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Autore: Slits    25/09/2009    6 recensioni
Crack? OOC?
You eat it?
La ciurma di Cappello di Paglia approda su un arcipelago sperduto e scopre che l'amore non è sempre quel sentimento destinato a sbocciare con il tempo. Soprattutto se il bocciolo prossimo a schiudersi altri non è che una semplice pera di dubbio sapore.
La dimostrazione di come anche una crack, alle volte, possa riservare gradite soprese.
[Zoro/Nami; Franky/Rufy; Robin/Usopp; Chopper/Brook; Zoro/Sanji]
[!OOC; !Crack]
Genere: Avventura, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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× L'amore sboccia nelle tenebre.


Scappava. Scappavano sempre del resto, non era di certo una novità.
Le sue falcate erano ampie, si perdevano nel vuoto della via risuonando possenti. Era vicino oramai, talmente tanto da riuscire persino a scorgere il riflesso del proprio obiettivo stagliarsi sull’acqua.
Trattenne il fiato in un movimento che al suo petto parve costare tutto il respiro tenuto gelosamente in corpo ed accelerò ancora, rincuorato. Forse avrebbe potuto ancora farcela.
Forse i passi del suo inseguitore si sarebbero arrestati ancor prima dei suoi; forse avrebbe semplicemente trovato qualcuno disposto ad aiutarlo.
- Patatooo! Dove scappi?! Guarda che ti vedo! – forse a furia di urlare le corde vocali del dottore si sarebbero semplicemente staccate, impigliandosi nelle zampe e facendolo scivolare.
Il musicista si fermò un attimo, perplesso, e rimase a contemplare mentalmente la propria vena comica.
- Macabramente perfetta! – si compiacque portandosi una mano fra i capelli e dandoli volume. – Come del resto si potrebbe addire unicamente ad un morto! Yohohoho! – concluse infine, dando sfoggio di una delle sue pose migliori. Gesto che, seppur in lontananza, non sfuggì allo sguardo acuto del dottore.
- Broook-samaaa! Il tuo sex appeal mi stordisce! Vieni qui! -
Chiunque in quella notte si fosse ritrovato a passare per le vie del porto, magari sperando in una passeggiata tranquilla, si sarebbe stupito non di poco nello scorgere una renna parlante correre e sbracciarsi al limitare della costa. Tutto questo ovviamente prima che la suddetta, dopo aver osservato un punto indefinito dinanzi a sé, avesse avuto modo di dar fondo ad una delle sue mosse migliori, ingerendo una curiosa pasticca. In quel caso un infarto stroncante sarebbe apparso con certezza la soluzione migliore.
“Dannati teppistelli” avrebbe invece probabilmente commentato piattamente l’anziana vedova Paolini, aggiungendo infine qualcosa di non meglio definito circa il non andare in giro a comprare determinate sostanze. Le produzioni casalinghe del resto, si sa, son sempre le migliori.
- Dottore, non mi sembra il caso di mettere le mani avanti… - si limitò invece a sussurrare lo scheletro quando, atterrato da un Horn Point del compagno di insolita irruenza, si ritrovò intrappolato fra la folta pelliccia del medico e la chiglia di un’imbarcazione.
- Capisco… quindi preferisci i giochini fatti da dietro. Che birbante che sei, Brook-sama! – avesse potuto, il musicista sarebbe scoppiato a piangere. Ma quello non sarebbe di certo stato un comportamento da vero uomo.
