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Autore: Stupid Lamb    17/10/2009    26 recensioni
Edward è vittima della recessione, ed ha un mucchio di responsabilità: come reagirà quando gli si presenterà un'opportunità tanto strana quanto allettante? - Mini FF - AU, AH, OOC
Genere: Romantico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Prima di tutto, sorry per l’errore Mike/Mark

Prima di tutto, sorry per l’errore Mike/Mark. Colpa mia, ho sbagliato a digitare e quando ho riletto non mi sono resa conto dello sbaglio. Spero non abbia creato molta confusione.

A chi l’ha chiesto… sì, i capitoli saranno soltanto 4. L’idea iniziale era quella di una OS, ma come ben sapete (15 Ore docet) la sintesi non mi appartiene.

 

Un grazie immenso a tutti, per commenti, preferenze e supporto :***

 

Capitolo 3

“Ciao, tesoro… cosa vuoi fare stasera?”

“Parlare. Vorrei solo parlare.”

 

“Ok, Bella… di cosa vuoi parlare?” Non è la prima volta che una donna mi chiede di parlare: dopo cinque minuti però, la sua domanda è ‘quanto ce l’hai lungo?’.

“So che… so che è stupido chiamare una linea erotica per sfogarsi, ma ho bisogno di farlo… di sfogarmi.” Parla a voce bassa, fatico a sentirla.

“Va bene, tesoro… sfogati pure, ti ascolto.” Controllo i minuti, e mi rigiro una penna fra le dita.

“La mia vita… la mia vita è un disastro. Vivo con un marito che non amo, che non mi ha mai dato nulla se non una casa, un lavoro ed una posizione sociale. Siamo due perfetti estranei… fra le mura domestiche. Allo studio … allo studio invece fingiamo di essere la coppia dell’anno, uniti e in amore. E’ assurdo, è assurdo che ne parli con te… con un estraneo…”

Stringo i denti, trattenendo uno sbuffo. Controllo i minuti e l’orologio.

“No, Bella… non è assurdo. Puoi dirmi quello che vuoi.”

“Potrei chiedere il divorzio, piantarla con tutto e tutti… ma… non posso. Prima di sposare mio marito ero una semplice studentessa di legge, grazie a lui sono diventata ciò che sono… e non posso… rinunciare a tutto questo.” Sospira, e sembra quasi che pianga. “Non abbiamo figli, lui non ne ha mai voluti. Mi sento chiusa in trappola, a volte, in una gabbia. Vorrei scappare, ma se lo facessi perderei tutto quello che…”

“Sai che c’è… Bella? Io ti invidio.” Getto la penna sul letto, vedendo rosso davanti a me. “Vorrei averlo io il tuo problema… vorrei averlo io un lavoro sicuro e ben pagato, una casa, una vita normale. Vorrei potermi permettere il lusso di chiamare una linea erotica e sfogare i miei problemi da quattro soldi senza invece dovermi preoccupare dei miei problemi: una casa da mandare avanti, un figlio da mantenere. Vorrei averli io i tuoi problemi.” Sfogo su di lei il mio rancore, il mio stress, la mia rabbia.

Lo faccio raccontandole di me, esponendomi come non dovrei fare.

Restiamo in silenzio per qualche secondo, e alla fine taglio la comunicazione, gettando le cuffie a terra e chiudendo il portatile.

Vorrei averli io i suoi problemi. Ricca, con un lavoro che le permette di vivere e non di sopravvivere come faccio io. La sua più grande paura è quella di perdere la posizione sociale. La mia è quella di non poter curare mio figlio se disgraziatamente dovesse tornargli la febbre.

 

Il giorno dopo

“Come sta il mio campione?” Daniel risponde a Jasper in maniera incomprensibile, e gli chiede di essere sollevato in braccio come al solito.

“Dove lo porti?” gli chiedo, notando il completo da lavoro di mio fratello.

“C’è un parco vicino allo studio, andiamo prima lì e poi in ufficio. Le segretarie lo adorano… vero, ometto?” Gli sistema il cappello di lana, e chiude la zip del giubbotto.

