essere riempito di ceneri e gettato nel lago della Ninfa. Era la storia del pastore, la colonna portante, la normalità! La normalità almeno. Che le lasciassero almeno un ricordo di normalità!
Si schiaffeggiò.
Melissa… doveva dare supporto a Melissa. Ma come? No, meglio stare ferma, annientare il proprio respiro e pregare. Pregare che lui non si accorgesse di lei. Perché se l’avesse fatto avrebbero perso tutto! Questo era quello che il fegato le urlava, come se un macellaio fosse lì lì per sviscerarlo in quel preciso istante, alla ricerca dell’organo che la teneva viva e vegeta, per strapparglielo e lasciarla inerte a contemplare la morte stessa. Si piegò in due, tenendosi il petto e la bocca, perché se anche un solo fiato fosse venuto fuori, sarebbe stato normale che lei avrebbe smesso di esistere!
Poi rabbrividì, perché qualcosa di là si era accorta che lei esisteva.
In quel momento non capì più se era paralizzata dalla paura o se il suo sguardo era già stato rubato, sottratto e imprigionato per sempre da quello che dietro la creatura riconobbe con certezza… come un dio.
Due ore prima…
La veranda era avvolta nella luce del mattino, il sole era appena sbucato all’orizzonte. Le lucciole avevano lasciato il posto alle api, che, operose, schizzavano come proiettili verso i primi fiorellini ancora non schiusi nel tentativo di impollinarli. La brezza mattutina aveva il duplice effetto di invitare gli ospiti ad uscire dalle proprie stanze e al contempo spingerli ancor più raggomitolati sotto le coperte, per non lasciare più quel covo di conforto e ristoro.
Hitoshi era immune a quelle sensazioni, anzi, segregato nella sua stanza da ore in una fase di dormiveglia senza fine (in cui la parte ‘dormi’ si poteva tralasciare, santi numi), era ansioso di uscire a godersi la primavera e l’orizzonte, che le prime luci dell’alba tingevano di un rosa confetto che era la fine del mondo, ma vuoi per non dare un’altra impressione sfavorevole di sé, vuoi per puro capriccio, vuoi perché aveva consultato l’oroscopo del pellegrino, probabilmente per tutte le tre ragioni messe assieme, non voleva essere il primo, quindi di soppiatto, a intervalli regolari, schiudeva leggermente l’anta per sbirciare nel corridoio, le dita che formicolavano in trepida attesa.
Così, fu inaspettamente Beiro il primo a percorrere la scala a chiocciola in legno che portava giù alla veranda, non facendosi alcuna remora. Sbadigliava con la bocca così spalancata, che un ippopotamo lo avrebbe scambiato per uno della sua specie. Cosa che, meditò Hitoshi facendo una smorfia, probabilmente non avrebbe nemmeno infastidito il biondino, visti i passatempi osé di cui lo aveva sentito cianciare con Brom. Chiuse la porta e attese un altro po'.
Non appena gli stivali atterrarono sulle assi di pino, il bardo mugghiò in direzione della piccola area ristoro.
"Aaaghh… ehi… Brom!"
L’orco, che stava dando giù il mocio, s’interruppe, stropicciandosi gli occhi.
“Che c’è?” chiese con voce rude, aspettandosi una presa per il culo.
“Gaaah….” Beiro si stiracchiò, sfoderando un ghigno, la voce gonfia di sonno. “Buongiorno. Ti ho lasciato un pensierino in camera, così ti ricorderai dei cinque avventurieri che SICURAMENTE supereranno il pellegrinaggio”.
“Ma che gentile!” l’orco strizzò il mocio in una tinozza. “Immagino sarai stato sveglio tutta la notte per farlo”.
“Lo sai… chi dorme non piglia pesci e come ben sai di pesci io ne piglio!”
“Puoi dirlo forte”. I due si misero le braccia attorno alle spalle come vecchi amici.
Lorelay uscì dalla stanza puntuale come un orologio Elfenheims. Scese le scale con passo leggero, e schioccando le dita fece comparire una piccola trombetta di cristallo. La avvicinò alle labbra, prima che Brom e Beiro potessero fermarla.
“Compagni, pronti per il nostro cammino?!”
Il suono fragoroso fece spiccare il volo a tutte le rondinelle che s’erano posate sulla tramoggia.
La pixie si guardò attorno e si accorse che c'era solo Beiro ad aspettarla. “Ma gli altri?”
“Vattelappesca’, avranno fatto le ore piccole” ribatté lui, che aveva dormito un paio d’ore al massimo.
“Come li svegliamo?” chiese la Pixie, come se si trattasse di un problema molto serio, le gote rosse per l’eccitazione dovuta alla partenza imminente.
“Potrei avere un’idea. Brom, pentole e mestoli!” ordinò il bardo, carico come una molla.
Il locandiere non si prese nemmeno la briga di chiedere a cosa servissero.
🧚🏻♀️
Qualche minuto più tardi, Beiro era in piedi sopra uno sgabello a forma di gargoyle, la chitarra salda fra le mani.
“Signore e signori, alle percussioni… Brom del clan degli orchi!” proclamò con tono teatrale indicando alla sua destra dove il gestore scuoteva la testa di fronte a una serie di pentole disposte a mo’ di tamburi, due cucchiaioni, uno in legno, uno in rame, saldi fra le mani.
“Ai fiati, la prodigiosa fata dei nidi, Lorelay!”
Lorelay fece riapparire la trombetta, uno sguardo concentrato, forse addirittura competitivo in volto: “Lorelay Gurest è qui per restare, mi preparo a fargli sentire i sorci verdi!”
“Alla batteria…” gridò Beiro, indicando un angolo completamente vuoto se non per un vaso in terracotta ricoperto di ragnatele “il mio bisnonno Concitus Berevan!”.
“Beiro!”
“Che c’è? Posso anche indicare la porta e direi ‘i miei genitori!’ se preferisci. Zan. Zan. Zaaan. Rumore di grilli!”.
“Beiro..!?” ripetè Lorelay, stavolta visibilmente preoccupata.
Beiro alzò gli occhi al cielo. “Eddai, volevo sdrammatizzare un po’”.
Mettere la sicura alla bocca di un suonatore vagabondo come lui era un crimine bello e buono. La sua vita sarebbe diventata una nooooia mortaaaale se mai fosse successo. Iniziò a strimpellare lo yarting. “Quello a cui dovresti pensare, fatina, è soffiare dentro quella trombetta più forte che puoi! E tu Brom, giù pesante! Via all’operazione, ‘svegliamo quei rintronati dei nostri compagni’!”
🧚🏻♀️
Rintronati? Rintronato lo era diventato ora. Hitoshi, burbero e timoroso al contempo, fece ad ampie falcate il corridoio, la canzone heavy metal che faceva tremare tutto l’edificio. Per fortuna, aveva creato dei tappi con la resina raccolta il giorno prima, sennò come minimo lo avrebbero dovuto raccogliere col cucchiaino. Sfortunatamente, di tappi non ce n’erano anche per Pirpi, che giaceva sofferente in mezzo ai suoi capelli nero seppia. Si sarebbe scusato con un po' di cereali.
Era nel mezzo di un pensiero a proposito di cosa mangiare a colazione, quando a metà del corridoio venne travolto da Morgana in una camicia da notte molto simile al suo vestito da viaggio. Mentre Hiroshi girava come una trottola, tentando di ripristinare l’equilibrio, la vide che gettava un’occhiata a tutte le camere già vuote e si fiondava sopra l’unica ancora chiusa, la camera di Melissa.
“Melissa” bussate urgenti. “Melissa” altre bussate urgenti. “Melissa” ancora bussate urgenti. Continuò a bussare in maniera sconclusionata, i capelli neri disordinati e gli occhi un po' schizofrenici.
“Arrivo, arrivo” venne la voce cioccolatosa di Mel dall’interno, che non poteva essere più estranea al tumulto che in quel momento sconvolgeva la locanda. Ci fu un rumore di passi e la porta venne spalancata. “Cosa mi sono persa?”
Morgana fece per risponderle, ma sbiancò - sì, anche gli hexblood potevano sbiancare: ‘fate le vostre ricerche, gente’, avrebbe detto Morgana a chiunque si fosse lamentato - quando vide che Mel non aveva propriamente spalancato la porta, tutt’altro. Con la naturalezza con cui un bambino stacca una foglia da un ramo, Mel aveva completamente scardinato la porta.
L'elfa indicò a tratti la ragazza sorridente, a tratti la porta, il dito tremante, senza riuscire a cavare una parola di bocca. “La… la…” era così scioccata da quel tornado in carne ed ossa che si accertò che Mel non avesse scardinato pure lei. Appunto per più tardi: evitare di farsi abbracciare da quella ragazza senza le dovute precauzioni.
“La…” scosse la testa, titubante, cercando di razionalizzare la faccenda, poi si ricordò della sua originaria fretta nel voler svegliare Mel. “Lo.., Mel… lo senti anche tu? Pentole che sbattono? Corni di guerra? Credo che ci sia qualcosa di urgente giù. Dobbiamo andare a vedere”.
Melissa, ignara del danno provocato si appoggiò allo stipite, la maniglia (e ciò che c'era attaccato) ancora nel pugno, e si mise a un dito sul mento, pensierosa: “Ah, quindi non sono gli uccellini?”. Morgana, stordita si chiese se per caso non stesse ancora dormendo. Ma nell'eventualità che così non fosse, si schiarì la gola: “No.... non so che versi facciano gli uccellini da dove vieni, ma non credo proprio che siano gli uccellini a fare questo trambusto”.