E lui era un guerriero, diamine! Aveva vissuto per dieci anni in completa solitudine su di una nave gravida di cadaveri; era stato per ben tre anni senza la sua ombra. Simili battaglie le avrebbe dovute vincere ad occhi chiusi, senza alcun rimorso od escabotage.
- Chopper guarda! Un alieno dietro di te sta per attaccarti! – per l’appunto.
Il medico sorrise, stringendosi ancor più alle spalle dell’afro.
- Birichino, lo so che non c’è niente dietro di noi. Mi conosci, sai che trucchetti simili son del tutto inutili per farci eccitare… - Brook sospirò, sconfortato.
Forse avrebbe semplicemente dovuto accettare il proprio destino. In sin dei conti, sarebbe sempre potuta essere una ricca esperienza da poter raccontare ai propri figli. Perché poi, a quella constatazione, nella sua mente una serie di alci in miniatura scheletrite presero forma fu un pensiero sul quale non volle indagare più di tanto.
- Hai ragione… è solo un chiosco di gelati ambulante… - sussurrò quindi amaramente.
- Dove?! -  fu un attimo, ma la presa del medico parve riuscire ad allentarsi talmente tanto da permettere allo scheletro di trovare una facile via d’uscita. Con un colpo di reni degno del miglior giocatore di rugby si portò fuori, svicolando infine in uno dei tanti oblò spalancati alle sue spalle.
- Lor signori, vi porgo i miei più distinti saluti! – come se niente fosse si limitò a togliersi il cappello ed accennare un inchino quando, dopo esser atterrato in una camera da letto, si scoprì ad interrompere una delle tanti notti di fuoco dei suoi occupanti.
Da sotto le coperte ciò che ad occhio inesperto sarebbe potuto apparire come un tricheco fuori forma estrasse la testa, confuso, per infine sbarrare gli occhi. No, non di nuovo.
- Signora, mi farebbe vedere cortesemente le sue mutandine? – chiese invece ingenuamente l’intruso, scorgendo due prosperose forme al di sotto delle lenzuola.
- AAAAAAAH! La morte pervertita in afro è venuta a prendere la mia anima! E’ la maledizione degli sexyshoppisti!- gridò infine il prestante Alfonso, cercando alle spalle della propria compagna un rifugio sicuro.
Questa, facendo bella mostra un ghigno lieto ed insolitamente languido, passò con lo sguardo sui due uomini, per infine tirarsi su a sedere. Il tutto nuda come sua madre, probabile diretta sorella di Matusalemme, la fece svariati secoli prima.
- Ah, Alfò! Ma che mi ti mbampava nu rampu! Conosci cristiani simili e non me ri presenti? – borbottò alzandosi, non senza risparmiare il gentile commesso di un’occhiata raggelante. Questo sorrise, nell’oramai palese vano tentativo di mettere a tacere l’ira della donna.
- A dui a dui, eh? Megghiu! Così trasiti prima! – rabbia, per altro, oramai completamente scomparsa; soppiantata da ben altro. Un bisogno che quasi come animale la sorprese, facendola sorridere seraficamente.
Fu un attimo, un secondo malcelato dal fragore dei loro denti che battevano all’unisono, eppure per scheletro e ragazzo fu impossibile non scambiarsi un’occhiata di mal celata paura.
- Beh? Vi ‘nmarmorastu? –  Brook in sin dei conti su di una cosa aveva sempre avuto ragione:
quella notte sarebbe stata davvero una singolare esperienza da raccontare alla propria prole. Adesso per altro, per qualche oscuro motivo, improvvisamente tramutatasi in un insieme indefinito di mummie alte non più di un metro e qualche centimetro.
Questo, ovviamente, parlando in chiave eufemistica.


