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Autore: Manuel Lanhart    09/06/2005    1 recensioni
Un incontro inaspettato...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I lampioni gettavano una luce giallastra sui marciapiedi, lungo i quali l’ombra di un ragazzo molto arrabbiato incedeva ad una velocità più alta di quella con cui di solito si passeggia tranquillamente, le sere d’estate. Del resto, aveva i suoi buoni motivi per essere seccato: l’appuntamento con una ragazza carina era andato abbastanza pietosamente e si era concluso in modo ancor peggiore, poi un certo suo amato parente vi aveva messo lo zampino provocando una lite che avrebbe preferito evitare e dalla quale si era allontanato come un vigliacco.
“Mettetemi uno specchio davanti e giuro che mi prenderò a pugni, tanto mi detesto in questo momento.” Temeva che prima o poi Dudley lo avrebbe preso in giro riguardo Sirius, sebbene non potesse fare nulla per sfuggire agli incubi e non parlare nel sonno. Quasi ogni notte, la consueta sinfonia: porte, sfere di cristallo, occhi rossi che lo fissavano dall’ombra, bacchette spezzate, urla di disperazione. Come avrebbe potuto tacere pur avendo gli occhi chiusi, immerso in sogni che gli perpetuavano il dolore dei giorni? E di certo il nome…quel nome gli era sfuggito di labbra più e più volte, un’invocazione ad orecchie sorde, ormai non più capaci di sentire. Se avesse saputo, Dudley, cosa voleva dire aver affrontato molti orrori in soli sedici anni di vita, avrebbe perso molto peso al semplice pensiero! Ciò provocò una risata amara di Harry, che si stava dirigendo verso la casa degli zii adottivi. Ne aveva abbastanza per quella sera di tutto e di tutti; sperava che i parenti almeno si degnassero di lasciarlo in pace.
Un corridore spericolato per poco non lo fece ruzzolare: Dudley, che gli era sfrecciato accanto pedalando sulla bici nuova.
<< Ti fa bene alla ciccia, comunque>>, sussurrò il ragazzo, e si riassestò gli occhiali rotondi scivolati di sbieco.
Il resto del tragitto non fu disturbato da incontri o eventi sgraditi, e presto Harry raggiunse la porta di una casa che in quei quindici anni era stata una prigione. Dudley era già rincasato: la bici giaceva sull’erba del giardino accanto al tosaerba di zio Vernon, mezzo quasi dimenticato lasciato lì, sotto il cielo pieno di stelle, per la classica noncuranza di Dudley. “Se il suo cervello avesse abbastanza estensione, credo non potrebbe comunque arrivare a comprendere l’idea di garage. E poi, pretende di essere rispettato.”
Noia e ultimi strascichi di rabbia furono ciò che Petunia notò negli occhi del figlio della sorella, quando questi sbattè la porta alle spalle e posò le chiavi su un tavolino nell’ingresso.
- Volevi accamparti fuori, moccioso? - chiese lei agitando l’indice destro come un maestria delle elementari.
- No, solo rassicurarmi che tuo figlio ritrovasse la strada di casa.
- Non parlare così di Dudley, non permetterti nemmeno, stupido ingrato. Non hai ancora capito cosa significhi sostenere il peso della tua anormalità nella più assoluta segretezza? O credi che ci piaccia tenere te e la tua inutile bestia sotto il nostro tetto?
Lo sproloquio della zia accompagnò Harry fino in cucina, dove lo aspettavano pomodori rinsecchiti e una mozzarella grande quanto uno zellino. Si sedette e accese il televisore, ascoltando distrattamente le notizie del telegiornale. Parlavano di una rapina a una banca di Manchester e di turbolenze più violente del solito a nord della penisola britannica. Poi una giornalista lasciò la linea a un inviato sportivo. Non avendo il benché minimo interesse per gli sport, fatta eccezione per il quiddich, il ragazzo terminò il pasto frugalissimo e stava imboccando le scale per andare in camera sua, quando zio Vernon lo chiamò dal salotto. Uno strano e sgradevole stridio proveniva da quella stanza.
Ad Harry bastò varcare la soglie per scoprire l’origine di quel rumore…
- Gufi! - urlò Vernon. - Ancora questi dannati uccellacci. Questo pennuto, l’ho trovato privo di sensi sul davanzale della finestra!
