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Autore: Avly    22/10/2009    12 recensioni
L'inizio di tutto...o la fine. Un nuovo campionato, una nuova avventura, vecchi e nuovi amici, e non solo...tra demoni e guardiani una nuova sfida attende i nostri blaider...ma questa volta a scendere in campo non saranno solo i bey. Scsate questa è la mia prima fic e spero che vi piaccia...premetto che dal prologo non si capisce molto, ma dopotutto è un prologo no?! Sono graditissimi i commenti, anche se negativi poichè possono aiutarmi con la narrazione. Così la storia sarà un po' di tutti. Anche se leggendo il prologo vi sembrerà di trovarvi una storia di rating superiore, non preoccupatevi! Buona lettura! PS Ho aumentato il rating da verde a giallo poichè non sono molto sicura che situazioni che si verranno a presentare siano adatte ad un rating verde...Comunque magari mi sbaglio, se lo riterrò esagerato lo abbasserò^^
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hilary, Kei Hiwatari, Max Mizuhara, Rei Kon, Takao Kinomiya
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prologo

 

Prologo:

 
 


“Sono sicuro che da grande sarà proprio come voi, Serena! - L’espressione che si leggeva negli occhi smeraldo del piccolo Jean non tradiva alcuna emozione; era felice e mentre guardava quel piccolo fagotto, che placidamente giaceva fra le braccia di Serena, non potè fare a meno di notare come il piccolo assomigliasse molto alla donna. La somiglianza era incredibile, anche se il bambino era ancora molto piccolo. Il ragazzino dai capelli corvini osservava con occhi pieni di ammirazione il neonato, che intanto guardava teneramente il volto angelico di Serena. Jean sentiva di voler bene a quel bambino come se fosse veramente suo fratello, anche se all’inizio non lo aveva visto di buon occhio; infatti lui come tutti gli altri bambini che risiedevano alla villa, credeva che con la nascita di un bambino veramente suo, la Signora Serena li avrebbe abbandonati, lei e Christian non si sarebbero più occupati di loro e così sarebbero rimasti soli. Ancora una volta.

Per fortuna poi si era ricreduto. Serena era rimasta sempre la stessa, anche con la nascita di suo figlio, e né lei né Christian li avevano privati dell’amore che prima gli davano. Fu così che i sentimenti provati inizialmente nei confronti del nuovo arrivato si trasformarono in amore fraterno e in senso di protezione. Si ne era certo, il bambino sarebbe stato degno di due genitori fantastici come Serena e Christian. Non poteva essere altrimenti.

- “Spero solo che sappia trovare il coraggio dentro di sé di affrontare le situazioni difficili e che non sia mai solo.” -  Gli occhi lucenti di Serena erano tristi e sofferenti, ma cercava in tutti i modi di dissimulare ciò che provava, soprattutto davanti a suo figlio. In realtà lei aveva paura, paura di perderlo, paura che il tempo da passare con lui fosse scaduto e paura che il loro destino fosse minacciato da un’ombra, un’ombra dalla quale non era ancora riuscita a scappare. Tuttavia non era solo questo. E lei lo sapeva.

“Che razza di madre sono? – Ormai era tanto tempo che se lo chiedeva, ma non era ancora riuscita a darsi una risposta. Lì tutti la amavano e la vedevano come un angelo, ma allora perché lei si sentiva una nullità del tutto impotente di proteggere le persone a lei più care?- Istintivamente una lacrima le scese lungo il pallido viso, ed andò ad assorbirsi sul candido tessuto che avvolgeva il piccolo.

“Non si preoccupi Signora Serena! Io lo difenderò, lo proteggerò da ogni pericolo anche a costo della vita, come giurarono i Cavalieri Dell’Antico Ordine!- esclamò il ragazzino gonfiando il petto d’orgoglio. Questo fece sorridere appena Serena, che passò una mano sui capelli neri del ragazzo. – “Grazie Jean, sono sicura che con te lui sarà sempre al sicuro” – gli rispose sorridendo la giovane donna, per poi lasciare sulla fronte di Jean un tenero bacio.

Dopo di che il bambino dai capelli corvini fece un inchino molto teatrale e si allontanò, lasciando Serena e suo figlio soli nella grande biblioteca. Quando i leggeri passi del ragazzino si spensero nel corridoio, Serena si alzò con il bambino fra le braccia e si avvicinò alla grande vetrata che dava direttamente sul grande giardino interno del castello.  

Era pieno inverno. Il bianco era il colore incontrastato di tutto il paesaggio, uno scenario meraviglioso, da cui non si distingueva la terra dal cielo. Sembrava che il tempo si fosse fermato, era tutto immobile, cristallizzato, come se fosse opera di una magia. Gli alberi, ormai privi delle loro foglie erano stati ricoperti dalla neve, mentre la fontana al centro del giardino era completamente ghiacciata, con l’acqua che ancora fuoriusciva delle bocche dei pesci, trasformata in ghiaccio. - E’ tutto immobile, statico, ma è solo un’apparenza. – pensò Serena, rimasta ad osservare il paesaggio. Stava nevicando. Ancora. – Non ci posso far niente. Non mi sono ancora abituata a questo clima, è più forte di me

In effetti erano trascorsi ormai parecchi anni da quando si era trasferita lì dal Giappone, ma ancora non era riuscita ad adattarsi. Il clima freddo della Russia rappresentava una prova titanica ogni anno, ma lei annualmente la perdeva. Questo non si poteva dire di suo figlio, che invece sembrava essere nato tra il ghiaccio. Non tremava, non aveva freddo, non piangeva, anzi facendo mente locale, si ricordò di non averlo mai sentito piangere.

