Prima di tutto, sorry per l’errore Mike/Mark. Colpa mia, ho sbagliato a digitare e
quando ho riletto non mi sono resa conto dello sbaglio. Spero non abbia creato
molta confusione.
A chi l’ha chiesto… sì, i capitoli saranno
soltanto 4. L’idea iniziale era quella di una OS, ma come ben sapete (15 Ore
docet) la sintesi non mi appartiene.
Un grazie immenso a tutti, per commenti,
preferenze e supporto :***
Capitolo 3
“Ciao, tesoro… cosa vuoi fare stasera?”
“Parlare. Vorrei solo parlare.”
“Ok, Bella… di cosa
vuoi parlare?” Non è la prima volta che una donna mi chiede di parlare: dopo
cinque minuti però, la sua domanda è ‘quanto ce l’hai lungo?’.
“So che… so che è
stupido chiamare una linea erotica per sfogarsi, ma ho bisogno di farlo… di
sfogarmi.” Parla a voce bassa, fatico a sentirla.
“Va bene, tesoro…
sfogati pure, ti ascolto.” Controllo i minuti, e mi rigiro una penna fra le
dita.
“La mia vita… la
mia vita è un disastro. Vivo con un marito che non amo, che non mi ha mai dato
nulla se non una casa, un lavoro ed una posizione sociale. Siamo due perfetti
estranei… fra le mura domestiche. Allo studio … allo studio invece fingiamo di
essere la coppia dell’anno, uniti e in amore. E’ assurdo, è assurdo che ne
parli con te… con un estraneo…”
Stringo i denti,
trattenendo uno sbuffo. Controllo i minuti e l’orologio.
“No, Bella… non è
assurdo. Puoi dirmi quello che vuoi.”
“Potrei chiedere il
divorzio, piantarla con tutto e tutti… ma… non posso. Prima di sposare mio
marito ero una semplice studentessa di legge, grazie a lui sono diventata ciò
che sono… e non posso… rinunciare a tutto questo.” Sospira, e sembra quasi che
pianga. “Non abbiamo figli, lui non ne ha mai voluti. Mi sento chiusa in
trappola, a volte, in una gabbia. Vorrei scappare, ma se lo facessi perderei
tutto quello che…”
“Sai che c’è…
Bella? Io ti invidio.” Getto la penna sul letto, vedendo rosso davanti a me.
“Vorrei averlo io il tuo problema… vorrei averlo io un lavoro sicuro e ben
pagato, una casa, una vita normale. Vorrei potermi permettere il lusso di chiamare
una linea erotica e sfogare i miei problemi da quattro soldi senza invece
dovermi preoccupare dei miei problemi:
una casa da mandare avanti, un figlio da mantenere. Vorrei averli io i tuoi
problemi.” Sfogo su di lei il mio rancore, il mio stress, la mia rabbia.
Lo faccio
raccontandole di me, esponendomi come non dovrei fare.
Restiamo in
silenzio per qualche secondo, e alla fine taglio la comunicazione, gettando le
cuffie a terra e chiudendo il portatile.
Vorrei averli io i
suoi problemi. Ricca, con un lavoro che le permette di vivere e non di
sopravvivere come faccio io. La sua più grande paura è quella di perdere la
posizione sociale. La mia è quella di non poter curare mio figlio se
disgraziatamente dovesse tornargli la febbre.
Il giorno dopo
“Come sta il mio
campione?” Daniel risponde a Jasper in maniera incomprensibile, e gli chiede di
essere sollevato in braccio come al solito.
“Dove lo porti?”
gli chiedo, notando il completo da lavoro di mio fratello.
“C’è un parco
vicino allo studio, andiamo prima lì e poi in ufficio. Le segretarie lo
adorano… vero, ometto?” Gli sistema il cappello di lana, e chiude la zip del
giubbotto.
“Jasper, non devi. Lavori
lì, non puoi rischiare di farti richiamare, o peggio…”
“Non dire
sciocchezze. Non rischio nulla. E poi non lo sai che un bambino è una calamita
per le ragazze? Dovresti giocarla più spesso la carta del padre single… da
quanto tempo non…?”
