Disclaimer: Bellatrix Lestrange e gli altri
personaggi che compaiono in questa fanfiction sono proprietà di J.K.
Rowling e di editori come Bloomsbury, Bros, Salani.
Nessuna violazione del copyright si ritiene pertanto
intesa.
Silentium Vivorum
- Il Silenzio dei vivi -
seconda parte
E
Bellatrix sprofondò nuovamente nei ricordi…
Una settimana, una settimana appena
e la sconfitta le bruciava ancora addosso come sabbia bollente. Il loro
fallimento nel Dipartimento dei Misteri, né previsto, né
lontanamente concepito, l’aveva gettata in un tremendo, cupo furore.
Tutto quello che voleva era avere il moccioso Potter tra le mani.
E
fargliela pagare…
…oh, molto, molto amaramente.
E con estrema
lentezza.
La sua rabbia era solo paragonabile a quella del suo
Signore. Il volto niveo del Lord Oscuro era rimasto
impassibile, una maschera di marmo priva di qualsiasi espressione, almeno
apparentemente. Ma a Bellatrix non era sfuggito quello
che si nascondeva dietro ai suoi occhi color sangue…quelle fiamme gemelle
celavano una collera che un semplice essere umano non avrebbe mai potuto
provare. Una rabbia trattenuta sulla soglia dell’esplosione,
uno sguardo dai poteri terrificanti.
- Non potevamo sapere che il ragazzo avrebbe distrutto la profezia,
Bellatrix – mormorò una voce nota alle sue spalle.
Rodolphus le si era avvicinato nel suo solito modo silenzioso e la
stava osservando con il sorriso sghembo che le riservava quando lei era di
umore tetro. Bellatrix si voltò verso di lui, la collera bruciante che
divampava ancora nei suoi occhi, pronta a vomitagli addosso
la sua enorme frustrazione, ma il volto calmo di Rodolphus
le spense improvvisamente tutta la rabbia. Abbassò lo sguardo verso il
nudo pavimento di basalto, poi li rialzò nuovamente ad osservare lui, le
cui iridi violette contemplavano il suo viso,
riuscendo a leggere quello che nemmeno lei stessa sapeva di poter provare.
-
Avrei dovuto agire quando lo avevamo in pugno… e invece
l’ho sottovalutato. Ho sottovalutato quel moccioso e la missione è
fallita. E’ stata colpa mia. Il Signore Oscuro
avrebbe dovuto punirmi… - disse la donna con voce gelida e sottile, il viso
ancora teso e pallido di collera.
- Il fatto che Mylord non ti abbia punita
è significativo, Bella. Non ti ritiene responsabile di quello che
è accaduto al Ministero – replicò
lui, passandole un indice lungo la linea curva della mandibola. I suoi movimenti
erano fluidi, pervasi di una grazia felina. Sorrise
lievemente, guardandola con la stessa espressione con cui l’aveva vista
il primo settembre di tanti anni fa, quando lei, appena undicenne, era scesa
dal treno che l’aveva portata ad Hogwarts mano
nella mano con la sua bionda sorella, Narcissa, di qualche anno più
grande. La ricordava straordinariamente bene, una bambina delicata ed esile,
quasi insignificante ad un’osservazione superficiale, dalla pelle
alabastrina, le mani affusolate e i lunghi capelli d’ossidiana che alla
luce delle lampade della stazione di Hogsmeade sembravano quasi blu notte.
Poi aveva visto i suoi occhi… e non era più
riuscito a togliersela dalla testa. La sua Bellatrix… la sua bambina dagli occhi eterni.
- Vorrei credere alle tue parole, Rodolphus
e vorrei fare qualcosa per Lui… qualcosa per cui
possa essere fiero di me. - disse lei, prendendogli una mano tra le sue e
guardandolo, trasmettendogli così tutta l’enorme intensità
del suo desiderio. Lui sorrise ancora, circondando con un braccio le sue spalle
sottili e attirandola a sé:
- E’ per questo che sono qui
– sussurrò, con voce arrochita – C’è una
missione da compiere al più presto… Lucius… bisogna
sottrarre Lucius agli artigli dei Mezzosangue. Partiremo domani, io e te, soli.
