Eccovi l’ultimo capitolo.
Una volta conclusa “Vicini”, inizierò a
scrivere un racconto mio, un racconto
originale che mi gira nella testa da mesi. Per questo motivo non mi sarà
possibile continuare/ampliare/approfondire questa mini FF.
Un grazie immenso a tutti coloro che hanno
commentato, e anche a coloro che hanno letto in silenzio.
Buona lettura.
Capitolo 4 – Ultimo Capitolo
Una settimana dopo
Osservo per
l’ennesima volta i libri musicali, cercando di sceglierne uno per Daniel come
regalo di Natale. Vorrei comprarglieli tutti, ma a stento posso permettermene
uno.
Sono più che
convinto che dal resto della mia famiglia Daniel riceverà montagne e montagne
di giocattoli, ma è del mio regalo che mi interessa.
Alla fine scelgo
L’Orchestra Matta, pago i 15 dollari e mi incammino verso la fermata
dell’autobus.
Nevica. Mio figlio
è con Jasper, anche oggi. Dovrei lamentarmi per il fatto che lo usa come
mascotte per fare colpo sulle ragazze, ma la verità è che sono contento: al suo
studio c’è più caldo che a casa mia, e in questo modo mi sento tranquillo.
Natale si avvicina,
ed è più triste di quello dell’anno scorso. Allora c’era Tanya con me, adesso sono
solo. L’atmosfera natalizia, nel mio appartamento, è ridotta ad un misero
alberello addobbato con qualche pallina colorata. Non ho voglia di festeggiare,
non ho voglia di gioire. Non ho motivo per farlo.
Una volta arrivato
a casa appoggio il giaccone fradicio accanto alla stufetta e vado a nascondere
il regalo per Daniel nell’armadio.
Lì, nel solito
angolo, c’è il computer.
E’ spento.
Lo è da una
settimana, dall’ultima conversazione con Bella.
Non l’ho più
riacceso, non ho più ‘lavorato’ da quella volta.
Alla signora
dell’agenzia ho mentito, dicendo di avere l’influenza, ma la verità è che ho
paura di sentire di nuovo la sua voce. Ho paura di avviare il programma, vedere
il suo numero in attesa, e far partire la comunicazione.
Sono un vigliacco.
Dopo quella sera…
avremmo dovuto parlare, chiarire. Mi ha detto ‘Ti
Voglio Bene’.
Mi manca. Sono uno
stupido vigliacco, ma mi manca.
Mi piaceva parlare
con lei, ascoltare i suoi racconti e raccontarle di me. Mi mancano le sue
domande su Daniel, i suoi incoraggiamenti.
E’ assurdo. Non so
nulla di lei. Probabilmente non ha più chiamato la linea erotica, e io ho
tenuto il computer spento per un’intera settimana inutilmente. Probabilmente
sto ingigantendo tutto.
Osservo il
portatile per qualche secondo, e poi chiudo l’armadio.
Cerco di non
pensarci, ma è inutile: lo sto facendo da sette giorni. Ripenso alla sua voce,
alle sue lacrime. Ripenso al suo respiro affannato, alle sue parole per me.
“Ehilà,
paparino! Siamo tornati!” La voce di mio fratello proviene dall’ingresso.
Gli vado incontro, e quasi gli strappo Daniel dalle
braccia.
“Ciao, amore mio.”
Si lascia stringere e baciare, senza fare storie.
“Senti,
Edward… dovrei parlarti.”
“Dimmi,
Jazz.”
“So che mi hai
detto che non avrei dovuto farlo, e so quanto sei testardo ed orgoglioso, ma oggi ho scoperto che allo studio cercano
qualcuno che si occupi di pubbliche relazioni… e… beh, io ho fatto il tuo
nome.”
“Che cosa?”
“Sì, Edward…
cercano qualcuno che curi la pubblicità per lo studio… sito, stampa, biglietti
da visita… non è molto, ma è qualcosa. Ho pensato a te… e… ti
aspettano domattina per un colloquio.”
“Jasper, perché
l’hai fatto? Sai bene che non ho bisogno di…”
“Oh, davvero?”
sbotta. “Non hai bisogno di lavorare? Edward, andiamo!
Vivi in un appartamento che… l’altro giorno pioveva dal soffitto! E Daniel? Ci
pensi a lui? Non puoi continuare così, devi mettere da parte l’orgoglio e
pensare a tuo figlio. Sto solo cercando di darti una mano, non voglio un grazie o altro… voglio solo che domattina metti un
completo e ti presenti allo studio. D’accordo?”
