L’ALLEANZA
PREMESSA ALLA SERIE
Appena ho letto il nome Marlene McKinnon nell'Ordine della Fenice, ho sentito subito che un nome così bello doveva per forza avere una sua storia. Di Marlene (che per inspiegabili motivi ho sentito da subito come legata a Severus Piton) si sa ben poco, tranne la fine delle sue vicende. E' da lì che per me è partito tutto, dal finale, che ho inizialmente provato a raccontare in "Broken road", one-shot che poteva benissimo rimanere come racconto a se stante.
E invece no! Mi sono fatta prendere la mano e non sono più riuscita a staccarmi da questi personaggi,come sempre mi accade quando si tratta di Severus!
Mancava l'inizio della storia, e così è nato "L'alleanza", poi, pian piano, immaginare Piton negli anni della scuola si è rivelato per me imprescindibile dalla comprensione dell'uomo che è diventato, quindi sentivo il bisogno di immaginare i motivi alla base delle sue scelte, di vederle germogliare e di indagare nel passato il perché delle sue azioni future.
La serie è ancora in lavorazione, ho dei tempi a dir poco lunghi e sono stata ferma per anni, tanto che nel frattempo JKR ha pubblicato la conclusione della saga ;) Ed è ovvio a questo punto che il mio racconto, che inizialmente poteva essere un'ipotesi, ora, a saga conclusa, è fuori dal Canon (soprattutto perché non c'è traccia di Severus/Lily, che pure amo molto), ma ho cercato di rendere il tutto più verosimile possibile, per quanto riguarda la psicologia di Severus innanzitutto.
Non mi resta che augurarvi...buona lettura!(Se siete sopravvissuti alla premessa, of course)
Capitolo 1 (incrocio)
“Sei
sicuro di essere stato smistato nella casa giusta?”
Non
sembrava esserci sarcasmo nella voce della ragazzina e fu esattamente questo
che riuscì a fare aumentare ancora di più l’odio feroce che lui aveva dentro in
quel momento: quella sua espressione di comprensione mista a pietà.
“Nel tuo
caso invece è evidente di sì” rispose, continuando a camminare sotto il peso
della borsa carica di libri e senza degnarla di uno sguardo. Non era il tipo di
persona con la quale valesse la pena perdere tempo.
Ma a quanto
pare invece lei di tempo doveva averne in abbondanza se, dopo l’iniziale
sconcerto, aveva deciso di andargli dietro invece che occuparsi di passatempi
più interessanti. Sentiva i suoi passi dietro di lui ma era deciso a fare finta
di nulla. Ma cosa aveva fatto per meritarsi anche quella rottura?!
La tattica non sembrò dare i
frutti sperati: alla fine la ragazzina decise di superarlo e di pararsi davanti
al portone del castello impedendogli di entrare. Oh, certo, avrebbe anche
potuto darle uno spintone e scansarla ma le maniere brutali non rientravano nel
suo stile.
“Non riconosci il sarcasmo quando
lo senti?” sussurrò scrutandola con disprezzo malcelato.
“E tu non riconosci una semplice
domanda? Mica tutti hanno secondi fini.”
“Mica tutti sono dei sempliciotti
come i tassorosso…”
“Oh, basta, non me ne frega niente
di raccogliere le tue provocazioni. Mi chiedevo solo perché non ti decidi
ancora a dare prova di quell’orgoglio e di quell’astuzia di cui si fa gran
vanto la tua casa. Credo che potresti cambiare un po’ le sorti del gioco così…”
A questo punto la rabbia che aveva
dentro esplose senza più freni “GIOCO?!? Certo, è di questo che si tratta, per
te e per tutti gli altri! Oh, ma che divertente, guarda, il dio Potter e la sua
banda che si divertono a lanciare incantesimi a quell’eccentrico secchione di
Piton! E’ davvero un bel gioco per tutti! Eccetto per me forse…ma che importa?
Arrivederci.” Disse voltandole le spalle ed entrando nel castello.
La ragazzina rimase sulla soglia,
immobile. Non aveva il coraggio di seguirlo ancora, si era resa conto di aver
usato davvero poco tatto e ne era mortificata. Si sforzava sempre di dire e
fare la cosa giusta, cercando di compiacere tutti come le avevano insegnato,
mentre ora…sentì una lacrima pungerla dietro gli occhi.
Ma al diavolo, lei voleva solo
aiutarlo! E non voleva che per una parola usata a sproposito, senza alcuna
malizia, lui pensasse che anche lei si divertiva come gli altri alle sue
spalle. Perché se c’era una cosa sacrosanta era che Piton si vendicasse di
quegli idioti grifondoro e rendesse loro pan per focaccia. Non sapeva perché
volesse condurre con tanto fervore quella crociata…beh, a dire il vero lo
sapeva benissimo e dovette ammettere che alcuni motivi non erano dei più nobili
e altruistici ma cosa importava? Avrebbe fatto comodo ad entrambi un’alleanza.