La ragazzona subito divenne rossa d’imbarazzo. “Oh… ecco, diciamo che non ho molte occasioni di sentirli, quindi potrei essermi confusa”. Morgana fece un passo indietro, abbastanza perplessa. “Caaapisco....” formulò con riluttanza, non staccandole gli occhi di dosso, come se temesse di vederla trasfigurarsi in un folletto da un momento all’altro. Perlomeno, pensò, Melissa aveva già l’innocenza del cavaliere senza macchia e senza paura.
Vedendo la reazione della maga, Mel comprese la poca coerenza della sua risposta e cercò di rimediare: “Sì, cioè… hai visto, no, ieri sera… con Pirpi? Scappano via e… e poi ho il sonno molto pesante, i suoni un po’ si mischiano”. Si grattò il collo, ridacchiando nervosamente.
“Capisco, neanche io sono mai stata troppo brava con la natura”.
Suvvia, non era una menzogna. Biologia era un altro discorso. Le pagine e i campioni non cercavano di staccarti la faccia a morsi. Gli orsi sì. Oddio, per essere precisi, un campione una volta aveva provato a staccarle la faccia a morsi, ma era anche questione di probabilità: tutti sanno che s’incontrano più minacce nella foresta che in un laboratorio magico. Mmm… dipendeva dal giorno in realtà. Per esempio, quando… no… lo stava facendo di nuovo. Basta pensare, Morgana. Fai finta di essere sul luogo di lavoro! Concentrazione. Quando ti concentri, nessuno è più perspicace di te. Getta l’ancora sul presente.
Strizzò gli occhi più volte, concentrandosi sulla figura sfocata di Mel, assordandosi a tutto il resto, persino ai rumori esterni, perciò la sua anima quasi volò via dal corpo quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla. “Con quella, cosa avete intenzione di fare?” Hitoshi aveva un’espressione disinvolta sul volto e indicava la porta divelta.
“Huh? cosa...haaa?” accorgendosi del danno provocato, Melissa fece un gridolino, impallidì e nascose la porta, ormai divelta dai suoi cardini, dietro la schiena, nell'assurdo tentativo di nascondere il misfatto. Hitoshi la guardò come a dire ‘sul serio?’. Pentendosi del gesto irrazionale, Mel trascinò la porta davanti a sé. “Ma non me ne sono neanche accorta! Doveva essere molto logora”. Senza dire una parola, l’umano incrociò le braccia e fece notare alla poderosa guerriera che la posizione ideale di una porta era attaccata ai propri cardini. “Sì, sì, non potresti essere più cristallino di così. Guarda che non l’avrei tenuto nascosto! Mi prendi per una vandala?”
Il ragazzo sospirò, con aria severa, una compostezza da adulto che a Morgana parve quasi inquietante per la sua tenera età. Continuando quel bizzarro gioco del silenzio, il ragazzo fece sistemare la porta a contatto con i cardini. Poi, s’inginocchiò e accarezzò il lato sinistro dell’anta. “Posso fare io… non ci crederai, ma me ne intendo di costruzioni in legno” spezzò il silenzio Mel, con un sorriso di conciliazione. Aw… era impossibile rimanere arrabbiati con lei. “Dammi solo un attimo che recupero i miei…”
Si bloccò, a bocca aperta. Infatti, dallo stipite, vicino al punto in cui riposava la mano di Hitoshi, iniziarono a formarsi delle ramificazioni, radici di legno secco, ma resistente, che si annodavano e rafforzavano uno strato dopo l’altro, creando nuovi intrecci e nuovi cardini, sino a riparare il danno. “Woah!!! Altra magia?”.
Hito annuì, alzandosi in piedi, rigido come una statua. “Non mi piace lasciare le cose in confusione. Non preoccuparti, non è colpa tua, sono cose che accadono, come dici tu, la porta era già logora”. Distolse lo sguardo, un po’ a disagio, come se si fosse ricordato solo ora che stava parlando con una ragazza carina.
Logora? Mel aggrottò la fronte, i capelli rossi che scintillavano nella luce dorata del sole che sorgeva. Oh… stava cercando di farla sentire meglio! Allora sotto quella scorza severa, trasandata e un po’ sbadata, c’era davvero un pasticcino alla crema!
Morgana batté un paio di volte le mani, colpita. “Incantesimo estremamente affascinante, non se ne vedono spesso di sortilegi del genere”.
“I rami crescono in natura. E’ tutto fuorché un risultato eccezionale” minimizzò Hitoshi, di nuovo di umore nero.
“E’ vero, ma farli crescere per ottenere questi risultati non è da tutti” obiettò la maga, cercando di insinuarsi fra le crepe della sua corazza. Non poteva farci nulla. Gli umani erano fra gli esemplari più affascinanti di tutti: facevano così tanto… nel così poco tempo che avevano.
“Basta dire ai rami come crescere” tagliò corto il ragazzo. Sperò che quella sentenza laconica concludesse il discorso. Ancora una volta aveva esagerato, detto troppo, mostrato troppo.
Morgana capì l’antifona e non insisté oltre. “Grazie, lo terrò a mente, ora penso che sia meglio capire se le pentole hanno preso vita, se siamo sotto assedio…” “..o se è una trovata di quel cafone” completò Hitoshi, già sonnolento, rimettendosi i tappi di resina.
🧚🏻♀️
Era una trovata di quel cafone.
Lorelay e Brom furono assai felici di darci un taglio con quell’orchestra assordante. Invece Beiro si mise a fare i capricci, perché non era ancora arrivato alla sua canzone preferita. Alla fine, furono costretti a requisirgli l’arma del delitto, in modo che Hito potesse fare colazione senza finire con la faccia nei cereali a contare le pecore.
Dopo che si furono rifocillati, un grande parapiglia segnalò che l’orco stava scendendo le scale con qualcosa di ingombrante.
“Quindi è giunta l'ora della vostra partenza! Mi raccomando state attenti, ragazzi, è una strada molto lunga. Locanda Foschia dista quasi un giorno di marcia ed è facile perdersi… nella foschia, mhuahah. Spero abbiate con voi l'occorrente per dormire all'aperto!” dichiarò con voce grossa e ruspante.
Beiro notò immediatamente ciò che portava sotto l’ascella, un’enorme tela arrotolata, dall’aria appena appena asciutta. La indicò con enfasi. “Quella vorrei che fosse in bella vista, perché è la raffigurazione dei futuri eroi di Fabula”.
Lo disse con tono scherzoso e tutti riconobbero il sarcasmo nella voce, tutti meno che Mel. “Ben detto! Mi assicurerò che lo diventeremo tutti! Degli eroi!” lo assecondò sprizzando di gioia.
Brom srotolò la tela, mostrandola alla combriccola.
Le quattro figure indistinte erano diventate quattro persone ben note. E ognuna di esse si perse ad ammirare il proprio aspetto ritratto nella tela. Melissa… alta, con la morning star in bella vista e uno scudo gigantesco, fresca di cavalierato; Hito… fiero, con i capelli incipriati, dei denti da vampiro, volava sopra a Pirpi e Pirpi non era più un piccolo pipistrello, bensì una cavalcatura tenebrosa dalle iridi baluginanti; Lorelay… con una spada enorme, levata contro un’orda in avvicinamento; Morgana… con delle corna colossali, che avrebbero fatto invidia ai cervi reali di maestade, un sinistro corvo impagliato appollaiato sopra una di esse da cui si generavano vortici di oscurità.
Era un dipinto realizzato alla veloce. Mancava di rifiniture, una seconda mano di colore e presentava una manciata di difetti anatomici e paesaggistici. La resa del chiaroscuro non era perfetta. C’erano persino i segni di vernice sgocciolata sugli angoli. Per non parlare dei guizzi caricaturali. Anche stando così le cose… riuscire a realizzare un’opera simile in una sola notte, era semplicemente inaudito. Un primato della pittura. E la cosa più incredibile era che ogni pennellata era stata data con amore, con l’amore che forse qualunque artista avrebbe potuto imprimere nel suo dipinto, ma che solo un artista leggendario avrebbe saputo comunicare così bene con gli spettatori verso cui quell’amore era rivolto. Perché si fosse spinto così in là per quattro sconosciuti, nessuno in quel momento riusciva a capirlo, nemmeno l’autore stesso. La sua mano si era mossa da sola e aveva realizzato quei corpi, quei volti, quelle espressioni, che conosceva da un solo giorno. Questo era il vero capolavoro di Beiro Berevan!
Lorelay fu la prima a reagire e fu per sottolineare l’ovvio: “Ho una spada enorme!”.
“Ho un po' romanzato le vostre figure, sì. Per ritrarre te, Lorelay, mi sono ispirato alla regina delle fate Titania” disse Beiro con insolita calma, senza accennare nemmeno l’ombra di una battuta.
Morgana aguzzò le orecchie. Le leggende su Titania… erano tipiche di Elfenheim. Significava che lei e Beiro erano concittadini? Quella città era davvero grande. Non poteva certo escluderlo.
Mentre gli altri continuavano a indicare i vari dettagli che li colpivano del dipinto, la maga continuò a guardare il mezzelfo, un po’ in disparte. C’era un altro pezzo del puzzle fuori posto. Non pensava di essere l’unica a essersene accorta. Anzi, suppose che gli altri lo avessero notato fin da subito. L’unica differenza era che per rispetto fingevano di non dargli peso, laddove lei non ce la faceva proprio a farsi i fatti suoi. Però, comunque… lo trovava difficile da accettare… quasi rovinava l’intero dipinto ai suoi occhi e anche a impilare lenti su lenti sul suo naso adunco per cambiare prospettiva, la sua opinione su quell’’errore’ non sarebbe mai cambiata… quell’attenzione e condizionamento rispetto ai dettagli era uno dei difetti che si portava dietro dall’infanzia e che si sarebbe portata con sé anche nella tomba… non poteva ignorarlo:
nonostante ne facesse chiaramente parte, Beiro aveva scelto di non raffigurare sé stesso in quel gruppo di eroi.