Harry ebbe un moto di pena vedendo il gufo che veniva sbatacchiato a testa in giù dall’insopportabile parente, quindi fece per afferrarlo, ma l’altro glielo impedì. - Chi ti è che ti scrive? I tuoi…assurdi amici? - Prese fiato un istante tra una parola e l’altra alla ricerca di un aggettivo adatto a ferire il nipote, sebbene la sua provocazione fosse vacua, alle orecchie di Harry.
- Se mi dai il tempo e la possibilità di leggerla, forse potrò risponderti.
- Oh, mio caro, non credere di gabbarmi per l’ennesima volta. Mi hai preso in giro da quando sei nato, ma non sono un idiota.
“Ne dubito…” Evidentemente, era ancora vivo il ricordo di quella sera memorabile in cui tanti gufi erano entrati a precipizio in casa e il giovane studente di Hogwarts aveva ricevuto l’avviso di un imminente processo da parte del Ministero della Magia. E per completare l’opera, l’ultima busta recapitata in Private Drive era una Strillettera che, come si sarebbe appreso mesi dopo, era stata indirizzata da Silente in persona a Petunia, ammonendola a non lasciare che il nipote abbandonasse la casa. Il flusso di pensieri provocò un’ondata di nostalgia per la quale Harry odio ancor di più trovarsi lì in quel momento. Anche Azkaban sembrava un villaggio turistico al confronto.
- Cosa credi? Di sentire di nuovo una voce strillare? Dammi quella lettera - disse in tono perentorio. - Cominciava ad averne davvero abbastanza, non ne poteva più. - Prima prome…posa quell’aggeggio, metti via quella bacchetta! Posala, ho detto! Il colorito rossastro dello zio fu un principio di appagamento, ma non sufficiente. - Persone più importanti e influenti di te non si abbasserebbero a mandarti una lettera una seconda volta. Dammi-quella-lettera. - La fronte aggrottata, la mascella serrata del nipote, e la punta di quell’odioso legnetto che aveva preso a sprizzare scintille, spinsero Vernon a cedere.
- Finalmente… - Harry non riuscì a celare curiosità e gioia. Era da una settimana che non riceveva nulla da nessuno.
Ma la felicità durò pochissimo: appena la busta venne aperta, divenne di un rosso carminio, si sollevò a mezz’aria, emanando fumo e ringhiando in faccia a Harry.
- Sei impazzito! - esclamò la lettera. - Non hai capito un tubo! Cosa ti salta in mente di stare così tardi fuori di casa!
- Io, ehm…
-…Il solo proteggerti qui, in pieno mondo babbano, ci costa immense fatiche, per non parlare dei continui avvertimenti di Silente, che ci farebbe pendere da una delle torri di Hogwarts, se dovesse succederti qualcosa. Tu-sai-chi è di nuovo in circolazione, aiutato da numerosi, ripugnanti traditori del buon sangue di mago, e tu vai a fare il cascamorto con la prima che passa! Sei costantemente protetto, Harry, non dimenticarlo, ma non approfittarne.
I gridi cessarono proprio quando Vernon afferrò furioso la lettera, che tacque e si bruciò nelle sue mani. Harry non rise vedendolo fuggire verso il rubinetto più vicino, preda di un senso di colpa lancinante. Conosceva il proprietario della voce, il professor Moody, che insieme a pochi, fidati collaboratori, tra cui un altro insegnante, Remus Lupin, si avvicendavano nella protezione di Harry per tutta la durata delle vacanze estive, su esplicito ordine del preside. Il ragazzo sapeva che lo osservavano ovunque andasse, nascosti dai mantelli dell’invisibilità, ma ormai si era abituato alla loro presenza. Non pensava ci fosse qualcosa di male a parlare con una ragazza. D’altronde, come non accorgersi di un eventuale pericolo? I Dissennatori cancellavano il calore intorno annunciando con chiarezza la loro presenza; i Mangiamorte non potevano superare indenni il campo difensivo posto attorno ad Harry e costituito dalla sua Avanguardia se non ingaggiando un duello magico e di altre creature, il ragazzo non aveva avuto affatto sentore. Però erano idee più che sciocche, se ne rendeva conto, come non poteva ignorare che correva pericoli giorno e notte e il nemico si sarebbe avvalso di espedienti a lui sconosciuti, pur di eliminarlo. Se tuttavia da una parte provava un certo rimorso, dall’altro non si pentiva di aver parlato con Lily: digeriva a malapena la sfuriata della Strillettera! Non erano stati ragazzi anche i suoi protettori, o avevano trascorso l’estate in cattività come lui? “Non penso affatto! Loro non capiranno mai come ci si sente ad essere Harry Potter, non desidereranno mai quanto me di non essere mai esistiti, non sopporterebbero di vivere con questa ansia perenne che mi uccide!”
