Andavamo molto veloci, sulla
macchina di Benjamin. Non sapevo ne avesse una. Non pioveva quasi più,
ma la strada era bagnata e scivolosa: ma lui voleva riportarmi a casa ad un
orario decente, o comunque prima dell’alba. Gli avevo detto che avrei
dormito volentieri anche i macchina, i sedili erano enormi e io ero stremata,
ma lui aveva insistito per riportarmi a casa. Si sentiva in dovere, non
riuscivo a capire perché. Cercai di non addormentarmi per tutto il
tragitto, ma era più lungo del previsto, avevo guidato tanto, e a tratti
non riuscivo a non chiudere gli occhi. Benjamin era ancora meno loquace del
solito perché si era messo in testa che dovevo dormire. Sembrava che da
come avesse scoperto che io sapevo chi era, avesse deciso di prendersi cura di
me con tutte le attenzioni, come per mettermi in testa il contrario. Non ce
n’era bisogno.
Gli chiesi anche in che
perché fosse stato mandato dai Volturi: fu elusivo, ma non troppo. Era
evidente che si vergognava, ma allo stesse tempo aveva bisogno di parlarmene.
Non ero mai stata una persona particolarmente dolce, delicata e protettiva, ma
con Benjamin era tutta un’altra storia. Ogni suo sorriso era una
conquista meravigliosa, e quando mi rivolgeva uno sguardo luminoso mi sentivo
piena di orgoglio. Erano cose che potevo vedere solo io, un’esclusiva
meravigliosa. Quando invece Benjamin era più malinconico del solito,
stavo male: annaspavo alla ricerca di qualsiasi cosa potesse aiutarmi a farlo
stare meglio, a farci stare meglio. Forse la chiave era stata proprio quella,
pensai durante il viaggio. Io ero fatta per amare, non per essere amata, come
mi era sempre successo. Sin da prima che io nascessi, le vite di tutti i miei
familiari, e non solo, erano girate attorno alla mia in un vortice di emozioni
e sentimenti forti e positivi. Spesso ero stata amata più del dovuto. Ma
Benjamin era diverso, perché mi amava in un modo tutto suo, differente
da quello di tutti gli altri. Non conosceva i suoi sentimenti, e non sapeva
come affrontarli, e ne era spaventato. Era troppo riservato e introverso per
venerarmi. Se fossi stata meno sensibile alla sua personalità,
probabilmente non mi sarei mai nemmeno accorta che si fosse innamorato di me.
Non mi aveva mai detto nulla di eclatante, o di rivelatore. Mi era accorta di
lui attraverso semplici sguardi, contatti, profumi, espressioni. Eravamo
naturalmente compatibili, in sostanza molto simili. Sapevo che mi adorava, e
che ero diversa da chiunque altro, e quando mi raccontò di come fosse
stato contattato da Demetri, mandato da Aro in persona, e che aveva deciso
fosse meglio tacere ed eseguire, e quando mi confessò ridacchiando che
inizialmente non gli importava molto della sorte di una mezza vampira
sconosciuta, trovai quella storia più che naturale. Gli chiesi se sapeva
cosa avevano intenzione di fare, mi rispose che non ne aveva idea. Mi percorse
un brivido, alla sola idea dei Volturi: finchè nella storia c’era
Benjamin, non vedevo alcun pericolo, ma appena usciva di scena, cominciavo ad
avere paura. Per me, e per la mia famiglia, e per i lupi. Era orribile.
Mi diede un bacio sui
capelli, vicino all’orecchio.
-Non preoccuparti. Non avete
mai fatto niente di male. Cercavano scuse, ma non possono trovarne-
-Te ne andrai?-
-Come?-
-Quando ti diranno che devi
andare-
-Devo andare?-. Mi
osservò, accigliato. Stava cominciando a prendermi in giro, lo capivo
dalle sopracciglia innaturalmente inarcate.
-Sì, non ti sopporto
più. Vattene- Ci rimase un po’ male, forse pensava che non sarei
stata al gioco. Fece uno strano sorriso tirato, furbo.
-Posso provare a farti
cambiare idea?-. Sterzò velocemente l’auto e accostò. Ero
ancora un po’ assonnata, e sinceramente non capii subito cosa volesse
fare. Almeno fino a quando non sentii le sue labbra percorrere la curva del mio
collo, dall’incavo dell’orecchio alla scapola. Capii
all’istante, e non mi parve una cattiva idea: cercai di non mettermi a
ridere, ma il suo respiro mi faceva il solletico. Cercai di baciarlo, ma le sue
labbra sfuggivano sul resto del mio corpo. Volevo togliermi il giubbotto, ma mi
tremavano un po’ le meni: mi aiutò lui, in un unico gesto
fulmineo. Le sue mani fredde bruciavano sotto la maglietta. Quando riuscii a
baciarlo, mi strinsi forte ai suoi capelli, per non farlo andare via, ma di
nuovo riuscì a divincolarsi. Lo faceva apposta, era chiaro. Reclinai un
po’ il sedile, con la poca concentrazione che mi rimaneva, a approfittai
di un momento in cui era tornato a concentrarsi sulle mie labbra per provare a
togliermi la maglietta. D’un tratto, si immobilizzò e
bloccò una mia mano nella sua. Rimasi lì imbambolata.