-
La donna lo guardò, mentre sorpresa e gratitudine
illuminavano le sue iridi magnifiche. Annuì e lui le sollevò
delicatamente il mento, i suoi occhi dal colore del cielo di sera scrutarono
ogni più piccola espressione sul volto perfetto di lei. Posò le
labbra su quelle vellutate di sua moglie, e lava incandescente sembrò
riempirgli l’anima, come ogni volta, come tutte le volte dal loro primo
bacio, entrambi ancora adolescenti, nei sotterranei della casa di Serpeverde, ancora inesperti e mai sazi
l’uno dell’altra.
Oh, come bramava i baci di sua moglie e il tocco delle dita di lei, poco più che lieve, eppure così
intimamente penetrante che sentiva il forte spirito di Bellatrix infiammargli i
nervi e la mente, mentre ogni piccola parvenza di razionalità si inceneriva,
lasciando il posto ad un piacere frenetico e convulso che avrebbe fatto
delirare anche il più santo degli uomini… perdizione sublime,
questa era Bellatrix, questo era il fuoco perenne che custodiva come un
simulacro intramontabile e che la rendeva irresistibile e potente, tanto da
piegare e ammansire qualsiasi volontà, qualsiasi… tranne quella di
Voldemort in persona.
Si smaterializzarono con un lieve fruscìo e
riapparvero in un’ampia camera dagli spessi muri di pietra e
dall’arredamento spartano, ma molto pulita e
dall’aria fresca.
Un letto dalle lenzuola bianche giaceva al centro della
stanza.
Avevano tenuto entrambi in celle separate ad Azkaban,
pensò Rodolphus mentre si chinava a baciare ancora una volta la pelle nuda dell’unica
donna che avesse amato in vita sua. Aveva creduto di impazzire senza di lei, e
forse era anche diventato un folle irrecuperabile, ma ora avrebbe fatto
qualsiasi cosa per rivivere tutto quel tempo perso, il numero infinito di
giorni trascorsi con la mente agonizzante e il corpo troppo debole per tentare di sottrarsi ad una realtà insopportabile
per qualunque essere umano, la dimensione piatta e congestionante in cui era
stato intrappolato per tredici anni.
Guardò sua moglie, i cui occhi ardenti lo scrutavano
a loro volta.
Le avevano sottratto il fiore degli
anni, ma lei era rimasta come la ricordava, bellissima e solitaria, una rara
rosa notturna cosparsa di spine, con spesse pareti erette intorno
all’essenza primigenia di sé che persino lui faceva fatica a
superare… ma quando ciò accadeva, allora lui riusciva a scorgere
la sua anima, splendente come nessun diamante sulla Terra avrebbe mai potuto
essere. Si era accorto presto che quella bambina silenziosa, che alla tavola
della sua Casa non parlava quasi mai con nessuno, celava ai più quello
che i suoi occhi da adulta non riuscivano del tutto a nascondere. L’aveva
osservata di nascosto milioni di volte, studiando il
fine profilo avvolto in quel manto tenebroso che i suoi capelli creavano
intorno al viso, la figura sottile, minuta, che ingannevolmente sembrava
gridare al mondo la propria debolezza…e invece… Bellatrix si era
dimostrata forte, incredibilmente potente, tanto da farlo dubitare su chi tra i
due fosse in realtà il più bisognoso di protezione. Sicuramente
la debole non era lei, non lo era mai stata e non lo sarebbe
mai diventata.
La notte trascorse lentamente, scandita dal fluido e
continuo scorrere dei granelli di sabbia bianca che in una clessidra di vetro
trasparente scivolavano inesorabilmente via. Il lieve respiro di Bellatrix gli
accarezzava il petto, mentre i suoi capelli lucenti erano sparsi sul torace e
una guancia fresca poggiava poco sotto il suo mento. Era sveglia, ma restava in
silenzio, come era solita fare quando le parole le
sembravano inutili. Si assopì, cullato dal ritmo del respiro
di lei, perché Bellatrix riusciva anche a farlo sprofondare nel
più dolce degli oblii, dove tutto perdeva improvvisamente senso o
importanza e non restava che lei e il suo amore per lui che sarebbe durato
anche oltre i confini del tempo, lacerando il muro dei secoli che sarebbero
sopraggiunti. I loro corpi non sarebbero stati eterni, presto i loro cuori
avrebbero cessato per sempre di battere, il loro sangue si sarebbe fermato… ma ciò che li univa era qualcosa che
si elevava al di là della semplice dimensione materiale, un legame
eterno e sfuggente a qualsiasi logica e razionalità. Quella donna era
tutta la sua vita e lui sentiva chiaramente che non
avrebbe mai desiderato che fosse altrimenti… eppure un pensiero bizzarro
l’aveva colpito qualche tempo prima… il fatto cioè, di non
essere stato l’unico a capire che in lei c’era qualcosa di
così speciale da essere invisibile agli occhi della moltitudine.