Serena abbassò gli occhi sul piccolo visino del figlio, che la guardava con degli occhi a lei noti. I suoi. In quel momento la donna cercò di imprimere la propria immagine al figlio, sperando che lui sarebbe riuscito a ricordarla e a portarla nel cuore. Quell’istante avrebbe voluto durasse per sempre, ma purtroppo durò solo pochi istanti. Secondi così belli, dolci, e troppo… brevi.

 

 

Jean attraversò a grandi passi il lungo corridoio che portava ai piani alti. Si sentiva fiero e sicuro, come uno dei suoi Cavalieri. Quante volte si era immaginato di essere come loro, così indomiti, valorosi e soprattutto portatori del più grande potere esistente.

“Sarà meglio andare a trovare Christian, forse ha bisogno di me.” – dichiarò il ragazzino svoltando l’angolo per poi ritrovarsi in un corridoio esattamente identico al primo, costeggiato da decine di porte. Era impossibile non perdersi in un posto simile, ma Jean ne conosceva ogni anfratto, o così credeva.

Mentre si dirigeva verso la torre nord, dove Christian aveva il suo studio, Jean rimase a guardare i ritratti degli antenati della famiglia, che erano attaccati sui due lati delle pareti. – Non mi piacciono molto – pensò Jean. – Fanno paura, incutono terrore solo con lo sguardo, ma devo ammettere che sono affascinanti perché infatti ogni ritratto illustra un uomo o una donna che a suo tempo ha avuto il comando del mondo, ha avuto il potere. – Il piccolo Jean era affascinato da tanta lucentezza nelle imprese di questi uomini. Cavalieri, grandi Signori, confidenti della famiglia reale di Russia, e dopo tempo addirittura Zar della Russia.

Accompagnato da questi pensieri Jean arrivò alla rampa di scale in pietra nera, che portava ai piani superiori, e quindi allo studio di Christian. Ma mentre stava per iniziare la grande salita, un rumore soffuso di voci giunse alle sue orecchie e lo costrinse a fermarsi. Il rumore proveniva da una delle porte in fondo al corridoio, nella parte meno illuminata dai candelabri appesi alle pareti. Il ragazzo avrebbe dovuto proseguire per la sua strada, ma qualcosa lo bloccò. -”Devo andare, forse c’è un problema, un ladro, ed io in quanto Cavaliere dell’Antico Ordine ho il dovere di andare!” Certamente in questo caso non era stata la ragione a parlare, ma la sconsideratezza, l’immaturità, l’idea di essere in uno dei libri che Serena leggeva di tanto in tanto ai bambini nella biblioteca quando c’era il temporale.

Comunque sia Jean si diresse verso dove aveva sentito il rumore, ma si accorse che non preveniva da dietro una porta, bensì da dietro un quadro, uno dei più recenti e più grandi. Non ricordava il nome dell’uomo dipinto, ma credeva fosse il nonno di Christian, l’ultimo Zar di Russia. Deciso a proseguire la sua indagine, il moretto scostò il quadro, rivelando, non senza fatica, una stanza con una rampa di scale in fondo che portavano nei sotterranei. La stanza era buia e sporca, ma lungo la parte di tappeto che conduceva alla rampa, si vedevano chiaramente le tracce di impronte di scarpe. Così Jean scese lungo le scale, mentre il rumore si faceva sempre più chiaro e le voci divennero due. Aveva paura, una paura che non si sapeva spiegare, sentiva come un groppo allo stomaco, ma si costrinse a mandarlo giu. Non appena ebbe sceso le scale, Jean arrivò in una grande sala, illuminata da tante candele, circondata da una enorme libreria per tutto il suo perimetro. Al centro della stanza vide l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato di vedere lì…un beyblade stadio. – “Questa è bella che ci fa qui un beyblade stadio?” si chiese perplesso Jean. “E’ la stessa domanda che dovrei farti io. Cosa ci fai qui piccolo Jean?” – La voce lo colse alla sprovvista spaventandolo, ma quando si girò verso il suo interlocutore il ragazzino vide un volto a lui noto e sorrise sollevato.

–“Signor Christian… eh mi perdoni per il disturbo, ma io…ecco vede io…ehm… 

“Non ha importanza Jean tranquillo, lo so che sei un gran ficcanaso! – scherzò Christian, che sorrise al piccolo esploratore. “Allora come stanno Serena ed il piccolo?” – chiese al ragazzo, per farlo calmare un attimo dallo spavento di poco prima.

“Tutto ok Signore, ma mi dica, come mai questo passaggio attraverso il quadro? Io non ne sapevo niente… a cosa serve e soprattutto a cosa serve il beyblade stadio? Viene forse qui ad allenarsi come quando era ragazzo? Ma poi mi pareva di aver sentito due voci, ma qui c’è solo lei, stava parlando da solo?

L’infinità di domande che uscirono dalla bocca del ragazzino sorpresero Christian che non credeva si potessero fare tante domante in così poco tempo. Guardò il ragazzino con occhi seri e così lui capì che doveva fare silenzio. Forse faceva ancora in tempo a nascondere tutto. – Speriamo - disse fra sé.

In quel momento un gridolino irruppe nella stanza facendo trasalire Jean e cogliendo in flagrante Christian. – Ecco appunto – disse l’uomo.

“Chi è che piange sembra un bambino” – chiese Jean guardandosi intorno per la stanza, prima di tornare a posare gli occhi sull’uomo dinanzi a sé.

Ci fu un attimo di silenzio tra i due, intervallato solo dal piangere della creatura che però Jean non riusciva a vedere. Fu Christian a parlare: “Jean senti ora io ti confiderò un segreto, un segreto importante, di cui nessuno è ha conoscenza a parte me, Serena ed ora te. Saprai mantenere il segreto?” La sua voce era profonda, seria e non lasciava trasparire nulla, ma nei suoi occhi azzurri chiari, Jean lesse paura, terrore ed angoscia.