“Se avete bisogno di equipaggiamento per il vostro viaggio, qui a Brea c'è un fabbro” il locandiere aiutò Lorelay a sistemarsi la bisaccia sulle spalle. “Chi meglio di lui per spade e armature, eh ragazza? Beh, ad essere sinceri non ha proprio della gran roba. Sapete… a Brea non c’è tutto sto’ gran viavai di solito”.
“In un così ridente paesino?” chiese Beiro sarcastico, occhieggiando le tre case in croce. “Mi chiedo come mai”.
“Eccetto che in questo periodo” continuò Brom come se nulla fosse “ogni dieci anni. Sono molti a scegliere Brea come partenza per il pellegrinaggio anche se la partenza ufficiale è a Colle Tempesta, ma in tutta onestà ho apprezzato la vostra compagnia. Fate buon viaggio”.
Brom li aveva accompagnati fuori dalla veranda, dove i cinque avventurieri, un po’ in ansia, un po’ emozionati, sembravano i suoi piccoli figlioletti, persino Morgana. Allungando il braccio forzuto, il mezz’orco mostrò loro la strada verso il boschetto, che passava in mezzo al piccolissimo borgo: contava una mezza dozzina di minute dimore, fatte di assi e pietre, ricoperte di edera fino ai comignoli, eppure l’aria buona, l’ombra del versante lì a fianco e lo scorrere del ruscello, rendevano Brea un piccolo angolo di paradiso, invidiabile agli occhi di chi era sempre stato confinato nel chiasso cittadino di grandi città come Elfenheim, Lux Aeterna o Marea.
“Questo fabbro com’è? E’ una mezza calzetta o è onesto coi prezzi? Se la tira o è spiccio?” Lorelay era tornata allo sguardo un po’ insolente che l’aveva contraddistinta la sera prima.
“Pfff, sta senza pensieri! Elfast e io siamo grandi amici!” intervenne Beiro, schioccando le dita, prima che Brom potesse rispondere.
“Quindi posso confidare in qualche sconticino?” fece la pixie speranzosa, gli occhi da gattina randagia.
🧚🏻♀️
Evidente no, non poteva.
L'ingresso della piccola cittadina era contrassegnato da due colonne sparute in granito sbeccato che sorreggevano un arco a tutto sesto. Su di esso era inciso il nome di Brea. Lo superarono con passo sicuro, facendosi fare da cicerone da Beiro che elencava pregi e difetti di quella composizione architettonica.
Dopo l’ingresso, sulla destra, si trovarono davanti una stradina in terra battuta che portava a un edificio dalla forma singolare con un piccolo tendone appeso a dei ganci arrugginiti per proteggere l’interno dal sole. Li invitava da lì il suono regolare di un martello sull’incudine. Con aria ispirata, il mezzelfo si mise ad andare a tempo della percussione con una breve melodia. “Bella, Elfast!” esclamò quando scorse una schiena ingobbita sotto la coperta verdognola.
“SEI TU, BEREVAN! VIA! VIA DALLA MIA FUCINA! BRUTTO FIGLIO DI…”
“Ehi, ehi” lo fermò il bardo alzando le mani ed evitando di poco una pinza che gli era stata scaraventata contro. “Perché siamo così focosi, amico mio?”
“Questo posto ti sembra forse un bordello!?”
“Beh, no” rispose Beiro iniziando a sudare freddo. Non gli piaceva quando le conversazioni prendevano quella piega. Cancellate! A lui piaceva un sacco quando le conversazioni prendevano quella piega, ma davvero un sacco. Però… dipendeva molto dal contesto! Il contesto era tutto!
“Non fare finta di niente, scavezzacollo” colpo di martello sull’incudine “donnaiolo” altro colpo “depravato!”
Il mezzelfo scavò nella sua memoria impietosa, ma non gli veniva in mente niente. Cioè, gli venivano in mente un sacco di cose, per carità, che avrebbero fatto accapponare i capelli tanto a una sacerdotessa quanto al gestore di un bordello, però i fabbri con i bitorzoli nella barba ce li aveva tenuti fuori da quelle storie, cazzo! Aveva degli standard, lui!
“Mascalzone!” *tunk* “Maleducato!” *tunk*. “Bugiardo!”
“Ehi!”
Melissa fece un passo avanti, nella sua armatura sfolgorante e Beiro fu certo che il sole avesse preso a splendere un po’ più forte, forse perché quello sulla pettorina di Mel dava forza a quello vero, o forse addirittura il contrario, con persone così idealizzate non si poteva mai sapere. Era difficile stabilire quale fosse più luminoso se il sole o lei, quando uno a malapena filtrava fra le nuvole e l’altra ti stava a due centimetri di distanza, pronta a fare il culo a quel fabbro scorbutico con un serbatoio interminabile di accuse ‘totalmente’ infondate. Ah… Mel. L’avrebbe dovuta prendere a noleggio una persona così. Avrebbe risolto taaaante situazioni sgradevoli. Le fece spazio, gettandole uno sguardo eloquente, che diceva chiaro e tondo ‘non ti trattenere, guerriera super cazzuta’.
Mel avanzò con risolutezza, poi inaspettatamente si distese in un sorriso amichevole, rivolto alla sagoma sotto la loggetta. “Piacere, Io sono Melissa Kcucklos e voglio diventare cavaliere, ma tu puoi chiamarmi Mel” tese la mano verso il tendone, da cui sbucò fuori un uomo arcigno con la barba a V spezzata. Allontanò la mano con uno schiaffetto, folgori che scemavano dagli occhi, intimandole di andarsene. “VIA!”
“Cosa speravi di ottenere con quell’approccio?” bisbigliò Lorelay quando la ragazzona dai capelli rossi rientrò fra i ranghi, un po’ delusa.
“Come dire… io… ya know… ho sempre pensato che dare un buongiorno energico può placare anche l'animo più nero” rispose, alzando le spalle.
“Non il mio! Se siete amici di Beiro non voglio sapere nulla di voi!” Elfast sputò fuori dalla bocca le parole con un astio che Hitoshi ritenne un po’ eccessivo. Ma dopotutto, una persona che viveva isolata per dieci anni salvo qualche raro viandante non poteva che darsi alla misantropia, no?
“Guarda che io non ho di cosa tu stia…” iniziò il bardo, diplomatico, ma poi sbarrò gli occhi. “Ehi! Quelle non sono mie!”
Il fabbro, la pinza ancora ardente, stava facendo sventolare un paio di mutande davanti all’elfo.
Elfast faticò a controllare la sua furia. “Tue no, ovvio, ma della tua amichetta sì”.
Beiro si soffermò qualche secondo, spaesato, genuinamente preso in contropiede: “Alt! Alt! Ci dev’essere un malinteso! A me piace l’altro… tipo!”.
"Stai dicendo che sono un bugiardo?” Il sangue gli stava chiaramente salendo al cervello. La sua fronte era così corrugata e tesa che sembrava un campo minato. “Ricordo benissimo il tuo culo pelato che correva per la mia fucina, screanzato! Tu e quell’elfa dai facili costumi avete lasciato un macello!!!”
“Prego, quale Elfa? Generalità? Aspetto?”. Morgana, completamente estranea alla serietà del diverbio, si rivolse a Elfast come se fosse diventato il soggetto di un’indagine qualitativa. Il fabbro, preso alla sprovvista, farfugliò una specie di risposta: “Non lo so. Un’elfa che abitava qua tempo fa… con trecce bionde…” poi i suoi occhi ebbero come uno sbalzo collerico. “Ma questo non ha nessuna importanza! Tu la conosci benissimo” additò Beiro con l’arma di cotone e fiorellini che provava il misfatto.
Il mezzelfo, che si stava spremendo le meningi, scelse quel pessimo momento per battersi una mano sul viso. “Ahhhhh, ora ricordo! Bellen si chiamava?! Minchia, è vero! Notte folle quella! Sì, ehm… ecco… doveva essere solo un gioco con qualche giro di alcol e un paio di scherzi. Io ero cosììì alticcio!! Una roba tira l’altra, no, e.. la fucina era aperta..!”
“Mi scusi. Io avrei bisogno di una spada”.
Prima che il didietro di Beiro venisse marchiato a fuoco dalle pinze del fabbro in un moto d’ira, Lorelay si era messa in mezzo, svolazzando con grazia.
Per un po' il fabbro sembrò dibattere con sé stesso se doveva mettere al primo posto gli affari o il suo rancore. Alla fine, gettando un’occhiata truce al bardo, fece dietro front e tornò all'incudine dove un ferro rovente stava venendo modellato come vetro soffiato. “Spada..? Che tipo di spada? Spada lunga? Spada corta? Con quelle braccine non so neanche cosa te lo chiedo a fare” sbuffò scontroso, calando il maglio.
La fata dai capelli viola si sentì punta nell’orgoglio. “E invece era proprio quella che volevo, una spada lunga, grazie”.
‘Non so neanche cosa te lo chiedo a fare’... prime impressioni, il diretto successore del pregiudizio. Lei le vedeva come delle X nere che una persona ti incollava addosso non appena ti vedeva. Poi da quell’X venivano fuori tante piccole virgole che modificavano il tuo aspetto, il tuo carattere, le tue intenzioni secondo la tinta che quegli occhi volevano vedere. Da quelle virgole spuntavano dei punti fermi: “non sarà mai in grado di impugnare una spada”, “non arriverà alla fine del pellegrinaggio”, “tutto quello che fa è inutile”. Ecco che non avevi più un volto, ma uno scarabocchio al suo posto. Venendo da un luogo dove quel tipo di pregiudizio era assente, Lorelay trovava l’impatto devastante. A maggior ragione perché si era resa conto che quelle croci aveva iniziato a incollarle anche lei, come se ne fosse stata corrotta. Ma comunque…
“Mi ha sentito? Una spada lunga, grazie”.