“Sparisci,” gli
intimo, baciando mio figlio e raccomandandogli di fare il bravo.
Trascorro parte
della giornata a riordinare casa, parte a consultare annunci e parte ad inviare
curriculum attraverso il portatile della linea erotica: ora come ora, ho
bisogno di un qualsiasi lavoro, ma non posso sotterrare la mia laurea, le mie
fatiche. Invio le mie credenziali a numerose aziende e società che si
interessano di pubblicità e di marketing, sperando che mi chiamino per un
colloquio.
Jasper torna con
Daniel poco prima di cena, e resta con me per metterlo a letto e per fare
quattro chiacchiere. “In ufficio tutte le segretarie vanno matte per lui. Oggi
perfino la moglie del socio più anziano si è fermata a giocare con Daniel per
qualche minuto.”
Mio fratello va
via, e io ne approfitto subito per accendere il portatile e iniziare la mia
‘giornata lavorativa’. Non appena avvio il programma della linea erotica,
ricevo la chiamata di un nuovo numero. Non ho una buona memoria visiva, ma
credo di averlo già visto.
“Ciao, tesoro…”
“Ciao, Mark. Sono..
sono Bella. Ho chiamato ieri… ieri sera.” Stringo di nuovo i denti, e pure gli
occhi.
Che diavolo vuole
questa donna da me?
“Io… uh… ho
chiamato per scusarmi. Spero tu voglia accettare le mie scuse.”
La voce è sempre
bassa, e trema.
“Non vedo perché tu
debba scusarti,” dico, cercando di non farmi sopraffare di nuovo dalla rabbia e
dal rancore.
“Io… non ho
pensato, non ho… non avrei dovuto… confidarmi. So bene che esistono problemi
ben più gravi dei miei, e so bene che sono una donna fortunata. A volte però… a
volte mi capita di sentirmi… di sentirmi sola, e… e ho avuto l’idea più stupida
di tutte, chiamare una linea erotica. Avrei dovuto riflettere, pensare che…
che… Non lo so, non so a cosa avrei dovuto pensare. So solo che ti sarò
sembrata una di quelle casalinghe disperate che non è capace di accontentarsi. Sono
stata patetica, e per questo… per questo mi scuso, ecco. Volevo solo dire..
solo dire questo.”
Tiro un profondo
respiro. “Va bene,” dico poi. “Non preoccuparti… non… io neppure mi sono
comportato in maniera educata, per cui… scusa per i toni che ho usato. Non
avrei dovuto.”
“Ok,” dice, e mi
sembra quasi di sentirla respirare liberamente.
Resta in silenzio,
e io faccio altrettanto.
“Ti va di… di
parlarmi di te?”
“Di parlarti di
me?!” chiedo, a voce fin troppo alta. “Umh… ok. Mi chiamo Mark, ho 23 anni. I
capelli sono…”
“No. Non questo… non
mi riferivo a questo. Ti va di parlarmi di te?
Se non ho capito male hai… un figlio.”
Non posso dirle
queste cose. Non posso parlare della mia vita privata con una completa
sconosciuta. Lo vieta l’agenzia, e lo vieta il mio buonsenso. C’è qualcosa, però…
qualcosa di strano in lei.
Forse è la sua
voce, forse è il modo che ha di parlare, come se fosse perennemente
terrorizzata, ma non riesco a vederla come una pazza psicopatica, assatanata o
ninfomane.
Quasi certamente è
solo una donna sola, che ha bisogno di parlare.
In questo siamo
uguali. Sono anch’io solo, e anch’io ho tanto… troppo bisogno di parlare.
“Sì, ho un figlio.
Ha compiuto un anno da pochi mesi.”
“Aww… io… beh, come
ti ho detto ieri, non ho figli.”
“Tuo marito non ama
i bambini?”
“No… mio marito ama
soltanto se stesso. E… tua moglie?” chiede. La sua voce è un sussurro. Fatico a
comprenderla, ma in un certo senso… mi piace.
“Mia moglie non
c’è. E’ andata via.”