- Houston, abbiamo un problema! -
“Spiacente, signore, ma ha sbagliato numero.” imprecando il cyborg rimise la cornetta del lumacofono nuovamente apposto. Per la quinta volta in una sera in cui troppe volte, troppo a lungo, aveva sperato di poterla alzare e sentire ancora una volta la voce dello spadaccino.
Avevano appena dato il via al loro piano - un sordo inganno tramato fra le pareti sicure del loro rifugio - quando una tazza del wc era piovuta in testa a Zoro, facendo perdere così il contatto fra i due.
Avendo infatti finito la mobilia della camerata, la navigatrice aveva ben pensato che smontare pezzo per pezzo il bagno antistante alla stanza e scagliarlo sul proprio pretendente, sarebbe stato senz’altro un buon modo per esprimere il proprio disappunto. Ed adesso, nascosto dietro una vasca da bagno insolitamente grande, il cyborg non potè fare a meno di interrogarsi su come uscire da quella spinosa situazione.
Tutto questo, ovviamente, prima che l’apparecchio riprendesse a squillare, con nuova forza, facendolo sobbalzare fra la ceramica del sanitario. Inveendo a mezze labbra rispose nuovamente.
“Pronto?!”
- Houston, abbiamo un problema grosso! –
“Senti, fratello. Io non so chi sia questo Houston che così tanto vuoi, ma di una cosa sono certo: il capitano figo è mio e di nessun altro! Intesi?” e con quest’ultimo monito si limitò a riagganciare la cornetta in un impeto furioso. Nell’esatto momento in cui gli occhi dell’insetto si chiusero, nello stato di trance tipico del periodo di riposo, un nuovo trillo li fece riaprire, furiosi. Di certo non meno di quelli, insolitamente iniettati di sangue, del carpentiere che si apprestò a rispondere.
“Per l’ultima volta, disgraziato latente! Qui non c’è nessun…”
- Bastardo! – sobbalzò quando la voce dello spadaccino lo raggiunse in un turpiloquio degno del migliore fra i peggiori scaricatori di porto.
“Zoro?”
- Stronzo! –
“Fratello, ma che…”
- Come diavolo ti può mai saltare in mente di sbattermi in telefono in faccia in un momento simile?! E non una, ma sette volte! – l’ira del verde avrebbe fatto impallidire persino Ener dall’alto della propria potenza. Nonostante l’albino non fosse palesemente un dio e, quindi, neanche un elemento così ostico da smuovere. Ma non credendo in nessuna divinità per lo spadaccino quello fu l’esempio più lampante per dare un briciolo di risalto alla propria furia.
Far impallidire un dio e far impallidire Ener, del resto, nel suo credo avrebbero significato la stessa, identica cosa. Ovvero un’emerita stronzata.
“Ma quando mai hai chiamato te! Qui c’era uno che rompeva le palle con Houston qui e Houston lì! Che poi…” e qui il suo tono si fece più grave, nel vano tentativo di dar maggior profondità alla propria frase. Lo spadaccino trasse un respiro profondo, tentando di calmarsi.
In sin dei conti scegliere un messaggio in codice di un’altra lingua non era mai stata un’idea così brillante. Probabilmente gli avrebbe proposto di cambiare la pass, a giusta ragione. “… che razza di imbecille chiamerebbe il proprio figlio così?! Io penso e piango per quel povero bambino!”
Esattamente.
Zoro si prese la faccia fra le mani mentre la quinta tazza del water lo mancava di pochi centimetri. In un angolo, l’incendio generato dall’unione della varichina ed un disinfettante per ceramiche ardeva ancora, lanciando fiammelle occasionali nella trincea di materassi e coperte che il verde era riuscito a crearsi fra un lancio ed un insulto. Il tutto, per altro, piovuto miracolosamente assieme ad una pioggia di minacce da un oblò di un metro per qualcosa. Ah, la forza dell’amour.
- Franky, dammi una mano ad uscire vivo da qui. – lanciò uno sguardo alla ragazza, ancora brandente una specchiera, e sorrise - …possibilmente con il cuore di quel bocciolo delicato palpitante fra le mie mani. – concluse infine, in un monologo degno della peggior soap opera serale.
Il cyborg scosse la testa in un gesto di disappunto. Avesse impiegato meno tempo ad inseguire quella povera mocciosa e di più a costruirle un regalo decente, qualcosa di Super come i suoi slip ricamati per Rufy, ad esempio, adesso probabilmente lo spadaccino non si sarebbe ritrovato in una situazione simile. Ed invece eccolo lì, a correre come una lepre molo molo nel vano tentativo di evitare il sesto water di quella serata.

