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Autore: Ardespuffy    20/10/2009    4 recensioni
Cani d'attori e storie di cani. Padfoot & Moony: l'arte copia la vita che copia l'arte, dietro ed oltre il sipario.
Viaggio a tappe insieme all'amato binomio, tra passato e presente - finzione e realtà.
3. ... per la fiducia d'ancora vagare, muso in giù, tra le macerie.
[SB*RL]
Genere: Romantico, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doggish (Fairy)tales.'
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Atto Secondo.
L'oro nero
dei riflettori, colando attacca
alla pelle.










_ * _






Forse abbiamo acceso i riflettori,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse abbiamo acceso i riflettori,

dato spettacolo in qualche modo.

 

 

 

È la Cosa Di Cui Non Parlano.

Se ne sta lì, annidata nella sfuggenza di Sirius, nel suo voltare il capo più bruscamente di quanto avesse bisogno di fare prima. Nell’asprezza della notte, ammantata fra tende ruvide che non vengono aperte ad orari improbabili da mani frementi – non più, da troppi mesi, e Remus è stanco di persuadersi a tollerarlo.

Riesce persino a farlo sentire in colpa, questo tipo d’egoismo. Sebbene, potesse mettere da parte lo smodato bisogno di contatto per più di qualche secondo, vedrebbe quanto giusta sia in realtà la nostalgia della pelle, e quanto bene abbia il potere di fare per entrambi.

È l’ennesima violenza ripetersi che non è questo il punto, che hanno altro cui pensare – altro da recuperare, per amor del cielo, dacché stanno spaccandosi più in fretta che mai.

Il dialogo resosi tanto necessario non giunge sotto la forma sperata, ma è forse maggiormente efficace. Certo lascia senza ricordi di guerra, e salvaguarda Remus dal timore costante d’incorrere nelle ire di Padfoot.

“Hai mai provato a parlarne con Sirius?”

Mh?”

La voce di James si frammenta in singoli tasselli di ovvietà annoiata, recriminazione sardonica.

“Forse ti è sfuggito, ma questa estate è scappato di casa. Non una di quelle cose da ragazzini: scappato davvero. Tanto che i miei lo hanno preso in custodia, e indovina? Quel che è peggio, suo padre non ha neanche tentato di portarlo indietro.

Remus leva lo sguardo dal saggio di Pozioni con cui aveva stabilito di fingersi terribilmente occupato.

“Potrei sbagliarmi, ma credo gli farebbe bene parlarne con te, invece di spendere ogni momento cercando di evitare la questione.

“Noi non evitiamo la questione, Prongs. Solo… lui non la solleva, e io detesto fargli domande cui non vorrebbe rispondere comunque.”

James sbuffa, scettico.

“Almeno gli avrai chiesto delle lettere. Non puoi non aver notato tutti quei gufi.

E Remus li ha, di fatto, notati. Ma ha ancora una volta scelto di aspettare che fosse Sirius ad aprirsi, dando a intendere di essere completamente all’oscuro di tutto, nel frattempo.

Non sarà stata la tattica più brillante del repertorio, però – l’impeto dell’orgoglio lo smuove – è troppo facile per James parlare.

Non è lui a dividere una zona d’anima con Sirius. Non è lui a rischiare il riflesso delle sue ferite, da quando colpire uno significa abbattere entrambi.

“Credevo fossero di sua madre.”

Tenta, pacato.

“Chi, Walburga Black?! Sai bene quanto me che non è capace di ricordare dove si trovi suo figlio abbastanza a lungo da pensare di scrivergli. Non lo ha fatto una volta in sei anni.”

E allora chi?”

Ancora uno sbuffo.

“Non è a me che dovresti chiederlo, ma visto che vorrei risolvere questa storia prima di diventare un vecchio pazzoide con la pancia piena di sorbetti al limone – è Regulus che gli scrive. Pare abbia preso molto male la rottura di suo fratello, ed è così insistente perché Sirius rifiuta di rispondergli.”

L’ultima occasione per aggrapparsi alla convinzione che tutto qesto sia triviale, e il rimbrotto di Prongs senza fondamento.

Pads adora suo fratello.”

“Lo so. Per questo penso che lo abbia allontanato con l’intenzione di proteggerlo. Non vuole che finisca nei guai con suo padre per essere rimasto in contatto col traditore, ma non capisce che se Regulus continua a non ricevere risposta seguiterà a scrivere finché verrà scoperto, e allora sì che sarà un vero schifo!”

