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Autore: Trick    03/10/2009    4 recensioni
«L’Ordine della Fenice originario» ringhiò Moody. «Ho pensato che alla gente qui sarebbe piaciuto vederla».
Raccolta di One Shot dedicate alla Prima Guerra del mondo magico - Quarto capitolo: "A mani sporche", (Remus Lupin).
Genere: Guerra, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Non ci credo: sono riuscita ad aggiornare la mia raccolta sul primo Ordine della Fenice. Giuro non credevo possibile che la mia mediocre ispirazione sarebbe improvvisamente zampillata. Bastarda, fra l'altro, perché dopo mesi, e mesi, e mesi, e mesi e ancora mesi di nulla, decide bene di risvegliarsi ora. Ora, che sono quasi le tre e a me non restano che tre ore di sonno. È davvero una creatura bastarda. Anyway, domani mi imbottirò di caffè. Al solito, fra l'altro.
Non credo che io debba spiegare questo capitolo della Raccolta; anzi, non credo nemmeno che vi anticiperò il contenuto. Vi basti sapere che il protagonista è Remus (strano!).
L'idea mi era venuta rileggendo il punto di DH in cui Remus ammonisce quel rintronato di Harry dicendogli: «These people are trying to capture and kill you! At least Stun if you aren't preparated to kill!» aka «Finiscila di fare il pirla e spara granate serie». Remus ha le palle quadre in quel momento, sa che quella guerra fa affrontata senza troppi fronzoli e senza troppi ripensamenti. Altro che dispensatore di cioccolata. Ma nessun adulto è lo stesso di quando era giovane.
(I soprannomi dei Malandrini sono in lingua originale; non sono nemmeno paragonabili a quelli tradotti. Tutti gli altri termini, però, sono quelli dell'edizione italiana. I vari nomi di incantesimi e notizie varie sono state estrapolate dal sempre fido Lexicon).
Fine del comunicato, grazie e arrivederci.


A mani sporche


La vita umana va presa a piene mani”
(Goethe)


Alastor Moody conosceva bene il sapore della battaglia. Nel corso della sua carriera, ne aveva affrontate tante – troppe, forse. Aveva imparato a riconoscerle una dall'altra, a distinguerle fra quelle in cui si andava rischiando la vita, quelle in cui andava rischiando l'onore e quelle in cui si rischiavano entrambe le cose. La guerra aveva un particolare gusto agrodolce, che nulla al mondo era in grado di eguagliare; in certe battaglie, si era ritrovato inebriato talmente dal sapore dell'adrenalina, da desiderare di poterlo provare in eterno.
Non che per Moody fosse un diletto, in ogni caso: era un Auror – uno dei migliori, fra l'altro – ed il suo lavoro era spalleggiare la giustizia quando i tempi si facevano più cupi e maligni. Nonostante fosse pagato per scendere in battaglia, tuttavia, non si era mai ritenuto un mercenario. Al contrario, riteneva tale appellativo una grave onta per quello che la sua categoria rappresentava: i mercenari non erano altro che burattini al servizio del migliore offerente; gli Auror erano guerrieri al servizio del Bene e il loro onore non era negoziabile per definizione.
Tanti anni prima, quando aveva varcato per la prima volta la soglia del Quartier Generale degli Auror, al secondo livello del Ministero della Magia, si era ripromesso che avrebbe difeso l'Inghilterra dagli attacchi dei maghi Oscuri fino alla morte. Non ci sarebbe stata alcuna pensione, per lui: non l'avrebbe mai accettato. Sarebbe caduto in battaglia, stringendo con forza la bacchetta magica e fissando negli occhi un avversario più forte di lui.
O più fortunato, a seconda dei casi.
Sollevò lo sguardo dalla nebbia e dal sudiciume che avvolgeva i quartieri poveri dell'Essex e studiò nuovamente il ragazzo.
Remus Lupin aveva compiuto diciotto anni da poco più di un mese.
Moody era dell'idea che avesse notevoli potenzialità, ma che fosse ancora troppo giovane e inesperto per saperle sfruttare al meglio. Era perspicace e sapeva ragionare con rapidità e buonsenso: due caratteristiche che Moody aveva sempre ritenuto fondamentali per un mago. Ed era incline a rimanere in silenzio; una caratteristica che riteneva fondamentale per chiunque dovesse lavorare insieme a lui. Sarebbe potuto diventare un ottimo Auror, se solo avesse potuto.
Al momento, tuttavia, rimaneva solo un diciottenne spigliato e preparato, e Moody, per quanto apparisse rude e senza cuore ai più, sentiva di avere la sua incolumità fra le tante responsabilità di quella notte insidiosa.
«Ragazzo» ringhiò piano. «Come ti senti?».
Remus annuì nervosamente.
«Sono pronto, Alastor» sussurrò con voce roca. «E non ho paura» aggiunse determinato, guardandolo con serietà.
Moody lo fissò un'ultima volta e sogghignò nell'ombra.
Bravo ragazzo.
«Vigilanza costante» lo ammonì, indicandogli di seguirlo con la mano sinistra. «E spera di avere una buona stella, lassù, da qualche parte».