-Nessie, vacci piano-
-Perché?- Protestai
vivamente, sembravo un bambina che chiede come mai non può sbafarsi un
chilo di gelato con gli smarties.
Ero terribilmente ridicola, soprattutto per lui: si allontanò da
me ridendo e cercando di rimettersi a posto i capelli con la mano.
-Forse non è il
momento migliore, non credi?-
-Ma che stai dicendo?- Mi
alzai a sedere, a gambe incrociate, ma mi rifiutavo di alzare il sedile: non
aveva il diritto di illudermi così per poi tirarsi indietro. Mi fissava
un po’ spaesato, guardandosi attorno, e cercando di non ridere troppo.
-Insomma, non dormi da un
giorno, siamo sporchi di fango, accostati sul ciglio di una statale piena di
camionisti guardoni, e – alzò l’indice per rafforzare la
predica –ti ho appena detto che sono stato mandato qui dai Volturi. E tu
vorresti, come dire…sfruttare la notte per altri scopi?-
-Mi hai detto che volevi
farmi cambiare idea!-. Speravo che quella storia della protezione e del
prendersi cura di me finisse al più presto.
-Bè, scusami se
pensavo che bastasse un casto bacetto-
-Casto bacetto? Mi hai
succhiata come un lecca lecca!-
Non riuscì più
a trattenere le risate, e scoppiò in una risata rauca e profonda che
scosse la macchina. Arrossii vivamente al pensiero della cazzata che avevo
appena detto. Ero pessima. Non smetteva di ridere e gli diedi uno spintone,
imbarazzata.
-Nessie, hai un meraviglioso
concetto della sessualità- Continuava a ridere, appoggiato al volante,e
d’ogni tanto si voltava a guardarmi, solo per rimettersi a ridere
più forte. Non sapevo più da che parte guardare. Scesi
dall’auto quando capii che la cosa sarebbe andata avanti per un pezzo. Mi
appoggiai alla portiera e misi la testa tra le mani. Ero molto confusa: un
minuto prima avrei voluto passare la notte con Benjamin, e non mi importava
più niente di niente, e ora mi ritrovavo sul ciglio di una statale a
meditare su quanto fossi superficiale e idiota. Forse aveva ragione a ridere
tanto. Quando me ne resi conto mi accorsi che nessuno rideva più, e
ritrovai qualcuno al mio fianco.
-Tutto bene?-,
aggrottò le sopracciglia, confuso. Era tornato lo stesso Benjamin un
po’ sulla difensiva di sempre.
-Tu che dici?-. Dalla voce
sembravo arrabbiata, ma non ero più nervosa del solito, o almeno
così mi sembrava.
-Non volevo offenderti,
scusami-. Rimase a debita distanza, sembrava si sforzasse di farlo.
-Perché ti scusi
sempre ma non eviti mai di fare delle cazzate?- Sembravo ancora arrabbiata, non
era giusto.
-Sono fatto così-,
fece una risata amara, portò lo sguardo altrove, anche io mi voltai.
Forse era un impressione, ma la notte sembrava un po’ meno scura. Dovevo
controllare il cellulare, ci sarebbero state sicuramente delle chiamate perse e
dei messaggi. –Ma non voglio che te la prenda-
In un attimo, mi strinse a
sé in un abbraccio. Ce ne stavamo lì appoggiati alla carrozzeria
della macchina e c’era una pace inaspettata nell’aria.
-Piantala, non sei tu il
problema. Puoi ridere quanto vuoi. Puoi anche continuare, se preferisci-
Finalmente sembravo un po’ meno incazzata. –Sono un’idiota-
-Questo veramente avresti
dovuto dirlo a me-
-Sei un idiota, Benjamin-
-Ah, sto meglio. Sei ancora
tu, Renesmee-. Sorrise tra i miei capelli, stringendomi ancora di più.
Anche io non riuscii a non sorridere.
-Stavolta hai ragione tu,
sono ridicola. Invece di pensare a una congrega di energumeni che vogliono
sfasciare la mia famiglia, e alla situazione in cui ci troviamo, e al casino
che ho fatto…voglio fare l’amore con te. E’- mi guardai
attorno, in cerca della parola giusta –infantile-
Di nuovo nascosi la testa tra
le mani, imbarazzata. Mi tolse delicatamente le mani dal volto e mi
baciò sulle labbra, dolcemente.