C’è silenzio, che Remus usa per maledirsi in ogni idioma telepatico noto all’uomo.

Poi:

Moony. Fa’ un favore a tutti e parla con Sirius.

James sparisce oltre la soglia del bagno con una strizzata d’occhio, buttata lì per addolcire il commento troppo penetrante.

“Non costringermi a dubitare del tuo coraggio, Grifondoro!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse abbiamo imparato a scontrarci

come parte della quotidianità.

 

 

 

 

“Così… da quant’è che stai coi Potter, esattamente?”

“Bah. Un po’.”

Non sa se dirsi più deluso o sollevato dalla risposta. Adesso, Remus si dice, avrebbe una buona scusa per battere in ritirata e dimenticare il fastidioso pungolo del dovere. Una scusa per non rovinare quel prezioso, raro momento d’intimità senza patemi, con questioni sgradite ad entrambi.

Mh. Un po’?!

“Già.”

“Ti spiacerebbe essere un po’ più specifico?!

Sirius s’irrigidisce contro il suo petto, in quell’abbraccio precario che sta per trasfigurare orrendamente in una presa grottesca.

“Non è… che vuoi? Cos’è tutta questa importanza, all’improvviso?”

“Scusa tanto se mi interesso alla tua vita!”

“Oh. Ma sì, certo.”

È il sarcasmo che lo smonta.

“Adesso non fare lo stronzo.”

E tu non fare la vittima.”

Lo scatto è inevitabile, ormai. Remus spinge in su l’addome, nello stesso moto d’insofferenza per cui Sirius si tira a sedere, ustionato dal solo pensiero di prolungare il contatto.

“La…?!”

“La vittima, sì, Remus, esatto! Non te ne accorgi?”

“Francamente, se c’è qualcuno che si vittimizza quello mi sembra che sia tu. Quando non vuoi parlare dei tuoi problemi, abbi il buonsenso di…”

“Come no, Remus.”

“… non farli notare. Altrimenti sembra tu voglia farti compatire.

“Sembra che cosa?! Tu… non hai idea!”

Gli occhi di Sirius non sono mai stato più argentei, attoniti e rotti come se ne stanno. Remus li ricorderà come la prima cosa andata distrutta, quando sarà tutto finito.

“E di chi è la colpa?!

Adesso.

“Quale colpa? Quale colpa?! Sai che, vaffanculo.”

Pads – ”

Fottiti!”

Non gli resta che annegare fra i cuscini, e guardare Sirius schizzare via dalla sala comune.

Le spalle malferme e i capelli così neri portano a galla il ricordo di quel mattino, in infermeria, tra l’oblio della notte da superare e il peso del giorno di cui farsi carico. La sensazione, Remus registra, è la stessa.

Quella di un tradimento consumato già da troppo, ma ancora lontano nella comprensione. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse siamo balzati giù dal muro,

abbiamo aggiunto al vaso l’ultima goccia.

 

 

 

 

L’inverno è trascorso in trincea. Giorno dopo giorno, da postazioni privilegiate, sono tornati ad osservarsi, attenti a evitare i sacrifici inutili.

San Valentino è stato da incubo, Sirius rammenta. Passeggiare per Hogsmeade senza dimenticare neanche un attimo la vista di Remus e Mary-Anne Finch da Madame Puddifoot, seduti al tavolo vicino la porta; e, in nottata, rifugiarsi da Darren Walpole di Tassorosso nel misero tentativo di accelerare la decomposizione dei sentimenti residui, e della pelle ansiosa d’altri – di Moony, ancora e sempre.

Adesso, in quest’attimo agognato fatto delle lacrime di Mary-Anne, Sirius stabilisce di tentare il primo colpo, valicando la coltre del filo spinato.

Che succede?”

Peter ha indosso un’espressione di rammarico tanto sincero da sembrare comica, tutto sommato, giacché Sirius ne ricorda una identica all’indomani della rottura con Remus in autunno.

Moony ha piantato Mary-Anne. Cavolo. Dopo San Valentino, e tutto il resto!”

Black mantiene un contegno dignitoso, ma i pianeti stanno già allineandosi nel suo orizzonte di previsione.

“Una vera disgrazia.”

Il commento non sfugge ad alcuno. Gli occhi di Remus bruciano di colpa senza nome mentre premono in quelli di Sirius, e la scena sembra cambiare intorno a loro.