Però! Non ricordava di averne messi così tanti.
“Ho la super soluzione al tuo problema, fratello!” facendo scivolare le lenti lungo il naso, il carpentiere fece sfoggio di uno dei suoi ghigni migliori. “Qualcosa che farà sciogliere la tua bambola come neve al sole!”
- Un libro di sonetti? –  tentò il verde.
“No.”
- Una raccolta di poesie? –
“Macchè!”
- Una canzone? –
“Seriamente… conosci qualcuno che ha fatto colpo in un modo così ridicolo?! No, io ho di meglio!” fece una pausa ad effetto ed infine continuò “…nelle mie mani custodisco il diario segreto di Sanji!”
- … -
“Zoro?”
- Te lo sogni che mi presto a simili bassezze! Io non… - l’armadio a sette ante della stanza di Robin gli precipitò di fianco, mancandolo di pochi metri. Il cacciatore levò lo sguardo alla finestra da dove, a fatica, la rossa stava facendo emergere la parete attrezzata dello studio di Chopper. Sei metri per cinque, per la cronaca.
Chinando la testa mestamente l'uomo si limitò a sillabare:
- Prima. Frase. – Franky ridacchiò divertito e dopo aver sfogliato freneticamente le prime pagine di introduzione - ornate curiosamente da disegnini a forma di ricciolo o cravatte di dubbio gusto - parve giungere finalmente ad una frase di rilievo. Si schiarì la voce ed incominciò a suggerire.
“Io non son venuto qui per imbrogliarti…”
- … ma per dirti la verità, Nami. Niente menzogne adesso, niente giri di parole. – i lanci parvero arrestarsi. Con ancora una cassettiera in mano, quella degli slip del carpentiere questa volta, la navigatrice si limitò a sussurrare un  “Ti ascolto” .
Zoro sorrise compiaciuto e continuò il proprio monologo proveniente dalla parte più profonda di sé. O dalle pagine profumate alla camomilla di Sanji, che si preferisca.
“E la verità, piccola mia, è che tu per me sei…”
- …una rana cotta a vapore. Da bagnare successivamente con abbondante vino bianco e…- il fragore del mogano infranto contro la testa dello spadaccino non permise al prestante Alfonso, sfuggito appena pochi istanti prima alla tirannide dell’anziana vedova Paolini, di cogliere l’intera ricetta. Una delle tante appuntate nel diario del biondo, fra le occasionali rime d’amore.
Distinzione a cui per l’appunto, il cyborg, parve non prestar caso fra i tanti cuoricini di cui quell’agenda era contornata.