“Non si preoccupi io saprò mantenere il segreto!” – disse con decisione il ragazzino.

“Bene allora seguimi, ma mi raccomanda fai silenzio.” Detto questo Christian accompagnò Jean fino ad un separè con una tenda rosso porpora, sembrava nuova e splendente e stonava un po’ con l’arredamento antico della stanza. Jean era curioso, non capiva quale potesse essere il segreto tanto importante, ma era deciso a scoprirlo e a custodirlo.

Non appena Christian scostò la tenda, l’unica cosa che Jean vide fu una culla in legno dipinto di bianco, con una tendina ricamata molto graziosa ed una rosellina intagliata in legno sulla cima della culla. Al suo interno giaceva una bambina con una tutina rossa che teneva la manina in bocca, mentre con i suoi occhioni azzurri guardava sorridente i suoi ospiti. – “Ma…questa è…una…- proferì Jean che non riusciva a credere ai suoi occhi – “…assomiglia a voi, ma non solo…quindi è….

Si, questa bambina è figlia mia e di Serena, esattamente come l’altro.” – concluse Christian prendendo la piccola in braccio e accarezzandole la testina leggermente ricoperta da pochi capelli chiari.

Ma allora perché non sta sopra con il fratello, perché la tenete nascosta?” Jean non capiva, gli sembrava impossibile. Quindi Serena e Christian avevano avuto due figli, non uno, ma allora perché adesso ne nascondevano uno all’insaputa di tutti?” – Stava giusto per chiederglielo, ma Christian intuendo già la domanda rimise la piccola nella culla, e tornò a posare i suoi occhi su Jean.

“Vedi Jean noi dobbiamo proteggere i nostri figli da delle persone che vorrebbero far loro del male. Ricordi quegli uomini che facevano del male a te e agli altri bambini prima che venissimo io e Serena?” – la sua voce era calma, dolce e sembrava che volesse spiegargli la verità con l’aiuto di una favola.

”Sì, non potrei dimenticarmene” esclamò Jean. Ci fu un attimo di silenzio, poi tutto sembrò più chiaro a giovane moretto. “Quindi noi dobbiamo nasconderla perché non sappiano della sua esistenza giusto? -  “Sì proprio così Jean. Ci aiuterai?”- chiese Christian accarezzando la guancia del bambino.

“Certo Signore non ne dubiti” esclamò serio Jean. Era rimasto scioccato. Non era da Christian fare gesti così espliciti e dolci, e per questo ne dedusse che la cosa era più seria del previsto. Detto questo si diressero entrambi verso l’uscita, dopo aver prima dato un’ultima occhiata alla piccola che intanto si era addormentata, forse cullata dalla voce del padre.

“A proposito come si chiama?! Chiese Jean quando furono fuori dal passaggio segreto.

“Lei si chiama Kate.”  

 

Erano trascorsi alcuni giorni da quando Jean aveva scoperto dell’esistenza di Kate, e ogni tanto stando bene attento che nessuno lo vedesse, attraversava il passaggio attraverso il quadro e andava a controllare la piccola, che era sempre felice di rivederlo. Non aveva rivelato niente a nessuno, era stato di parola. Fu proprio durante una di queste visite, in una notte di gennaio, fredda come non mai, che Jean udii un rumore provenire da fuori. –“Forse sarà il fruscio del vento” pensò il ragazzino, ma qualcosa gli diceva che non era così, forse proprio quel qualcosa che gli aveva fatto scoprire il passaggio ed il grande segreto di Serena e Christian: Kate.

Avvicinandosi alla finestra però, Jean capì che non era il vento, o meglio non solo. – “E’ notte fonda, che potrà mai esserci fuori a quest’ora?” – pensò il moretto mentre schiacciava il viso contro il freddo vetro per poter vedere meglio. Pioveva, e l’acqua cadeva incessantemente su quel magico scenario coperto di ghiaccio, e come se non bastasse si era anche alzato il vento, un vento gelido tipico dell’inverno russo, che presto o tardi avrebbe portato con sé una tormenta di neve. Era strano, di solito l’inverno del suo Paese piaceva a Jean, ma questa volta nel guardare fuori, non sentì un richiamo magico e sovrannaturale, ma invece percepì una sgradevole sensazione, come se quella neve dovesse seppellire lui e l’intero castello per sempre. Non si trattava più di magia, ma di morte e distruzione. Riscotendosi dai suoi pensieri, Jean tornò a posare gli occhi sull’entrata del castello, dove, nascosta dalla penombra si intravvedevano dei fasci fiochi di luce. Un’automobile. No, tante automobili.

“Questo è strano, e non mi piace per niente. Sarà meglio avvisare Christian e Serena” riflettè Jean, mentre prendendo un candelabro in ottone, si avviò verso la stanza da letto dei Signori del castello.

I suoi passi risuonavano leggeri sul tappeto cremisi, ma a Jean sembrò di camminare con i piedi di ferro, sentiva di fare rumore solo respirando, mentre un cattivo presentimento gli correva lungo la schiena. Cercando di non farsi prendere dal panico, il moretto arrivò davanti alla camera da letto, e prendendo un respiro profondo spinse la fredda maniglia in avanti.