Non dura neanche un’ora. Le orecchie diventano sorde ai piagnistei femminili, le dita s’intrecciano sotto la tavola. La sedia scotta, il pavimento – la tovaglia traccia linee d’intollerabile tempo bianco, mentre febbre cresce sullo sfondo, muta e sudata. Tutto passa come soffiato via dall’ingiustizia stessa del rivivere sopra macerie.

La ritirata in dormitorio non è mai stata più urgente.

È di braccia, e labbra e lingue, e corpi e un letto soltanto, che la prima brezza dell’era a venire si compone. Annodati sotto il piumone, dentro l’uno all’altro per equa alternanza, sgusciano via dalla pelle avvizzita e affrontano la muta con un sesso nuovo.

E ancora labbra, e lingua, e Remus su di lui, e tutt’intorno, e –

Rem…”

“Non smettere. Sirius, ti prego.

Gli stringe un fianco, geme spezzato.

“Andiamo a stare insieme. Tu ed io. Dopo scuola.”

Butta fuori a scatti, nelle pause di fiato tra le spinte rotte del bacino.

Remus miagola, striscia labbra verso l’arco del collo, e Sirius ne avverte i baci flebili fin nell’arteria.

“Dopo… Hogwarts?”

Un’inversione d’angolo e sono perduti. L’intrico di gambe si rovescia; i guanciali accolgono una chioma più chiara, ambra mossa in onde lievissime.

“Per favore.

Sirius prega con tutti i mezzi, si tende dentro il compagno. Remus è impossibilmente aperto e caldo, vicino, bello come nei ricordi più santi.

Sì.

Qualcuno alla porta, il cui arrivo rammenta a Sirius la sua imprudenza; ma non può pentirsene – troppa premura per silenziare il letto.

Non è sfiorato dall’idea di fermarsi. Non prima di ciò che desidera, e non dopo l’assenso tremulo di Moony.

Prongs e Wormtail capiranno – Remus direbbe che è proprio questo il problema, quindi è una fortuna che sia ridotto al silenzio.

Spinge per liberarsi, e l’alcova dolcissima che l’ospita accoglie fino al piacere finale.

I suoni dall’esterno sono attutiti dall’ebbrezza del dopo, coperti dal gemito più acuto con cui Remus completa la loro muta. Unghie affondate nella pelle si ritraggono, docili, lasciando il posto ad un languore pesante.

Sirius non può credere di aver vissuto per tutti quei mesi senza un solo assaggio di simile torpore.

“Hey, Moony.”

Nnh. Sirius, sono a pezzi.”

“Lo credo! Non eri più abituato a, eh, me.

Fuori dal mio letto in questo istante, razza di cagnaccio ingrato!”

“Potrei, in effetti. Credi che Petey arriverebbe effettivamente a svenire se mi vedesse uscire da qui senza che mi sia ripulito? In tutta la mia gloriosa nudità appiccicaticcia.

Ugh. Sei ripugnante. Evanesco!”

Mooooooney! Moony, Moony-Moons?”

“Sto per dormire. Sei avvisat – ”

“La tua risposta? Era… davvero?”

“…”

“…”

“Davvero. Sì, ti prego.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forse ci siamo sforzati troppo,

per paura di fallire.

 

 

 

 

La stanza è romboidale, vista con code d’occhi lucidi.

Remus sente le membra irrigidirsi, scosse dall’afflusso del sangue che sale rapido al cervello. Ruota su se stesso, infastidito dalla lana pungente del piumone contro la nuca. Di traverso, il naso sepolto in uno dei cuscini, trae un respiro incerto e beve l’odore di lui.

Un po’ di sesso e di fumo, la traccia di Sirius in camera.

Può ancora sentire il clangore del chiavistello e il tonfo della porta – divenuto secco e plateale da quando il coinquilino ha smesso di usar prudenza per non disturbarlo. È un effetto d’intossicante ridondanza.

Si flette lievemente, sfregando l’addome nudo contro la stoffa ispida.

L’amore in quel letto è un sapere elitario e sfuggente, come l’alcool in coppe di vino. Del resto vivere insieme ha il gusto dell’eufemismo, ora che Sirius non c’è mai per davvero.