Quando si era reso conto di essere finito in un'imboscata, era già troppo tardi per evitarla. Un istante dopo, lui e Moody erano già circondati da cinque alte figure incappucciate.
Per un attimo, Remus dimenticò di respirare, poi, istintivamente, sollevò la bacchetta e la mirò dritta al petto del Mangiamorte che lo fronteggiava. Il suo Schiantesimo era stato incredibilmente preciso, ma poco potente; l'altro mago era stato capace di respingerlo con un Sortilegio Scudo di mediocre energia.
Colse un movimento con la coda dell'occhio e si scansò con un guizzo rapido. Un improvviso bruciore alla spalla sinistra gli fece storcere il naso, ma non riusciva a rendersi conto di cosa stava succedendo attorno a lui. Non sentiva né le grida, né gli incantesimi. Dov'era Alastor? Chi fra quei due Mangiamorte lo avrebbe colpito prima? Sarebbe morto quella notte?
«Corri verso Buffalo, attraversa il ponte!» sentì tuonare Moody. «ORA!».
Cos'è Buffalo?
Non ricordo.
Le gambe di Remus si mossero da sole: il ragazzo pregò che sapessero dove andare. Mentre saltava una cassetta di legno abbandonata sul ciglio umido di Gliwell Street, volse il capo indietro, spaventato. Cerco con lo sguardo la figura di Moody, ma non riusciva a vedere oltre la spessa coltre di nebbia dell'Essex. Sapeva che non avrebbe dovuto ignorare gli ordini di Moody – tantomeno in una situazione critica come quella – ma voleva avere la certezza che l'Auror fosse scappato a sua volta.
Volevamo sigillare il quartiere per intrappolare loro.
Ora non possiamo Smaterializzarci.
Siamo noi ad essere finiti in trappola.
Stava per tuffarsi nuovamente nella nebbia, quando una mano gli comparve improvvisamente davanti e tentò di afferrare il bavero del suo logoro e sciupato mantello. Incespicò sulle gambe e cadde all'indietro, senza distogliere lo sguardo dal Mangiamorte che lo sovrastava.
Lo vide sollevare con misurata lentezza la bacchetta...
Fu questione di un secondo.
Facendo forza sulla mani, calciò con forza lo stinco dell'altro mago, che si ritrasse con un gemito e perse di vista la propria preda. Remus si rialzò rapidamente, strinse la bacchetta e la indirizzò verso il terreno.
Merlino, aiutami.
«Dominusterra!» gridò con quanto fiato aveva in gola.
Un potente fascio luminoso colpì il suolo, e la terra attorno ai piedi del Mangiamorte iniziò a tremare, dapprima leggermente, poi con intensità crescente. L'uomo tentò di muovere un passo, ma i suoi movimenti erano scoordinati e presto perse l'equilibro e rovinò in una pozza d'acqua putrida.
Remus girò rapidamente sui tacchi e iniziò a correre con quanta più velocità avesse mai corso: dopo pochi istanti, tuttavia, il Mangiamorte gli era già alle costole. Il suo incantesimo gli aveva solo concesso un paio di secondi di vantaggio.
Sapeva di essere un bersaglio troppo facile da quella distanza. Si voltò improvvisamente e scandì rapido: «Lacarnum Inflamare!». Non aspettò di vedere l'esito delle fiamme da lui evocate; non ne avrebbe mai avuto il tempo. Riprese a correre e si infilò in un cupo portico di Pontoon.
«Lumos!».
Respirando affannosamente, guardò a destra e a sinistra, cercando di riconoscere la zona di Londra nella quale era finito. Riconobbe le luci del porto in distanza, e si gettò nella zona marittima con un moto di sollievo. Il canale di Buffalo non era molto distante dal porto dell'East End: oltre il ponte avrebbe potuto Materializzarsi in un luogo sicuro. Mancava meno di un miglio...
«Avada Kedavra!».
Si buttò oltre la cinta di una diroccata casa popolare dei quartieri poveri. La Maledizione si infranse con un boato a pochi passi da dove lui era prima.
«Dannazione» imprecò a bassa voce.
Attraversò di corsa il cortile interno, scivolando fra erbacce, pezzi di rottami abbandonati e fili arrugginiti. L'orlo del mantello si impigliò in un rovo, così Remus lo sfilò e mormorò nervosamente: «Wingardium Leviosa».