… Snape…
Erano anni che non lo vedeva. Esattamente, non l’aveva
più visto dal giorno del suo tradimento.
Ricordava però in modo perfetto il Severus Snape
ventenne, un giovane dall’espressione indecifrabile e i cui atteggiamenti
erano assolutamente impossibili da interpretare… erano andati nella
stessa classe, provenivano ambedue dalla medesima Casa e avevano odiato
entrambi la combriccola di Potter, Black, Lupin e
Pettigrew. Severus si era sempre tenuto a debita distanza da chiunque avesse
accennato ad invadere il suo spazio vitale, ma a lui non era sfuggita l’incredibile acume e la mente sottile che Snape
possedeva e che raramente ostentava più del necessario…
un’intelligenza prismatica che l’aveva portato a comprendere che
Bellatrix non era la ragazzina insignificante che sembrava essere. Snape
l’aveva capito da quel giorno e sapeva altrettanto bene che lui, Rodolphus, aveva cominciato a tenerlo d’occhio da
allora…
…Era successo tutto a causa di quello scherzo idiota
che Sirius Black aveva architettato ai danni di Snape e che per poco non gli
era costata la vita: darlo praticamente in pasto ad un
Lupo mannaro senza controllo… allora non sapevano quale pericolo avesse
realmente corso, ma Bellatrix aveva intuito che c’entrava suo cugino
insieme agli altri tre compari. Rammentava che per i due giorni successivi lei
non aveva aperto praticamente bocca, era stata
silenziosa come se fosse improvvisamente diventata un cadavere deambulante, ma
la mattina del terzo giorno, in Sala Grande, durante la colazione, si era
improvvisamente alzata dalla tavola dei Serpeverde e
si era diretta verso quella dei Grifondoro, camminando inesorabile, con gli
occhi fissi sulla nuca di suo cugino, le braccia rigide lungo i fianchi, i
pugni serrati, le labbra strette, pallide e sottili e gli occhi immensi che
mandavano lampi. In un silenzio quasi irreale l’aveva chiamato e gli
aveva rivolto poche parole, ma talmente taglienti e glaciali che, al sentirle,
Black e compagnia erano trasecolati neanche avessero
udito uno spettro maledirli dalle fauci dell’inferno.
Lei aveva compiuto tredici anni una settimana prima.
Da quel giorno Severus si era accorto di chi realmente fosse
Bellatrix Black, anche se tutto in lui faceva pensare
che invece avesse un qualche debole per Lily Evans,
la ragazza dalla folta capigliatura ramata che poi aveva finito per sposare
Potter. E Rodolphus non
l’aveva più perso di vista.
Avvertì la luce sul suo volto all’improvviso,
svegliandosi completamente. Bellatrix schiuse le palpebre,
riabituando gli occhi al chiarore che si stava diffondendo gradualmente nella
stanza, portando con sé anche la fragranza agrodolce tipica
dell’alba. Si sollevò, facendo
attenzione a non svegliare Rodolphus, ancora
addormentato. Osservò i lineamenti non comuni di suo marito,
intensificati dai folti capelli neri che gli spiovevano sugli occhi e gli
lambivano le guance, conferendogli un’aria ancora più
orientaleggiante, esotica, quasi.
Si accostò, avvolta in un lenzuolo, all’ampia
finestra sul lato meridionale della stanza, aprendola e aspirando quanta
più aria fresca poteva. Il sole non era ancora sorto, ma già il
cielo ad oriente era cosparso di polvere aranciata, segno che non sarebbe
passato molto tempo dal nascere di un nuovo giorno.