Poi, l’odore. Le lunghe dite di fumo che avvolgono il candore delle federe, sgualcendole con mani invidiose e gesti semplici – perché è facile da sempre lasciarsi Remus alle spalle. Bruciarlo e stringerlo fra i denti, senza trattenerlo più a lungo del dovuto: non un attimo oltre il piacere e la sua frustrazione.

Non lo disturba, di per sé, che Sirius abbia preso a fumare. Solo che ogni cosa gli sfiori le labbra di questi tempi pare inconsistente, e la triste parabola di nicotina appesantisce la nube in cui stagnano di un carico troppo patetico.

I gufi non infestano più l’abitazione, ed è facile intuire quanto il Black perduto ne avverta la mancanza. Godric, persino Remus ne accusa l’assenza, malgrado il disagio dei primi tempi – per non menzionare la sorpresa nell’apprendere che, sì, Padfoot aveva effettivamente informato Regulus della sua nuova sistemazione, con tutta la sequela di spiegazioni supplementari implicate. Adesso la mancanza di beccate sul vetro della finestra corrisponde allo spettro di un marchio nero nel cielo terso, ne condivide il significato. E la guerra fuori ha fornito una scusa rapida ad ogni sbalzo d’umore, ogni fuga, ogni silenzio.

L’udito da lupo fallisce, prevedibilmente assopito dalla luna calante. Sirius è in camera senza che Remus possa predirlo, e il suo calore è disteso sul letto l’attimo dopo.

Uno sbuffo, stanco e indebolito, musica l’intrecciarsi molle di braccia e gambe sul piumone.

Ed è ancora il tentativo, irriducibile, di costruire supporti.

“Brutta giornata?”

Sirius nasconde il viso nelle strie di pelle del compagno, aspirandone l’essenza a labbra dischiuse e rilasciandola in un gemito umido e tiepido.

“Lo sai. Non posso parlarne.”

Silenzio sia. Remus si lambicca per sfuggire all’apatia, risolvendo di tenere su di sé il discorso.

“Silente dice che mi assumerà a scuola come aiuto-bibliotecario, finché Madame Pince non si ritirerà dalla professione. Intanto farei un po’ d’esperienza, il che mi tornerebbe utile se decidessi di impegnarmi davvero per diventare professore.

Dalle profondità del guanciale di odori la voce di Sirius giunge in un grugnito.

“Grandioso.”

Bugia che rischierebbe di valergli un diretto in pieno stomaco, fosse Remus meno preso da buona lena.

“Ti va una birra? Ai Tre Manici. Potremmo chiamare Wormtail e Kingsley, e Longbottom.

Il fiato di Sirius si spezza, brusco, prima di riemergere appesantito.

Non. Vedrò. Ancora. Gente. oggi né in questa vita, se possibile.”

C’è già più distanza fra le sue labbra e la spalla nuda del licantropo, ma questi tenta un ultimo recupero. Dopo un frangente di silenzio che ha più cocci da raccogliere, però.

“Potremmo sempre andare da soli.”

Lo scatto è subitaneo. Ciocche di nera bellezza graffiano la pelle nell’allontanarsi a schiocchi di frusta, come fanno.

Remus. Lascia stare, okay?”

Sirius ruota con slancio per rimettersi seduto sul bordo, schiena volta al compagno. L’altro può vedere il su e giù incalzante del costato, intuire la respirazione affannosa.

Piano, i gomiti che lo sorreggono cessano di fremere, e la sagoma ritrova un equilibrio plastico. Remus è rapito dall’arte intonsa di quelle spalle larghe, modellate, fasciate dal pastrano scuro e orlate dalle ciocche di notte arricciate in punta. Da troppo ormai non dedica del tempo ad osservare simili dettagli, preso com’è a leccarsi le ferite. La bellezza di Sirius è al tatto: mani callose non riescono a trarne il meglio, né meritano di conoscerlo.

Odierebbe le sue cicatrici davvero solo se gl’impedissero di amare Padfoot, o tendere alla sua presenza con ogni fibra dei loro dolori.

Hey… ascolta.”

Vorrebbe, Remus, riconoscere in quel tono apologetico lo stesso del compagno di dormitorio. Vorrebbe sentirsi in grado d’accettare scuse che creda sincere, costruttive per il domani di coperte ispide e chiazze di fumo.

Tutto ciò che sente è la supplica, e non credeva potesse deluderlo fino a quel punto.

“Io voglio davvero che questo funzioni. È la cosa che voglio di più al mondo.”

 La torsione del busto segue una spirale morbida. Sirius lo fissa con l’ansia dei folli negli occhi.

