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Autore: Guitarist_Inside    08/10/2009    2 recensioni
Una giovane chitarrista che vive per e grazie alla musica. Un suo concerto e un incontro alquanto particolare. Una proposta ancora più singolare, forse un po’ azzardata. Un grande sogno che si avvera. Ma con questo prendono forma anche confusione, preoccupazioni, timori, titubanze, paura di deludere… Senza tralasciare però grandi e appaganti emozioni, felicità, gioie, soddisfazioni…
Questa è la prima fanfic che posto (a dir la verità mi ha “convinto” una mia amica a postarla…) spero vi piaccia... (non fermatevi solo ai primi capitoli xDD)
PS: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo. Ogni singola parola scritta in questa fic è soltanto opera della mia fantasia e non racconta fatti successi realmente.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La custodia della mia chitarra in una mano e l’amplificatore nell’altra. Il freddo vento di un 18 novembre soffiava in direzione contraria a quella in cui procedevo io. Mi fermai, per abbottonarmi meglio il giubbotto e per far riposare qualche secondo le braccia affaticate dal camminare portando gli strumenti. Davanti a me vidi una ragazza: anche lei camminava controvento, e imprecava cercando inutilmente di levarsi i capelli dalla faccia e tenerli fermi, ma il vento aveva sempre la meglio con quei capelli imbizzarriti che continuavano a muoversi e ad appiccicarsi alla sua faccia pochi secondi dopo che lei li aveva appena cercati di sistemare. In un certo senso era una scena comica, e non potei fare a meno di sorridere, ringraziando di avere i capelli corti: il vento riusciva sì a scompigliarmeli più di quanto già non fossero, ma almeno avevo la visuale libera. Poi la ragazza girò l’angolo e non la vidi più. Raccolsi la chitarra e l’amplificatore e continuai a camminare, col vento che mi sferzava la faccia. A un certo punto svoltai in una strada di sinistra, poi a destra… In quella via il vento era meno forte, e potei aumentare l’andatura.
Continuai a camminare finché non raggiunsi il locale. Entrai. Il palco era già stato allestito e gli altri due chitarristi che si sarebbero esibiti erano arrivati. Li raggiunsi e appoggiai anch’io la chitarra e l’amplificatore in un angolo dietro al palco, con grande sollievo delle mie braccia… Salutai i due. Uno aveva grossomodo la mia età, l’altro qualche anno in più. Tirai fuori la chitarra dalla custodia per provare anch’io i pezzi che avrei suonato. Appena la vidi, mi sentii meglio, mi tornò l’energia e l’entusiasmo: aveva un potere speciale su di me quella chitarra, l’avevo sempre detto. La mia “Baby Billie Joe”, la mia Gibson Les Paul Junior Billie Joe Armstrong, di colore bianco: la chitarra che avevo tanto desiderato e che avevo aspettato pazientemente e testardamente per sei mesi e mezzo dall’ordinazione, che mi aveva accompagnato nei momenti difficili, che era stata al mio fianco anche in quelli belli facendomi esprimere la mia felicità… Me la misi a tracolla e iniziai a suonare.
Smettemmo tutti e tre alle 8; verso le 9 avremmo cominciato a suonare. Quella sera, infatti, quel locale di una via appartata del centro di Milano, aveva organizzato una serata in cui tre chitarristi (noi tre appunto), a turno, avrebbero suonato per circa un’ora a testa. Nonostante fosse in una via appartata, il locale era abbastanza ampio, il più ampio in cui avessi mai suonato da sola. Potevamo eseguire due o tre pezzi nostri e, per il resto, cover di band a nostra scelta. Iniziava a suonare il ragazzo della mia età, poi quello poco più grande, e infine io. Non mi dispiaceva avere l’ultimo turno, anzi... Comunque, come stavo dicendo prima, smettemmo di suonare verso le 8 e andammo a mangiare: il cibo era gratis, come le bevande, dato che suonavamo in quel pub. Ordinai una pizza e una birra. Ridemmo un po’ per sciogliere la tensione. Poi, arrivarono le 9. Nel locale c’era già un po’ di gente, e il primo chitarrista salì sul palco. Suonò per un’oretta, poi iniziò il secondo, con pezzi più sul metal. Verso le 11 finì anche lui. Toccava a me.

   
 
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