La stanza era nel più completo silenzio, e Jean riuscì a distinguere attraverso i raggi della luna i corpi dormienti di Christian e Serena, mentre accanto al loro letto, si trovava una culla, esattamente uguale a quella di Kate, ma con un giglio intagliato in legno al posto della rosa, dove c’era il maschio, che però non dormiva, anzi si guardava intorno con quei suoi occhi così particolari e lucenti. Jean subito si riscosse e dopo che udì un tonfo proveniente dai piani bassi, si avvicinò a Christian, cercando di svegliarlo. – “Signore, Signore, la prego si svegli c’è qualcuno fuori, e sta entrando nel castello!” – disse Jean, prima sussurrando e poi, poiché la sua paura cresceva, finì per urlare le ultime parole.

Christian e Serena si svegliarono di soprassalto, e vedendo lì moretto, si guardarono negli occhi e in un attimo capirono.

“Grazie Jean, sei davvero coraggioso, grazie.” Disse Serena quasi con le lacrime agli occhi, ma poi se le asciugò velocemente con il dorso della mano. No questo non era il momento di piangere, lei doveva salvare i suoi figli, la loro ultima speranza.

“Forza muoviamoci” sentenziò Christian alzandosi e prendendo qualcosa che Jean non riuscì a vedere dal cassetto. Serena intanto prese il bambino dalla culla e dopo averlo avvolto in un telo azzurro gli posò un bacio sulla fronte dicendo:” vedrai che tra poco sarà tutto finito, non avere paura, piccolo mio” – In realtà diceva questo per calmare se stessa, non il bambino, che la guardava con i suoi profondi occhi senza piangere o sembrare preoccupato.

Jean intanto sentì i rumori farsi più nitidi e vicini, presto sarebbero stati lì. – “Serena tu esci dal passaggio sul retro della biblioteca con il piccolo, Jean tu corri a nasconderti e porta con te gli altri bambini. Gli altri bambini. Già loro non erano soli, c’erano anche quattro bambini più o meno della sua età al castello, e tutti erano ignari di quello che stava succedendo. Erano ignari di tutto.

Jean scosse la testa deciso – “Devo andare a prendere Kate! Lo ha detto lei l’altra sera! Dobbiamo proteggere la piccola da quegli esseri malvagi ricorda?!” – Jean sembrava irremovibile, ma Christian scosse la testa, - “No ci penserò io a Kate, tu hai già fatto tanto, va prendi i bambini e portali fuori attraverso le cucine, è un ordine!” – la voce di Christian era diventata dura e decisa e Jean capì che sarebbe stato irremovibile. “D’accordo vado” sentenziò alla fine il moretto, poi fece per andarsene rivolgendo un ultimo sguardo ai coniugi, e sentì una fitta allo stomaco…come se quella fosse l’ultima volta che li avrebbe visti insieme. Scuotendo energicamente il capo si voltò e prese a correre verso le camere, mentre Serena ed il piccolo scomparivano attraverso un passaggio segreto celato dietro la libreria della stanza. Christian intanto uscì e si diresse a passi svelti verso il quadro di suo nonno, verso Kate.

 

Jean correva, aveva il fiatone, e ormai il rumore che faceva non era solo una sua impressione, ma non gli importava, doveva arrivare alla camera dei bambini prima di loro, doveva.

Mentre si faceva strada correndo a più non posso, improvvisamente delle grida acute lo costrinsero a fermarsi. Erano grida di dolore, grida di morte. No. Non poteva essere.

Era arrivato alla stanza dei bambini, ma prima di entrare si nascose dietro la porta sbirciò al suo interno, e… ciò che vide fu troppo, troppo brutto. Dovette chiudere gli occhi e mordersi le labbra per non urlare. Tuttavia nella sua mente rimase impressa quella scena: quattro corpicini esangui, che giacevano sul pavimento coperti di sangue, mentre davanti a loro tre uomini vestiti di nero, con dei lunghi cappotti pesanti, stringevano tra le mani degli affilati coltelli, ancora tinti di rosso. Non avevano neanche potuto difendersi, li avevano uccisi nel sonno, maledetti – pensò Jean fremendo dalla rabbia, mentre avrebbe tanto voluto ucciderli con le sue mani, e stava per farlo, quando si ricordò di una frase pronunciata da Serena una sera mentre leggeva ai bambini un libro nella biblioteca, quando ancora erano una grande famiglia. “…Il Cavaliere avrebbe voluto distruggerli tutti, annientarli, dissetarsi del loro sangue, ma l’ira lasciò il posto alla ragione; lui era un Cavaliere, e quindi doveva pensare prima agli altri, a proteggere ciò per cui era stato scelto, la vendetta si sarebbe consumata in altro modo, non perdendo inutilmente la propria vita in uno scontro disperato…". Ricordandosi queste parole a Jean venne in mente una sola persona da proteggere, l’unica che ancora potesse aiutare, Kate. Immediatamente prese a correre verso il corridoio dei quadri, lui di sicuro si trovava più vicino di Christian, che invece doveva attraversare mezzo castello, quindi lui avrebbe potuto salvarla. Doveva. Non poteva fallire. Corse con un razzo ed entrò nel passaggio del quadro senza fare rumore, scese la rampa di scale, scostò la tenda rossa e fu sollevato di vedere Kate ancora lì che gli sorrideva con quei suoi occhi di ghiaccio. Era bellissima. Sembrava felice di vederlo, come tutte le altre volte che era andato da lei per farla giocare. Ma questa volta non si stava giocando. Subito Jean prese Kate in braccio e coprendola con un telo rosa si avvicinò alla porta in fondo alla stanza, che aveva scoperto giorni addietro, dava direttamente sul retro del giardino. Stava per aprire la porta, quando una mano gli si poggiò sulla spalla, facendolo girare di scatto. “Tranquillo sono io Jean”- la voce di Christian era calma, ma era tutta apparenza, aveva scoperto cosa era accaduto ai bambini, e aveva subito intuito che Jean doveva essere lì. “Bravo il mio Cavaliere” – disse Christian, mentre apriva la porta. Usciti, i fuggitivi furono subito investiti da un vento gelido e dalla neve, che cadeva copiosamente e violentemente. La bufera era vicina, dovevano correre, dovevano nascondersi, far perdere le loro tracce, e soprattutto dovevano ritrovare Serena ed il piccolo.