Strinse i pugni e si avviò a testa
alta verso il portone.
Trovò Piton esattamente dove
immaginava.
Avanzò silenziosamente fino al
tavolo posto tra gli scaffali “Antiche rune” e “Erbe magiche” e si piazzò
davanti al ragazzo che, con il naso incollato ad un grosso libro e i capelli
davanti al viso, non l’aveva vista arrivare.
“Sono venuta a farti una proposta”
sussurrò.
Piton alzò la testa con un’
espressione di sommo fastidio ed evidente disgusto.
“Lo avevo sentito dire che i
tassorosso sono pazienti fino all’inverosimile. Mi ricordi molto un mulo.”
Non raccolse la provocazione
“Volevo scusarmi con te per aver usato la parola “gioco”, prima. Non era quello
che intendevo dire, mi dispiace. Nessuno più di me pensa che Potter e Black
siano dei perfetti stupidi pieni di boria. Puoi credermi.”
“Oh, grazie, sei molto premurosa.
Non mi ero accorto che fossero degli idioti. Mi hai davvero illuminato.” le
rispose con un ghigno sarcastico sul volto, prima di tornare a immergersi nelle
pergamene.
La situazione era talmente assurda
che sembrava comica. Ad entrambi. Lui vedeva una ragazzina che si era
incaponita a parlare con lui di cose ovvie e banali e lei non riusciva a
trovare la maniera di dirgli quello che voleva senza perdersi in frasi scontate
e sbattere la faccia sulle sue frecciatine.
Alla fine decise che l’unica via
era dirlo e basta.
“Tu devi fargliela pagare e io ti aiuterò.”
Questa frase suonò piacevolmente
nuova e curiosamente interessante alle orecchie del ragazzo. Certo, fra sé lui
la ripeteva molto spesso e aveva anche provato a metterla in pratica più volte
– già, come se fosse facile sorprendere Potter o Black, dal momento che erano
sempre scortati dalle loro guardie del corpo! Era solo quello il loro punto di
forza: il fatto di avere minimo due scagnozzi sempre attaccati al sedere - ma
sentirla dire da un’altra persona era una novità. Era ormai così abituato
all’adorazione che quasi tutta la scuola tributava alla ditta Potter&soci,
eccetto qualche mezzosangue di grifondoro e, ovvio, i serpeverde al completo,
che certo non si aspettava una tale dichiarazione di guerra e meno che mai da
parte di una piccola e insulsa tassorosso.
La cosa stuzzicava la sua
curiosità. E anche la sua prudenza.
“Ma io chi? Ci conosciamo, forse?”
le chiese.
La ragazzina parve sollevata:
aveva deciso di risponderle. Non era stato poi così difficile, pensò.
“Sono Marlene McKinnon, quinto
anno - disse porgendogli una mano piccola e paffuta - Ma puoi chiamarmi
Marnie.”
“E io sono Severus Piton. O
preferisci Sevvie?” rispose con un sorriso tanto grande quanto
affettato. Ma gli occhi ridevano davvero.
“Beh, vedo che l’autoironia non ti
manca. E’ un buon inizio.”
“Un buon inizio per cosa, scusa?”
“Per la nostra alleanza.”
Piton sollevò un sopracciglio. E
attese.
Infatti, ora che il difficile,
l’inizio, era passato, ora che lei aveva in qualche modo superato la soggezione
e anche un po’ il timore che quel ragazzo le incuteva - cavoli, sempre in
biblioteca, sempre con quei libri di dubbio argomento, aveva persino sentito
dire che stava sempre da solo perché aveva un grosso segreto da nascondere,
qualcosa di terribile che lui aveva fatto e che nessuno sapeva - ora, cominciò a parlare come un fiume in
piena della sua idea per farla pagare a Potter.
Sembrava inarrestabile,
gesticolava, ed il suo tono di voce stava cominciando seriamente ad alzarsi in
maniera poco consona ad una biblioteca. Un attimo prima che Madama Pince li
cacciasse via a pedate, Piton si alzò e prendendola per un gomito la trascinò
fuori fino ad un’aula vuota.
“Dunque è questo il tuo piano?”
Severus si scostò dalla finestra e si voltò a guardarla tra il pulviscolo che
galleggiava fra di loro.
Improvvisamente lei arrossì, in un
attimo consapevole che se lui le avesse riso in faccia, cosa non così
improbabile a dire il vero, oltre a sentirsi smisuratamente stupida avrebbe
anche perso l’unica occasione per vendicarsi.
Il ragazzo di fronte a lei era
serio.
“Perché dovrei crederti?”
“Che?” questo proprio non se lo
aspettava.
“Non fare la finta ingenua,
ragazzina. Lo sanno tutti che i tassorosso sono sempre stati i leccapiedi dei
grifondoro. Perché tu dovresti essere diversa, scusa? Chi mi assicura che non
sia tutta quanta una messinscena per convincermi e che poi non correrai a
spifferare tutto a Potter e gli darai un’ottima occasione per divertirsi con
me? Come se non ne trovasse già abbastanza da solo.”