“Andata via? Vuoi
dire che ha lasciato te ed il bambino?”
“Proprio così.”
“Oh. Mi dispiace,
Mark. Non deve essere semplice…”
“Non lo è… a volte
vorrei scappare, sai? Oppure tornare per un attimo alla vita che facevo un anno
fa. E’ per questo… per questo che ieri ho reagito in quel modo. Un anno fa,
Bella, avevo tutto quello che tu hai adesso. La crisi mi ha portato via tutto,
e sono costretto a lavorare ad una linea erotica per…” Mi fermo, rendendomi
conto di aver detto troppo, di nuovo.
“Mark… tu non hai
23 anni, vero?”
“No. Ne ho
“Abbiamo la stessa
età,” dice, e mi sembra che sorrida. Non posso esserne certo, perché non vedo
il suo viso, ma dal tono della voce mi sembra che lo stia facendo.
Il suo viso… chissà
com’è.
“Ad ogni modo… sono
io quello che deve scusarsi, adesso. Sono qui per intrattenere i clienti, non
per tediarli con i miei problemi.” Osservo la lista di chiamate in attesa, e
all’improvviso non ho voglia di rispondere.
Vorrei restare a
parlare con Bella. Strano, eh?
“Non scusarti,”
dice. “Non sono nata ricca, e non sono estranea alla tua situazione. Sono
cresciuta in quartiere povero di Seattle, e non ho avuto molto nella vita…”
Seattle. Qui.
“Per me invece è
stato il contrario,” dico, ridendo quasi della buffa situazione. “Mi sono
ritrovato povero, dopo una vita di agi.”
“Non ti scoraggiare.
E’ vero, questo momento è buio per molti, ma non durerà per sempre. Tu… in
cosa… hai una laurea, giusto?”
“Certo. Sono
laureato in Marketing Management, specializzato in Pubbliche Relazioni. A
quanto pare, però, le mie competenze sono poco utili al giorno d’oggi.”
“Non dire così… non
buttarti giù.”
“Non dovrei? Bella,
ero il primo della mia classe al college, e adesso… adesso fingo orgasmi per
vivere.”
Restiamo al
telefono per 72 minuti e 58 secondi. Mi racconta cose interessanti (quelle che
riguardano lei) e cose insignificanti (quelle che riguardano suo marito). Mi fa
domande, le rispondo… ignorando tutte le regole della linea erotica: dico la
verità, tralasciando soltanto di dirle il mio vero nome, e quello di mio
figlio.
Mi chiede ancora
una volta di Daniel, e gliene parlo come forse non ho mai fatto con nessuno: le
racconto di com’è carino, del modo in cui cammina e parla. Lei ride, e mi fa
altre domande.
Alla fine, quando
le domande sono finite o, forse, quando un certo livello di imbarazzo si è
alzato fra di noi, ci diamo la buonanotte. Delle chiamate in attesa non c’è più
traccia, segno che le clienti affezionate si sono stancate di aspettare.
Per la prima volta,
da quando ho iniziato questo ‘lavoro’, vado a letto senza trasformare i minuti
in denaro, senza pensare a come impiegarli.
Per la prima volta,
vado a letto pensando ad una cliente, pensando a Bella.
Due settimane dopo
“Daniel, fai il
bravo con lo zio Emmett… d’accordo?”
“Daniel farà il
bravo, come sempre. Tu piuttosto… cos’è tutta questa fretta… hai un
appuntamento per caso?” Emmett nota che ho fretta, mentre metto lui e mio
figlio alla porta, letteralmente.
“Buono shopping
natalizio!” grido ad entrambi, sorridendo di sfuggita alla signora Dwyer, che
sale le scale con delle buste piene di pacchi regalo.
Rimasto solo, corro
in camera ed accendo il computer, in attesa della chiamata di Bella.
Va avanti da quindici
giorni; chiama ogni sera, e ogni sera passiamo sempre più tempo a parlare.
A volte noto il suo
numero nella lista d’attesa, e affretto le chiamate con le altre clienti.