“Jasper, non devi. Lavori lì, non puoi rischiare di farti richiamare, o peggio…”

“Non dire sciocchezze. Non rischio nulla. E poi non lo sai che un bambino è una calamita per le ragazze? Dovresti giocarla più spesso la carta del padre single… da quanto tempo non…?”

“Sparisci,” gli intimo, baciando mio figlio e raccomandandogli di fare il bravo.

Trascorro parte della giornata a riordinare casa, parte a consultare annunci e parte ad inviare curriculum attraverso il portatile della linea erotica: ora come ora, ho bisogno di un qualsiasi lavoro, ma non posso sotterrare la mia laurea, le mie fatiche. Invio le mie credenziali a numerose aziende e società che si interessano di pubblicità e di marketing, sperando che mi chiamino per un colloquio.

Jasper torna con Daniel poco prima di cena, e resta con me per metterlo a letto e per fare quattro chiacchiere. “In ufficio tutte le segretarie vanno matte per lui. Oggi perfino la moglie del socio più anziano si è fermata a giocare con Daniel per qualche minuto.”

Mio fratello va via, e io ne approfitto subito per accendere il portatile e iniziare la mia ‘giornata lavorativa’. Non appena avvio il programma della linea erotica, ricevo la chiamata di un nuovo numero. Non ho una buona memoria visiva, ma credo di averlo già visto.

“Ciao, tesoro…”

“Ciao, Mark. Sono.. sono Bella. Ho chiamato ieri… ieri sera.” Stringo di nuovo i denti, e pure gli occhi.

Che diavolo vuole questa donna da me?

“Io… uh… ho chiamato per scusarmi. Spero tu voglia accettare le mie scuse.”

La voce è sempre bassa, e trema.

“Non vedo perché tu debba scusarti,” dico, cercando di non farmi sopraffare di nuovo dalla rabbia e dal rancore.

“Io… non ho pensato, non ho… non avrei dovuto… confidarmi. So bene che esistono problemi ben più gravi dei miei, e so bene che sono una donna fortunata. A volte però… a volte mi capita di sentirmi… di sentirmi sola, e… e ho avuto l’idea più stupida di tutte, chiamare una linea erotica. Avrei dovuto riflettere, pensare che… che… Non lo so, non so a cosa avrei dovuto pensare. So solo che ti sarò sembrata una di quelle casalinghe disperate che non è capace di accontentarsi. Sono stata patetica, e per questo… per questo mi scuso, ecco. Volevo solo dire.. solo dire questo.”

Tiro un profondo respiro. “Va bene,” dico poi. “Non preoccuparti… non… io neppure mi sono comportato in maniera educata, per cui… scusa per i toni che ho usato. Non avrei dovuto.”

“Ok,” dice, e mi sembra quasi di sentirla respirare liberamente.

Resta in silenzio, e io faccio altrettanto.

“Ti va di… di parlarmi di te?”

“Di parlarti di me?!” chiedo, a voce fin troppo alta. “Umh… ok. Mi chiamo Mark, ho 23 anni. I capelli sono…”

“No. Non questo… non mi riferivo a questo. Ti va di parlarmi di te? Se non ho capito male hai… un figlio.”

Non posso dirle queste cose. Non posso parlare della mia vita privata con una completa sconosciuta. Lo vieta l’agenzia, e lo vieta il mio buonsenso. C’è qualcosa, però… qualcosa di strano in lei.

Forse è la sua voce, forse è il modo che ha di parlare, come se fosse perennemente terrorizzata, ma non riesco a vederla come una pazza psicopatica, assatanata o ninfomane.

Quasi certamente è solo una donna sola, che ha bisogno di parlare.

In questo siamo uguali. Sono anch’io solo, e anch’io ho tanto… troppo bisogno di parlare.

“Sì, ho un figlio. Ha compiuto un anno da pochi mesi.”

“Aww… io… beh, come ti ho detto ieri, non ho figli.”

“Tuo marito non ama i bambini?”