Il fabbro rise con amarezza.
“Quindi la signora vuole a tutti i costi provare una spada lunga?”.
“Pensavo di averlo reso chiaro. E signorina, grazie”.
“Pardon. Sono duro d’orecchi. Volevo essere sicuro di non aver capito male”.
“Scuse accettate”.
Entrambi sostennero il contatto visivo senza battere ciglio.
Beiro si avvicinò, era giunto il suo turno di calmare i bollenti spiriti, o almeno quella era la sua intenzione. “Dai, dai. Non c'è bisogno di combattere per me” scherzò, godendosela un mondo. “Nessuno sta combattendo per te… mi sa” soggiunse Hito sbadigliando. Il chitarrista valutò se arrabbiarsi ma capì che il commento del ragazzo col pipistrello era privo di malizia, così si diede qualche colpetto al petto e sollevò il braccio di Lorelay, alto verso le nuvole. “Minchia, Elfast, queste sarebbero braccine? Questi sono i muscoli della futura eroina di Brea, ma che dico di Brea, del mondo intero! Se l’ho dipinta con uno spadone grosso quanto una casa fra le mani, l’ho fatto perché è in grado di sollevarla e mulinarla contro orde di nemici!” Si rivolse a Lorelay. “Mostragli che puoi brandire qualsiasi cosa ti metterà in pugno come se fosse uno stuzzicadenti, cazzo!”
“Beiro, io…”
La pixie si tastò il volto, il mento, le lentiggini, ma da nessuna parte trovò la X color carbone che quel mezzelfo avrebbe dovuto incollare su di lei. Che strano.
“Hai ragione. Gli dimostrerò quanto valgo a quella vecchia cariatide!”
La vecchia cariatide in questione sbuffò dal naso come uno stallone recalcitrante, poi scrollò le spalle e afferrò una lunga spada d’acciaio da una delle custodie sul muro.
Morgana occhieggiò l’arma, affranta. Pesava fin troppe libre.
“Non c’è verso…” bisbigliò Hitoshi, che si stava strofinando gli occhi assonnati, come se avesse previsto il futuro.
Mel aveva le mani sui fianchi. Nessuna emozione trapelò sul suo volto solitamente radioso.
Tutta la sua attenzione era rivolta a Lorelay, che salda sui piedi calzati agguantò con febbrile fermezza la spada che Elfast le porse, come un lupo che teme di vedersi sfuggire la preda da sotto il naso all’ultimo secondo.
Tutti trattennero il respiro, mentre la punta toccava il terreno. Era una bella spada, l’elsa era un po’ scivolosa fra le sue mani sudate, ma si vedeva già a brandirla. Poteva farcela. Doveva farcela. Non solo per dimostrare che aveva ragione, ma per non tradire le aspettative che quel giovane pittore aveva su di lei. Per far sì che quelle prime impressioni così diverse da quelle a cui era abituata si concretizzassero pian piano. L’avrebbe spiegato poi, a Beiro, che lei voleva solo essere una persona normale. Ci avrebbe pensato poi a chiarire che era solo una ragazza di un villaggio qualunque in cui tutto era sempre uguale. In quel momento, però, doveva agire: i pensieri erano ostacoli, che dovevano essere diradati.
Raccolse le forze e stringendo l’elsa fino a farsi male, sollevò la spada. Quasi boccheggiò. Il peso era enorme. La lama iniziò a beccheggiare verso il basso. Beiro le fece un cenno. Si fidava di lei, completamente. Era lì accanto e le infondeva coraggio. Ispirata, le vene che ribollivano sollevò la spada una seconda volta. Disegnò uno, due archi nel cielo, ma non riusciva a maneggiarla bene, a farla volteggiare come un guerriero su un campo di battaglia. Travolta dalla fatica, e subito dopo dalla vergogna emise un verso simile al verso di un alce abbattuto, la spada che ondeggiava a destra e a manca, come se la pixie temesse che se quell’enorme pezzo di ferro avesse toccato a terra la sua anima sarebbe stata perduta per sempre. Ma non ci fu nulla da fare: con un tonfo, l’arma si riassestò nella polvere. Tenne gli occhi bassi, fissi sull’elsa, sentendosi indegna di ogni diritto, una stupida ciarlatana. Percepì Beiro fare qualche passo avanti. Cercò delle scuse, qualsiasi cosa pur di non essere annichilita dal suo sguardo deluso. Ma questo non accadde mai.
“Visto, amico mio? Ce l'ha fatta. Lei è la futura eroina di Brea. La mia arte non mente”. Beiro aveva la mano tesa verso il fabbro, come se si aspettasse una mancia.
Il mezzelfo e il fabbro si scambiarono uno sguardo intenso, non dissimile da quello sostenuto dalla fata qualche minuto prima.
Alla fine, Elfast scosse il capo. “Puah! Sarà, ma in totale sincerità, brandire una spada così grossa le porterà solo guai. Gli stampi di certe armi sono pensati per certi stampi di guerrieri”.
Mel gli diede silenziosamente ragione. Anche nella sua breve vita, troppe volte aveva visto persone partire per l'avventura con armi troppo grandi per loro e non tornare mai indietro. Così, mettendo la mano sul pomolo della sua arma fece un passo avanti e s’inginocchiò di fronte a Lorelay, in maniera cavalleresca.
“Non buttarti giù!” asserì con forza.
La pixie si volse verso il suo volto sorridente, in cerca di rassicurazioni.
“Ma ha ragione… andare con quell’arma è un suicidio”.
“E allora?” esclamò Mel senza mezzi termini, facendola trasalire. “Il nostro mondo è splendido, perché ha sempre qualcosa per tutti. Non guardare al boccale mezzo vuoto. Ci sono così tante altre armi che puoi imbracciare! Spade, picche, lance, coltelli, daghe, archi! Ce n’è per tutti! Nessuno viene dimenticato! Devi solo trovare il tuo stampo! La tua arma! Il tuo posto!” Le scompigliò i capelli viola con fare materno e l’aiutò ad alzarsi, facendo abbastanza rumore con la propria armatura perché Lorelay potesse tirare su col naso senza essere udita.
Battendo lievemente le ali, lei guardò Melissa, un po’ in soggezione. “Tu quale mi consiglieresti? Come arma? Oh… saggia eroina?”
Melissa ridacchiò, divertita, agitando la mano come per scacciare una mosca dal volto. “Oh, io non sono per nulla imparziale! Ma comunque guarda, ne ho portate con me diverse. Questa è la mia spada lunga di nome Quincy!!!” sfoderò una spada graziosa, con un’intricata guardia a forma di tiglio che le proteggeva il dorso della mano. “E' super super carina: vedi, ha quest'elsa esile che rende extra leggera, ma ha comunque una lama lunga, a differenza di quello che ti ha fatto provare il fabbro. Poi ho Mister Star, lui è molto più cattivo, ma parecchio forte” con la mano sinistra slacciò la mazza ferrata color nero pece dalla cintola e le mostrò come s’impugnava. “L’ho chiamato così perché è un signore ammodo” corrugò la fronte “tranne quando gli dici che non lo porterai alla festa in maschera del venerdì o alla pista da ballo alle calende di ottobre”.
“Quella potrebbe sfondare un cranio” era difficile capire se Morgana fosse intimorita o intrigata.
“‘Quello’…” la rimproverò Mel, “che poi si offende” si mise ad accarezzare le spine della mazza a chiodata con complicità, prima di scoppiare in una risata fanciullesca, che strappò un sorriso persino al burbero Elfast. Lorelay lo notò e colse l’occasione al volo, indicando a più riprese Mr Star. “Sì, sì, sì, io voglio qualcosa di forte, ma che io possa maneggiare, la prego mi dica che ha qualcosa del genere”.
Elfast si massaggiò la barba spigolosa, contrito, come se fosse ancora indeciso se mandare a quel paese tutti quanti, o rinunciare alla faida con quel maiale di un bardo. “Mi spiace, a Brea quel tipo di spade non le abbiamo, tanto meno una mazza ferrata così temibile” il viso di Lorelay si rabbuiò “ma in compenso ho questa: l’ha fabbricata la mia vecchia un fracco di anni fa. Provala. Potrebbe fare al caso tuo. Non vedo l’ora di liberarmene!”
Il fabbro porse alla pixie una spada corta, leggermente ricurva, poco adatta agli umani per la poca praticità. Lorelay la soppesò fra le mani, poi la mise in controluce. Sembrava quasi una falce di luna. Forse fu per quello che Hito saltò su mezzo addormentato dicendo: “Spicchio di luna… spicchio di luna?!”
“In realtà, avrei un altro nome in mente” ribatté Lorelay provando qualche fendente.
“Ma… ti va bene quella?” chiese Beiro, una sottile vena di mestizia per non veder coronato il sogno di vedere la pixie impugnare quello spadone gigantesco sul campo di battaglia.
“E’ una spada che ha il mio stesso stampo, è una cosa che senti appena ci posi gli occhi sopra. Forse è una…” sorrise al pensiero “una prima impressione. Ma sbagliata o no, la seguirò”.
Il bardo sghignazzò. “Pfff, meno male che mi è rimasta della vernice blu per correggere il disegno”.
Lorelay prese il volo e stampò un bacio sulla fronte del suonatore, per poi sollevargli il mento. “Se provi a mettere a meno a quella tela giuro che uso questa spada per raderti a zero” lo ammonì con stizza. “Solo perché ora non impugnerò quell’arma, non vuol dire che in futuro non troverò uno spadone gigantesco che mi si addica”.
“Capito” mugugnò Beiro.