Aveva voglia di piangere, ma di nuovo l’orgoglio non fece versare alcuna lacrima agli occhi verdi del ragazzo. Anche Sirius era fuggito dalla sua casa, rispondendo sì alla necessità di soccorrere colui di cui era il padrino, ma anche assaporando quella libertà sconosciuta, tra le vecchie mura di Grimmauld Place. Ed era morto. Eppure il contesto era differente, al Ministero si era recato Voldemort in persona, ma lì, lì a Private Drive, dove un’antica magia creata con sangue di madre – Lily – permeava la dimora dei Dursley ed era l’estrema difesa sul ragazzo, lui non poteva fare la stessa fine. Non doveva. Non avrebbe permesso che il sacrificio di Sirius divenisse inutile. E allora perché non te ne stai tranquillo in casa, invece di gironzolare come un trovatello? Si, in fondo nessuna prova certa gli garantiva l’assoluta incolumità. La sua vita aveva assunto una piega verso direzioni imprevedibili, dense di pericoli, e non occorreva che lui aumentasse la dose. Aveva ragione, il vecchio Moody. Tenere gli occhi aperti, gli aveva raccomandato, e così avrebbe continuato a fare. Domani non sarebbe andato all’appuntamento con Lily.

I buoni propositi, invece, durarono meno del previsto.
Sdraiato nella sua stanza ad ascoltare musica, Harry aveva già pensato a quali bugie dire all’amica, se gli avesse fatto domande troppo dirette, cosa più che probabile. Smorzatosi il rimorso – anche se una vocina malvagia gli rideva allegramente nella testa, ultimo ago di pentimento -, lui aveva dato al gufo da bere e da mangiare attingendo alle scorte di Edvige, che, svolazzando nella camera, di tanto in tanto lo beccava per la colpa commessa contro la sua gabbia. L’uccello giunto con la Strillettera era ripartito tornando al mittente, mentre Harry aveva ignorato i lamenti di Vernon e le poco graziose parole della zia nei suoi confronti, e si era coricato dopo aver sistemato gli indumenti diurni nell’armadio e averne tirato fuori un pigiama a strisce bianche e azzurre. Il Cd delle Sorelle Stravagarie prestatogli da Neville riempiva la stanza di note che disturbavano lievemente i suoi pensieri e il verso della civetta.
Harry era deciso a rimediare alla figuraccia di poche ore prima con Lily. Voleva apparirle simpatico, elegante e gentile. Ringraziava vivamente Hermione di essere sua amica, poiché si sarebbe ispirato a tutte le esperienze condivise per cercare di assumere un atteggiamento carino nei confronti della nuova conoscente. Ad ogni modo, la mente del ragazzo continuava ad essere attratto dalla bellezza di Lily, più che dall’effetto che avrebbe avuto su di lei; non aveva visto Babbana più carina in vita sua, e quella sensazione di calore allo stomaco gli toglieva il fiato. Aveva provato qualcosa di simile con Cho, eppure il ricordo di Cedric, la timidezza e i litigi avevano smorzato ciò che provava fino a rasentare l’indifferenza.
Nulla gl’importava se anche lei piano piano lo stava dimenticando divertendosi con qualcun altro. Una cosa era certa: Cho non era mica a lutto per Cedric, e si stava dando più che da fare con gli altri studenti…Harry si pentì di quel pensiero. Il primo bacio, lo aveva dato proprio a lei, e nemmeno la rabbia più intensa avrebbe cancellato la densità di quelle emozioni sconosciute. E magari nel corso del successivo anno scolastico i rapporti sarebbero potuti diventare più amichevoli.