-Non hai fatto niente di
male, Nessie. Non puoi farti carico di ogni cosa e pensare che con un po’
di impegno potrai porvi rimedio-
-Che vuoi dire?-, fui io ad
aggrottare le sopracciglia, non seguivo il filo. Si strinse nelle spalle,
paziente, mentre ancora teneva le mie mani strette nelle sue.
-Dico che è normale
che tu voglia fare l’amore con me-
-Però prima non
l’abbiamo fatto-. Non doveva essere un’ accusa, ma ne aveva proprio
l’aria. Non riuscivo bene a gestire la comunicazione, forse aveva ragione
lui e dovevo andare a dormire. Mi guardò imbronciato, di sottecchi, e
anche io rimasi piantata lì con un’espressione molto simile alla
sua sul viso. Eravamo irritati per motivi diversi.
-Non mi sembrava giusto. Non
so se te ne sei accorta, ma non sei molto lucida-
-Sono lucidissima- .Il mio
mormorio passò del tutto inosservato.
-E per quanto tu possa
mancare totalmente del senso del pericolo, pensavo che ti avrebbe fatto piacere
che qualcuno ti ricordasse la situazione incasinata in cui stiamo. Ma non
pensavo di farti venire tutti questi sensi di colpa-
-Il tuo ragionamento non
fila-
-La mia vita scorre su una
sottile linea rossa-
-Oh, per piacere-
-E per quanto io pensi che tu
tenda ad essere un po’ troppo spensierata, credo anche che dovresti
evitare i tuoi momenti di depressione cosmica-
Continuavamo ad osservarci di
sbieco, mentre io tentavo di capire cosa avrei dovuto fare secondo lui. Ci
rinunciai quasi subito. All’improvviso mi sorrise e si avvicinò a
me, come per mormorarmi qualcosa all’orecchio.
-E poi, oggi ho pensato a una
cosa-. Fremetti, sentivo le sue dita percorrere i miei fianchi –Se ti
chiedessi di fare le cose…per bene, con me, come la prenderesti?-
Sembrava emozionato, cercai
il motivo nei suoi occhi e trovai solo il solito intenso vorticare oscuro. Era
più enigmatico che mai.
-Mmh. Spiegati-, non riuscii
a celare il dubbio nella mia voce. Lui rimase qualche secondo fermo a pensare,
mentre io cercavo di decifrarlo senza successo.
-Diciamo così Nessie:
ti spiacerebbe se parlassi con i tuoi genitori?-Istintivamente mi irrigidii:
era una prospettiva orribile a priori. Capì che era meglio non
interpellarmi e tirò dritto –Io vorrei starti accanto come un
compagno, mi capisci?-
Mi ritornò in mente il
discorso con Jasper, quel pomeriggio, e sembrava molto lontano. Cercai di
schiarirmi le idee, mi massaggiai una tempia.
-Fammi capire. Tu vuoi una
roba tipo la benedizione dei miei?-. Trattenevo a stento le risate, cercando di
immaginare Benjamin, truce e minaccioso, che cerca di convincere mio padre e
mia madre ad affidargli la loro bambina perché potesse vivere con lei
un’intensa e appagante vita di coppia. Già vedevo mio padre
stramazzare al suolo e mia madre attaccata alla gola di Benjamin come una
sanguisuga.
-Una roba così-. Forse
ci stava pensando anche lui, alla prospettiva, perché scoppiammo a
ridere assieme.
-Non pensavo la vedessi
così. Con presentazione ai genitori e tutto il resto-
-Infatti non l’ho mai
vista così, prima di tutto perché non ho mai avuto genitori con
cui fare i conti-
-Pff-, sbuffai al solo
pensiero delle decine di vampire perfette che vedevo con lui, nella mia mente.
Dovevo fare chiarezza sulla questione, o prima o poi mi sarebbe scoppiata la
testa.
-In secondo luogo, e qui fai
attenzione,- cominciò a percorrere con la punta delle dita la linea
della mia colonna vertebrale –mi farebbe piacere che la relazione tra noi
fosse ufficiale-
-Lo è, gliel’ho
già detto io-. Non riuscivo a togliermi dalla testa l’immagine di
mia madre che attaccava Benjamin con l’evidente scopo di ucciderlo. Anche
lui sbuffò, impaziente.
-Ma non ti fa piacere?-, si
allontanò leggermente da me per potermi vedere in faccia. Mi sembrava un
po’ deluso, e mi dispiaceva: cercai di dare una risposasse che non
suonasse troppo come un “ma che diavolo ti viene in mente”.