“E visto che non avrò mezzo sconticino a causa delle tue cose da sporcaccione, perché non paghi tu?”
“Ehi, ehi! Non stiamo correndo troppo?”
“L’unica cosa che è corsa via a quanto pare è la tua verginità”.
“Le bugie non si dicono, Beiro” le fece eco Mel da dietro, reinfoderando Quincy e Mr Star.
Beiro fece per obiettare ma quando sentì Hito insorgere con la sconclusionata domanda, “Cosa c'è di sbagliato nella verginità?”, perse ogni volontà di vivere e si arrese a tanta inettitudine, mettendo mano al suo salvadanaio.
Elfast continuò a guardare tutti in malo modo, per tutta la durata della contrattazione, probabilmente, pensò Morgana, non riuscendo a trovare un modo per intavolare una lite ora che erano usciti dall’argomento scottante, sperando che qualcuno attaccasse briga al suo posto. Invece l’unica cosa che si beccò furono le domande assurde di Mel, pimpante come una cinciallegra: “Tu sei un cavaliere?”
“VI SEMBRO UN CAVALIERE? VIA! VIA! ANDATEVENE!” s’intascò i soldi per la spada e afferrata una scopa iniziò a gettare via polvere e avventurieri dalla sua fucina in un pacchetto unico.
Hitoshi, che sembrava vivere in un altro mondo da tutta la mattina, diede qualche distratta manata alla veste e guardò Elfast barricarsi dietro il tendone, il polverone che si depositava pian piano. “Sarebbe sicuramente un ottimo cavaliere della polvere”
“Beh sempre un cavaliere sarebbe” affermò Mel, che aveva preso bene la sfuriata. Dopotutto, sempre meglio chiedere e sembrare degli sciocchi che vivere nel rimpianto di non averlo fatto.
Morgana sollevò un dito adunco, con la tranquillità di una persona che ha bevuto litri su litri di camomilla: “Lascerò una postilla sotto lo zerbino per fargli notare che risulta carente il servizio clienti. I suoi affari migliorerebbero se fosse un po’ più accondiscendente”.
Lorelay strinse i pugni indispettita e immusonita. Alla fine aveva sborsato lei le monete e anche un po' troppe per i suoi gusti. “Quando torneremo vincitori dal pellegrinaggio ci dovrai dare tutto gratis!” gridò alzando la voce.
Non ottenne risposta.
Mentre ripercorrevano a ritroso la strada, Morgana affiancò Hito, che camminava appoggiandosi al suo bastone intagliato. Aveva delle occhiaie profondissime. Le aveva notate anche la sera prima, ma quella mattina non erano affatto migliorate. Naturalmente era dovere degli ‘anziani’ prendersi cura dei giovani, perciò, anche se a tratti l’umano sembrava più anziano e saggio di lei, la maga si sforzò di apparire responsabile e competente anche in materia di rapporti sociali - la sua materia ‘NO GUARDA PASSIAMO OLTRE CHE È MEGLIO’ -
“Uhm, dormito male? Ho notato che mostri segni di deprivazione da sonno prolungata”.
Hito la guardò strizzando varie volte gli occhi, come un ragno esposto alla luce del sole. Aveva chiaramente la testa da un’altra parte.
“Chi, cosa, come?”
“Già, ora che Morgi lo fa notare, tutto bene? Ti serve per caso un sonnellino?” arrivò la voce fastidiosa di Beiro da dietro.
“Eh, ah, come scusa?” ora che due persone lo stavano direttamente interrogando, il ragazzo capì che doveva mettere per un attimo da parte la scaletta mentale che stava strutturando. Già che lo avevano etichettato come lo zimbello di turno, ci mancava solo che credessero che avesse problemi mentali. Più che altro che scoprissero tutti i problemi mentali che aveva.
“Ti - serve - per - caso - un - sonnellino?” ripeté Beiro, scandendo le parole come si farebbe a un neonato, ma con il vilipendio che riservi solo a un fratello che non ti va esattamente a genio. “Ho notato che ieri, con la mia musica, ti addormentavi molto facilmente”. Hito, ancora imbambolato, farfugliò qualcosa, ma il senso era chiaro: lasciare lontano quelle note strampalate dalle sue orecchie. Poi, vedendo che il bardo stava già iniziando a strimpellare, si girò e gli tolse il plettro dalle mani. “Fai funzionare le tue doti quando è ora, non per strada”.
“Forse è Pirpi che non ti ha fatto dormire?” intervenne Lorelay. Il pipistrello fece una specie di risata stridula e malevola, iniziando a vorticare attorno alla testa del padroncino.
Hito odiava trovarsi al centro dell’attenzione, perché poi tutti si aspettavano che uno avesse sempre la risposta pronta. E invece no! Ci voleva del tempo per pensare a cosa dire, santo cielo! “Se ti dicessi di sì, ecco… sarebbe una gran bella bugia”.
“E le bugie non si dicono” cinguettò Mel, rallentando il passo per mettersi a fianco a lui e arruffargli amorevolmente i capelli.
“No, infatti” pigolò Hito con una voce piccola, piccola, diventando rosso come un’aragosta.
Beiro lo incalzò senza alcuna pietà: “Allora? Sputa il rospo! Cos’è che non ti ha fatto dormire? Ho notato che sei un filino evasivo. Ho come l’impressione che non ci stai dicendo tutto tutto!”
Hitoshi fece una smorfia. L’investigatore Berevan non era tra le menzioni degli ascendenti dell’oroscopo, ma sicuramente quadrava con la persona irritabile che era stata fino a quel momento e la cosa non gli piaceva neanche un po’. Dannati piedi piatti, il suo maestro l’aveva messo in guardia da quelli troppo invadenti come lui. Se non stava attento, la sua missione rischiava di essere facilmente svelata e non si sentiva ancora pronto perché questo accadesse. La sua irrequietezza era alle stelle: quelle bacche erano solo l’ultimo dei segnali… un campanello d'allarme che non poteva ignorare…
Guardò il mezzelfo con aria stanca. “Cosa mi ha tenuto sveglio, chiedi? Io direi l’insonnia, soffro di questa patologia da quando avevo quattro anni o giù di lì, dormo una notte su tre quando sono davvero molto stanco e solitamente non più di qualche ora. Non c’è cura per un problema della mente” disse la verità più cruda che riuscì a pronunciare, una verità che lo rendeva sempre molto abbattuto, e Beiro parve accorgersene, tanto che il suo volto fu attraversato da quello che pareva un pizzico senso di colpa misto a qualcos’altro. Ma fu solo un istante. “Eheh! Ma si dà il caso che i miei canti possano alleviare ogni problema di insonnia, zì!” dichiarò con arroganza.
Hito gli si piantò davanti, non arrivandogli che al mento, ma nonostante questo il piccolo uomo aveva una gravità marmorea. “Non cantare ora!”
La sua voce era così imperativa che lasciò tutti esterrefatti. Poi, il ragazzo si puntellò sul bastone e si rimise in cammino come se nulla fosse. Lorelay si fece vicino a Beiro. “Secondo me non gli sono piaciuti i denti da vampiro”.
“Ma minchia, era la parte più cazzuta della tela, cosa gli dovevo mettere due farfalle che gli giravano attorno?”.
“Che hai contro le farfalle?” chiese Mel unendosi alla conversazione di sussurri, indicando i tre tatuaggi di farfalle sul suo gomito.
“Niente! Cioè, una volta ho avuto il sospetto che mi guardassero mentre facevo…”
“Anch’io voglio un tatuaggio” lo interruppe Lorelay.
“Posso fartelo io” Beiro le fece l’occhiolino.
“Basta che non mi tatui una spadona gigante sulla schiena”.
Mel rise allegramente cercando di difendere il bardo. “Ya know… è il leitmotif dell’arte di Beiro, it’s so cool!”
Entrambi la guardarono, straniti. Non avevano capito una singola parola.
“Intendevo solo dire” iniziò a dire Mel, un rigagnolo di sudore che scendeva dalla fronte, “che è una vena poetica di Beiro, no? Ingigantire le cose, aggiungere dettagli mitici! E’ ovvio che non ho quello scudo enorme! E che Lorelay non ha la sua spadona! E Pirpi non è certo una viverna notturna! E figurarsi se Morgana ha un corvo impagliato sulle sue corna risvegliato con la magia nera o chessò io!”
“Oh no, quello è verissimo” Morgana stava camminando davanti a loro, crogiolandosi nel sole mattutino. Il mantello nero e la pelle bianca erano in netto contrasto con l’atmosfera idilliaca tutt’attorno. Sembrava bizzarramente fuori posto. Come una strega in un parco divertimenti. “Edgar!” chiamò.
Sotto lo sguardo perplesso di Mel, mise una mano nella sua borsa e ne trasse fuori un pennuto spelacchiato, dal collo eccessivamente allungato, decisamente morto stecchito. Soffiando via qualche piuma staccata, la maga gli parlò nell’orecchio. “Dai… vai a sgranchirti un po’ le ali con Pirpi… distraete un po’ Hito che è tutto solo… e non fare lo scorbutico con i miei compagni, oh insomma!”
L’aspirante cavaliere guardò gli altri interrogativa prima che due acuti gracchi la costringessero a tapparsi le orecchie con tutte le forze.
Kyaaahhhh! Kyaaaahhh!
“Ho capito, il buio della borsa non ti piace”. Morgana lo lanciò, ma invece che dispiegare le ali e planare come un normale volatile, l'uccello sbandò di qua e di là come una foglia in una tromba d’aria, sbattendo le ali a casaccio, finendo contro una botte, poi contro un’insegna, e poi per terra dove ruzzolò per una decina di metri.
“E quello cosa sarebbe?” domandò Lorelay correndo verso il punto in cui si era schiantato il pennuto.
