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Autore: Ely79    13/11/2009    4 recensioni
Per i suoi amici, Jill vive una vita tranquilla ed ordinaria. Ma che direbbero se sapessero che lavora al Ministero della Magia? Ecco una sua "normale" giornata di lavoro, tra scartoffie, bacchette e colleghi un po' speciali.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nimphadora Tonks, Nuovo personaggio, Remus Lupin
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'Ministero della Magia'
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Dalle 17:30 in poi
Attraverso l’atrio soprappensiero. Sono da poco suonate le cinque e trenta del pomeriggio. Molti maghi si affollano ai camini della Metropolvere. Fiammate verdi riverberano sul soffitto blu e oro. La fontana ha ripreso a zampillare nel giusto verso e il pavimento è asciutto. Intravedo facce conosciute qua e là. Brevi saluti, talvolta solo un cenno. Mi infilo nella cabina, appoggiandomi con la schiena ad una delle pareti. Lo scossone finale arriva con quello che mi pare un largo anticipo. Stesso dicasi per lo sferragliare soffocante della metropolitana che svanisce alle mie spalle.
Dovrebbe essere trascorsa quasi un’ora da quando ho lasciato l’ufficio, non me ne sono resa conto. Ho la mente inchiodata su quell’ultima conversazione con Hermione. Mi sento infelice. È uno di quei momenti in cui la mente comincia a galoppare come un kelpie impazzito, e mi dico: se fossi una strega, darei il sangue pur di trovare un modo per guarire i mannari. Almeno quelli che non desiderano esserlo.
Se avessi una bacchetta.
Se sapessi usare la magia.
Involontariamente allungo una mano, imitando quei gesti che ho visto fare tante volte dai colleghi, rischiando di urtare i passanti intorno a me.
Oltre i vetri dell’autobus che mi porta a destinazione, i palazzi cambiano aspetto. Tutto si fa meno imponente, meno Londra turistica. Basse case e giardini prendono il posto dei palazzi storici e dei Docks.
Scendo e attraverso la strada. Sulla veranda accanto all’ingresso, i signori Higgins mi salutano cordialmente, come ogni sera. Sono i proprietari dello stabile, nonché maghi. Già, perché esistono palazzinari anche tra i maghi. Chi l’avrebbe mai detto? Io no di certo. Pensavo che maghi e streghe vivessero in castelli incantati con segrete traboccanti di topi e draghi e soffitte invase dai pipistrelli.
«Buona sera, Jill».
«Buona sera, Agnes. Samuel».
«’sera» risponde l’uomo, indaffarato a sfoltire un cespuglio di bosso a colpi di Tagliuzzanti.
«Sei un po’ in ritardo oggi» sorride lei, aggiustandosi il golfino sulle spalle.
«Sul serio?» e cerco l’orologio al polso, rendendomi conto solo in quel momento di non averlo indosso. «Non me ne sono accorta. Pensavo di essere addirittura in anticipo».
Mi sorride  indulgente. È una donna molto gentile e premurosa.
«Sembri stanca, mia cara. Qualcosa da bere? Un po’ di the magari?»
«Grazie, ma penso che una doccia mi farà bene. Ah, stasera ho gufi in arrivo» avverto, armeggiando con le chiavi del portoncino.
«A che ora?» s’informa sbrigativo il marito, intento ad esaminare la precisione della potatura.
«Credo entro le nove. Buona serata».
Mentre m’infilo nelle scale, la voce di Agnes mi avvisa che c’è posta per me. Raccolgo le tre lettere ed il giornale arrotolato posati su una mensola dell’ingresso, ficcando tutto in borsa senza guardare.
Quattro brevi rampe di gradini mi dividono dal mio appartamento. Vivo in un bilocale nell’attico. Posto eccezionale, per diversi motivi. Innanzitutto, ho una piccola terrazza da cui si gode la vista sul parco di quartiere, di cui fa parte un grosso centro sportivo. Secondo, basta alzare solo di poco lo sguardo per vedere il cielo. E poi, con dei maghi per vicini, non posso non godere di ottima compagna. E di riparazioni d’urgenza, come quella volta in cui il rubinetto della cucina ha deciso di allagarmi casa: la sera, al mio rientro, c’era una gigantesca bolla liquida che galleggiava a mezz’aria in mezzo al soggiorno. Opera di Alfred, o meglio Alfie, il vicino del piano di sotto, e di suo nipote Neville. Sam ci ha annaffiato il giardino per due giorni con tutta quell’acqua.
Appena entrata, riprendo il portatile e lo accendo, posandolo sul tavolino davanti al divano, poi spalanco la portafinestra del terrazzo, in attesa che arrivi il gufo di Hermione. Deve portarmi degli appunti per una pratica nuova, a nome di un imprecisato signor B.W.
Decido di non aspettare oltre e mi butto sotto la doccia. La speranza è che si porti via la stanchezza e l’amarezza che mi assillano. Non ricordo di aver notato nulla di particolare per strada, cosa che di solito succede sempre. A dire il vero ho realizzato di aver percorso l’intero tragitto solo quando ho sentito la voce della signora Higgins.
La radio in sottofondo passa un vecchio pezzo dei Pet Shop Boys, “Liberation”:

Take my hand,
Don't think of obligations
Now, right now,
Your love is liberation *

Liberation. Liberazione. Mi scappa un sospiro doloroso. Appoggio la fronte alle piastrelle mentre il getto bollente mi scorre sulla schiena. Sento le spalle di cemento, che mi spingono giù. Ron una volta mi ha detto che non è bene portarsi il lavoro a casa (sperava che convincendo me, anche Hermione avrebbe fatto altrettanto). Di solito seguo il suo consiglio e, una volta varcata la porta del Ministero, mi concentro su quel che accade fuori. Leggo libri, vado al cinema, viaggio, mi vedo con i colleghi con le identiche modalità del Paiolo Magico. Qualche volta incontro i miei vecchi amici di scuola, a cui ho raccontato di lavorare per un ufficio interministeriale, che ancora non ha né un nome preciso né una vera sede, ma ha dei capi intransigenti che non ammettono visite durante gli orari di lavoro.
Oggi però non mi riesce. Quella forma curva e minuscola, ripiegata su sé stessa, mi ricompare davanti ogni volta che le palpebre si abbassano. Ho nascosto nei jeans l’incarto della caramella, continuando a farla scorrere sui polpastrelli, cercando di non schiacciarla o appiattirla. Volevo farla restare esattamente come Luke me l’aveva lasciata.
Un brivido mi scuote. Scivolo in basso, fino a sedermi. L’acqua mi cade addosso come una pioggia leggera.
Luke ha mangiato la caramella.
Quella caramella che aveva rifiutato inizialmente.
Ha lasciato la carta sul tavolo, nonostante il cestino fosse proprio lì accanto, in bella vista.
Non poteva non averlo visto.
Ma allora…
Possibile…
Alzo la faccia, lascio che l’acqua ci cada sopra, ridisegnando le pieghe d’uno sciocco sorriso.
«Stupida» mi dico, allungando la mano a prendere il bagnoschiuma. «Jillian Taylor, sei ufficialmente la più grande stupida di tutto il Ministero della Magia!»
Ero così presa dal dolore che avevo letto sul volto di quel bambino, da ostinarmi a vedere in lui la vittima di un destino infame, e non riuscire a scorgere in quella pallina grinzosa il suo “grazie”. La reazione che avevo tentato di far scattare.
Nascondo il viso tra le mani, vergognandomi e provando allo stesso tempo un gran sollievo.
«Stupida! Stupida-stupida-stupida-stupida-stu-pi-da!» cantileno battendo i piedi sulla ceramica.
Per un po’ rimango lì, accoccolata nell’angolo, a bilanciare l’euforia di quella rivelazione e il dubbi che si tratti solo di una mia interpretazione per rendere meno dura la realtà. Penso e ripenso fino a stabilire che, sì, quella è inequivocabilmente una risposta. A chi e perché, non importa. Lunedì ne parlerò con Hermione o con Remus.
Alla fine decido che non è il caso di dilapidare le riserve idriche di Londra. Mi alzo e, finalmente, riesco a rilassarmi. In venti minuti termino di sprecare liquidi preziosi.
Abiterò pure in una casa di maghi, ma non esiste incantesimo abbastanza forte da rimediare agli sprechi globali. A meno che Arthur Weasley non abbia intenzione di cimentarsi nel risparmio delle risorse non rinnovabili. Farebbe fortuna. O grandissimi disastri, dipende.
Esco dal bagno gettando uno sguardo alla cucina. L’aria fresca della prima sera si sta diffondendo nella zona giorno. Dietro di me una serie di impronte umide, che di sicuro mi faranno scivolare alla prima occasione. Apro il frigo e, dopo una rapida ricognizione, mi verso un bicchiere di succo d’arancia prima di affacciarmi alla finestra. Nessuna traccia del gufo.
I lampioni cominciano ad accendersi. Sul marciapiede c’è gente che corre. Dal giardino arriva l’odore pungente delle foglie recise dai Tagliuzzanti di Sam. Auto passano lente in direzione opposta al centro città. La fuga per il riposo è iniziata.
Sorseggio il succo, stringendomi nell’accappatoio. Sono passate le sette. Dovrei cominciare a pensare a cosa mettere nello stomaco. Torno ad esaminare il frigo e i pensili. Per fortuna ho fatto spesa mercoledì, o dovrei ricorrere a qualche ristorante, e stasera non mi va di uscire. E poi, da sola? Se lo avessi immaginato, avrei potuto invitare Tonks, visto che sembrava così desiderosa di istruirmi riguardo l’altro sesso.