Iniziarono e farsi strada faticosamente, ma la loro avanzata era ostacolata dalla neve che li rallentava. Il freddo era pungente e si infilava dappertutto, congelandogli gli arti, rallentandoli, ma soprattutto aumentando lo sconforto e la paura.

Erano usciti dalla cancellata laterale e ora si trovavano a pochi metri dal bosco che forse rappresentava la loro unica possibilità di salvezza. Purtroppo però dove c’è una salvezza apparente c’è anche un ostacolo. Uno sparo. Un rumore secco, forte, nitido anche durante una tormenta di neve. Jean credette di essere morto, ma poi sentì qualcosa dietro di lui cadere sonoramente a terra. Si girò. Christian giaceva a terra, con ancora Kate tra le braccia. Il moretto si avvicinò al suo signore preoccupato, spaventato, terrorizzato. “Christian…vi prego alzatevi Christian!!!” gridò Jean in preda alla disperazione, ma ad un certo punto l’uomo gli strinse la mano e con una voce debolissima gli sussurrò: “Prendi Kate e fuggi, raggiungi Serena e portali via. Nascondetevi nel bosco e poi raggiungete i confini degli Urali, dovrete uscire dalla Russia per salvarvi, fuggite lontano e …- a questo punto la sua voce si limitò ad un lieve sussurro appena percettibile – “Prendi anche questo” disse porgendo a Jean un oggetto metallico blu come l’oceano. Era lo stesso che Christian aveva estratto dal comodino quella sera. A Jean bastò percepirlo sulla pelle per capire che cosa fosse: “…un…beyblade” disse Jean stringendo fra le mani quella piccola trottola scura con al centro quell’inconfondibile Bit-Power.

Il moretto prese in braccio Kate, prima di infilarsi il beyblade in tasca, tenendo ancora stretta la mano di Christian, che però poco dopo divenne incredibilmente più pesante. Il ragazzino guardò l’uomo negli occhi, ma non c’era più niente da vedere, la morte se lo era portato via, i suoi occhi di ghiaccio si erano spenti e questa volta per sempre.

Una lacrima scese ripida lungo le guance di Jean che non poteva credere ai suoi occhi, ma non era il momento di lasciarsi andare. Non ancora. Doveva trovare Serena, proteggerla, anzi proteggerli.

Il ragazzino alzò lo sguardo verso dove era partito il colpo e vide sulla cima di un delle torri un uomo incappucciato che lo guardava mentre prendeva la mira con il suo fucile di precisione. – “Cecchini, hanno fatto le cose in grande” ironizzò Jean scansandosi appena in tempo per evitare un colpo che andò ad infrangersi sulla neve. Si alzò e prese a correre verso il bosco senza guardarsi indietro, zigzagando per evitare di essere un bersaglio troppo facile. Ebbe fortuna, riuscì infatti ad arrivare al limite del bosco illeso, mentre Kate gli teneva i suoi capelli neri tra le mani nascondendo il visino nell’incavo della sua gracile spalla. Jean una volta entrato nel bosco e sicuro della sua posizione si girò, in tempo per vedere degli uomini che con delle moto-neve si avvicinavano al bosco, presto sarebbero stati lì. Doveva trovare Serena prima che fosse troppo tardi.

Era piena notte, e in una foresta poco distante dalla città di Mosca, un ragazzo di appena dodici anni si stava incamminando alla ricerca di qualcuno, o forse alla ricerca della sua unica ancora di salvezza. Mentre arrancava faticosamente attraverso gli alberi, Jean non poté fare a meno di pensare agli accadimenti degli ultimi mesi: il trasferimento dei  coniugi al castello fuori Mosca, la nascita dell’erede della famiglia, la scoperta che poi invece gli eredi erano due, l’assalto al castello, la morte dei suoi amici e…di Christian. Chi li avrebbe protetti ora? Sarebbe stato in grado di portare a termine il compito affidatogli da Christian prima di morire? In fondo lui era ancora un bambino…

Intanto Kate cominciava ad agitarsi fra le sue braccia, si stava spaventando, voleva tornare a casa dalla sua mamma, dal suo papà, dal suo fratellino. – Su Kate coraggio non piangere – le disse affettuosamente Jean accarezzandole teneramente la testolina bionda. – Adesso troviamo la mamma e andiamo in un bel posto – cercò di rassicurarla il moretto, mentre in realtà stava solo cercando di rassicurare se stesso. Aveva paura. Perché non se ne era andato quando aveva udito le voci provenienti da dietro quel quadro? Maledizione alla sua curiosità ed incoscienza. Poi posò gli occhi verdi sul visino di Kate che sembrava lo guardasse arrabbiata. Aveva forse intuito i pensieri dell’amico? Quella neonata era fantastica. Bastò un suo sguardo a riscuotere Jean da quei cattivi pensieri.

- Ma cosa vado a pensare!? – disse – sono un cretino. Ho accettato di aiutare Christian e Serena perché gli voglio bene e perché penso siano nel giusto. Non è così Kate? – tornò a guardare la neonata, che gli sorrise con la sua bocca senza i denti. Gli occhi cristallini della bambina gli diedero coraggio, gli donarono energia alle gambe, stremate per la faticosa corsa e gli riaccesero la speranza. – Grazie Kate – disse semplicemente. Ora Jean capiva cosa fosse quel qualcosa che aveva animato i cuori dei Cavalieri dell’Antico Ordine, ora lo capiva, perché…era quello che provava lui in quel momento; una forza eccezionale che riscaldava il cuore e ristorava il corpo, una forza che andava oltre la morte.