“Edgar… kyaa… Edgar!” crepitò il corvo, cercando di rialzarsi in un turbinio di piume.
“Ma parla?”
“Edgar… parla” confermò Morgana, stropicciandosi gli occhi “e… dovrebbe anche volare”. Il suo tono era di profondo imbarazzo.
“Sì, peccato che ha più bernoccoli in testa che piume sul culo” ironizzò Beiro, che evidentemente era già a conoscenza della cosa.
“Le parole!” brontolò Mel come riflesso istintivo, mentre Morgana raccoglieva il suo famiglio, come un pupazzo buttato al lato della strada. Beiro si avvicinò alla ragazzona in armatura. “Se queste parole ti scandalizzano, assicurati di non starmi appresso quando sono ubriaco”. Aspettò che la ragazzona deglutisse prima di andare da Morgana
Ripresero a camminare in silenzio. Lorelay continuava a rimirare il suo nuovo acquisto, brontolando per il prezzo salatissimo. Morgana toglieva batuffoli di pelo dalle piume sciupate di Edgar, sconsolata per la pessima figura fatta. Hito e Beiro erano rispettivamente il primo e l’ultimo della fila, muti come dei pesci: non poteva andare avanti così!
Melissa Kcucklos credeva nei modelli da seguire. Che fossero cementati nella storia, come Gabranth, o nella leggenda, come Atlante, credeva che se non ci fosse stato nessuno a incoraggiare le altre persone al successo e alla concordia, col tempo nessuno, neanche il più valoroso, avrebbe puntato al successo o alla concordia. La moneta di scambio dell’eroismo erano le storie e i valori. Perciò non poteva andare avanti così! Altrimenti, senza la convinzione, senza i sogni dorati, senza la fiducia, tutti i suoi compagni sarebbero rimasti piantati sulla linea di partenza. Una gara che non si gioca si perde a tavolino e qualunque sconfitta a tavolino era una sconfitta da cui non si poteva imparare alcunché.
Ma lucky them, lei era lì con loro e sarebbe stata il loro faro lucente. Accelerò il passo, superando Lorelay e Hito, e salì sopra una piccola roccia, sorridendo determinata.
“Ragazzi, così non va! No pensieri negativi, il mindset è importante per il combattimento e altrettanto per il pellegrinaggio. Se vogliamo la vittoria, dobbiamo affidarci l’uno all’altro! Ognuno dev’essere per quello che ha di fianco una spada e uno scudo! Dev’essere un’ombra confortante e soprattutto un amico con cui parlare! Non dobbiamo farci provocare, mantenere la presa sicura sui nostri sentimenti e non saltare a conclusioni affrettate. Mindset” s’indicò più volte la tempia per far passare il concetto, “è tutta questione di come affrontate mentalmente la faccenda!”
La guardarono un po’ smarriti. Su due piedi, non capì perché e si sentì un po’ giù. Subito dopo, però il suo cuore s’incendiò di nuovo. Difatti, Beiro aveva fatto qualche passo avanti e si era messo fianco a fianco a Hito, l’aria colpevole, anche se sempre un po’ furbetta. “Non abituarti eh!” iniziò, “Però scusa se mi sono impicciato in affari-...”
Ma Hito lo interruppe, non prestandogli nemmeno ascolto. “Ma il pellegrinaggio è per caso una gara?” chiese grattandosi il capo.
“Non direi proprio” rispose Morgana. Anche gli altri fecero no con la testa, tranne Beiro, lui era giustamente inferocito.
“Allora, p-perché hai parlato di vittoria?”. Quella volta Hitoshi si rivolse direttamente a Melissa. Balbettò leggermente, ma riuscì a contenere l’imbarazzo. Era abbastanza fiero di sé stesso. Di solito, di fronte alle ragazze la sua calma volava fuori dalla finestra.
“Suppongo perché se arrivi vivo è una vittoria, più o meno?” Lorelay rispose al posto della ragazza in armatura, con una certa spontaneità.
Semplice, sensato, onesto. Hitoshi accolse quelle parole con sorprendente soddisfazione. Probabilmente non avrebbe accettato nessun altro tipo di risposta: certo, le prospettive non si facevano meno cupe, neanche un po’, visto l’alto tasso di mortalità nel pellegrinaggio, di cui perlomeno Naikki avrebbe potuto avvisarlo, grandi dei!
Ma ovviamente Melissa, le mani giunte, gli occhi sognanti, doveva esprimere anche il suo di pensieri. Il ragazzo era sicuro come l’oro che rispetto alle sue preoccupazioni, lei era agli antipodi. Era la cosa che amava di lei, una pace dei sensi che lui non avrebbe mai ottenuto. E infatti…
“Il pellegrinaggio non è una gara, no… ma magari ci saranno delle gare! Io avrei sempre voluto partecipare ad un torneo come quelli... quelli nelle arene con i carri. Avere un carro tutto mio… guidarlo in un'arena piena stracolma di gente, cozzare contro gli altri, i petali che piovono su di noi dagli spalti! Sarebbe un sogno che si avvera. Insomma. Ho sempre partecipato alle quintane e alle giostre, ma mai a quelle più celebri. Tutti quei colori e quegli stendardi! Cavalieri che arrivano da tutta Fabula! Dame, principesse e cortigiani. Ahhhh… che invidia! Che invidia! Che invidia! Un giorno ci sarò anche io lì, quando sarò diventata un cavaliere!”
Da come si muoveva, da come i suoi occhi luccicavano, da come si aggiustava i capelli, da come la sua voce era sognante. In quel momento Hito aveva davanti l’incarnazione stessa della vita. Di tutta la sua bellezza. Di tutto il suo potenziale. L’apoteosi del desiderio. E per quel motivo, dovette distogliere lo sguardo, perché troppa luce… avrebbe potuto accecare i suoi propositi, o… ancora peggio farlo innamorare.
“Si dà il caso” incominciò Morgana trepidante, come una leggidita pronta a rivelare qualcosa di grande segretezza “che effettivamente il pellegrinaggio preveda anche il passaggio presso l’arena più grande del continente, nella città di Marea. Lì si terrà un grande torneo. Ah, e credo che la partecipazione sia una prova del pellegrinaggio”.
Non che ci avesse mai partecipato. Quando viaggi con un paladino impari a scoprire anche quanto lucro e propaganda permeano questo tipo di eventi. Una cosa che raramente ti viene insegnata sui banchi di scuola. ‘Anche se il motivo per cui non abbiamo partecipato è un altro’ pensò, amareggiata.
“Uh, magari potremmo sostare lì qualche giorno per l’occasione” suggerì Lorelay, che non era mai stata in una città in tutta la sua vita.
Melissa annuì vigorosamente. “Potremmo partecipare come squadra e sbaragliare tutti quanti”.
“Oh no.... ma dove mi sono cacciato?” mormorò Hito, preoccupato.
Beiro gli mise un braccio attorno al collo tramutando i suoi timori in una specie di inno astratto. “Nel gruppo migliore. Che salverà questo mondo”.
E da cosa? Gli avrebbe voluto chiedere il ragazzo, ancora più teso di prima. Quel pensiero di salvare il mondo da una minaccia inesistente era davvero irrealistico. Inoltre, alla lunga, pensieri di quel genere non solo rendevano indigesta la cena, ma potevano diventare pericolosi. Specialmente se detti con leggerezza.
Liberandosi a fatica dal braccio del mezzelfo, che gli si era attorcigliato addosso come un pitone della giungla profonda, infilò una mano nella bisaccia. Salvare il mondo, che idea bislacca. L’idea che si fanno i piccoli orchi di Orchea quando giocano a palle di neve sulla pianta del gigante. Davvero un’idea bislacca. Irrealistica. Inverosimile.
“Va’ a salvare il mondo, giovane falco… potrai anche fingere che non sia così, ma l’Enclave ha bisogno di te”.
Che idea bislacca. Cosa vi è successo maestro? Non distinguete più la fantasia dalla realtà? Nessuno può salvare il mondo se non il mondo stesso. E’ la natura delle cose. È questo che mi avete insegnato. Come è vero che il cielo è blu e il sole è giallo, il mondo è vissuto prima di noi e continuerà a vivere dopo di noi.
Rami, tralci, fronde. La carezza di quei rami. L'odore del bosco. Del ruscello. Del muschio, dei licheni. I daini che andavano ad abbeverarsi. Il sapore della corteccia. Del suolo. Del micelio. Dei funghi. Delle radici.
Quell’albero, quel luogo che conoscevo come il palmo della mia mano. Quell’albero, che mi guardava.
‘E’ proprio un’idea bislacca: che uno come me possa salvare il mondo’.
🧚🏻♀️
“La chiamerò Nif”.
Ehi! Beh… chi aveva spento la lucerna che irradiava il mondo? Oh… era lui che si era quasi assopito. Hito colpì con il bastone ferrato il terreno sotto i suoi piedi e tornò in sé. Erano arrivati a una specie di piazzetta, con una fontana al centro che non buttava fuori acqua da almeno mezzo secolo.
“Sì, Nif è il nome perfetto…” Lorelay teneva la sua spada curva in controluce. “Sapete chi è Nif? Nif è mia nonna. Mia nonna mi odia. Perché ho intrapreso questo pellegrinaggio. Quindi con Nif ammazzerò molte persone. Le uccisioni le dedicherò a lei che mi odia” fu la giustificazione più semplice e terra terra che Hito avesse mai sentito.
“Partorito da una vecchia, venduto da un vecchio (bastardo) e dedicato a una vecchia (bastarda)” commentò Beiro dopo un lungo silenzio, come decidendo la trama della sua prossima ballata, “senza offesa, Lorelay”
“E chi si offende?” si avvicinò per dare un bel cricco sulla nuca al bardo, ma in quel momento…
…in quel momento…
…il sole…
…che fino ad allora aveva rischiarato quello spensierato giorno di primavera, allontanando nuvole e acquazzoni… venne oscurato da qualcosa.
