Grazie a tutti per i commenti al primo
capitolo, e per la fiducia che nutrite sempre nei miei deliri. L’idea per
questo è nata su Twitter, per cui un
grazie speciale va alle ragazze che mi hanno fomentata XD
In molte avete scritto della somiglianza con
La ricerca della felicità: posso dirvi con certezza che ‘padre povero e single
con figlio da mantenere’ è l’unica somiglianza che troverete.
Ve ne renderete conto in questo capitolo.
Buona lettura
Capitolo 2
Una settimana dopo
“Daniel, so che le
verdure sono disgustose… ma devi mangiarle… andiamo.” Con una mano reggo lui
sulle ginocchia, con un’altra cerco di infilargli il cucchiaio in bocca. Alla
fine, giocando all’aeroplano, riesco a farcela. Ogni tanto butto l’occhio sul
giornale degli annunci di lavoro, ma ciò che leggo è tutto ciò che ho fatto e
in cui ho fallito finora.
Quando sento
bussare alla porta so già che si tratta di mio fratello Jasper, per cui dico
‘Avanti’ senza scomodarmi.
Jasper si è
laureato da poco in legge, e sgobba come associato in un
studio di avvocati. E’ il più piccolo di noi, quello più freddo, diplomatico.
Qualcuno potrebbe dire che è un difetto, secondo me non lo è.
Al mondo d’oggi, la
pelle da elefante è ciò che serve per sopravvivere.
La mia? La mia è pelle
sempre più sottile.
“Ehi, Edward…” Jasper
mi appoggia la mano sulla spalla, prima di piegarsi fino a raggiungere mio
figlio. “Ehilà, campione. Mangia tutto, eh!”
Daniel gli sorride
e allunga le braccia per raggiungerlo. Jasper l’afferra, e lascia andare il suo
giornale sportivo sul tavolo. “Come va?”
“Bene,” rispondo.
“Hai trovato
qualcos’altro?”
“Non ancora, sto
cercando,” rispondo, sventolando il giornale degli
annunci.
“Te l’ho detto,
Edward… se vuoi posso chiedere ad uno dei soci dello studio per un posto come…”
“No, Jasper. Ti
ringrazio, ma non ne ho bisogno.”
Lui sistema Daniel
nel passeggino, pronto a portarlo al parco come fa ogni giorno. “Tuo padre è un
testardo, campione… non prendere esempio da lui.”
Imbocca il
corridoio, ed appoggia di nuovo la mano sulla mia spalla. “A dopo, Ed.”
“A dopo.”
Dopo aver sistemato
la cucina e la cameretta di Daniel, riprendo a sfogliare il giornale, da capo.
Percorro col pennarello ogni singolo annuncio. Pescatore in Alaska, sostituto
postino a Chicago, babysitter per le ore serali.
Certo, sarebbe
fantastico. Io a fare il baby sitter, con l’incombenza di dover chiedere a
qualcuno di badare a mio figlio. Non
posso chiedere anche questo alla mia famiglia, e non posso disturbare ancora
una volta la dirimpettaia, la signora Dwyer: il mese scorso Renée si è offerta
di badare a Daniel per un paio di ore e mi ha detto che l’avrebbe rifatto
volentieri, ma non posso approfittare della sua disponibilità.
Una volta finiti
gli annunci di lavoro, passo a sfogliare distrattamente il giornale sportivo
lasciato da Jasper. Mi aggiorno sul campionato di baseball: una volta seguivo
diligentemente ogni squadra, scommettevo, viaggiavo con gli amici per andare a
vedere le partite. Adesso è già tanto che riesca a sapere i risultati una volta
ogni venti giorni.
Alla fine del
giornale scorgo, fra i vari trafiletti, un paio di annunci: colf di origini
latino-americane e ambosessi per lavoro da casa, ben retribuito.
Ho imparato, negli
ultimi tempi, che questo tipo di annuncio nasconde sempre qualcosa di losco.
Truffatori che chiedono soldi in cambio di un lavoro inesistente o, peggio
ancora, linee erotiche. Osservo meglio l’annuncio, e le
parole ‘ben retribuito’ mi fanno gola, lo ammetto. Magari non è un
lavoro losco, magari potrei guadagnare davvero qualcosa.