Ad un certo punto Jean udì un rumore di passi farsi più vicino. Istintivamente prese un sasso appuntito e lo sollevò in aria, pronto a scagliarlo se uno degli uomini incappucciati avesse cercato di attaccarli. Trascorsero alcuni istanti, che sembrarono durare anni; furono attimi di tensione, i passi si facevano sempre più vicini e con essi aumentava l’agitazione del moretto, pronto a difendere Kate e la trottola anche a costo della propria vita. Poi improvvisamente un’ombra emerse dagli arbusti, trascinandosi a fatica. Era buio e Jean non riuscì a vederla bene, così si preparò a scagliare la pietra – Questo è per i miei amici, che avete ucciso così barbaramente – pensò il moretto, ma prima che potesse scagliare il sasso incrociò lo sguardo di due occhi familiari, che lo costrinsero a lasciar cadere la pietra, che finì in mezzo alla neve. Un sorriso si accentuò sulle labbra del ragazzino, che non credeva ai propri occhi - …Signora Serena…state bene! – disse sorridendo; poi si ricordò di Christian e le lacrime tornarono ad incorniciare gli occhi smeraldo del giovane. Il ricordo del corpo esanime dell’uomo era ancora vivo in lui, ma forse Serena ne era all’oscuro. – Devo dirglielo o no? – si chiese il ragazzino – Tanto lo avrà capito anche da sola. Non è una stupida, sapeva che Christian doveva rilevare Kate dal nascondiglio, ma visto che qui ci sono solo io, era facile capire che qualcosa doveva essere andato storto, senza poi contare lo sparo.

Jean incrociò gli occhi della donna, che ancora stringeva il bambino. Come al solito non emetteva né un suono né tantomeno si muoveva. Ma era sveglio e vigile. Serena si avvicinò al moretto e gli passò una mano sui capelli neri come la notte. – Grazie – fu l’unica cosa che riuscì a dire, prima che delle lacrime iniziassero a bagnarle il viso. – Sei il nostro angelo custode piccolo Jean – disse mentre le lacrime continuavano a scenderle lungo le gote, rovinando quei meravigliosi occhi. Improvvisamente i rumori delle moto-neve si fecero più vicini, fino a che si fermarono del tutto. Erano arrivati al limitar della foresta, da cui si proseguiva a piedi. Presto sarebbero stati lì. Non avevano tempo da perdere.

- Andiamo – sentenziò Serena dopo essersi ripresa. – Si – concordò il moretto.

Detto questo iniziarono a correre per la foresta, portando con loro non solo le loro vite, ma qualcosa per cui valeva la pena di morire, e questo lo sapevano entrambi.  Correvano, correvano, non si fermavano mai, quanto avevano corso? Non ne avevano idea e forse non lo volevano neanche sapere. Jean era esausto, non si sentiva più le gambe, ma non gli importava, continuava a correre ignorando il graffi dovuti ai rovi ghiacciati, ed il gelo. Doveva proseguire. – Ma verso dove? Per quanto dovevano andare avanti a scappare? Dove avrebbero potuto rifugiarsi? Christian aveva detto che dovevano raggiungere i confini della Russia per salvarsi, ma quanto ci sarebbe voluto ancora? Non sapevano neanche da che parte andare…La consapevolezza dell’incertezza, la paura dell’ignoto, era qualcosa che forse feriva più di un fucile, era qualcosa che leniva la mente, non il corpo. E questa paura finì per far commettere ai fuggitivi un errore, che forse non avrebbero mai dovuto commettere.

Infatti ad un certo punto i quattro si ritrovarono sul limitar della foresta, e dinanzi ai loro occhi si stagliava un infinito spiazzo coperto da una candida coperta di neve. Steppa. – E ora? – disse ansimando Serena, mentre cercava di riprendere fiato. Era la prima frase che pronunciava da quando si erano messi in marcia, non avevano parlato, cercando di risparmiare le energie per continuare a correre. Avevano corso tutta la notte, ed ora che stava sorgendo l’alba un pallido sole tolse loro anche la protezione dell’oscurità. – Forse li abbiamo seminati – provò ad ipotizzare Jean senza però lasciar trasparire un sorrisino compiaciuto. – Forse, ma comunque prima dobbiamo raggiungere il confine con gli Urali, dopo di che una volta giunti nella Russia asiatica, avremo più possibilità di confonderci con la gente, e potrò riprendere in mano le redini della situazione – il discorso di Serena parve convincere il moretto, che annuì e rivolse il suo sguardo verso la sterminata steppa. – Forza Jean puoi farcela – si disse, - l’hai promesso

Questi pensieri rincuorarono il ragazzino, che assicurata la presa su Kate, che non accennava a mostrare segni di stanchezza, si rivolse a Serena – Beh che aspettiamo? Andiamo! – Serena sorrise. Sì avrebbe salvato i suoi figli ed il Potere. Lo avrebbe fatto anche per il suo uomo, il suo unico amore, Christian.