A volte le ignoro,
e salto direttamente alla sua.
A dire il vero, non
considero Bella una cliente. Non so in che modo la considero, e non voglio
pensarci… ma lei non è una cliente. Non è una di quelle che chiamano per
godere, no.
In tutto questo
tempo non me l’ha mai chiesto, mai.
Mi chiama,
parliamo. Mi chiede di mio figlio, io le chiedo del suo lavoro come avvocato.
Mi chiede come va la ricerca di un impiego ‘normale’, le chiedo come vanno le
cose con suo marito.
Parliamo, parliamo,
parliamo.
Non parlavo in questo
modo con una donna da mesi, Tanya inclusa.
Durante una delle
nostre conversazioni quotidiane, ho osato e le ho chiesto di descriversi: ha i
capelli mossi, castani, e gli occhi marroni. Non è molto alta, ma ho la
sensazione (o forse è il desiderio?) che sia una donna ben proporzionata…
attraente.
La sua voce lo è:
non è più bassa, timorosa. E’ allegra, vispa. Mi saluta con calore, e ride
spesso.
Rido anch’io, ed è
strano.
Emmett è Jasper
hanno notato il mio cambio d’umore, e ho mentito dicendo di aver ricevuto un
assegno dall’assistenza sociale, e che quello è il motivo di tanta contentezza.
Oltre che a mascherare la mia improvvisa gioia, ho usato la scusa dell’assegno
per giustificare la dispensa piena nonostante la mia (secondo loro)
disoccupazione.
Ancora nessuna
notizia per quanto riguarda le decine di curriculum che ho mandato, e gli
annunci stampati sui quotidiani sono ogni giorno uguali a quelli del giorno
precedente. Nessuno risponde a quello che ho fatto pubblicare io, ovviamente.
La finestra del
programma si illumina, grazie alla chiamata di Bella.
“Bella…” mi
affretto a dire, collegando le cuffie.
Dall’altra parte
sembra che non ci sia nessuno, ma poi li sento: si tratta di singhiozzi.
Singhiozzi sommessi. “Bella… stai bene?” chiedo, e una strana ondata di panico
mi trapassa.
Sono
improvvisamente preoccupato per lei. “Bella?” ripeto.
“No, non sto bene,”
sussurra, singhiozzando.
“Cosa è successo?
Ne vuoi… ne vuoi parlare?”
Sospira
profondamente quattro o cinque volte, prima di rispondere.
“No, preferisco di
no.” Ha certamente litigato con suo marito.
Non mi piace
sentirla così. Lei non sta bene, e di riflesso neppure io sto bene.
“Ok… dimmi almeno
se c’è qualcosa che posso fare… qualsiasi cosa.” E’ strano che mi senta così
coinvolto, così preso da questa donna.
Non la conosco, so
poco e niente di lei. Sono un uomo che vive un momento difficilissimo, e che
dovrebbe preoccuparsi di mille altre cose, ma adesso… in questo preciso
istante… la mia unica preoccupazione è lei, Bella.
“Qualsiasi cosa?”
chiede.
“Sì,” dico subito,
convinto. “Qualsiasi cosa.”
Sospira di nuovo,
profondamente.
“Allora ti chiedo…
ti chiedo di… ti chiedo di farmi stare bene. Regalami un attimo di piacere. Ti
prego.”
“Bella… uh…” Me
l’ha chiesto. Me lo sta chiedendo adesso, per la prima volta.
E per la prima
volta io, lo stallone telefonico, mi sento a disagio.
“Per favore…”
sussurra. La voce le trema ancora.
Chiudo gli occhi e
inspiro per diversi secondi.
“Dove sei adesso?”
chiedo.
“In… in camera da
letto.”
“Voglio che ti
sdrai sul letto, Bella. Fallo per me.” Mantengo gli occhi chiusi, e la
immagino.
Penso ai suoi
capelli sparpagliati sul cuscino, immagino di poterli toccare.
“Ora voglio che tu
faccia una cosa, Bella. Chiudi gli occhi, e pensa alle mie mani sulle tue; le
sfiorano, le accarezzano. Puoi sentirle?”