Poi sentì una carezza sulla nuca e un braccio che le
cingeva la vita: si appoggiò contro l’uomo alle sue
spalle quasi con placida stanchezza. Chiuse gli occhi, mentre un formicolio
sempre più forte le percorreva il braccio sinistro e il suo Marchio Nero
sembrava aver acquistato nuova brillantezza. Il Signore
Oscuro la stava chiamando e, a giudicare dal Marchio nero splendente che ornava
il braccio di Rodolphus, non si sarebbe presentata da
sola.
- Mio Signore - disse la donna, ancora
inginocchiata davanti all’orlo della veste nera di Lord Voldemort che
aveva appena baciato. Rodolphus era chino a pochi
passi da lei, nello stesso atteggiamento di devozione e sottomissione assoluta.
Il Signore Oscuro, il cui volto era
parzialmente nascosto dalle ampie falde del cappuccio, posò gli occhi
vermigli su di lei, e Bellatrix avvertì quello sguardo bruciarle la nuca
con lo stesso nitore di una mano troppo vicina al fuoco. Strinse i denti, ma
rimase immobile, comprendendo nel medesimo istante che la collera del suo
Signore doveva essere ancora molto potente e difficilmente placabile.
- Puoi alzarti, Bella – disse poi lui in un sottile
mormorio, mentre con un cenno del capo accordava lo stesso permesso a Rodolphus. - Ho da darvi alcune istruzioni riguardo al
luogo dove si trova Lucius Malfoy in questo momento. Abbiamo già perso
troppo tempo. -
La donna si irrigidì,
osservando il Signore Oscuro allontanarsi di qualche passo da lei ed estrarre
la bacchetta dalle pieghe della sua tunica. Rodolphus
le si avvicinò, guardando con la stessa
espressione seria e tesa i lenti movimenti della mano bianca e artigliata di
Lord Voldemort, che accompagnava ogni piccolo e misurato gesto con un continuo
e cantilenante mormorio. Presto la donna si accorse che il suo Signore stava
disegnando qualcosa nell’aria, una forma che andava pian piano assumendo
una ben precisa struttura tridimensionale. E dopo
qualche attimo di indecisione, capì con un
brivido intriso di panico gelido che l’ologramma che si stava formando
davanti ai suoi occhi, galleggiando sospeso nell’aria, era l’isola
di Azkaban con la sua tetra prigione.
Sentì Rodolphus irrigidirsi
con un moto di disgusto misto a terrore. Dopotutto avrebbe dovuto immaginare
che i Mezzosangue avrebbero confinato Lucius tra quelle umide mura ammuffite in
compagnia degli abomini del mondo magico, creature che, tuttavia, erano necessarie
per la loro causa, per la causa del Suo Signore.
- Dovreste conoscere molto bene questo posto – sentì sussurrare al Lord Oscuro – e lo
conoscete soprattutto a causa mia… Lord Voldemort non dimentica la
fedeltà dei suoi servi… e non la dimenticherà mai -
- Ti saremo fedeli sempre, Mylord – disse allora lei,
inchinando la testa – sempre, fin quando non
esaleremo l’ultimo respiro –
- Sai bene, Bellatrix, che mi fido di te e di Rodolphus più di chiunque altro. L’hai sempre
saputo. E’ per questo che mando unicamente voi
due, mentre Dolohov e gli altri sono impegnati a
depistare gli Auror dalle nostre vere intenzioni. Lucius è importante,
lo sapete quanto me. Rivoglio il mio servitore indietro, a qualsiasi costo. -
La donna rimase immobile per un istante, poi annui.
- Lucius è tenuto prigioniero in una delle celle dei
sotterranei, livello D – continuò Voldemort, mentre ad ogni sua
parola l’immagine di Azkaban diventava
più grande e più nitida, fino a che agli occhi dei due
Mangiamorte non apparve una ricostruzione integrale dell’ultimo livello
dei sotterranei di cui il Lord Oscuro stava parlando. – E’
sorvegliato a vista da alcuni Auror alle strette dipendenze di
Alastor Moody: probabilmente
quella vecchia volpe sfregiata deve aver capito che i Dissennatori l’avrebbero
lasciato andare dopo una notte. E’ una cella isolata dalle altre, di
forma cubica, con tre Auror che sorvegliano il lato principale dove è
posizionata la porta e altri sei disposti lungo i due lati liberi rimanenti. Al
piano di sopra ci sono altre celle altrettanto ben sorvegliate. L’unico
modo per portarlo via da lì è dal pavimento. -
- Dal pavimento? – chiese Rodolphus
con una certa ansia, ma dal tono di voce l’uomo lasciò trapelare
solo semplice curiosità.