Diresse l'abito verso una scala d'emergenza del secondo piano, facendo attenzione che dal punto in cui lui era entrato fosse bene in vista, e si allontanò quatto quatto nel buio.
Scavalcò il muricciolo dall'estremità opposta e si ritrovò – con suo grande stupore – sull'argine di Greaving Dock, a poco più di cinquecento yard dal ponte di Buffalo.
«Alarte Ascendare!».
Precipitò al suolo ancor prima di rendersi conto di essere stato sollevato da terra. Atterrò sulla schiena con un tonfo sordo ed ebbe uno spasimo di dolore talmente intenso che rimase senza fiato. Boccheggiò e tentò di girarsi sulla pancia, sputando un grumo di saliva e sangue e cercando a tentoni la bacchetta. Fu sufficientemente fortunato da trovare immediatamente l'impugnatura, ma il Mangiamorte già lo sovrastava per la seconda volta.
«Credevi davvero di poter scappare da me?» sibilò perfidamente, inclinando il capo. «Hai idea di chi io sia, ragazzino?».
Respirando affannosamente, Remus riuscì a voltarsi ed ad arretrare di pochi passi dal Mangiamorte. Riverso nel fango, alzò tremante la mano e si pulì malamente il volto sporco: per un momento, un guizzo di onore e coraggio squarciò la paura che gli si leggeva negli occhi ambrati.
«Uno sporco assassino» mormorò con voce roca. «Nient'altro».
Il Mangiamorte gli scagliò un calcio violento ai reni, strappandogli un sommesso gemito di dolore e costringendolo a voltarsi sul fianco sinistro.
«Crucio!».
Ebbe l'impressione di essere trafitto da mille lance acuminate.
Oddio, fa' che sia veloce.
Nell'accecante impeto del dolore causato dalla maledizione del Mangiamorte, nella sua mente annebbiata riecheggiò un grido lontano.
«Ti prego... ti prego, non farmi del male! Ti prego... ti prego, va' via da me!».
Gli artigli squarciarono ferocemente la sua pelle candida di fanciullo.
La sua carne si stava squarciando.
Le zanne penetrarono con ingordigia nell'incavo del suo piccolo collo.
I suoi muscoli stavano bruciando.
Le sue ossa si spezzavano come giunchi sottili.
Pietà, basta!
Il Mangiamorte sferzò nuovamente l'aria con la propria bacchetta: tremante, Remus rimase con la schiena a terra, gli occhi serrati e le braccia spalancate verso il cielo stellato. Non ricordava di aver mai avuto la mente tanto sgombra come in quel momento.
Sto per morire.
Buon Dio, non riesco a rendermene conto.
Dunque morire è questo.
«Alzati, animale» ordinò imperioso il Mangiamorte. «Alzati!» gridò ancora, sollevando con disprezzo per il colletto logoro del mantello e gettandolo lontano. Remus barcollò diversi secondi, stringendo con forza il braccio destro: nonostante fosse ancora intorpidito dalla tortura appena subita, ebbe la netta impressione che fosse rotto. Ghignando beffardo, il Mangiamorte gli lanciò la bacchetta, che cadde a pochi passi dal suo piede.
«Raccoglila» intimò stentoreo.
Apatico, Remus abbassò lo sguardo verso il suolo e, lentamente, si inginocchiò nella melma e strinse la mano sinistra all'impugnatura di frassino.
«Tredici pollici di lunghezza con un nucleo di corde di cuore di drago; un degli esemplari femmina più brillanti dell'allevamento del clan dei MacFusty, se non vado errato. Niente male, giovane Lupin. È una grande bacchetta, non c'è che dire. Pare che tu sia destinato a risultati altrettanto grandi».
Era la sua bacchetta: la possedeva da oltre sette anni. Con lei aveva imparato i primi rudimenti di magia – l'incantesimo di Levitazione fu il primo, in effetti – e, di tanto in tanto, l'aveva aiutato a credere di non essere poi così tanto diverso dagli altri ragazzi.
Sono un mago.
Strego gli oggetti.
Sono un lupo mannaro.
Uccido le persone.
Cosa sono, io?
Il sorriso del Mangiamorte era quanto di più ripugnante avesse mai visto. Con la coda dell'occhio lo vide alzare il braccio con il quale impugnava la bacchetta.
Fra due secondi sarò morto.
Il ghigno si contorse in un'espressione di pura malvagità.
Un solo secondo.
Un solo respiro.
Le sue labbra si stavano schiudendo.
Ora.
«AVADA KEDAVRA!».