- Io so solo che quello che vi attenderà sarà la morte amici miei – una voce acida e possente si stagliò alle loro spalle. Erano caduti nella loro trappola. La voce dell’uomo spaventò a morte Serena, che si girò di scatto allibita a fissare il loro inseguitore. Li avevano trovati, anzi forse non li avevano mai persi, infatti li avevano lasciati scappare per poi incastrarli sul limitar della foresta. I fuggitivi erano stremati e dinanzi a loro si estendeva l’immensa steppa, dalla quale non avrebbero avuto protezione. Serena era paralizzata, non riusciva a muoversi, ma nonostante questo strinse a sé il piccolo ed iniziò ad indietreggiare. L’uomo che aveva parlato aveva un sorrisino compiaciuto che gli attraversava il viso chiarissimo, incorniciato da dei capelli violetti. Aveva vinto, anche questa volta; e con questa vittoria non riotteneva solo il controllo su Mosca, ma avrebbe anche conquistato il Potere.

- Bene, bene chi non muore si rivede…giusto Serena? – un’altra voce raggiunse quella dell’uomo dai capelli viola, una voce se possibile ancor più cattiva e terrificante. – H..ito – riuscì a balbettare Serena, che in quel momento sembrava aver visto il demonio in persona. – No. Non può accadere, l’incubo ritorna, e questa volta se la prenderà con i miei figli…non posso permetterlo – pensò Serena.

- Voi non li avrete MAI! – urlò una voce accanto alla donna. Jean. Il moretto dopo essersi ripreso aveva deciso di lottare, non solo per sé, ma anche per i suoi amici, per i due fratellini, per Christian e Serena, che ormai considerava la sua famiglia. Il ragazzino guardò con occhi di fuoco gli uomini davanti a lui, come se questo bastasse per incenerirli all’istante. Poi qualcosa accadde.

Il bambino in braccio alla madre si girò verso Jean allungando verso di lui la sua piccola manina; Serena non capiva, Kate guardò il fratellino perplessa, mentre l’uomo chiamato Hito ed il suo compare diedero l’ordine ai cecchini di non muoversi, entrambi aspettavano di vedere se era tutto vero. Jean si avvicinò al bambino e non appena le minuscole dita del neonato toccarono il volto del moretto, dalla tasca di quest’ultimo fuoriuscì un potente fascio di luce, che rivelò nel cielo dell’alba una maestosa fenice infuocata, che emetteva luce propria. Era una cosa mai vista, quella creatura si librò in aria per poi lanciarsi in picchiata verso il suoi nemici, troppo spaventati per reagire; chi provò a spararle si ritrovò a vedere il proprio colpo rimandato indietro ad una velocità incredibile. Poi ad un certo punto iniziò a sputare fuoco sia dal becco dorato sia dalle ali vermiglie. Stava difendendo i fuggitivi, stava proteggendo il suo padrone: il neonato.

Hito ed il suo compagno si rifugiarono dietro degli alberi, mentre molti cecchini venivano investiti da quelle potenti fiammate; entrambi sapevano cosa stava succedendo, ed era la prova che la profezia era vera, a questo punto dovevano solo farla avverare secondo le loro intenzioni.

Mentre regnava questa gran confusione, Serena prese per mano Jean facendogli intendere che dovevano approfittarne. Così ripresero a scappare, mentre la fenice improvvisamente scomparve lasciando dietro di sé solo alberi bruciati e alcuni corpi carbonizzati. Sembrava tutto finito, tuttavia se è vero che il destino è scritto per tutti, e che non si può cambiare il corso degli eventi, allora la morte non aveva ancora finito il suo compito, per quel giorno. Mentre i primi raggi del sole iniziavano a colpire il freddo scenario russo, una donna con in braccio un neonato, ed un ragazzino con una bambina tra le braccia stavano cercando di guadagnare terreno, rispetto ai loro inseguitori. Nessuno si chiedeva cosa fosse successo, come avesse fatto quella fenice ad uscire dalla trottola blu, ma di una cosa Jean era certo: era stato il bambino a far apparire la creatura dopo avergli sfiorato la fronte. Infatti aveva avvertito un calore fortissimo all’altezza della tasca nel momento in cui il piccolo gli aveva toccato la fronte. – Che quel piccolo avesse dei poteri particolari? – si chiese il moretto mentre correva. Ad un tratto però l’incubo tornò, come una mano nera che non aveva stretto ancora tutte le sue vittime. Ci fu uno sparo, e Jean sentì le sue gambe cedere, un dolore atroce lo fece cadere tra la neve, mentre con le braccia cercò di alzare Kate per impedire che si facesse male. Lo avevano colpito. Stranamente da quello che si era immaginato, non aveva paura, nonostante ora giacesse a terra con la schiena  piena di sangue. Doveva fare presto. Serena non appena udì lo sparo sopraggiunse, e guardò preoccupata il suo angelo custode. – No…Jean…no…non lasciarmi anche tu… - era disperata, e Jean fu felice di vedere una persona così preoccupata per lui, forse perché lui l’affetto non lo aveva mai ricevuto da nessuno. Serena e Christian erano stati i primi, e gli ultimi. – Signora Serena, non si preoccupi per me, prenda Kate e la trottola e scappi, io cercherò di rallentarli – disse coraggiosamente il moretto cercando di sopprimere una smorfia di dolore. – Non posso lasciarti qui Jean – urlò la donna, ma lo sguardo del moretto non ammetteva repliche. Così prese in braccio la bambina, che iniziò a piangere non appena lasciò le gracili braccia del suo amico, mentre Jean tirò fuori dalla tasca la trottola, per poi metterla fra le dita del maschio, dicendo – Su bambini ora tocca a voi…sono certo che diventerete grandi e forti…e…ci rivedremo. – quelle ultime parole fuoriuscirono involontariamente dalla bocca di Jean che capì che quello era un addio. Serena lo guardò un’ultima volta prima di iniziare a correre lungo la steppa. Jean si accasciò al suolo, almeno ora poteva riposare…no. Doveva rallentare la corsa di Hito, almeno fino a quando gli sarebbe stato possibile. Stava per rialzarsi quando all’improvviso cadde perdendo i sensi.