“Chi voglio
prendere in giro…”
Lascio il giornale
sul tavolo ed esco, cercando di non pensare, cercando invece di sperare.
Due settimane dopo
“Come sta?” chiede
Emmett, affacciandosi nella camera di Daniel.
Io gli sto accanto,
guardandolo mentre dorme, in una culla che ormai è troppo piccola per lui.
“Meglio, la febbre è scesa,” sussurro, accarezzandogli
i capelli chiari. Tendono al biondo, come quelli di Tanya.
In compenso ha i
miei occhi, verdi, e il sorriso allegro di mia madre.
Mi alzo dalla sedia
e raggiungo Emmett in cucina, afferrando una fetta di pizza dal cartone.
E’ fredda.
“Grazie, Em. Per le
medicine… per tutto.”
“Non ringraziarmi.
Lo sai che sono sempre a disposizione per te. E per mio
nipote.”
Emmett ha un anno
in più di me, ed è capo redattore presso un quotidiano di Seattle. Ha scelto la
via della gavetta fin da ragazzo, cercando di emanciparsi presto dai nostri
genitori. “Per le medicine… non ho detto a papà che erano per te, come mi hai
chiesto di fare.”
“Grazie.”
Restiamo in
silenzio a fissare la televisione per un’oretta, poi mi saluta e torna al suo
appartamento.
Il fondo è vicino,
posso sentirlo.
Non sono più in
grado di provvedere al mio bambino, e sono troppo testardo ed orgoglioso per
tornare dai miei, per chieder loro aiuto.
Forse è giunto il
momento di cedere ai famosi compromessi, forse è giunto il momento di tentare
qualcosa di losco. O di potenzialmente losco.
Il mattino dopo,
alle
Busso alla porta
della signora Dwyer, e lei mi dice che non c’è alcun problema: baderà a Daniel
durante la mia assenza.
E’ una donna
gentile, simpatica, con un marito più giovane di lei e una figlia che ha
iniziato il liceo da poco: la vedo ogni mattina, mentre prende l’autobus sotto
casa. L’unico difetto di Renée, a volerne cercare uno, è il fatto che le piace
parlare. Tanto.
Spesso – quando ci
becchiamo nelle scale – sono costretto ad ascoltarla e a fingere di essere
interessato. Mi parla del suo cagnolino, del lavoro di suo marito, e credo che
una volta mi abbia perfino detto di avere una figlia più grande. Non ne sono
convinto, però: non presto molta attenzione a ciò che dice.
Come immaginavo, il
lavoro consiste nel rispondere ad una linea erotica. Gli orari sono flessibili,
e si è pagati per ogni minuto di conversazione. Numero personale (come sono
lontani i tempi in cui possedevo un telefono aziendale) per le chiamate e un
computer per gestirle.
Ho accettato? Sì.
La signora non mi
ha chiesto un curriculum, non mi ha chiesto dei documenti, non mi ha chiesto
niente. Mi ha consigliato di usare un nome fittizio, di non dare mai a nessuno informazioni personali, e di accontentare tutti:
clienti contenti, clienti che restano al telefono, clienti che richiamano, più
soldi per me. Mi ha dato un portatile, un paio di cuffie da collegare, e una
lista fotocopiata di frasi standard da dire per “riscaldare i clienti e
metterli a proprio agio.”
Dall’ufficio in
centro, lei terrà il conto dei miei minuti, e ogni due settimane andrò a
riscuotere la mia paga.
Squallido? Molto.
Ma davvero non so
più che fare.
Torno a casa e
ringrazio la signora Dwyer per la cortesia.
Una volta solo,
accendo il computer e sincronizzo le impostazioni che mi sono state date. Dopo
qualche secondo, si apre un pannello chiaro che mi avverte di una chiamata in
arrivo. Tremo come un ragazzino, infilo le cuffie e schiaccio Invio, ma la
chiamata dura meno di mezzo secondo: chiudo il programma immediatamente, come
se potesse scoppiarmi in faccia.
Era una chiamata
per me? Cercavano me? Cosa dovrei dire? Era una donna? Un uomo?
La signora mi ha
detto che gli uomini ricevono prevalentemente chiamate femminili. Ciò non
esclude che potesse trattarsi di un individuo di sesso maschile.
