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Autore: Stupid Lamb    14/10/2009    25 recensioni
Edward è vittima della recessione, ed ha un mucchio di responsabilità: come reagirà quando gli si presenterà un'opportunità tanto strana quanto allettante? - Mini FF - AU, AH, OOC
Genere: Romantico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Grazie a tutti per i commenti al primo capitolo, e per la fiducia che nutrite sempre nei miei deliri

Grazie a tutti per i commenti al primo capitolo, e per la fiducia che nutrite sempre nei miei deliri. L’idea per questo è nata su Twitter, per cui un grazie speciale va alle ragazze che mi hanno fomentata XD

In molte avete scritto della somiglianza con La ricerca della felicità: posso dirvi con certezza che ‘padre povero e single con figlio da mantenere’ è l’unica somiglianza che troverete.

Ve ne renderete conto in questo capitolo.

 

Buona lettura

 

Capitolo 2

Una settimana dopo

“Daniel, so che le verdure sono disgustose… ma devi mangiarle… andiamo.” Con una mano reggo lui sulle ginocchia, con un’altra cerco di infilargli il cucchiaio in bocca. Alla fine, giocando all’aeroplano, riesco a farcela. Ogni tanto butto l’occhio sul giornale degli annunci di lavoro, ma ciò che leggo è tutto ciò che ho fatto e in cui ho fallito finora.

Quando sento bussare alla porta so già che si tratta di mio fratello Jasper, per cui dico ‘Avanti’ senza scomodarmi.

Jasper si è laureato da poco in legge, e sgobba come associato in un studio di avvocati. E’ il più piccolo di noi, quello più freddo, diplomatico. Qualcuno potrebbe dire che è un difetto, secondo me non lo è.

Al mondo d’oggi, la pelle da elefante è ciò che serve per sopravvivere.

La mia? La mia è pelle sempre più sottile.

“Ehi, Edward…” Jasper mi appoggia la mano sulla spalla, prima di piegarsi fino a raggiungere mio figlio. “Ehilà, campione. Mangia tutto, eh!”

Daniel gli sorride e allunga le braccia per raggiungerlo. Jasper l’afferra, e lascia andare il suo giornale sportivo sul tavolo. “Come va?”

“Bene,” rispondo.

“Hai trovato qualcos’altro?”

“Non ancora, sto cercando,” rispondo, sventolando il giornale degli annunci.

“Te l’ho detto, Edward… se vuoi posso chiedere ad uno dei soci dello studio per un posto come…

“No, Jasper. Ti ringrazio, ma non ne ho bisogno.”

Lui sistema Daniel nel passeggino, pronto a portarlo al parco come fa ogni giorno. “Tuo padre è un testardo, campione… non prendere esempio da lui.”

Imbocca il corridoio, ed appoggia di nuovo la mano sulla mia spalla. “A dopo, Ed.”

“A dopo.”

Dopo aver sistemato la cucina e la cameretta di Daniel, riprendo a sfogliare il giornale, da capo. Percorro col pennarello ogni singolo annuncio. Pescatore in Alaska, sostituto postino a Chicago, babysitter per le ore serali.

Certo, sarebbe fantastico. Io a fare il baby sitter, con l’incombenza di dover chiedere a qualcuno di badare a mio figlio. Non posso chiedere anche questo alla mia famiglia, e non posso disturbare ancora una volta la dirimpettaia, la signora Dwyer: il mese scorso Renée si è offerta di badare a Daniel per un paio di ore e mi ha detto che l’avrebbe rifatto volentieri, ma non posso approfittare della sua disponibilità.

Una volta finiti gli annunci di lavoro, passo a sfogliare distrattamente il giornale sportivo lasciato da Jasper. Mi aggiorno sul campionato di baseball: una volta seguivo diligentemente ogni squadra, scommettevo, viaggiavo con gli amici per andare a vedere le partite. Adesso è già tanto che riesca a sapere i risultati una volta ogni venti giorni.

Alla fine del giornale scorgo, fra i vari trafiletti, un paio di annunci: colf di origini latino-americane e ambosessi per lavoro da casa, ben retribuito.