Seduto sul freddo marciapiede che costeggiava le deliziose villette di Godric's Hollow, Remus Lupin si rigirava la bacchetta fra le mani sottili, osservando con sguardo perso un punto indistinto davanti a lui.
L'autunno era ormai alle porte: la nebbia andava infittendosi giorno dopo giorno e il vento soffiava sempre più gelido. Quella sera, tuttavia, non pareva in grado di avvertire la brezza pungente, nonostante Indossasse una semplice maglietta di cotone grigia – sfilata lungo i bordi, ma perfettamente linda.
Un cadenzato e calmo suono di passi alle proprie spalle lo distolse dall'incessante fluire dei propri ragionamenti. Il suo udito – di un poco superiore alla norma – avrebbe riconosciuto quella lenta camminata fra mille.
Albus Silente.
«Si preannuncia una notte tormentosa» affermò pacatamente la voce dell'anziano mago. «E anche tu mi sembri tormentato, Remus. Cosa ti angustia, se mi è concesso chiedere?».
Remus rimase in silenzio e deglutì faticosamente. Scosse il capo.
«Nulla, signore».
Dietro di lui, Silente sorrise amaramente.
«Non addossare altri fardelli a quelli che già ti sei costretto a portare» disse. «Non avresti potuto fare diversamente; non colpevolizzarti più di quanto non sia necessario».
«Ho ucciso un uomo!» sbottò infine Remus, voltandosi e fissandolo angosciato. «Come può dire questo!?».
Silente fece un profondo respiro.
«Capisco cosa stai provando, Remus».
«No, signore...» mormorò flebile lui, scuotendo debole il capo. «Lei non può capire».
«Uccidere è molto più difficile di quanto appaia agli occhi di chi non l'ha mai fatto» parlò piano Silente, scrutandolo con intensità disarmante. «Lascia un segno indelebile che ognuno di noi sarà costretto a portare fino alla fine dei suoi giorni. I tempi si faranno sempre più duri, Remus. Le battaglie sempre più pericolose. In virtù di ciò, resti comunque libero di scegliere da te la strada che ti è più congeniale. Se preferirai allontanarti da tutto quello che la guerra rappresenterebbe per te, non potrei che comprenderti. Se preferirai restare per combattere tutto quello che la quella rappresenterebbe per il mondo intero, non potrei che apprezzarti».
Remus emise un lungo sbuffo.
«Non faccia leva sul mio senso del dovere» disse. «Non ne vale la pena».
«Al contrario, Remus. Non credo che ti renda conto del talento che possiedi».
«Uccidere la gente? Molto talentuoso, davvero» ribatté con un velo di sprezzo. «Professore, conosce meglio di me l'esecuzione di una Maledizione Senza Perdono».
Silente non lo interruppe.
«Bisogna volerlo» concluse Remus in un sussurro. «Bisogna desiderare di uccidere qualcuno. E se io ne sono stato in grado...» lasciò cadere la frase nel nulla, affondando la testa nelle mani.
Mani sporche.
Assassino.
«Sai chi era quell'uomo, Remus?» domandò a bruciapelo Silente.
«Devlin Wilkes» rispose atono lui.
«Sì» mormorò stancamente l'altro. «Devlin Wilkes. Complessivamente, il Ministero presume che la sua collaborazione con Lord Voldemort abbia portato alla morte di una quarantina di Babbani e alla tortura di almeno un centinaio di loro» Silente si fermò un attimo. «Ed era presente la notte in cui vennero aggrediti i Bones».
Remus trasalì, stringendo gli occhi e serrando le labbra.
«Avrei fatto giustizia, dunque? È questo che mi sta dicendo?» rispose debolmente. «Uccidere un assassino non è una colpa? Professore, io... io volevo la sua morte».
Gli occhi azzurri di Silente parvero trapassarlo da parte a parte.
«Tu non sei come lui,(*) Remus. Tu sei un giovane di grande coraggio, di notevole intelletto e di ammirevole altruismo. Dovresti smetterla di convincerti di essere un mostro».
«Ti prego... ti prego, va' via da me!».
Io non sono un mostro.
«Per favore, non farmi del male...».
Ho ucciso un assassino.
«AVADA KEDAVRA!».
Cosa sono, io?
«Cosa farai, Remus, se mi è permesso domandartelo?».
Remus scosse il capo, distratto.
«Non lo so».
Forse, non l'ho mai saputo realmente.
In effetti, ci sono molte cose che non ho mai – mai – saputo realmente.
Cosa sono, io?
Chinò lo sguardo e osservò le proprie mani, sfiorando con estrema lentezza una sottile cicatrice che attraversa l'intera larghezza del suo dorso sinistro.
«Hai delle mani assurde, Moony».
Studiò con calma meticolosa ogni falange ed ogni nocca.
«Hai ragione, Padfoot. Moony, nemmeno una ragazza ha delle mani così pulite e curate. Bisognerà fare qualcosa, a riguardo».
Pulite?
Perché continuava a vederle sporche?
Cosa sono, io?


___
(*) Nel caso non fosse chiaro, Silente si riferisce a Fenrir Greyback.

   
 
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