“Sì…” sospira.
“Ti sto
accarezzando,” le dico, e nel farlo le mie mani prendono a sfiorare il piumone,
alla ricerca delle sue. “Salgo verso l’alto, sulle braccia. Ti accarezzo, ti
massaggio. Mi senti? Mi senti, Bella?”
Sospira di nuovo. “Continua…”
“La tua pelle è
liscia, morbida. La bacio, mentre con una mano sfioro l’altro braccio. Come ti
senti, Bella? Dimmi come…”
“Sto bene… Mark,
voglio sentirti. Ho bisogno di sentirti, di toccarti…”
La sua voce è più
alta adesso, quasi supplicante.
“Bella, vorrei
sentirti anch’io. Vederti… baciarti.” E’ la verità: vorrei conoscerla, sentirla
fra le braccia. Non so come sia potuto accadere, non sarebbe mai e poi mai
dovuto accadere, ma è successo. Desidero questa donna. Desidero Bella. La
desidero anche adesso.
“Mark, baciami.”
“Ti bacio, Bella.
Sulle labbra, sul collo. Posso sentire il tuo profumo. E’ dolce, come il miele.
E’ meraviglioso… tu sei meravigliosa. Ho voglia di te, Bella. Del tuo corpo, di
sentirlo, di adorarlo.”
“Oh, Mark… ti
prego, vieni qui. Vieni qui, resta con me. Fai l’amore con me,” sussurra, e mi
rendo conto che le sto regalando davvero un attimo di piacere. Non è come con
le altre donne, quelle che mi chiedono subito il sesso.
In questo caso si
tratta di dolcezza, di pura dolcezza.
Ci sussurriamo
parole piene di passione, frasi che rispecchiano i nostri desideri, ciò che
vorremmo: i baci, le carezze, i nostri corpi uniti.
Per la prima volta sento
qualcosa. Non sono il solo a regalare piacere, ma è anche lei a regalarlo a me.
Non fingo, non ho bisogno di fingere, perché sono eccitato sul serio.
Raggiungiamo il piacere assieme, e non è una menzogna, è reale. Lei, io, questo
momento.
Restiamo in
silenzio per mezzo minuto, e sono certo che – così come io ascolto il suo –
anche Bella sta ascoltando il mio respiro affannato.
“Io… uh…”
Non so cosa dire,
come continuare. Ho paura di sbagliare. Non voglio fare nulla di sbagliato, non
voglio… non voglio perderla.
“Grazie,” mormora.
“Grazie.”
“Non devi
ringraziarmi,” dico. So di averle regalato un attimo di piacere, seppure
limitato, ma so di aver provato anch’io del piacere. Breve, virtuale, ma in un
certo senso pieno… intenso.
Rimaniamo ancora in
silenzio e, dopo il momento in cui ho permesso al cuore e al corpo di prendere
il sopravvento, torno a pensare col cervello.
Mi sto facendo
condizionare, suggestionare, dal fatto che non ho avuto un rapporto ‘simile’
con una donna da tanto… troppo tempo.
Bella è diversa
dalle altre, e probabilmente questo mi influenza troppo.
Ma io sono
l’operatore di una linea erotica, squattrinato, con un figlio.
Lei è una donna
sposata, ricca, con tanti problemi.
Cosa può nascere da
tutto questo?
Mi sento quasi
svuotato, scosso. Ascolto il suo respiro attraverso la cuffia, mi sembra quasi
di poterla vedere. Mi giro verso la parte vuota del mio letto, l’accarezzo con
una mano.
Non può nascere
nulla. Nulla.
“Buonanotte,
Bella….” Il mio tono di voce somiglia al suo, è basso e probabilmente tremo
anch’io.
“Uh… ok…
buonanotte, Mark… Mark? Sei ancora lì?”
“Sì,” sussurro, con
il cuore in gola.
“Ti voglio bene.”
Chiudo la
comunicazione stringendo i denti. “Ti voglio bene anch’io.”
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Non mi lanciate sassi, c’è ancora l’ultimo
capitolo.