Era come un verme! Un grosso verme con due ali immense, grandi come le vele di una fregata. Due occhi lucidi, predatori. Artigli per ghermire e dilaniare. Si stagliava sul sole, dividendolo a metà, gettando ombra sull’intera piazza. L’aria stessa sembrava tremare per la sua presenza. Era pronto. Pronto a colpire. Pronto a divorare. Pronto a piombare su una preda.
Una qualsiasi preda sarebbe stata presa dal panico, da verde terrore, grazie a quell’istinto di sopravvivenza che permetteva al ciclo di vita e di morte di ripetersi all’infinito senza guastarsi mai, come una ruota ancestrale, che neanche il destino poteva spezzare. Una preda avrebbe cercato riparo, finché il pericolo non fosse stato lontano, finché non avesse trovato un altra preda, più impreparata, più succulenta. Una preda avrebbe fatto di tutto per non essere messa all’angolo e se per ipotesi fosse stata messa all’angolo, si sarebbe azzuffata con il predatore in un’ultima sanguinosa scommessa, che avrebbe deciso quale carcassa sarebbe stata sbranata e forse una volta su venti quella carcassa sarebbe stata il predatore. Una preda veniva cacciata. Una preda poteva procrastinare. Ma una preda non poteva evitare di essere cacciata. Scappare oggi voleva dire essere cacciati domani. Scappare domani significava morire oggi. Una preda non poteva esistere senza un predatore: era quella la grande verità delle prede.
Perciò Hitoshi, che aveva solo diciassette anni, conosceva il mondo, e non voleva morire, scelse di non essere una preda. Perché gli umani potevano scegliere se essere prede, cacciatori o nessuna delle due cose, e abbandonando il bastone in avanti, s’inchinò.
Quel mostro, bello da mozzare il fiato, che dominava il cielo, calò verso il basso, verso la terra, come un tuffatore che si lancia da una scogliera di cento metri. Una discesa vertiginosa, quasi una caduta. Ma sarebbe stato sbagliato considerarla tale, perché quella creatura non aveva alcuna intenzione di precipitare. Infatti, interruppe la discesa, con la stessa facilità con cui una persona girava il collo e si appollaiò sopra quel pozzo diroccato. Il muso era simile a quello di un drago, ma più deforme, contorto, come un tronco d’albero tagliuzzato da un’accetta malferma. Gli bastarono pochi battiti d’ala per sollevare un polverone abbastanza denso da sfocare la sua figura e quella dei suoi tre passeggeri.
Ci fu uno stridio metallico.
Hito, turbato, ne cercò la fonte, la bocca che formulava la parola ‘no’ ancora e ancora. Chi diavolo…
Mel?
La ragazza aveva sguainato Quincy. Il suo sorriso in quel momento aveva lasciato il posto a una fredda determinazione, che il ragazzo non avrebbe mai potuto immaginarsi su quella faccia tonda e gentile.
“State tutti dietro di me!” ordinò, senza una traccia di indulgenza nel timbro vocale.
Hito non aveva visto che bambini giocare alla guerra, “combattere” con armi di legno e palle di neve, e l’abisso che c’era fra loro e la posa di quella ragazza con la spada lunga impugnata a una perfetta angolazione fra il fianco e l’ascella, era di una persona che non giocava affatto. Fino a quel momento aveva ipotizzato che fosse solo una bambina con un’armatura piena di pezze colorate, con tanti sogni e un cervello ancora favole, zucchero filato e principesse, ma quella non era una bambina in quel momento.
Vide la punta della spada mirare al collo della viverna e temette il peggio, ma Melissa non fece un passo avanti, né tantomeno un passo indietro. Rimase semplicemente immobile, il ruggito della viverna che le scivolava addosso come lo squittio di un ratto. E attese. Attese.
Attese fino a che la polvere non si depositò a terra e tre figure saltarono giù con un balzo dal dorso rugoso.
Il primo era un Bangaa.
Una creatura rettiliana, con un muso lungo, a punta, da coccodrillo, lunghe orecchie da san bernardo, braccia e gambe palmate, in questo caso color rosso spento. In piedi su due zampe - la cosa a Hito conferì un fievole barlume di speranza - sfoggiava una giacchetta, dei pantaloni larghissimi, e scarpe a punta.
Il secondo era un Ronso.
Un fisico statuario, blu elettrico e una lancia lunga salda sulla sua schiena, molto più rozza e temibile della lancia a strisce rosse e bianche da torneo che aveva sul retro Melissa. Un corno bianco da rinoceronte gli spuntava dalla nuca, ma era spezzato, forse un memo di una battaglia contro un mostro terribile da cui era uscito vincitore. Aveva capelli bianchi, ma non sembrava affatto decrepito, anzi i suoi muscoli tatuati erano così prominenti da aver strappato la veste da guerriero che portava. Atterrò con atleticità fissando l’aspirante cavaliere dai capelli color ciliegio con aria di sufficienza.
Infine… direttamente dal collo incurvato di quella che doveva essere una viverna… scese…
Un elfo? No… era troppo alto per essere un elfo. Troppo bello per essere un elfo. Aveva la pelle scura, abbronzata, orecchie lunghissime. Il suo vestito consisteva in un’elegante vestaglia verde che lasciava nudo il petto, il quale sembrava scolpito nel marmo. Anelli dorati adornavano i suoi capezzoli, le sue orecchie. Aveva una chioma lunga e folta, colore del magma, con qualche piuma tra i capelli e un naso allungato dall’inclinazione perfetta. Persino il suo incedere era maestoso.
Hitoshi avrebbe potuto continuare a descriverlo nel suo diario con paroloni, perifrasi, e paragoni, ma sarebbe stato superfluo, perché il pinnacolo della bellezza non si poteva descrivere a parole.
“Owowowo…” Quando Beiro si rimise seduto, massaggiandosi il polso slogato, commise l’errore di alzare gli occhi. Quando lo vide in tutta la sua magnificenza, sgranò quegli stessi occhi, dimenticandosi per un attimo di come si faceva a respirare. Non c’era mica un libretto d’istruzioni su come ricominciare una volta che la personificazione della bellezza ti aveva cancellato dalla mente l’interezza della tua vita fino ad allora, tutte le convinzioni e le conoscenze, anche quelle base base. C’era solo da tenere le palle - degli occhi s’intende - puntate su quell’essere, sperando che avrebbe avuto pietà di un mezzelfo stronzo, meno di una nullità, e che per par condicio gli avrebbe anche concesso di continuare a vivere la sua vita come l’aveva vissuta fino a quel momento.
Il… lui… sorrise serafico, posando per qualche momento i suoi occhi color porpora su Mel la spada stretta tra le mani che tremò leggermente, poi su Hito che s’inchinò ancor più profondamente - e per una volta il mezzelfo non trovò niente di sbagliato in quel comportamento - poi li puntò proprio su di lui e il bardo si sentì benedetto, come se mille cori angelici stessero elevando la sua migliore opera a pezzo chiave dell’orchestra.
Fin troppo presto lui spostò lo sguardo su Morgana, ed infine quelle braci ardenti dardeggiarono un’ultima volta verso qualcun altro, fuori dal suo campo visivo.
Fu questione di attimi.
Il ronso e il bangaa appoggiarono una mano sulle spalle del… di quell’essere, si guardarono ed ad un cenno della testa, come se la loro sintonia andasse ben oltre le parole, tutti e tre si girarono e si misero a correre. Quasi una gara compiuta tra amici di vecchia data. Imboccarono il lungo sentiero che si tuffava in mezzo al bosco. Prima di andarsene l’essere si voltò un’ultima volta, facendo un gesto incomprensibile con le dita. Rispondendo a quel segnale, la viverna stridette, poi riprese il volo, sbattendo le ali verso il monte che sovrastava Brea, prima di scomparire dietro una macchia arborea. Tutto sembrò avvenire in pochissimi istanti. In breve tempo, anche i tre sconosciuti furono puntini all’orizzonte e la piazzetta tornò di nuovo inerte, come se nulla fosse successo.
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“Pirpi, ti dispiacerebbe seguirli?” Hito fu il primo a riprendersi dallo stordimento, ma il suo cuore batteva forte. “Dall’alto, possibilmente… senza farti vedere”. Sentiva la mente così chiara e ordinata. Tutte le sembianze di sonno erano evaporate come la rugiada del mattino. Iniziò a stiracchiare un po’ il braccio, un sorriso emozionato, totalmente straordinario per lui.
Morgana arricciò le orecchie a più riprese come una vecchia signora, che ha appena ascoltato una melodia commovente dedicata al suo chiwawa. Fece qualche passo verso Beiro e iniziò a schioccargli le dita davanti al naso. “Pronto, pronto? C’è nessuno?” Vedendo che il mezzelfo annuiva lentamente, l’espressione dell’elfa divenne analitica. “Perdonami se lo chiedo ma… quello… corrispondeva ai tuoi gusti? Cos’è che, in particolare, ti ha lasciato sconvolto? Non ho mai visto una persona squadrarne un’altra in quel modo da quando sono nata. Per favore, prenditi il tuo tempo per darmi un’illustrazione accurata della tua psiche”.
Beiro fece un bel respiro, raccogliendo un intero elenco di frasi che avrebbero descritto in maniera perfetta gli effetti di quella manifestazione su di lui. Ma ce n’era solo una che avrebbe riassunto perfettamente il concetto.
“Cazzo, ma lo hai visto? E’ un figo!”
Morgana gemette.
Hitoshi stava aguzzando gli occhi verso il bosco, tenendo d’occhio Pirpi che era a sua volta diventato un puntino nero nel cielo. Poi, gettò un’occhiata a Mel, che stava solo ora reinfoderando la spada con l’impugnatura floreale.