“D’accordo.”
Va via dopo un po’,
lasciandomi scosso ma allo stesso tempo elettrizzato. Ha ragione, non posso permettere
al mio orgoglio di danneggiare mio figlio. E non posso continuare con la linea
erotica per sempre.
Il giorno dopo
Lo studio presso cui lavora Jasper si trova in centro, in un lussuoso
grattacielo. Mi presento puntuale, in uno dei completi che fino ad un anno fa
utilizzavo quotidianamente. Ho fatto la barba, ho cercato di sistemare alla
meglio i capelli.
Sono presentabile.
“Buongiorno,” dico alla receptionist, “mi chiamo Edward Cullen. Sono qui per il colloquio come…”
“Oh, sì… certo! Lei
è il papà di Daniel!” esclama lei, scattando dalla sedia. Fa il giro del banco,
e viene a stringermi la mano. “E’ un piacere conoscerla, suo figlio è
delizioso.”
“Uh… grazie… um…
signorina…”
“Brandon. Alice. Alice Brandon,”
chiarisce poi, agitandosi tutta.
Alice mi fa
attendere su una poltrona di pelle chiara per qualche minuto, e io ne
approfitto per sfogliare il curriculum che ho portato, e per ripetere le frasi
ad effetto che in genere si usano durante questi incontri: sono propenso a
lavorare in squadra, voglio apprendere e crescere nella vostra azienda, bla bla bla.
“Signor Cullen, può
andare. Secondo corridoio sulla destra, la porta in fondo. Aro
l’attende.”
Ringrazio la
receptionist e mi incammino verso lo studio di quello che – a detta di Jasper –
è il socio anziano dello studio. Sono agitato, ma mi dico che in fondo si
tratta di un lavoro come tutti gli altri, e che probabilmente questo colloquio
finirà come tutti gli altri, con un bel ‘le faremo
sapere’.
Busso, e una voce
profonda dall’altro lato della porta mi invita ad entrare.
“Buongiorno,” dico.
Aro è alto, ha
passato i 40 anni da un pezzo, e credo si avvicini ai
“Signor
Cullen! Venga, si
accomodi.” Mi siedo su una poltrona scura, davanti alla scrivania. “Devo
ammettere di essere un po’ impreparato per questo colloquio… l’idea di
chiamarla è stata di suo fratello e di mia moglie, e al momento lei sta… beh,
diciamo pure che fra qualche giorno non sarà più mia moglie.” Sorride, ma i
suoi occhi restano fissi su di me, freddi.
Sorrido anch’io, un
sorriso di circostanza.
“So che avete
bisogno di una mano per la promozione dello studio,”
gli dico.
“Sì… sì, esatto.
Vede, ci stiamo ingrandendo e vogliamo essere in grado di raggiungere sia i
nostri clienti che i clienti potenziali… sa cosa intendo, no?”
Annuisco. “Certo.”
No, non so cosa intende. Agli avvocati non serve il marketing tradizionale. Per
gli avvocati il miglior marketing è il passaparola dei clienti soddisfatti, per
cui non mi è ben chiaro il motivo per cui sono qui.
Un leggero rumore
alla porta lo interrompe mentre sta per riaprire la bocca. “Avanti.”
Evito di voltarmi
per non sembrare maleducato, ma riesco comunque a vedere la donna che raggiunge
la scrivania di Aro. E’ ben vestita, con dei lunghi capelli castani e il viso
tondo. Gli occhi sono gonfi, e rossi. Guarda in basso, si guarda le mani.
“Queste
sono le chiavi di casa, e del garage. E della macchina.” Parla a bassa voce, ma riesco a capire
ogni singola parola. Mi suona quasi familiare.
Appoggia il grande
mazzo di chiavi sul tavolo, e per un attimo si volta verso di me. Si tratta di
secondi, ma mi sembra che sorrida.
“Sei proprio
convinta?”
“Sì. Torno da mia madre.” Un altro sussurro, che
riesco comunque ad afferrare. Mi sento quasi in imbarazzo, testimone di un
momento intimo fra Aro e quella che suppongo sia sua moglie.
“Come vuoi,” risponde lui, senza scomporsi.
La donna va via,
voltandosi di nuovo verso di me, e di nuovo mi sorride. C’è qualcosa in lei…
nel modo in cui mi guarda… è come se la conoscessi, come se conoscessi la sua
voce.