Marlene si inalberò, anche se
piccola com’era sembrava abbastanza ridicola nel suo tentativo di affrontare il
ragazzo. “Guarda che dà fastidio anche a me l’adorazione che tutti i miei
compagni hanno per i grifondoro, cosa credi? Credi che sia bello vedere sempre
tutti che cercano di emularli, che li seguono in ogni cosa, che fanno tutto ciò
che gli chiedono? Sono talmente abbagliati che non si accorgono nemmeno di
quanto quelli là se ne approfittino…E io mi sono stufata. Non dico che
cambieremo le cose ma…” Lo guardò negli occhi con espressione supplichevole
ormai. A Piton per un attimo venne in mente un cucciolo di cane che aspetta
l’osso. Ma non era ancora convinto. Da quanto ne sapeva lui, non esisteva
nessuno che stesse dalla sua parte per puro senso di giustizia, ogni persona,
per ogni cosa, ha un suo fine, né altruistico né generoso, e chi professava il
contrario riusciva soltanto a trasmettergli una sgradevole sensazione di
ipocrisia.
Le piantò gli occhi scuri addosso.
“Non ci sto.” sibilò.
Alla ragazzina sembrò che il
pavimento diventasse all’improvviso più basso. “Pe…perché?” riuscì a mormorare.
“Perché non ti credo. E se non mi
fido non ne può venire nulla di buono, puoi capirlo perfino tu. O mi dici qual
è il vero motivo per cui hai deciso di usarmi oppure non se ne fa niente.”
Bastò appena un istante perché la
maschera di sicurezza e disinvoltura che Marlene si era costruita per
l’occasione cadesse miseramente. E ancora una volta si sentì sciocca e
insignificante.
Esattamente come allora.
Come nel momento in cui Sirius
aveva candidamente ammesso che era uscito con lei solo per riuscire ad
avvicinare la sua migliore amica, Eva Abbott, che però, in barba alla Sacra
Regola Numero Uno di ogni ragazza che si rispetti, si rifiutava di sognare
Black ad ogni ora del giorno e della notte, ostinandosi a non volergli
concedere alcun appuntamento. E così a Sirius era sembrata un’ottima idea
proporlo alla piccola Marlene, d’altronde lei era evidentemente cotta di
lui e di sicuro dopo lo avrebbe aiutato con Eva: un favore in cambio di un
favore. E poi era pur sempre una ragazza con cui divertirsi un po’, cosa che
lui non disdegnava affatto. Peccato che il patto non fosse stato controfirmato
anche da Marlene, che nel giro di una settimana era passata dall’indescrivibile
estasi che si prova a quindici anni quando un sogno impossibile si avvera, alla
più bruciante delusione della sua vita. Come se non bastasse, Sirius aveva
anche pensato di confessarle, senza nemmeno troppa malizia a dire il vero,
talmente a lui sembrava scontato, che il loro gli pareva uno scambio più che
equo: qualche bacio in cambio dell’aiuto per riceverne, lui stavolta, ben altri
da ben altra ragazza! Mai si era sentita più stupida, umiliata e
insignificante. Mai come in quel momento aveva sentito la rabbia salirle alla
gola. E mai prima di allora aveva deciso che si sarebbe vendicata per un torto.
Era questo che Piton voleva
sentire?
Ebbene, eccolo servito.
Severus osservava con gli occhi
socchiusi la ragazzina, mentre le guance le si facevano di fuoco e negli occhi
brillava una luce risoluta, a nascondere la vergogna che aveva provato e che
stava provando ancora nel ripetere la storia ad un estraneo.
E così Black era passato da idolo
incontrastato a verme schifoso. Chissà se sapeva di essersi fatto una nemica
giurata, pensava Piton.
Scrutò in silenzio la ragazzina
che gli stava di fronte, quasi impossibile pensare che potesse contenere tutto
quel risentimento. Ma l’orgoglio ferito fa miracoli, lo sapeva. D’altra parte,
con quella coda di cavallo striminzita, la frangia scura che quasi le copriva
gli occhi nocciola e la figura così indubbiamente infantile, ancora quasi completamente
priva delle attrattive che il corpo di una giovane donna che sboccia può
offrire, come poteva aver creduto di interessare sul serio a Black?!
Beh, quello poteva sempre aver pensato che anche lei faceva numero.
Ma comunque fossero andate le cose,
ormai le era passata. Buon per lei. Non provava comprensione per una che chissà
per quanto tempo aveva fatto di Black il suo ideale amoroso, dimostrando in
questo modo di non possedere una briciola di buon gusto. Ma gli piacque il suo
desiderio di rivalsa e il modo disarmante con cui, alla fine, aveva ammesso di
essere spinta solo da uno scopo egoistico. A questo poteva credere. Era
concreto.
Si poteva fidare.