“No… mio marito ama soltanto se stesso. E… tua moglie?” chiede. La sua voce è un sussurro. Fatico a comprenderla, ma in un certo senso… mi piace.

“Mia moglie non c’è. E’ andata via.”

“Andata via? Vuoi dire che ha lasciato te ed il bambino?”

“Proprio così.”

“Oh. Mi dispiace, Mark. Non deve essere semplice…”

“Non lo è… a volte vorrei scappare, sai? Oppure tornare per un attimo alla vita che facevo un anno fa. E’ per questo… per questo che ieri ho reagito in quel modo. Un anno fa, Bella, avevo tutto quello che tu hai adesso. La crisi mi ha portato via tutto, e sono costretto a lavorare ad una linea erotica per…” Mi fermo, rendendomi conto di aver detto troppo, di nuovo.

“Mark… tu non hai 23 anni, vero?”

“No. Ne ho 31.” Continuo a dire troppo, maledizione.

“Abbiamo la stessa età,” dice, e mi sembra che sorrida. Non posso esserne certo, perché non vedo il suo viso, ma dal tono della voce mi sembra che lo stia facendo.

Il suo viso… chissà com’è.

“Ad ogni modo… sono io quello che deve scusarsi, adesso. Sono qui per intrattenere i clienti, non per tediarli con i miei problemi.” Osservo la lista di chiamate in attesa, e all’improvviso non ho voglia di rispondere.

Vorrei restare a parlare con Bella. Strano, eh?

“Non scusarti,” dice. “Non sono nata ricca, e non sono estranea alla tua situazione. Sono cresciuta in quartiere povero di Seattle, e non ho avuto molto nella vita…”

Seattle. Qui.

“Per me invece è stato il contrario,” dico, ridendo quasi della buffa situazione. “Mi sono ritrovato povero, dopo una vita di agi.”

“Non ti scoraggiare. E’ vero, questo momento è buio per molti, ma non durerà per sempre. Tu… in cosa… hai una laurea, giusto?”

“Certo. Sono laureato in Marketing Management, specializzato in Pubbliche Relazioni. A quanto pare, però, le mie competenze sono poco utili al giorno d’oggi.”

“Non dire così… non buttarti giù.”

“Non dovrei? Bella, ero il primo della mia classe al college, e adesso… adesso fingo orgasmi per vivere.”

Restiamo al telefono per 72 minuti e 58 secondi. Mi racconta cose interessanti (quelle che riguardano lei) e cose insignificanti (quelle che riguardano suo marito). Mi fa domande, le rispondo… ignorando tutte le regole della linea erotica: dico la verità, tralasciando soltanto di dirle il mio vero nome, e quello di mio figlio.

Mi chiede ancora una volta di Daniel, e gliene parlo come forse non ho mai fatto con nessuno: le racconto di com’è carino, del modo in cui cammina e parla. Lei ride, e mi fa altre domande.

Alla fine, quando le domande sono finite o, forse, quando un certo livello di imbarazzo si è alzato fra di noi, ci diamo la buonanotte. Delle chiamate in attesa non c’è più traccia, segno che le clienti affezionate si sono stancate di aspettare.

Per la prima volta, da quando ho iniziato questo ‘lavoro’, vado a letto senza trasformare i minuti in denaro, senza pensare a come impiegarli.

Per la prima volta, vado a letto pensando ad una cliente, pensando a Bella.

 

 

Due settimane dopo

“Daniel, fai il bravo con lo zio Emmett… d’accordo?”

“Daniel farà il bravo, come sempre. Tu piuttosto… cos’è tutta questa fretta… hai un appuntamento per caso?” Emmett nota che ho fretta, mentre metto lui e mio figlio alla porta, letteralmente.

“Buono shopping natalizio!” grido ad entrambi, sorridendo di sfuggita alla signora Dwyer, che sale le scale con delle buste piene di pacchi regalo.

Rimasto solo, corro in camera ed accendo il computer, in attesa della chiamata di Bella.

Va avanti da quindici giorni; chiama ogni sera, e ogni sera passiamo sempre più tempo a parlare.