Aro ed io
continuiamo il colloquio e dopo un’ora, con mia enorme gioia, ottengo il posto
di responsabile Marketing del suo studio. Dire che sono felice è poco. Dire che
sono estasiato è poco. Ci diamo appuntamento per il giorno dopo, e se potessi
salterei in aria dalla gioia.
Un lavoro vero, un
lavoro dignitoso. Un lavoro per cui ho studiato.
Quella donna, la
moglie di Aro. E’ stata anche sua l’idea.
Devo ringraziarla.
“Signorina
Brandon…” La receptionist alza la testa dalla sua scrivania e mi sorride.
“Allora, com’è
andata?”
“Oh… bene, è andata
bene. Ho avuto il lavoro.”
“Evviva!!! Sono davvero contenta per lei,” dice, e mi sembra sincera.
Un po’ troppo esuberante, forse. Ma sincera.
“Senta, uh… vorrei
ringraziare la moglie di Aro per avermi proposto per questo lavoro… umh… sa
dirmi qual è il suo ufficio?”
“Aww… umh… lei non
è più qui, è andata via poco fa…” risponde, rattristandosi.
“Bella e Aro stanno divorziando,” aggiunge.
“Bella? La moglie…
si… si chiama Bella?”
Annuisce. “Bella. E’ una donna straordinaria…
giocava sempre con Daniel, sa?” Si avvicina con fare cospiratorio.
“Peccato che suo marito sia un essere spregevole.”
“Grazie,” dico, allontanandomi come se fossi sull’orlo di un
burrone. “Ci vediamo.”
Era lei? Era Bella?
E’ possibile che fosse lei?
Quante probabilità
ci sono che in una città grande come questa esistano due Bella, entrambe
avvocato, entrambe sposate con quello che sembra essere un tiranno, entrambe
infelici?
Era lei. E’ sempre
stata lei.
Sapeva di me?
Sapeva che ero io?
Ha unito i punti
come ho fatto io adesso, e ha fatto in modo di regalarmi un posto di lavoro?
E’ incredibile.
Tutto questo è incredibile.
Dov’è andata? Sua
madre.. ha detto che sarebbe andata da sua madre… chi
è sua madre?
Come posso
cercarla?
Non posso crederci,
siamo stati così vicini in quell’ufficio: mi ha sorriso, mi ha guardato. La sua
voce, ecco perché mi sembrava familiare.
Era lei. E’ sempre
stata lei.
Bella.
Torno a casa,
felice per avere finalmente un lavoro, ma in parte sconsolato.
Siamo arrivati a
sfiorarci, ma non ci siamo toccati. Non ho capito, non ho inteso che fosse lei.
E probabilmente non
la vedrò mai più.
Riponendo il
completo elegante nell’armadio, getto lo sguardo sul computer.
Penso a Bella,
penso a lei.
E’ bellissima,
posso dirlo. Ho visto poco di lei, ma è bellissima, ancora più attraente di
come avevo immaginato. Avrà pensato la stessa cosa di me?
Cos’ha pensato?
Come posso fare per
rivederla?
Forse potrei
chiedere ad Alice, la receptionist… forse tornerà allo studio nei prossimi
giorni.
Sento bussare alla
porta, e vado ad aprire pensando ancora a Bella.
Quando me la
ritrovo davanti, rischio si sentirmi male.
Ha un piatto fra le
mani, e le guance rosse. Gli occhi sono meno gonfi di qualche ora fa, ed è
ancora più bella.
“Mia madre ha
preparato dei biscotti al marzapane… ho pensato che… ho pensato che a Daniel…”
Guarda in basso, la voce le trema.
E’ lei.
Vorrei parlare, ma
non riesco. Ho un groppo alla gola, e so che se aprissi la bocca non proferirei
parola.
Con una mano
afferro il piatto e con l’altra afferro lei.
Non penso a nulla
quando appoggio le labbra sulle sue.
E’ sempre stata
lei. Più vicina di quanto pensassi. Sempre.
Risponde al mio
bacio con passione, afferrandomi per i capelli. Si avvicina fino ad
abbracciarmi, e si stringe a me con forza.
Dopo qualche
secondo, si allontana e prende a strofinare la guancia sulle mia. Continua a
stringermi, e io continuo a stringere lei.
“Ricominciamo.” La
sua voce, al mio orecchio, è un respiro.
L’adoro.
“Sì. Ricominciamo.”
---
Fine.