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Autore: Melgor    08/11/2009    1 recensioni
Qualcuno si aggira fra le città di Thys, uccidendone gli abitanti in modo atroce, senza risparmiare nessuno. Melgor, mercenario senza scrupoli, si troverà a doverlo affrontare, sebbene non gliene importi niente della salvezza della propria terra.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È strano fare delle presentazioni sulla storia a partire dal secondo capitolo, ma credo che i miei impegni giustifichino questa cosa. Prima di tutto ringrazio Pluma per il commento fatto alla storia e a Melgor (sì, si chiama così, non ti preoccupare XD). Non verrai delusa dallo svolgimento ^^. Avevo pensato inizialmente di creare Melgor solo per distruggere tutti gli stereotipi dell'eroe, ma mi sono lasciato prendere la mano.

Beh, cosa posso dire, buona lettura!

Tocco del male

Il male più sottile non è necessariamente il più grande, semplicemente quando lo si compie non ci si accorge neppure che sia un male. E per questo le radici della malvagità arrivano a toccare anche gli animi più puri e perfetti.



Non era lunga la strada per giungere a Relzan, non ci avrebbe messo più di due giorni e non aveva alcuna intenzione accelerare i tempi di marcia: dopotutto Mosly non era un tipo impaziente. In realtà il mercenario non aveva alcuna voglia di incontrare il suo committente: Mosly era un riccone spregiudicato, che usava il suo potere per spadroneggiare sui suoi possedimenti, attirando a sé decine di centinaia di nemici. Non di rado Melgor aveva avuto problemi per il solo fatto che serviva a volte come mercenario o assassino a quell'uomo. Poteva, certo, fregarsene di tutto ciò che quel pallone gonfiato faceva, ma Melgor era un tipo che odiava i contrattempi. Tuttavia il mercenario aveva bisogno di soldi, molti soldi, e l'unico motivo per cui si vedeva con quell'uomo era quello: farsi sganciare una bella borsa piena di pezzi d'oro in cambio di una con dentro una testa.

Melgor adorava viaggiare e godersi i paesaggi, forse più che combattere e uccidere: adorava osservare per strada la natura attorno a sé, sentire i versi distanti degli animali, che rispettava forse più degli uomini. A volte si sdraiava all'aria aperta per dormire, trovandolo molto più comodo e rilassante di una rumorosa locanda. Tuttavia, una cosa che odiava era il chiasso degli altri viaggiatori: chiassosi mercanti, salmodianti pellegrini, petulanti famiglie e persino qualche nobile in carrozza. Lui, inoltre, camminava sempre, quando era in viaggio, raramente accelerando al passo degli altri e subendo spesso gli insulti degli altri viaggiatori. Avrebbe voluto conficcare volentieri la spada nel fianco di tutti coloro che lo “accompagnavano” nel viaggio e proseguire da solo, ma voleva evitare di attirare l'attenzione dopo aver compiuto un omicidio. Si limitò a trattenere la scocciatura, stringendo i pugni e focalizzando l'attenzione sul paesaggio: il bosco che stava attraversando era magnifico, col sole che filtrava a chiazze sul terreno. Tuttavia, concentrato com'era sul bosco, non si accorse che i viaggiatori attorno a lui erano decisamente pochi rispetto a quelli che solitamente attraversavano la Via.

Arrivò a Relzan due giorni dopo, di sera, come aveva previsto. Il sole era quasi tramontato, ma la città accendeva già le prime luci. Melgor aveva potuto intravedere la città già la notte prima, ad una distanza considerevole: Relzan era enorme, una SpazzaCielo, come si usavano chiamare le grandi città: le luci che si accendevano di notte erano talmente tante che il cielo appariva spoglio di stelle, e durante le festività più importanti anche la luna diventava più fioca. Melgor odiava profondamente le SpazzaCielo: anche stando a chilometri di distanza era impossibile vedere il firmamento. Mosly viveva lì, circondato dal lusso più sfrenato, orchestrando la politica del luogo spregiudicatamente. Melgor sospirò, mentre varcava le porte dell'enorme città avvolta dal caos, facendosi largo nella folla che riempiva le vie.