Ho imparato, negli ultimi tempi, che questo tipo di annuncio nasconde sempre qualcosa di losco. Truffatori che chiedono soldi in cambio di un lavoro inesistente o, peggio ancora, linee erotiche. Osservo meglio l’annuncio, e le parole ‘ben retribuito’ mi fanno gola, lo ammetto. Magari non è un lavoro losco, magari potrei guadagnare davvero qualcosa.

“Chi voglio prendere in giro…”

Lascio il giornale sul tavolo ed esco, cercando di non pensare, cercando invece di sperare.

 

 

Due settimane dopo

“Come sta?” chiede Emmett, affacciandosi nella camera di Daniel.

Io gli sto accanto, guardandolo mentre dorme, in una culla che ormai è troppo piccola per lui. “Meglio, la febbre è scesa,” sussurro, accarezzandogli i capelli chiari. Tendono al biondo, come quelli di Tanya.

In compenso ha i miei occhi, verdi, e il sorriso allegro di mia madre.

Mi alzo dalla sedia e raggiungo Emmett in cucina, afferrando una fetta di pizza dal cartone.

E’ fredda.

“Grazie, Em. Per le medicine… per tutto.”

“Non ringraziarmi. Lo sai che sono sempre a disposizione per te. E per mio nipote.”

Emmett ha un anno in più di me, ed è capo redattore presso un quotidiano di Seattle. Ha scelto la via della gavetta fin da ragazzo, cercando di emanciparsi presto dai nostri genitori. “Per le medicine… non ho detto a papà che erano per te, come mi hai chiesto di fare.”

“Grazie.”

Restiamo in silenzio a fissare la televisione per un’oretta, poi mi saluta e torna al suo appartamento.

Il fondo è vicino, posso sentirlo.

Non sono più in grado di provvedere al mio bambino, e sono troppo testardo ed orgoglioso per tornare dai miei, per chieder loro aiuto.

Forse è giunto il momento di cedere ai famosi compromessi, forse è giunto il momento di tentare qualcosa di losco. O di potenzialmente losco.

Il mattino dopo, alle 8 in punto, compongo il numero di telefono dell’annuncio per il lavoro da casa, quello ben retribuito. Mi risponde una donna, e mi dice che se voglio posso andarne a parlare a quattr’occhi nell’ufficio in centro. Dibatto dentro di me per qualche secondo, e alla fine accetto.

Busso alla porta della signora Dwyer, e lei mi dice che non c’è alcun problema: baderà a Daniel durante la mia assenza.

E’ una donna gentile, simpatica, con un marito più giovane di lei e una figlia che ha iniziato il liceo da poco: la vedo ogni mattina, mentre prende l’autobus sotto casa. L’unico difetto di Renée, a volerne cercare uno, è il fatto che le piace parlare. Tanto.

Spesso – quando ci becchiamo nelle scale – sono costretto ad ascoltarla e a fingere di essere interessato. Mi parla del suo cagnolino, del lavoro di suo marito, e credo che una volta mi abbia perfino detto di avere una figlia più grande. Non ne sono convinto, però: non presto molta attenzione a ciò che dice.

 

Come immaginavo, il lavoro consiste nel rispondere ad una linea erotica. Gli orari sono flessibili, e si è pagati per ogni minuto di conversazione. Numero personale (come sono lontani i tempi in cui possedevo un telefono aziendale) per le chiamate e un computer per gestirle.

Ho accettato? Sì.

La signora non mi ha chiesto un curriculum, non mi ha chiesto dei documenti, non mi ha chiesto niente. Mi ha consigliato di usare un nome fittizio, di non dare mai a nessuno informazioni personali, e di accontentare tutti: clienti contenti, clienti che restano al telefono, clienti che richiamano, più soldi per me. Mi ha dato un portatile, un paio di cuffie da collegare, e una lista fotocopiata di frasi standard da dire per “riscaldare i clienti e metterli a proprio agio.”

Dall’ufficio in centro, lei terrà il conto dei miei minuti, e ogni due settimane andrò a riscuotere la mia paga.

Squallido? Molto.

Ma davvero non so più che fare.

Torno a casa e ringrazio la signora Dwyer per la cortesia.

Una volta solo, accendo il computer e sincronizzo le impostazioni che mi sono state date. Dopo qualche secondo, si apre un pannello chiaro che mi avverte di una chiamata in arrivo. Tremo come un ragazzino, infilo le cuffie e schiaccio Invio, ma la chiamata dura meno di mezzo secondo: chiudo il programma immediatamente, come se potesse scoppiarmi in faccia.