Diede un ultimo colpo con la punta del martello e poi si allontanò, contemplando soddisfatto il proprio capolavoro da debita distanza. Quindici chili di rivestimento in puro metallo equamente divisi per uno spessore di tre metri, tenuti fermi da punte acuminate ricavate dall’ultima ceretta del cyborg e collegate da una fitta rete di ventiquattro metri di filo spinato.
In altre parole un bunker a prova persino delle più prolungate gare di peti fra capitano e carpentiere.
Il sorriso sulle labbra del cecchino si arcuò maggiormente, fino ad arrivare quasi a sfiorare i lobi di entrambe le orecchie.
- Adesso sì che si ragiona! – si limitò a sillabare in una risata smozzicata ed insolitamente alta.
- Voglio proprio vedere ora come quella versione pervertita di una dea Kalì oserà più attentare alle mie grazie! –
La spiacevole sensazione di un intero squadrone della morte di dita vogliose abbarbicate nella zona del basso ventre lo aveva spinto, quel pomeriggio, a rivedere fermamente le proprie priorità. Non che non si aspettasse una cosa simile da una persona come Nico Robin.
Le volte in cui del resto lui ed il cuoco si fossero ritrovati a scommettere su chi fra un uomo con le palle d’acciaio - nel letterale senso del termine - ed una donna con una presa di ferro potesse averla vinta si sarebbero potute contare fin’oltre il centinaio.
Nei casi più fortuiti erano riusciti perfino a tirar su un congruo giro di scommesse, con la navigatrice a gestire abilmente gli introiti come allibratore.
In fin dei conti più della metà delle riparazioni della Sunny erano state fattibili proprio grazie ai persistenti ed irremovibili metodi di convincimento della giovane archeologa.
Ma con lui le cose sarebbero state diverse, non si sarebbe di certo fatto trovare impreparato.
- Se lo può sognare quella di poter fare altrettanto con il mio Gianleopoldo! – sentenziò quindi sicuro, indirizzando un’eloquente occhiata al di sotto dell’ombellico e ridendo ancora.
Aveva calcolato ogni cosa nei benché minimi dettagli e niente, neanche a Dio piacendo, sarebbe potuto andare storto. Se lo era ripetuto così tante di quelle volte che persino le sue labbra, al momento di riformulare la semplice affermazione, avevano trovato quelle parole tanto monotone quanto monocordi. Ed allora si erano limitate a ripeterle con un motivetto, qualcosa di insolitamente simile alla sigla di un Re dei cecchini o giù di lì.
Lo spettacolo doveva aver riscosso il suo dovuto successo, peraltro.
In nessun altro modo, altrimenti, Usopp si sarebbe potuto spiegare il perché di tutti quelli ortaggi, andati a male per lo più, di cui i vicini di imbarcazione gli avevano voluto fare omaggio. Un’anziana vecchietta, probabilmente sua fan accanita sin da Enies, gli aveva inoltre gridato “E chi mi ti pigghiava ‘nu corpu, strunz!” perifrasi che, senza alcuna ombra di dubbio, nel dialetto del luogo doveva avere a che fare con qualche elogio.
Il cecchino gonfiò il petto, tronfio e sicuro, ed alzando un pugno vittorioso al cielo si esibì in una delle sue pose plastiche migliori. Tutto questo ovviamente prima che un cocomero lo centrasse in pieno, con un lancio di rara abilità, stendendolo in un unico colpo.
- Riapri ‘dda fugna e te curco ieu, strunz! – ribadì sicura l’anziana vedova Paolini.
- Grazie, signora! Ma davvero non merito tanto! – si limitò a rispondere invece con altrettanta baldanza il ragazzo, certo della propria padronanza della lingua.
- ‘Boi ballare ‘nu tango? Ma sparate! –
- Voi mi lusingate, davvero! –
- Sai pi’ d’aundi to poi fa ‘nchianà u velo, bestia? – ed il cecchino avrebbe prontamente risposto, senza alcuna ombra di dubbio, un luogo non meglio precisato nella Grand Line, se solo lo scatto della serratura non lo avesse interrotto.
Alzò gli occhi al cielo. Guardò la porta che si apriva silenziosamente. La parete sbagliata rivestita con maniacale cura. Poi l’oblò, troppo piccolo per scappare. Infine nuovamente la porta.
Fu il delirio. Un brivido freddo pervase la schiena del ragazzo, scese fino allo stomaco, colpì le gambe che incominciarono a tremare vistosamente sbilanciando il cecchino e mandandolo a sbattere contro la protezione acuminata del legno, e solo a quel punto, boccheggiante ed ancora a terra, riuscì ad alzare nuovamente lo sguardo.
La maniglia della camera scattò rumorosamente.
- Nasone-san, sto entrando. -
Usopp pronunciò parole non ripetibili in un pubblico fandom.
La porta si spalancò con uno schiocco secco. E per un istante fu l’ombra di un assassino quella che il cecchino giurò di intravedere nel buio pesto del corridoio della nave. Con sega, maschera e tutto il resto.
Sospirò, rassicurato. Era salvo.
Questione di pochi istanti, il tempo che una mano fiorisse elegantemente dal legno curato del pavimento e si insinuasse ancora una volta nell’interno coscia. E sbiancò improvvisamente.
La giovane archeologa lanciò uno sguardo piatto allo sturacondotto, azionato di fresco e con le sei lame intente a vorticare nell’aria, alternando rotazioni orarie ed antiorarie. Spostò l’attenzione sul ragazzo, infine nuovamente sui rasoi.
- Ora, stando alle istruzioni, questo massaggio dovrebbe procurarti un lievissimo piacere. -
Il peso del macchinario sbilanciò un braccio che cadde in avanti e con un tonfo sonoro segò di netto i piedi del letto di Sanji.
Usopp deglutì in silenzio. L’archeologa sorrise seraficamente.
- Cosa ne dici? Incominciamo, Usopp-kun? –