- C’è una grotta sottomarina che si apre sotto
il versante nord dell’isola. Poche persone sono a
conoscenza della sua esistenza, purtroppo quel pazzo di Dumbledore è
tra queste. Tuttavia, nessuno sa che la grotta, dopo un lungo tratto subacqueo,
comincia a salire, fino a raggiungere i sotterranei di Azkaban.
Esiste un punto in cui lo spessore del pavimento è così sottile
da poter essere perforato anche da un semplice Babbano munito di strumenti
adatti. E quel punto si trova sotto la cella di
Lucius, precisamente a venti centimetri dal centro esatto della stanza. -
- Notevole. Ed anche abbastanza accessibile –
commentò la donna, mentre nella sua testa andava già formandosi
un piano per tirare Malfoy fuori dalla melma in cui si
era andato ad invischiare.
- Sapevo che avresti capito immediatamente la situazione,
Bellatrix Lestrange – disse poi la voce fredda di Lord Voldemort, anche
se alla donna sembrò di percepire un velato tono di ammirazione.
- Partiamo immediatamente, mio Signore – continuò lei, inginocchiandosi ancora una volta,
mentre il suo sguardo d’ossidiana rimaneva saldamente puntato sul mento
sottile di Voldemort, l’unica parte non nascosta dal cappuccio che celava
tutto il resto del volto – e riporteremo Lucius Malfoy al Suo cospetto. -
- Non mi deludere… Bella – sibilò il Signore Oscuro, mentre il disegno tridimensionale di Azkaban
sbiadiva lentamente, disperdendosi come foschia riscaldata dal sole. La donna
annuì a denti stretti, attendendo che Voldemort si smaterializzasse.
Appena il Lord Oscuro se ne fu andato, Bellatix prese
la sua bacchetta, mormorando:
- Accio Algabranchia
-
Immediatamente alcune piccole pallottole di un verde
grigiastro comparvero sul palmo della mano. Rodolphus
la guardò ammirato.
- Per respirare sott’acqua – spiegò lei
con un mezzo sorriso,mentre era intenta a ricavare un
sacchetto di stoffa da un lembo della sua tunica. Con un altro incantesimo lo rese impermeabile e infilò dentro le palline di Algabranchia insieme ad un piccolo oggetto di forma
discoidale non chiaramente identificato.
- Possiamo andare – disse, e con un gesto deciso della
mano trasfigurò la sua lunga tunica, trasformandola in una tuta nera e
aderente che non l’avrebbe impacciata nei
movimenti sott’acqua. Attese che Rodolphus facesse lo stesso, poi gli prese una mano e lo guardò
a lungo nei suoi occhi magnetici.
Lui sorrise, incoraggiante.
Si smaterializzarono entrambi con un tenue rumore.
Un vento di considerevole violenza si scagliava contro le
scoscese e frastagliate pareti dell’isola di Azkaban,
quando i due Mangiamorte si materializzarono sopra uno degli scogli più
grandi che fiancheggiavano una piccola insenatura. La grotta sottomarina si
apriva una decina di metri sotto il livello dell’acqua ed era praticamente invisibile, coperta dal mare spumeggiante,
vorticoso e dai bagliori metallici; una distesa d’acqua irrequieta che
rifletteva il colore fosco del cielo plumbeo che sembrava sempre aleggiare
intorno alle altissime torri di Azkaban. Bellatrix si accucciò sullo
scoglio, sfilandosi le scarpe e riducendone le dimensioni con un semplice
incantesimo. Prese dal sacchetto che portava legato in vita due palline di Algabranchia e ne porse una a
suo marito.