Era una chiamata per me? Cercavano me? Cosa dovrei dire? Era una donna? Un uomo?

La signora mi ha detto che gli uomini ricevono prevalentemente chiamate femminili. Ciò non esclude che potesse trattarsi di un individuo di sesso maschile.

Spengo il computer e lo ripongo nell’armadio, ripromettendomi di provarci a notte fonda.

 

-

 

In camera mia, riaccendo il portatile e mi connetto al programma che da un centralino smista le chiamate ai singoli operatori. Sistemo le cuffie, dotate di microfono, e aspetto.

Rileggo la lista, e decido che il mio nome sarà Mark.

Dopo un paio di minuti arriva la prima (o meglio seconda, contando quella di stamattina) chiamata. Penso a mio figlio, che dorme beato nella camera accanto. Penso ai miei compagni di college. Penso a Tanya.

“Ciao, tesoro… sono Mark,” esordisco, meravigliandomi di quanto la mia voce sia sicura.

“Um… ciao Mark. Mi chiamo Carol…” Osservo la lista, e mi colpisce uno dei punti:tieni viva la conversazione, in particolare con gli insicuri. Non farli riagganciare.

“Ciao Carol… quanti anni hai?”

“18, tu?”

Altro consiglio:non hai mai più di 25 anni. In questo modo piacerai alle giovani e alle meno giovani.

“23 anni, Carol… Ho ventitré anni. Sei a casa, tesoro?”

Mi faccio schifo.

“Sì… come sei, Mark? Ti va di descriverti?”

“Certo, tesoro.” Non ho motivo di mentirle anche sul fisico, per cui mi descrivo per quello che sono in realtà: capelli castani, con qualche striatura rossa; occhi verdi, fisico scolpito (una volta lo era, oggi lo è di meno).

Sei carino…”

“Grazi, Carol…” Sento che siamo arrivati al momento fatidico. Siamo giunti al motivo della sua chiamata, il motivo per cui sono qui, il motivo per cui si chiama linea erotica.

“Mark… dimmi qualcosa…” dice lei, abbassando il tono della voce.

“Cosa vuoi sentirti dire, piccola…” Sospiro e cerco di sembrare coinvolto, ma la realtà è che vorrei chiudere la comunicazione, gettare computer e cuffie dalla finestra e farla finita anche con questa storia.

Ma non posso.

“Non lo so… dimmi qualcosa per farmi eccitare…

Chiudo gli occhi e sospiro di nuovo, prima di riaprirli e concentrarmi sul mio nuovo ‘lavoro’. Ripenso a mio figlio, ed inizio a parlare.

Come consigliato sulla lista, inizio con qualcosa di soft, per intrigare e far riscaldare la cliente. Le chiedo cosa vuole, e lei – minuto dopo minuto – si eccita e diventa più spregiudicata.

Carol mi dice che si sta toccando pensando alla mie dita, io le dico di muoverle e di immaginare che siano le mie. Le dico che la sto baciando, leccando. Le dico ciò che vuole sentirsi dire, fino a che gode. Al telefono. ‘Grazie’ a me.

Durata della chiamata: poco più di 10 minuti. Guadagno netto: 6 dollari.

Il prezzo di una confezione di Aspirina per Daniel.

 

Dieci giorni dopo

“Ciao, Mark… sei stato fantastico anche stasera…

“Sono stato fantastico solo per te, Deborah… ti adoro, buonanotte.”

Chiudo la comunicazione, tolgo le cuffie e le getto sul letto. Spengo il computer, dicendomi che un’ora di telefonate può bastare, almeno per stanotte.

Deborah è una delle tante clienti che chiama appositamente per me. Chiede di Mark, al centralino, perché sembra che Mark sia il suo stallone preferito.

Nell’ultima settimana ho ricevuto molte chiamate, e secondo un rapido calcolo ho guadagnato una cifra che al momento mi sembra stratosferica. So che se accendessi il computer anche di giorno lavorerei e guadagnerei di più, ma non posso fingere di gemere quando Daniel è sveglio, e inoltre di giorno vado comunque in giro alla ricerca di un lavoro ‘normale’.

Non voglio morire facendo l’operatore di una linea erotica.