Spengo il computer
e lo ripongo nell’armadio, ripromettendomi di provarci a notte fonda.
-
In camera mia,
riaccendo il portatile e mi connetto al programma che da un centralino smista
le chiamate ai singoli operatori. Sistemo le cuffie, dotate di microfono, e
aspetto.
Rileggo la lista, e
decido che il mio nome sarà Mark.
Dopo un paio di
minuti arriva la prima (o meglio seconda, contando quella di stamattina)
chiamata. Penso a mio figlio, che dorme beato nella camera accanto. Penso ai
miei compagni di college. Penso a Tanya.
“Ciao, tesoro… sono
Mark,” esordisco, meravigliandomi di quanto la mia
voce sia sicura.
“Um…
ciao Mark. Mi chiamo
Carol…” Osservo la lista, e mi colpisce uno dei punti: ‘tieni
viva la conversazione, in particolare con gli insicuri. Non farli riagganciare.’
“Ciao Carol… quanti
anni hai?”
“18, tu?”
Altro consiglio: ‘non hai mai più di 25 anni. In questo modo piacerai alle
giovani e alle meno giovani.’
“23 anni, Carol… Ho
ventitré anni. Sei a casa, tesoro?”
Mi faccio schifo.
“Sì… come sei,
Mark? Ti va di descriverti?”
“Certo, tesoro.”
Non ho motivo di mentirle anche sul fisico, per cui mi descrivo per quello che
sono in realtà: capelli castani, con qualche striatura rossa; occhi verdi,
fisico scolpito (una volta lo era, oggi lo è di meno).
“Sei
carino…”
“Grazi, Carol…”
Sento che siamo arrivati al momento fatidico. Siamo giunti al motivo della sua
chiamata, il motivo per cui sono qui, il motivo per cui si chiama linea
erotica.
“Mark… dimmi
qualcosa…” dice lei, abbassando il tono della voce.
“Cosa vuoi sentirti
dire, piccola…” Sospiro e cerco di sembrare coinvolto, ma la realtà è che
vorrei chiudere la comunicazione, gettare computer e cuffie dalla finestra e
farla finita anche con questa storia.
Ma non posso.
“Non lo so… dimmi
qualcosa per farmi eccitare…”
Chiudo gli occhi e
sospiro di nuovo, prima di riaprirli e concentrarmi sul mio nuovo ‘lavoro’.
Ripenso a mio figlio, ed inizio a parlare.
Come consigliato
sulla lista, inizio con qualcosa di soft, per intrigare e far riscaldare la
cliente. Le chiedo cosa vuole, e lei – minuto dopo minuto – si eccita e diventa
più spregiudicata.
Carol mi dice che
si sta toccando pensando alla mie dita, io le dico di
muoverle e di immaginare che siano le mie. Le dico che la sto baciando,
leccando. Le dico ciò che vuole sentirsi dire, fino a che gode. Al telefono.
‘Grazie’ a me.
Durata della
chiamata: poco più di 10 minuti. Guadagno netto: 6 dollari.
Il prezzo di una
confezione di Aspirina per Daniel.
Dieci giorni dopo
“Ciao, Mark… sei
stato fantastico anche stasera…”
“Sono stato
fantastico solo per te, Deborah… ti adoro,
buonanotte.”
Chiudo la
comunicazione, tolgo le cuffie e le getto sul letto. Spengo il computer,
dicendomi che un’ora di telefonate può bastare, almeno per stanotte.
Deborah è una delle
tante clienti che chiama appositamente per me. Chiede di Mark, al centralino,
perché sembra che Mark sia il suo stallone preferito.
Nell’ultima
settimana ho ricevuto molte chiamate, e secondo un rapido calcolo ho guadagnato
una cifra che al momento mi sembra stratosferica. So che se accendessi il
computer anche di giorno lavorerei e guadagnerei di più, ma non posso fingere
di gemere quando Daniel è sveglio, e inoltre di giorno vado comunque in giro
alla ricerca di un lavoro ‘normale’.
Non voglio morire
facendo l’operatore di una linea erotica.