Con Lily, invece, era stato diverso. Non la conosceva, non l’aveva mai vista in passato, e subito un’intensa pulsione lo aveva costretto ad avvicinarsi a lei al parco. In realtà, non l’aveva notata da una pezzo, quando le aveva rivolto la parola, ma il suo sguardo si era posato su di lei, e lui…non aveva indugiato, insomma. Sembrava molto alla mano, senza quella puzza sotto il naso che molte ragazze della sua età avevano rendendosi antipatiche e insopportabili. Era stata più sciolta di lui, che invece era già imbranato di suo e poi si era sentito maggiormente a disagio notando la banda del cugino. Sarebbe andato all’appuntamento anche strisciando, checché ne pensasse l’Avanguardia. Di giorno andare giro era più sicuro che dopo il tramonto, e inoltre teneva la bacchetta sempre con sé.
Rassicurato, Harry si girò su un fianco osservando la luna, che illuminava debolmente la stanza filtrando attraverso la finestra aperta. La temperatura adesso era ragionevole, quella notte sarebbe stato possibile riposare. Pigiando il tasto rosso di un telecomando, Harry spense l’ hifi e ascoltò il lieve ronzio del cd che smetteva di suonare. Si sentiva strano, e d’improvviso debole. La stanchezza piombò di colpo e lente, le emozioni negative del giorno svanivano lasciando il posto ad una serenità gradita. Le palpebre si chiusero sull’argenteo bagliore lunare, ed Harry si addormentò in brevi istanti. Il sogno tornò, e fu lugubre come le altre volte. Lui si trovava in un vecchio maniero, che doveva essere stato abbandonato da tempo, come si evinceva dai lenzuoli sudici poggiati sui mobili non portati via e dallo stato pietoso di porte, pavimento e mura. C’erano anche delle scale, in fondo ad un corridoio molto stretto, e per salirle Harry superò alcune stanze ai suoi lati dall’uscio sbarrato, e spinse i battenti che stavano di fronte a lui separandolo dai gradini.
Uno dopo l’altro, prese a percorrerli perdendo persino il conto di quanti ne aveva oltrepassati, prima di fermarsi nel pianerottolo del quarto piano, dove la scala terminava. Lì l’edificio appariva più sinistro e buio delle altre stanze, perché non c’erano finestre. Un’unica porta, incredibilmente piccola, si apriva su uno sgabuzzino, in cui Harry entrò abbassando il capo. Avvertì un sensazione di vertigine e dovette appoggiarsi alle pareti per non cadere. Non c’era nulla d’interessante da vedere, se non manici di scopa spezzati, sedie rovesciate e un telo che ricopriva qualcosa dalla forma sferica.
Spinto dalla curiosità, Harry lo sollevò e rimase impietrito innanzi alla testa di Sirius che gli sogghignava roteando gli occhi. Disse anche una frase che il ragazzo non riuscì a comprendere, e poi scomparve. Il telo ricadde sul pavimento, e le sue pieghe s’incresparono, come se una corrente d’aria stesse soffiando. Harry fuggì, per nulla desideroso di conoscere quali sorprese vi si celassero sotto, e ritornò al pian terreno, dove era stato acceso il fuoco di un camino che non aveva notato. Vicino alle fiamme, una poltrona gli dava le spalle. Si potevano scorgere solo i piedi di chi stava seduto, piedi nudi e graffiato in più punti. Le ferite stavano sanguinando, ma sembrava che l’uomo – perché i piedi erano di un uomo – seduto non sec ne curasse affatto, intento ad avvicinare un oggetto alle labbra. “Una tazza, o una pipa, spero.”
- Sei venuto di nuovo, Harry?
Quelle parole non furono comprese. “Io non sono mai stato qui.” - Chi sei? - domandò esitante.
- Suvvia, Harry, ti sei dimenticato di me? Ci siamo visti poche settimane fa, ma forse posso aiutarti a ricordare… Il ragazzo udì una lunga serie di sibili che riconobbe essere il Serpentese. Anche lui, suo malgrado, lo parlava. E ovviamente i suoi sospetti vennero confermati. Un orribile serpente acciambellato ai piedi della poltrona scivolava verso di lui, e tra i suoi sibili sommessi Harry poteva distinguere oscure minacce di strangolamento, e morte. Il padrone dell’animale aveva si stava alzando, ma il ragazzo non ebbe il coraggio di fronteggiare Voldemort, e preso da una paura immensa si precipitò alla porta d’ingresso spalancandola, e correndo via nella notte.
  
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