Epilogo.


Si accese una sigaretta.
Per un’ultima volta si concesse di dare l’ennesima sbirciata fra le dita, tenute immobili davanti all’accendino per proteggere la fiamma. Poi alzò gli occhi al cielo, sbuffando una nuvoletta di fumo.
- Dannati idioti. -
Di tutte le situazioni che in minor modo gli sarebbero potute andare a genio quella, si ritrovò costretto ad ammettere, era senz’altro la più fastidiosa.
Un solo giorno. Era mancato un solo, dannato giorno e quegli idioti erano stati in grado di far quasi affondare l’intera nave, con annessi e connessi ancora a bordo. Buoni a nulla.
Per lo meno, constatò vistosamente più sollevato, Nami stava ancora bene. Anche se il motivo per cui avesse deciso di dormire sul posto di vedetta, nonostante la nave fosse praticamente coperta da entrambi i lati, gli fosse ancora sconosciuto.
Si strinse nelle spalle e con un movimento pigro del polso fece sprofondare una mano nella busta di carta ancora stretta fra le braccia. Estrasse una pera matura, di un rosa quasi elettrico ed un aroma amarostico.
La soppesò accuratamente con lo sguardo, infine le diede un morso deciso.
Un sapore corposo, di quelli che permangono ostinatamente in bocca anche dopo aver mandato giù più e più bocconi. Un buon sapore, ammise quasi inconsciamente.
Lampone forse.
Ne prese avidamente un altro boccone ricominciando a camminare in silenzio lungo il ponte della nave, facendosi strada fra i detriti di quelli che avrebbe giurato esser gli ultimi rimasugli di una rissa in piena regola. E fu solo nel momento in cui, giunto davanti alla porta della cambusa, e pestato quell’emerito imbecille, che si concesse di fermarsi.
Rimase per alcuni istanti con il piede immobile a mezz’aria, indeciso se staccargli la testa di netto oppure premurarsi di svegliarlo, chiedendo - oltremodo inutili - spiegazioni per quanto accaduto.
- Oi! Che hai da fissare tanto, idiota? -
Alla fine furono i sensi sopiti del cacciatore ad avere la meglio sui suoi buoni propositi.
Lo spadaccino alzò appena il capo, scuotendo poco nobilmente le tempie nel tentativo di metter a tacere quell’insensato cerchio alla testa, poi rivolse l’attenzione al compagno.
- Allora? – chiese nuovamente.
Sanji sorrise.

- Te l’ho mai detto che hai davvero due occhi magnifici, Marimo-chwan ~ ? -




Dal promontorio posizionato sul versante opposto dell’arcipelago, nel cuore della città di Ihy, il bambino sorrise.
- Te lo avevo detto io, Sanji. – si limitò a dire addentando voracemente un frutto, sbocciato pochi istanti prima ai suoi piedi in un tripudio di foglie e rami – L’amore non fa davvero alcuna distinzione. -

{ Voce solerte, amore concreto. Questo è il mio dono. }



FINE?


---
D
io, tre mesi .-.
Non merito davvero alcuna scusante.
È un ritardo assurdo perfino per una come me, lo ben so. Ma questo capitolo, credetemi, è stato realmente un parto. Esser giunta a conclusione mi sembra quasi un sogno.
Perché questa era una storia che DOVEVO finire. A breve dovrei mettere in cantiere qui sul fandom un’altra ZoSan e non potevo assolutamente permettermi di lasciare – l’ennesima, trama incompleta.

Spero soltanto che possa esser di vostro gradimento.

Ringrazio davvero davvero di cuore chiunque fin’ora abbia commentato, aggiunto questa storia fra seguiti, preferiti etc.

ARIGATUO’.
   
 
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