“Tu mi credi. Non è vero?”

Rimbomba e galleggia, sospesa in un vuoto che al tempo non c’era, la lirica tenue cui Remus si lascia cullare nel buio. Abbatte le sue difese e lo lascia di arido stucco, incattivito dalla meraviglia soffusa.

Non pensa di avere una risposta per Padfoot.

Reset.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutto ciò che ricordo,

tutto ciò che mi torna in mente sei tu,

mentre mi dicevi che c’era stato un incidente.

 

 

 

 

La notte in cui Remus Lupin è stato strappato dal torpore e ha scoperto di amare oltre ogni volontà ha segnato la fine del tempo.

Sirius, puoi spiegarmi una buona volta che cosa sta succedendo?!

“È già qui, Moony. Voldemort ci ha trovati. Devo…”

Harry. James e Lily, saranno – ”

“Vado da loro. Tu cerca di metterti in contatto con Silente, e non muoverti di qui per nessuna ragione al mondo.

“Non puoi aspettarti che me ne stia con le mani in mano! Stiamo parlando dei miei migliori amici.”

“Sono anche i miei – ma certo, Peter! Oh, diavolo!”

Che altro c’è?”

“Devo passare da Wormtail per assicurarmi che stia bene. È il Custode. Se Voldemort fosse arrivato a lui sarebbe la fine dei giochi.”

…”

Moony…”

“Vai. Penso io al resto dell’Ordine.”

Sirius è andato, e non è tornato indietro.

Reset. Remus si chiede come abbia potuto sbagliare così incredibilmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sempre a fingere,

sempre a credere che l’amore sarebbe bastato.

 

 

 

 

Nove code lisce.

Nove.

Per un totale di… 36 piccole zampette sulle piastrelle in pietra.

Intorno ai 108 minuscoli artigli. E 54 corte vibrisse.

Quanti denti in tutto?

Stringe le gambe al petto di scatto, sprofonda il capo nell’incavo tra le ginocchia. Ce n’è un altro i cui occhietti rossastri brillano nell’angolo opposto della cella.

Dieci code lisce.

40 piccole zampe. 120 unghie appuntite. 60 baffi come stringhe lucenti di –

L’auror di guardia batte sull’uscio col più indegno pugno babbano.

“Facciamola finita lì dentro, Black!”

Ma forse non dice nient’affatto. Forse non c’è nessuno a sorvegliarlo, all’infuori di quelle 20 pupille dardeggianti e l’ombra fredda che tocca i muri incassati prima della violenza terminale.

Sirius non ricorda.

Ha preso a discorrere tra sé, certamente. Qualche volta ha anche l’impressione che stralci di conversazioni siano già occorsi in passato, ma la percezione è pallida e va via in fretta.

Al calare delle ombre innaturali – il sole non filtra, in Azkaban – gli sembra perfino di risentire una voce umana, da qualche parte fra i suoi brandi d’anima.

Io ti amo.

Flautata, glucidica, porta il messaggio di una zona inesplorata di sé che s’immola per proteggerlo dagli artigli dei mantelli scuri, disgregandosi poco per volta. Si riduce in scorie invisibili che cadono in pasto ai cani infernali nascosti dai cappucci.

Quando diventa dura realmente, Sirius s’industria per ribattere alla voce. Solo che il dialogo deraglia verso lidi che non è certo di saper cogliere.

“Io ti amo.”

Ma non ha importanza! Non ha senso, lo capisci? Se non vuoi stare con me, allora è tutto nella tua testa. Nel tuo cuore, se siamo fortunati. Però non cercare di farmi credere che può bastare, Rem, perché non è giusto.

Non prova più da tempo ad approfondire l’indagine. I ricordi sono fatti di nomi senza valore impilati secondo le strutture di una disperazione dispotica; Sirius Black, in Azkaban, ha troppo da fare per mettersi a gustare il dolore.

Le nocche prominenti sbiancano, arcuate sulle rotule in agetto.

Undici code lisce.

Undici…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La tua innocenza mi manca

ogni giorno.

 

 

 

 

Prima che le ore iniziassero a uccidere, c’erano stati momenti come quello in cui –

Moony?”

– aveva alzato gli occhi dal suo libro (ricorda persino quale, Don Quijote de la Mancha) per sorridergli in semplicità.

“Sì?”