“Mi sbaglierò io, ma, come dire… secondo voi è normale scendere da una Viverna?!” chiese più per innescare una reazione nella ragazza dai capelli rossi che altro. A quelle parole, sul volto di Mel trasparì evidente un’inquietudine, che gli altri non avevano percepito. “E se ci avessero attaccati? Non eravamo pronti!” sbottò a un certo punto, occhieggiando tutti.
“Ci saremmo difesi..?” domandò Beiro, imbarazzato per essere finito a gambe all’aria.
“Non mi sembravate molto pronti a difendervi” insistè la poderosa guerriera, accigliandosi. Era preoccupata. Nessuno poteva biasimarla, giusto? Era stata l’unica a prepararsi a un effettivo combattimento. Se quella era la reazione generale a un potenziale nemico, a malincuore credeva che i suoi amici avrebbero pure potuto fare i bagagli e tornare alle loro casucce. Si rendevano conto che quel viaggio non era una scampagnata, sì o no? Tutte queste cose la ragazza non le disse, perché non avrebbe mai fatto sentire in colpa i suoi compagni per una cosa del genere, però quei pensieri tormentosi le affollarono la mente e dovette reprimere una fitta improvvisa di mal di testa, forzando un sorriso comprensivo.
Forse incoraggiata da quel sorriso, Morgana corse in suo aiuto tentando di riappacificare gli animi, sperando di essere propositiva: “Dunque… c’è da dire che che l’esemplare che abbiamo visto corrisponde a una viverna apparentemente ammaestrata, lo avremmo dovuto capire prima. Ci sono svariati segnali che questo è il caso. Per esempio” iniziò a sfogliare un libro che non aveva, sforzandosi di tranquillizzare tutti. “Per esempio, come avete visto, non ha cercato di mangiarci. Ma io sposterei l’attenzione…” “Il focus!” saltò su Mel, annuendo. “Il focus esatto, io sposterei il focus sul fatto che le cavalcature di quel tipo non sono da tutti” riprese Morgana, che aveva imparato un po’ di gergo cavalleresco a spizzichi e bocconi, in gioventù. “Ho ragione di ritenere che abbiamo avuto l'onore di essere al cospetto di una persona di sangue reale”.
Mentre lo diceva, Morgana si auto-convinse che doveva essere così anche perché se un principe s’incamminava per un pellegrinaggio, non doveva essere poi così letale quel pellegrinaggio. Giusto? Ovviamente la sua mente piena di neuroni e promesse non mantenute non si sprecò a dare credito alle sue speranze. Figurarsi.
Beiro sogghignò. “Se più sangue reale si ha più si è belli, allora quello di sangue reale ne aveva una cifra”.
“Beh non proprio reale” si corresse Morgana, “in questo momento al trono c’è un sovrano di razza umana come sapete: re Ocelot. Tuttavia non è sempre stato così. Forse voi siete troppo giovani per ricordarvelo” si fermò un attimo, considerando le sue parole “e non ve ne faccio una colpa, s’intende, ma non troppo tempo fa vivevamo sotto un altro governo…”.
“Non è che non capisca” bisbigliò Melissa che pareva in conflitto con sé stessa, tanto da non riuscire veramente a seguire la spiegazione della maga. Poi scosse i capelli riacquisendo il sorriso. “Però quando compare una minaccia, ragazzi, prendete una spada o qualsiasi arma abbiate con voi, la tirate fuori così” mimò una posa difensiva da cavaliere “e la minaccia sarà già meno minacciosa”.
Hito la guardò negli occhi, abbandonando ogni pudore. Non ci poteva fare niente. Certe parole lo pungevano come le spine di un cactus. E allora rispondeva quasi con tono di sfida, anche se non era sua intenzione. “Allora secondo te quella era una minaccia?"
Mel era sorpresa, ma sostenne lo sguardo. “Beh, poteva benissimo diventarlo. Bisogna agire prontamente in queste situazioni se non si vuol finire nel gargarozzo di qualche orrendo mostro!”
Hito ridacchiò, lanciando una palla curva a Beiro: “Potevano essere brutti forse, ma non minacciosi”.
“BRUTTI!? Ma ti ha dato di volta il cervello?”
Hito lasciò che il bardo si sfogasse. L’importante era che Mel rimuginasse un po’. Lui sapeva benissimo che quelle creature erano tutt’altro che brutte, e potevano persino diventare minacciose come diceva lei in certi casi, ma in occasioni in cui non avevano apertamente operato azioni bellicose, tirare fuori le armi poteva ottenere l’effetto contrario di renderti un bersaglio, una preda; concetto che aveva imparato dal suo maestro e che lui stesso aveva avuto molte difficoltà ad apprendere nell'immediato.
Mel, dal canto suo, si dichiarò più che soddisfatta. L’importante era che Hito rimuginasse un po’. Era certa che al prossimo incontro lui e gli altri le avrebbero dimostrato che avevano compreso i suoi profondi insegnamenti. Con creature così grosse non si poteva mai sapere e una spada fuori dal fodero poteva fare la differenza fra la vita e la morte, certo che sì!
“Io voglio sentire la storia di Morgana” piagnucolò Beiro, risvegliando i due dormienti dai loro pensieri. ““Sì, perché no?”” dissero i due, quasi in coro. Hito arrossì. Mel rise.
“Oh” fece Morgana che stava avendo qualche difficoltà ad evitare che Edgar dalla posizione di trespolo sulla sua spalla cadesse in avanti come il corvo impagliato che era. Era una scena molto comica, di cui probabilmente la maga non si era nemmeno resa conto. “Oh, certo, mi fa piacere condividere con la classe. Dicevo che gli umani sono al comando solo da un po’ di tempo. In realtà, la stirpe reale che per quasi sei secoli ha regnato su Fabula ha un sangue molto diverso che gli scorre nelle vene. Mi riferisco al sangue degli antichi orialco… sapete, no, i grandi draghi? Ecco, per molti anni i sovrani sono stati di quella stirpe elfica e draconica al contempo. Elfi orialco appunto, perché nati da Ganondorf. Quindi questo fa di loro…”
“delle divinità”.
Per qualche ragione, che Morgana attribuì al generale scombussolamento generato da quell’apparizione, nessuno, in quei minuti di bisticci e condivisione, aveva notato Lorelay, che si trovava a diversi metri dalla fontana, gli occhi quasi assenti. Rabbrividiva e teneva una delle sue mani premuta sulla spalla destra.
“Tutto bene? Hai visto un fantasma?” chiese amorevolmente Melissa, accovacciandosi al suo fianco. “Posso cacciarlo via se ti infesta ancora la testolina! E’ questione di mindset!”
“Mi ha guardato” sussurrò la pixie.
“Ha guardato tutti” ribatté Beiro, non capendo dove voleva andare a parare.
“Ma ha guardato anche me”.
“Sì, insomma, credo che stesse cercando di capire se conosceva qualcuno” provò Morgana, anche lei messa all’angolo.
“Sicura? Una divinità mi ha guardato?”
“Direi proprio di sì”.
“Allora cosa state aspettando, partiamo subito!” La debolezza diventò forza. Lo smarrimento un flusso di vitalità. Fu un cambiamento così repentino che sembrò totalmente innaturale. La fata si alzò con decisione, sbattendo le ali e alzandosi in volo, la spada curva che roteava nella sua mano. “Non dovrebbero essere lontani, su con quelle gambe, su, su”.
“Per caso conosci questo presunto elfo orialco?” domandò Hito, grattandosi il capo.
“No, ma voglio conoscerlo!” dichiarò Lorelay, stagliandosi contro il cielo, come aveva fatto la viverna qualche minuto prima. Notando che erano genuinamente preoccupati che fosse impazzita, ‘quella dei nidi’ sbuffò divertita, tirando fuori la sua lingua chiacchierina: “Suvvia, ragazzi! E’ normale! Non mi dite che non c’avete neanche un cicinino di curiosità. Cioè… pensateci! Ci ha guardato. Per lui noi esistiamo. Vediamo chi è! Vediamo cosa sostiene di essere! Vediamo se è davvero quello che pensiamo che sia!” la ragazza appoggiò i piedi sul ciglio della fontana, dove pochi minuti prima era sceso quell’individuo misterioso.
“Suvvia, chi è che nella sua vita non ha mai espresso il desiderio di conoscere una divinità?”
PRIMA MAPPA DI FABULA
Ne seguiranno altre create con vari software ma questa è la prima che avevamo, l'originale! Leggendo alcune città menzionate come Orchea, Marea e Lux Aeterna, direi che è più facile, se si può, localizzarle sulla mappa. Moltissime località in cui la storia è ambientata non sono ancora mappate, prendete questa come una cartina pilota. Inoltre, è opportuno dire che la mappa non è in alcun modo rispettosa dei canoni, delle distanze e della scala. Infatti, le prossime mappe potrebbero avere qualche piccola differenza!
Note d'autore:
Secondo capitolo. Come vedete, moltissimo spazio è dato alle dinamiche fra i personaggi, ai loro pensieri e alle loro azioni. Per ora il POV sarà molto in oscillazione fra un personaggio e l'altro, ma non mancheranno capitoli con lo stesso punto di vista tutto il tempo (E NON SARA' PER FORZA UNO DEI CINQUE *wink* *wink*). Qua e là ci sono ovviamente dei foreshadowing! Ah, non garantisco una lunghezza simile dei capitoli tutte le volte, ma credo che questo sia dovuto. E penso che dedicherò un capitolo a immagini, approfondimenti e curiosità che col tempo diventerà lunghisssimoooo! Se la storia vi piace (o non vi piace) lasciate una recensione! See ya!!!