Mosly era un tipo discreto, ma incontrava il mercenario sempre nello stesso vicolo di periferia, per niente camuffato. Nessuno, comunque, avrebbe mai avuto il coraggio di colpirlo apertamente: anche se fosse stato ucciso il suo esercito personale si sarebbe vendicato su tutta la periferia. Melgor odiava quel luogo: ingrigito dagli alti camini del castello, era popolato solo da coloro che non potevano permettersi un'abitazione migliore. Il mercenario odiava quella gente: il loro odioso sguardo chiedeva pietà quando ti incrociava, una richiesta insopportabile. Anche quella volta attraversò quel bordello senza degnare di uno sguardo quegli uomini distrutti dentro e fuori, giungendo presto nel vicolo dove lo attendeva Mosly. Lo riconobbe immediatamente, tra il grigiore delle pareti delle due case che formavano il vicolo: un uomo tozzo, la cui pancia poteva essere benissimo più grande della sua altezza effettiva. Una barbetta nera gli cresceva sul mento, ma il resto del volto era privo di peli. Le vesti pregiate e lo sguardo autorevole sembravano mostrare uno di quei saggi consiglieri che a volte affiancano i re nelle loro decisioni, ma in realtà nascondevano solo un animo forse più malvagio di quello di Melgor. Il mercenario alzò un braccio, in segno di saluto, avvicinandosi all'uomo, che sorrise soddisfatto. -Hai portato la testa?- chiese, impaziente di vedere la buona riuscita del lavoro. Melgor in tutta risposta gli lanciò il sacco fra le braccia. Il nobile si limitò a tastarlo, per poi lanciare via disgustato il contenitore. Melgor ridacchiò. Per quanto facesse tanto il duro, quel grassone non aveva nemmeno il fegato di tenere in mano una testa umana. Mosly si ricompose, ridacchiando soddisfatto. -Ottimo, come al solito. Spero che tu abbia occultato bene il cadavere, non vorrei avere problemi...- sussurrò il nobile, mentre afferrava un sacchetto tintinnante e faceva per porgerlo al mercenario. D'un tratto, però, lo tirò indietro. -Che ne dici di accettare un altro incarico? Una decina di contadini rivoltosi ultimamente mi hanno dato problemi... non so se mi spiego...-. Melgor stette in silenzio, aspettando che il committente aggiungesse la parte più importante. -Settemila pezzi d'oro. Più di tre volte quello che ti ho pagato per questo-. Il mercenario continuò a tacere, meditando sull'offerta. I soldi gli facevano comodo, molto comodo. E dieci contadini non erano per nulla un problema: in dieci minuti avrebbe potuto comodamente sterminarli. -No.- disse Melgor, le labbra tese. -Voglio prendermi una pausa-. La risposta colse di sorpresa Mosly. Il mercenario non aveva mai rifiutato un suo lavoro. -Non scherzare, Melgor. Non è div...- -Non è uno scherzo.- lo interruppe Melgor -Non ho intenzione di svolgere il tuo compito, ho bisogno di riposo dopo tutto il mio girovagare-. In realtà Melgor voleva semplicemente no eseguire più omicidi per Mosly. La sua voce, però, era tesa, e al nobile non servì un grande ingegno per capire che stesse mentendo. Il suo volto si fece lentamente rosso dalla rabbia. Come si poteva permettere un bastardo assassino come lui di insultarlo? -Se non esegui questo compito- sibilò a denti stretti – allora non ti pagherò nemmeno quello che hai eseguito-. Melgor strinse i pugni. La tentazione era forte, ma se gliela dava vinta ora sarebbe dovuto sottostare a lui per parecchio tempo. -Allora tienteli i tuoi cazzo di soldi!- disse, l'adrenalina alle stelle, mentre si allontanava dal nobile infuriato. Mosly non poteva accettare tutto ciò. Lasciarsi calpestare da uno come lui, che era solo uno dei suoi tanti cagnolini da caccia che inviava ad uccidere i propri nemici... non poteva permetterlo. -Sì, vattene pure Melgor. Ci sono decine di sicari che vogliono prendere il tuo posto!- urlò il nobile, la voce quasi strozzata. Melgor continuò a camminare, senza ascoltarlo. -Tu sei sostituibile, sei una formica che io posso schiacciare con una sola mano!- continuò Mosly, la rabbia che saliva dall'indifferenza del mercenario. Melgor era arrivato quasi alla fine del vicolo senza degnarlo di uno sguardo. -Sì, vattene pure! Tu non sei nulla, se non un gran figlio di puttan...-. Melgor si era voltato, la mano destra tesa in avanti. -Taci- sussurrò. Ma Mosly non poté udire le sue parole. Il coltello lanciato dal mercenario lo aveva colpito in gola, ed il corpo si era accasciato per terra in un lago di sangue.