Serena correva, ormai le gambe le dolevano da un pezzo, e forse era solo l’amore per i suoi figli che la spingeva a correre. Jean. Il pensiero del ragazzino le rimase fisso nella mente, non riusciva a credere che gli avessero sparato, che lui non fosse lì con lei, lui che aveva salvato sua figlia, e a cui il suo uomo aveva dato tanta fiducia. La donna pianse mentre stringeva a sé entrambi i fratelli. Diversi nell’aspetto, ma speculiari. Facce opposte di una stessa medaglia che regola l’armonia. Inoltre ora aveva scoperto che era suo figlio il custode di un dei Poteri, e questo significava che Hito voleva lui. Continuando a correre non si accorse di alcuni sassi smossi e così cadde a terra ferendosi alle ginocchia. Una smorfia di dolore le attraversò il bellissimo volto. Doveva alzarsi, ma quando gli occhi le caddero sul terreno dinanzi a lei il suo cuore ebbe un colpo: ombre. Il sole alle sue spalle rifletteva l’immagine di alcune ombre sopra di lei: erano loro. Spaventata di girò, e rimase a fissare con sguardo truce Hito ed il suo braccio destro che le erano a meno di due passi di distanza, e dietro di loro una decina di cecchini.

– Hai provato a scappare maledetta, ma è stato inutile. Quanti altri morti ci dovranno essere prima che tu ti decida che le mie volontà sono ordini? – la voce sprezzante di Hito non scalfì minimamente la donna.

- Forse sono ordini per i tuoi scagnozzi, caro Hito, ma non per me o tuo figlio. Christian sapeva che razza di uomo fossi e soprattutto che razza di uomini avessi ai tuoi piedi – e con questo guardò l’uomo accanto al suocero. – ed è per questo che si è preso Mosca e con essa il monastero dove quel pazzo conduceva esperimenti su dei bambini! – la rabbia di Serena era incontenibile. – Basta Serena, ora che sappiamo che ciò che cerchiamo è racchiuso nel tuo piccolo pupillo, non avremo più bisogno di fare esperimenti. Quindi dammi i bambini! – e con questo l’uomo alla sua sinistra le strappò i fratelli dalle braccia, mentre la donna urlava disperata. – No.. maledetto schifoso, lascia i miei figli, loro non ti appartengono! – urlò Serena, cercando di divincolarsi dalla presa di uno dei cecchini che l’ aveva immobilizzata. – Oh…ne sei sicura? – disse Hito dando la bambina al suo compagno e tenendo tra le mani solo il maschio. – Tu sarai la mia arma per la conquista del mondo, diventerai un ottimo cacciatore, il migliore del mondo e possiederai il Bit-Power più antico del mondo, la Fenice – la risata dell’uomo era fastidiosa, ma finì non appena il bambino lo guardò con uno sguardo che fece rabbrividire il vecchio. – No…quegli occhi no… - disse Hito, per poi abbassare lo sguardo su Serena ancora immobilizzata dal cecchino. Avevano gli stessi occhi. Ogni giorno quegli occhi gli avrebbero ricordato quella donna…

- Non importa se hai i suoi occhi, tu non conoscerai mai tua madre, piccolo bastardo, puoi starne certo – disse Hito come se il bambino potesse capirlo. – Ti sbagli – disse Serena con un tono deciso. – Potrai educarlo come un cacciatore, potrai non fargli sapere la verità sulla vita dei suoi genitori, ma lui crescerà e diventerà come suo padre, non sarà mai come te, perché metterà prima l’amore e l’amicizia rispetto al potere, lui non sarà mai come te, e anche se non mi vedrà io sarò sempre con lui pronta a difenderlo!  – urlò con tutto il fiato che aveva in gola. – Se lo dici tu…allora…difendilo ora – e detto questo l’uomo dai capelli viola estrasse un pugnale finemente decorato e lo passò sulla schiena delicata del bambino, che si dimenava furiosamente. Serena era allibita. – Non puoi fargli questo…sei un mostro!! – urlò,  - ah si…allora ascolta il suo lamento e vai a raggiungere il tuo Christian! – e con questo il cecchino dietro di lei la pugnalò allo stomaco e al petto. Era finita. La giovane donna sentì un dolore lancinante in tutto il corpo e sentì il sangue salirle alla gola. Cadde al suolo coperta di sangue e l’ultima cosa che vide fu lo sguardo disperato dei suoi figli e l’urlo del suo maschietto. Ora udiva il suo grido. Finalmente ne aveva sentito la voce. Con questi pensieri si accasciò, mentre Hito, Vorcof e i cecchini si allontanarono, tornando alle moto-neve.

- Crescete e diventate forti…io sarò sempre con voi…veglierò su di voi e vi proteggerò sempre…vi amo…Kate…Kai. Poi fu tutto buio.

 

Poco più lontano anche un’altra vita abbandonò il mondo, la vita di un ragazzino, una vita che doveva ancora svilupparsi, una vita che doveva ancora essere vissuta. Jean chiuse gli occhi, voleva scegliere lui l’ultima immagine da vedere prima di morire, e tra tutte le scene più belle una sola valeva di essere scelta: in uno scenario ghiacciato, alle spalle del Cremlino c’erano tante persone una accanto all’altra, tra questi un uomo alto con i capelli ramati e gli occhi del ghiaccio, che stringeva a sé una donna bella come una dea delle nevi, con i capelli argentei e degli splendidi occhi ametista, e accanto a loro lui, il piccolo Jean che sorridendo teneva in braccio due bambini: un maschio e una femmina, lei identica al padre, e lui alla madre: Kate e Kai Hiwatari.   

 

 

  
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