A volte noto il suo numero nella lista d’attesa, e affretto le chiamate con le altre clienti.

A volte le ignoro, e salto direttamente alla sua.

A dire il vero, non considero Bella una cliente. Non so in che modo la considero, e non voglio pensarci… ma lei non è una cliente. Non è una di quelle che chiamano per godere, no.

In tutto questo tempo non me l’ha mai chiesto, mai.

Mi chiama, parliamo. Mi chiede di mio figlio, io le chiedo del suo lavoro come avvocato. Mi chiede come va la ricerca di un impiego ‘normale’, le chiedo come vanno le cose con suo marito.

Parliamo, parliamo, parliamo.

Non parlavo in questo modo con una donna da mesi, Tanya inclusa.

Durante una delle nostre conversazioni quotidiane, ho osato e le ho chiesto di descriversi: ha i capelli mossi, castani, e gli occhi marroni. Non è molto alta, ma ho la sensazione (o forse è il desiderio?) che sia una donna ben proporzionata… attraente.

La sua voce lo è: non è più bassa, timorosa. E’ allegra, vispa. Mi saluta con calore, e ride spesso.

Rido anch’io, ed è strano.

Emmett è Jasper hanno notato il mio cambio d’umore, e ho mentito dicendo di aver ricevuto un assegno dall’assistenza sociale, e che quello è il motivo di tanta contentezza. Oltre che a mascherare la mia improvvisa gioia, ho usato la scusa dell’assegno per giustificare la dispensa piena nonostante la mia (secondo loro) disoccupazione.

Ancora nessuna notizia per quanto riguarda le decine di curriculum che ho mandato, e gli annunci stampati sui quotidiani sono ogni giorno uguali a quelli del giorno precedente. Nessuno risponde a quello che ho fatto pubblicare io, ovviamente.

La finestra del programma si illumina, grazie alla chiamata di Bella.

“Bella…” mi affretto a dire, collegando le cuffie.

Dall’altra parte sembra che non ci sia nessuno, ma poi li sento: si tratta di singhiozzi. Singhiozzi sommessi. “Bella… stai bene?” chiedo, e una strana ondata di panico mi trapassa.

Sono improvvisamente preoccupato per lei. “Bella?” ripeto.

“No, non sto bene,” sussurra, singhiozzando.

“Cosa è successo? Ne vuoi… ne vuoi parlare?”

Sospira profondamente quattro o cinque volte, prima di rispondere.

“No, preferisco di no.” Ha certamente litigato con suo marito.

Non mi piace sentirla così. Lei non sta bene, e di riflesso neppure io sto bene.

“Ok… dimmi almeno se c’è qualcosa che posso fare… qualsiasi cosa.” E’ strano che mi senta così coinvolto, così preso da questa donna.

Non la conosco, so poco e niente di lei. Sono un uomo che vive un momento difficilissimo, e che dovrebbe preoccuparsi di mille altre cose, ma adesso… in questo preciso istante… la mia unica preoccupazione è lei, Bella.

“Qualsiasi cosa?” chiede.

“Sì,” dico subito, convinto. “Qualsiasi cosa.”

Sospira di nuovo, profondamente.

“Allora ti chiedo… ti chiedo di… ti chiedo di farmi stare bene. Regalami un attimo di piacere. Ti prego.”

“Bella… uh…” Me l’ha chiesto. Me lo sta chiedendo adesso, per la prima volta.

E per la prima volta io, lo stallone telefonico, mi sento a disagio.

“Per favore…” sussurra. La voce le trema ancora.

Chiudo gli occhi e inspiro per diversi secondi.

“Dove sei adesso?” chiedo.

“In… in camera da letto.”

“Voglio che ti sdrai sul letto, Bella. Fallo per me.” Mantengo gli occhi chiusi, e la immagino.

Penso ai suoi capelli sparpagliati sul cuscino, immagino di poterli toccare.