-Merda...- sussurrò Melgor, avvicinandosi al cadavere. Non avrebbe voluto colpirlo, gli sarebbe bastato sfiorargli il collo con la lama dello stiletto per zittirlo dallo spavento, ma la rabbia gli aveva giocato un brutto scherzo. Non che provasse una qualche forma di rimorso, ma se qualcuno lo avesse visto col cadavere avrebbe sicuramente avuto problemi. E dover uccidere i testimoni sarebbe stata una gran rottura. Il mercenario si morse le labbra, indeciso sul da farsi. Fortunatamente nessuno era ancora venuto a controllare, ma le urla ingiuriose che Mosly aveva lanciato poco prima potevano attirare alcuni scomodi individui. Il luogo non era neppure adatto per nasconderci il corpo. Indubbiamente sarebbe stato utile rendere invisibile quel dannato cadavere con un incantesimo, ma a quanto pareva gli uomini non erano capaci di usare nessun incantesimo. Doveva ancora capire quale fosse il motivo di ciò, se ce n'era uno... Melgor decise allora di estrarre la spada bilame: se non poteva occultare il cadavere, allora lo avrebbe reso irriconoscibile: le morti dei barboni e omicidi vari erano comuni a Relzan, e un cadavere sfigurato in un vicolo non avrebbe di certo attirato più di tanto l'attenzione. Prima di iniziare il lavoro si assicurò di vuotare le tasche della vittima: non poteva certo permettere che le giovani donne piangessero per una perdita virtualmente inesistente, o che qualcuno beneficiasse della sua morte prendendo in prestito suoi oggetti. Li avrebbe custoditi lui, con lo stesso amore con cui si era preso la sua vita.



Infilò il cucchiaio nella ciotola di minestra e la mescolò lentamente, alzandone di tanto in tanto i pezzi di lardo che erano sul fondo, preso dalla noia più assoluta. Avrebbe voluto colpire il barista o uno di quei nerboruti avventori che stavano parlando dall'altra parte del locale, tanto per divertirsi, ma si rese conto che se lo avesse fatto sarebbero arrivate inevitabilmente le guardie. E poi chi aveva voglia di farle fuori tutte? Decise che era meglio pensare alla zuppa di lardo prima che si raffreddasse e concentrarsi su altro. Tolse il cucchiaio dal piatto e ne ingurgitò metà del contenuto bollente in un sorso, mentre tentava di ascoltare la conversazione dei vicini. Dopotutto non c'era niente di meglio da fare.

-...tutti morti.- disse quello più vicino a Melgor. Era agitato, al contrario dell'altro uomo, che sembrava, sebbene sorpreso, perfettamente composto. -Cosa?- sussurrò l'altro. -Erano tutti morti. Sono accorse più di cento guardie per ricercare eventuali superstiti, ma tutto quello che sono riuscite a trovare erano...- deglutì leggermente -...cadaveri straziati-. Melgor non potè trattenere un sorriso. Quanto adorava i lieto fine. -Saranno cazzate...- disse l'altro, ripresosi dallo stupore iniziale -non posso credere che un villaggio intero sia andato distrutto in una notte...- -Non il villaggio, solo gli abitanti.- lo corresse l'altro -Solo gli abitanti erano morti. Io credo che qualcuno abbia usato la magia, che sia una vendetta degli elfi.- L'altro scosse la testa, scettico. -Gli elfi non esistono. Non più, almeno. Sono stati sterminati più di duemila anni...- Melgor smise di ascoltare. Non perché non gli interessasse (quello era un fatto secondario, almeno), ma perché qualcuno aveva varcato la soglia della locanda. Il mercenario digrignò i denti quando vide lo stemma della casata di Mosly cucita sui loro abiti e lo sguardo che gli stavano rivolgendo.

  
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