Con rabbia getti nella valigia gli indumenti sparsi sul letto, mentre io rimprovero me stesso; avrei dovuto prevedere i segni invisibili che questa storia ha inciso su di noi, ma mi sono lasciato illudere dall’amore e dalla tua giovane audacia.
Ricordo ancora la notte quando accettasti di sopportare la clandestinità, spinta da una promessa che vorrei tuttora mantenere.
Non intendo perderti, così afferro un tuo polso ripetendo il consueto ritornello: “Resta, sistemerò tutto”.
Nel sentirlo ti volti, e il dolore nei tuoi occhi mi ferisce come la freddezza della tua voce: “No, non continuerò a sbagliare aspettando che la malattia la uccida”.
Qualcosa s’infrange: è il mio cuore nella certezza dell’addio.