Le chiamate che mi giungono sono diverse: ragazzine alla prima esperienza, che chiamano in gruppo, sghignazzano e riagganciano dopo aver urlato qualche volgarità nella cornetta; ragazze che mi descrivono nel dettaglio cosa vorrebbero fare col mio sesso, e che non si fanno problemi a farmi sentire il rumore del proprio vibratore. Coppie… persino delle coppie, le quali hanno bisogno della mia voce per fargli compagnia durante l’amplesso.

Grazie al computer, mi rendo conto che tante donne restano in attesa della mia voce, quando sono occupato in precedenti chiamate. Due di essere (entrambe ultra quarantenni) mi hanno chiesto il numero di telefono, e un appuntamento dal vivo, ma ovviamente ho rifiutato.

Ieri poi, ho ricevuto anche la chiamata di un ragazzo, chiaramente gay.

Ho resistito due minuti esatti, quando poi mi ha chiesto di sentire come glielo succhiassi, ho avuto un conato e ho chiuso la comunicazione.

Ho ancora dei limiti.

Non è un lavoro decoroso, o gratificante. Me ne vergogno, infatti nessuno sa cosa faccio.

Ma è il lavoro che fra cinque giorni mi permetterà di rifare la spesa e, forse, di pagare qualche bolletta.

 

 

Un mese dopo

“Cento, duecento, trecento, quattrocento. Ecco a te, Edward.”

“Grazie,” rispondo, raccogliendo i soldi e voltando le spalle.

“Ehi… toglimi una curiosità: cosa gli farai mai alle donne? Chiedono tutte di te, al centralino.”

Sorrido alla signora e scuoto la testa, uscendo in strada.

E’ vero, in molte chiedono di me, e per quanto squallido e triste possa sembrare, mi sono fatto un nome nel mondo delle linee erotiche.

A detta delle mie clienti sono naturale e passionale, e questa sarebbe la chiave di tutto.

Non ho idea di come risulto al telefono, ma sono certo del fatto che fingo con tutte.

Sono una macchina. Una macchina che deve far soldi, per mantenere suo figlio.

Con i soldi in tasca, mi reco prima al supermercato e poi a pagare la bolletta della luce. Non voglio rischiare l’ennesimo richiamo da parte della compagnia elettrica.

Vorrei informarmi sulla possibilità di iscrivere gratuitamente Daniel all’asilo del quartiere: in questo modo avrei più tempo libero, e potrei cercare un altro lavoro. Tuttavia, sono trattenuto dal fatto che mi sento protettivo verso di lui, e non so in che modo potrebbe reagire.

E’ forse troppo piccolo per il nido?

In questi casi sento il bisogno di una donna al mio fianco.

 

Torno a casa ed approfitto dell’assenza di mio figlio (è con Jasper ed Emmett) per accendere il computer  qualche ora prima. In questo modo, posso guadagnare di più.

Le chiamate piovono immediatamente: solite clienti e nuovi numeri.

Rispondo in maniera collaudata, rivolgendomi a tutte con nomignoli e frasi fatte: ormai non seguo più la lista iniziale, ho fatto esperienza.

Le coccolo, le faccio godere. Fingo di godere con loro, anche se nella realtà non sento assolutamente nulla.

Sono una macchina.

Tengo il conto dei minuti, li converto in monete, penso a come impiegarli mentre dico ad una delle tante ragazze cosa vorrei che mi facessero. Le ascolto in silenzio quando vogliono semplicemente essere ascoltate, e nel frattempo sfoglio i giornali con gli annunci di lavoro.

Vado avanti per 3 ore, racimolando una discreta somma di denaro.

Osservo la lista delle chiamate in attesa, e clicco sulla prima in ordine di entrata.

“Ciao, dolcezza… sono Mark,” recito.

“Ciao, Mark. Io sono Bella,” dice lei, e la voce non è solo bassa, ma insicura. Sembra quasi che tremi. E’ alla prima chiamata, è una principiante.

“Ciao, tesoro… cosa vuoi fare stasera?”

“Parlare. Vorrei solo parlare.”

 

---

 

Tadan!

Eccovi Bella.

Come vi sembra EroticEdward?

A me fa tanta tenerezza *___*

 

Il capitolo 3 arriverà dopo il 31 di Vicini, per cui non lo attendete prima della fine di questa settimana :*

 

   
 
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