Le chiamate che mi
giungono sono diverse: ragazzine alla prima esperienza, che chiamano in gruppo,
sghignazzano e riagganciano dopo aver urlato qualche volgarità nella cornetta;
ragazze che mi descrivono nel dettaglio cosa vorrebbero fare col mio sesso, e
che non si fanno problemi a farmi sentire il rumore del proprio vibratore.
Coppie… persino delle coppie, le quali hanno bisogno della mia voce per fargli
compagnia durante l’amplesso.
Grazie al computer,
mi rendo conto che tante donne restano in attesa della mia voce, quando sono
occupato in precedenti chiamate. Due di essere (entrambe ultra quarantenni) mi
hanno chiesto il numero di telefono, e un appuntamento dal vivo, ma ovviamente
ho rifiutato.
Ieri poi, ho
ricevuto anche la chiamata di un ragazzo, chiaramente gay.
Ho resistito due
minuti esatti, quando poi mi ha chiesto di sentire come glielo succhiassi, ho
avuto un conato e ho chiuso la comunicazione.
Ho ancora dei
limiti.
Non è un lavoro
decoroso, o gratificante. Me ne vergogno, infatti
nessuno sa cosa faccio.
Ma è il lavoro che
fra cinque giorni mi permetterà di rifare la spesa e, forse, di pagare qualche
bolletta.
Un mese dopo
“Cento, duecento,
trecento, quattrocento. Ecco a te, Edward.”
“Grazie,” rispondo, raccogliendo i soldi e voltando le spalle.
“Ehi… toglimi una
curiosità: cosa gli farai mai alle donne? Chiedono tutte di
te, al centralino.”
Sorrido alla
signora e scuoto la testa, uscendo in strada.
E’ vero, in molte
chiedono di me, e per quanto squallido e triste possa sembrare, mi sono fatto
un nome nel mondo delle linee erotiche.
A detta delle mie
clienti sono naturale e passionale, e questa sarebbe la chiave di tutto.
Non ho idea di come
risulto al telefono, ma sono certo del fatto che fingo con tutte.
Sono una macchina.
Una macchina che deve far soldi, per mantenere suo figlio.
Con i soldi in
tasca, mi reco prima al supermercato e poi a pagare la bolletta della luce. Non
voglio rischiare l’ennesimo richiamo da parte della compagnia elettrica.
Vorrei informarmi
sulla possibilità di iscrivere gratuitamente Daniel all’asilo del quartiere: in
questo modo avrei più tempo libero, e potrei cercare un altro lavoro. Tuttavia,
sono trattenuto dal fatto che mi sento protettivo verso di lui, e non so in che
modo potrebbe reagire.
E’ forse troppo
piccolo per il nido?
In questi casi
sento il bisogno di una donna al mio fianco.
Torno a casa ed
approfitto dell’assenza di mio figlio (è con Jasper ed Emmett) per accendere il
computer qualche
ora prima. In questo modo, posso guadagnare di più.
Le chiamate piovono
immediatamente: solite clienti e nuovi numeri.
Rispondo in maniera
collaudata, rivolgendomi a tutte con nomignoli e frasi fatte: ormai non seguo
più la lista iniziale, ho fatto esperienza.
Le coccolo, le
faccio godere. Fingo di godere con loro, anche se nella realtà non sento
assolutamente nulla.
Sono una macchina.
Tengo il conto dei
minuti, li converto in monete, penso a come impiegarli mentre dico ad una delle
tante ragazze cosa vorrei che mi facessero. Le ascolto in silenzio quando
vogliono semplicemente essere ascoltate, e nel frattempo sfoglio i giornali con
gli annunci di lavoro.
Vado avanti per 3
ore, racimolando una discreta somma di denaro.
Osservo la lista
delle chiamate in attesa, e clicco sulla prima in ordine di entrata.
“Ciao, dolcezza…
sono Mark,” recito.
“Ciao,
Mark. Io sono Bella,” dice lei, e la voce non è solo bassa, ma insicura. Sembra
quasi che tremi. E’ alla prima chiamata, è una principiante.
“Ciao, tesoro… cosa
vuoi fare stasera?”
“Parlare. Vorrei solo parlare.”
---
Tadan!
Eccovi Bella.
Come vi sembra EroticEdward?
A me fa tanta tenerezza *___*
Il capitolo 3 arriverà dopo il 31 di Vicini,
per cui non lo attendete prima della fine di questa settimana
:*