“Ora voglio che tu faccia una cosa, Bella. Chiudi gli occhi, e pensa alle mie mani sulle tue; le sfiorano, le accarezzano. Puoi sentirle?”

“Sì…” sospira.

“Ti sto accarezzando,” le dico, e nel farlo le mie mani prendono a sfiorare il piumone, alla ricerca delle sue. “Salgo verso l’alto, sulle braccia. Ti accarezzo, ti massaggio. Mi senti? Mi senti, Bella?”

Sospira di nuovo. “Continua…”

“La tua pelle è liscia, morbida. La bacio, mentre con una mano sfioro l’altro braccio. Come ti senti, Bella? Dimmi come…”

“Sto bene… Mark, voglio sentirti. Ho bisogno di sentirti, di toccarti…”

La sua voce è più alta adesso, quasi supplicante.

“Bella, vorrei sentirti anch’io. Vederti… baciarti.” E’ la verità: vorrei conoscerla, sentirla fra le braccia. Non so come sia potuto accadere, non sarebbe mai e poi mai dovuto accadere, ma è successo. Desidero questa donna. Desidero Bella. La desidero anche adesso.

“Mark, baciami.”

“Ti bacio, Bella. Sulle labbra, sul collo. Posso sentire il tuo profumo. E’ dolce, come il miele. E’ meraviglioso… tu sei meravigliosa. Ho voglia di te, Bella. Del tuo corpo, di sentirlo, di adorarlo.”

“Oh, Mark… ti prego, vieni qui. Vieni qui, resta con me. Fai l’amore con me,” sussurra, e mi rendo conto che le sto regalando davvero un attimo di piacere. Non è come con le altre donne, quelle che mi chiedono subito il sesso.

In questo caso si tratta di dolcezza, di pura dolcezza.

Ci sussurriamo parole piene di passione, frasi che rispecchiano i nostri desideri, ciò che vorremmo: i baci, le carezze, i nostri corpi uniti.

Per la prima volta sento qualcosa. Non sono il solo a regalare piacere, ma è anche lei a regalarlo a me. Non fingo, non ho bisogno di fingere, perché sono eccitato sul serio. Raggiungiamo il piacere assieme, e non è una menzogna, è reale. Lei, io, questo momento.

Restiamo in silenzio per mezzo minuto, e sono certo che – così come io ascolto il suo – anche Bella sta ascoltando il mio respiro affannato.

“Io… uh…”

Non so cosa dire, come continuare. Ho paura di sbagliare. Non voglio fare nulla di sbagliato, non voglio… non voglio perderla.

“Grazie,” mormora. “Grazie.”

“Non devi ringraziarmi,” dico. So di averle regalato un attimo di piacere, seppure limitato, ma so di aver provato anch’io del piacere. Breve, virtuale, ma in un certo senso pieno… intenso.

Rimaniamo ancora in silenzio e, dopo il momento in cui ho permesso al cuore e al corpo di prendere il sopravvento, torno a pensare col cervello.

Mi sto facendo condizionare, suggestionare, dal fatto che non ho avuto un rapporto ‘simile’ con una donna da tanto… troppo tempo.

Bella è diversa dalle altre, e probabilmente questo mi influenza troppo.

Ma io sono l’operatore di una linea erotica, squattrinato, con un figlio.

Lei è una donna sposata, ricca, con tanti problemi.

Cosa può nascere da tutto questo?

Mi sento quasi svuotato, scosso. Ascolto il suo respiro attraverso la cuffia, mi sembra quasi di poterla vedere. Mi giro verso la parte vuota del mio letto, l’accarezzo con una mano.

Non può nascere nulla. Nulla.

“Buonanotte, Bella….” Il mio tono di voce somiglia al suo, è basso e probabilmente tremo anch’io.

“Uh… ok… buonanotte, Mark… Mark? Sei ancora lì?”

“Sì,” sussurro, con il cuore in gola.

“Ti voglio bene.”

Chiudo la comunicazione stringendo i denti. “Ti voglio bene anch’io.”

 

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Non mi lanciate sassi, c’è ancora l’ultimo capitolo.

 

   
 
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