- Appena saremo là sotto userò la mia
bacchetta per farci contemporaneamente da luce e da guida – disse, mentre
l’uomo che era con lei scrutava con un’espressione serissima la superficie increspata del mare – Ho fatto un incantesimo a questa vecchia bussola che ci
permetterà di conoscere esattamente dove ci troviamo in qualsiasi
momento – continuò estraendo il piccolo disco metallico che stava
comodamente nel palmo della sua mano e fissandolo alla bacchetta con una
sottile cinghia – E’ regolata anche per analizzare lo spessore del
terreno. La grotta non dovrebbe essere completamente ricolma d’acqua, se
arriva fino ai sotterranei del livello D, che più o
meno si trovano a quell’altezza –
disse, indicando un punto imprecisato a metà della parete rocciosa
dell’isola.
- Credo che tu abbia ragione, Bella – le rispose lui. Poi si chinò ancora e le posò un
leggero bacio sulle labbra, prima di infilarsi in bocca l’Algabranchia. Lei sorrise e l’imitò,
masticando velocemente la massa viscida e gommosa che le avrebbe permesso di nuotare a suo agio. Presto avvertì una
forte sensazione di soffocamento, come se le stessero tappando
contemporaneamente sia il naso che la bocca, mentre
due tagli sbatacchianti le si erano aperti dietro le orecchie: erano comparse
le branchie. Vide Rodolphus tuffarsi in acqua e
sparire sotto la superficie specchiata del mare. Lo
seguì a sua volta, sentendo immediatamente i polmoni riempirsi
nuovamente d’ossigeno. I suoi piedi si erano allungati e tra le
dita sia delle mani che degli arti inferiori erano
comparse sottili membrane di un verde quasi fosforescente che le consentirono
di aumentare la velocità. Si accorse di poter vedere nitidamente e poco
avanti a sé scorse Rodolphus che sembrava
essere decisamente a suo agio come qualsiasi pesce. Lo
raggiunse e gli indicò l’entrata della grotta pochi metri sotto di
loro.
Si inabissarono
ancora di più, mentre Bellatrix estraeva la bacchetta sulla quale poco
prima aveva montato la bussola. L’estremità della bacchetta si
accese di un modesto bagliore, una fluorescenza che non disturbava, ma
sufficiente per poter illuminare almeno a un paio di
metri di distanza.
Entrarono nella spelonca sottomarina, lasciandosi condurre
da quel curioso strumento di navigazione subacquea che la donna aveva costruito
poc’anzi. La grotta era piuttosto stretta e la
corrente sembrava essere abbastanza forte, tanto che per contrastarla entrambi continuavano a nuotare energicamente. Si inoltrarono
per parecchi metri ancora, fino a che il percorso virò bruscamente,
cominciando a salire verso la superficie. L’effetto dell’Algabranchia stava ormai quasi terminando
quando entrambi riemersero in un piccolo antro circolare cosparso di
stalattiti , sulle cui pareti lisce ed umide si aprivano un paio di cunicoli
che continuavano ad inerpicarsi per diversi metri, larghi a stento per poterci
passare camminando gattoni. Bellatrix e Rodolphus
attesero che le branchie scomparissero del tutto e che
i loro arti tornassero normali. Si sedettero su di una sottile striscia di
terra che sembrava essersi accumulata nel corso dei millenni proprio sotto i
due cunicoli, e che sprofondava improvvisamente dopo mezzo metro, tanto che i
due furono costretti a lasciar penzolare le gambe nell’acqua.
- Abbastanza faticoso… - mormorò la donna con
un lieve sorriso, respirando velocemente e cercando di recuperare al più
presto le forze.
- Già – fece eco Rodolphus,
scostandosi con una mano i lunghi capelli bagnati che gli ricadevano
incollandosi sulla fronte – Dove siamo esattamente? -
Bellatrix prese la bacchetta con la bussola, sfilò il
piccolo disco di metallo e lo rigirò attentamente tra le mani.
- Trentasette metri sotto il livello D, sul versante
nord-ovest dell’Isola… la cella di Lucius dev’essere
proprio qua sopra, da qualche parte. Il terreno si assottiglia andando verso
ovest, credo che il cunicolo che si apre a sinistra dovrebbe condurci proprio
nella zona sotto la cella. Una volta lì dovremmo riuscire a tirarlo
fuori. -
L’uomo annuì, poi si voltò appena,
osservando attentamente la piccola galleria di sinistra che avrebbero dovuto
attraversare. Non sarebbe stato semplice, ma la determinazione che lesse sul viso
di sua moglie gli cancellò con un colpo di spugna ogni seppur minimo
dubbio.
Fine seconda parte