Sirius può solo immaginare, adesso, quanto dovessero dolere gli scoppi di gioia veemente nello stomaco, condizionati dal più misero gesto e portatori tutti di un unico messaggio, magnifico e tremendo…

… che non ricorda più. Ma è certo fosse proprio lì, fosse lì tutto il tempo.

“Come puoi avere a che fare con me? Come riesci a fidarti?”

Pads, non quella storia di nuovo!”

“Non mi riferivo a quella… è tutto. Anche se tentare di usarti per mandare Snivellus a morte è un buon esempio di ciò che intendo.

“Varrebbe a dire?”

“Oh, andiamo, Rem! Tu mi conosci. Sono una testa calda, un – un povero idiota che si getta a capofitto in tutto quello che fa, e a volte non capisco neppure dov’è che sbaglio, quindi non posso pentirmi. E tu sei sempre lì a tollerare e a pazientare, e a riportarmi sulla via della ragione quando perdo la bussola, e in più mi ami. So che sei forte, ma quanto devi esserlo per gestire me?”

“… c’è solo una cosa che non ti perdonerei mai, ed è la stupidità di discorsi come questo. Cerca di tenere a mente che non ti amo perché lo meriti.

Stretti e caldi, gli occhi di Remus dovevano illuminare la sala comune deserta; l’oro e rosso degli stendardi tracciare i confini ora indistinti del suo volto.

“Continuerò a farlo. Pensi che abbia scelta? Non importa quanto tu possa sbagliare, vedrò sempre in te le stesse cose.”

Quel battere di cuori, corrosi e ridipinti. Atleti vecchi e ansanti, che toccano il traguardo col sangue infetto e tornano a competere.

“Quand’anche perdessi la fiducia in te mi resterebbe quella nel mio amore. Credo basterebbe per una vita intera!”

Aveva sorriso e proteso una mano – benevolo, altissimo come certi sovrani della storia babbana, sembrando più regale che mille incoronati e i loro stuoli di gioielli.

Dopo

È il ricordo più sano che ha. E Sirius è sopravvissuto sapendo d’essere riuscito a conservarlo solo perché ammantato di rancore, menzogna, amarezza. Prezzi esatti dai carcerieri e dal tempo stesso, in una tassazione fluviale che ha risciacquato via il desiderio della memoria.

Quel che adesso gli accade di ricordare è una sventura deforme e inaccettabile; e neppure è il lato peggiore. L’artificiosità dei pezzi di passato che rievoca senza volere ammicca ad una prospettiva terrificante, capace di sbaragliare ogni pilastro del suo esistere qualora provata corretta.

Sirius Black deve credere sia stata tutta una finzione, una recita assurda sin dall’inizio. Cosicché i moti a scatti dei Malandrini, in tutto il dolore degli anni trascorsi, avrebbero più senso e dignità – non più memorie distorte e abbrutite di un passato perduto nel vuoto del consenso, ma riflesso fedele di una pantomima disimpegnata dai buoni effetti scenici.

Non sa perché stia valutando tutto questo, ora che risente il vento e il sole sulla faccia. È bizzarro, sembra la prima volta.

C’è dunque stato un tempo in cui vivere lo rendesse tanto felice?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_ * _

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Parte 2 di 3. Grazie di cuore a chi ha avuto la pazienza di attendere questo secondo capitolo, che è stato nell’incubatrice un bel po’ prima di decidersi a spuntar fuori. *w*

 

Fruscio di Anime e Mizar, deliziose creature: dipendo interamente da voi per il sostentamento della mia latente i-i-ispirazione, quindi mi prostro ai vostri piedi in caso siate ancora intenzionate a seguire questo progetto.

 

Devo dire che (But) The Act – il cui titolo è spiegato particolarmente nell’ultimo paragrafo di questo capitolo, da Sirius – ha preso connotazioni vagamente diverse da quelle che mi aspettavo, forse più dialogiche del previsto. E forse anche un po’ disturbate, mh.

Oh, be’: quel che è fatto è fatto. Vi attendo alla conclusione. :3

 

In più, da brava recidiva, vi annuncio che ho un capitoletto avanzato proprio a questa storia (già, ho persino degli AVANZI) sul quale intendo lavorare un po’ per mettere su un’altra fic, magari di diversa prospettiva. Con più Snape e più Regulus. O forse no.

Suggerimenti sono più che ben accetti *O*!

 

Un bacio dalla sempre vostra e devota,

Autrice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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