-Sì…però
preferirei che la cosa restasse tra noi. Non voglio che gli altri abbiano
niente a che fare-. alzò un sopracciglio, dubbioso.
-Se loro saranno al corrente,
potremmo anche vivere assieme, non ci hai mai pensato?-In effetti non ci avevo
mai pensato, e la prospettiva era piuttosto eccitante: per un secondo non
pensai a mia madre attaccata alla gola di Benjamin. –Ovviamente, solo se
lo vuoi-
Adoravo la sua voce quando
era nel dubbio, quando vacillava timorosamente nel tentativo di darsi un tono.
Solo io potevo sentirla così. Risi leggermente, perchè non sapevo
più come trattenere la gioia: ero felice per quello che voleva fare, ero
felice per come me l’aveva detto.
-Dammi un motivo per cui non
dovrei volerlo-
-Sei giovane, ci ho pensato-.
Sembrava un po’ preoccupato nel dirmelo, quasi temesse che facendomelo
notare me ne sarei resa conto anche io.
-Per piacere, Ben. Ragiono
come una persona adulta da quando ho sei anni-
-Lo so. Però sei
comunque giovane-
-Non avresti dovuto pensarci
prima?- risposi acida. Detestavo quando veniva messa in ballo la mia
età: ero matura, ero adulta, me lo sentivo. Cosa importava alla fine
quanti anni biologici avessi, considerando che la mia vita stessa era
un’eccezione a qualsiasi regola della genetica? Lui sorrise e
lasciò perdere, era di ottimo umore. E riuscivo anche ad intuirne il
motivo. Mi morsi un labbro, estasiata.
-Tu vorresti vivere con me?-
-Sì, ho pensato anche
a questo. Ho pensato che forse sarebbe meglio aspettare, vedere come si mettono
le cose…in generale, prima di dirti niente- alzò lo sguardo, e mi
fissò curioso, in attesa della mia reazione –ma poi non ho
resistito. Mi piacerebbe, stare con te. Mi è venuto da chiedertelo,
scusami-
E scusarsi di cosa, poi.
Forse davvero in noi c’era qualcosa che non andava, in tutta quella
fretta che avevamo. Non sentivo di non conoscerlo, né di aver corso
troppo, e non avevo rimorsi, con lui, al contrario che con chiunque altro.
Forse poteva sembrare stupido e avventato, pensare di passare
un’indefinita ed estesa quantità di tempo che si cerca di definire
con il sostantivo “eternità”, alla fine abbastanza vuoto e
riecheggiante in sé stesso, come una stanza troppo vuota, ampia e
disabitata, forse anche asettica, dopo che avevamo passato insieme meno di una
settimana. Ma non mi pentivo di niente, e ogni azione con lui, ogni gesto, era
perfetto. Era giusto, punto. Non ero mai stata una persona particolarmente
sicura di sé, aldilà di ciò che cercavo di ostentare, e
ogni decisione era un lungo travaglio che di solito terminava grazie
all’intervento di qualcun altro. Con lui non c’erano dubbi. Non
dubitavo di lui se mi trattava male, non dubitavo di lui se era stato mandato
dai Volturi, non dubitavo di lui se cercava di farmi capire che avrei dovuto
rimanere con Jake. E non mi sentivo per niente un’idiota, nel fare tutto
questo. Lo sentivo in ogni cosa, che non stavo sbagliando niente. Lo sentivo
fisicamente, che non sbagliavo, quando sentivo la schiena tremare, e fremere,
come se ogni vertebra stesse per scardinarsi, e quando sentivo che dentro di me
c’era qualcosa, un luogo, un pensiero, che gli era sempre appartenuto.
Chissà se anche lui le percepiva, queste sensazioni. Forse glielo avrei
chiesto, ma non in quel momento.
-Davvero vorresti stare con
me?-. mi piacque come si strinse nelle spalle, quasi che fosse una cosa tanto
banale da essere più che ovvia.
-Ti porto a casa, adesso.
E’ tardi, Nessie-. La sua mano scivolò al mio fianco, e mi
condusse fino alla portiera. Salii a bordo, e Benjamin mise in moto.
Riprendemmo la strada, e mi sembrava che viaggiassimo più lentamente di
prima, e non ne ero dispiaciuta. Controllai il cellulare,e trovai diverse chiamate perse: non
verificai nemmeno di chi, perché già lo sapevo. Mi si chiudevano
gli occhi, ero assonnata, stremata e sconvolta.
Ma nel silenzio ovattato
dell’abitacolo, rotto con grazia solamente dal rombo gentile del motore e
dal ritmo sottile dei nostri respiri, l’emozione che maggiormente mi
stravolgeva era sicuramente, e assurdamente, contro ogni giusta ragione, la
gioia profonda che provavo al pensiero di non essere sola su quella grande,
vecchia terra.