Philip. Ora che sento la stanchezza salire e i pensieri amari scivolare lungo i tubi di scarico, mi torna in mente il suo abbraccio. Non aveva un odore particolare. Niente profumo, dopobarba, pozioni respingenti… No. Aveva solo il suo odore, quello della sua pelle. Mi viene l’assurda idea di riprendere la camicia che indossavo stamattina. Torno in bagno e la recupero dalla cesta della biancheria sporca, che mi fissa impietosa. Sì, questa volta ha ragione lei, ho aspettato un po’ troppo per il bucato. Ho vestiti sparsi sul pavimento dall’altro ieri che gridano vendetta. Vorrà dire che aspetteranno altri cinque minuti. Porto la camicia al viso e respiro piano. Non è rimasto nulla di quella stretta. Peccato.
Carico la lavatrice, infilando a malincuore anche quell’indumento, ormai affine ad una reliquia.
Superata la fase delle incombenze domestiche senza ausili magici (altra cosa per cui invidio moltissimo le streghe), passo in camera da letto. Spengo la radio e faccio partire lo stereo. A quest’ora ci sono solo radiogiornali e non m’interessano le disgrazie mondiali, ne ho già abbastanza di quelle che mi passano sotto mano in ufficio. C’è il Greatest Hits degli Abba sul piatto. Mio padre li adora. La musica di Dancing Queen comincia a diffondersi in casa.
Traffico un po’ col solito cassetto che non si vuole aprire. Presa da quel misto di felicità e struggimento per quanto accaduto la mattina, indosso quel completino che ho comprato mesi fa. Mi guardo allo specchio, ripensando quel giorno, travolti dal custode di Hogwarts, Rubeus Hagrid,  in visita proprio al mio capo, quando ci siamo trovati pigiati l’uno sull’altra. Quattro piani ad una distanza così ravvicinata che avremmo potuto essere una cosa sola. Se ci fossimo baciati allora, nessuno l’avrebbe potuto vedere: il fisico mastodontico di Hagrid occupava tutto il resto della cabina, insieme alle sue ripetute scuse. Ero così su di giri, che all’uscita mi sono infilata nel primo negozio di intimo per celebrare quel momento. Ed eccomi con indosso quei capi sbarazzini, non eccessivamente sexy, neri con i nastrini rossi. Come i colori della maglietta che Philip indossava quel giorno. Mi stanno d’incanto. Sarà che, nonostante il fisico non filiforme, so portarli molto bene. Insomma, diciamoci la verità, sono quanto di più distante da un Veela si riesca ad immaginare: non molto alta, fisico prosperoso, capelli a caschetto castani, occhi verde muschio astigmatici da quando avevo tredici anni. Andassero a farsi un giro quelle megere dell’est europeo, con i loro corpicini da cannuccia di Coca-Cola!
Parte “Gimme gimme gimme” e sul ritornello mi permetto di inserire un ardito “gimme Philip after midnight” anziché le solite parole. E lo vorrei lì anche prima di mezzanotte, se possibile.
Un rumore mi distrae. Arriva dal soggiorno. Inforco gli occhiali e mi affaccio. Una volta Hermione è venuta di persona a consegnarmi gli appunti, possibile l’abbia fatto di nuovo? Ormai sono le otto, dovrebbe essere già a casa. Conoscendola, potrebbe essere appena uscita dall’ufficio, facendo andare su tutte le furie il povero Ron. Faccio per chiamarla quando vedo qualcosa appiccicato alla porta d’entrata.
Mi avvicino. È una lettera. La apro e dentro trovo un biglietto. È scritto da quattro mani diverse.

“Perdonami, perdonami, perdonami! So che di solito preferisci che ti dica tutto dei miei piani, ma questa volta proprio non potevo. Divertitevi e B-uon W-eekend!
Hermione”

«B-uon W-eekend? Oh, no… che diamine ha combinato?» mi domando a mezza voce.

“Regola numero uno: non ci sono regole! Saltagli addosso e fatela finita di rincorrervi! Sfodera la mannara che è in te!
Tonks

Lascia perdere l’ultima parte di quel che ti ha scritto Dora. Pensa solo a divertirti.
Remus

Buona fortuna e, per favore, ricorderesti a Philip che mi deve un favore grosso come una casa per aver convinto Sebastian a cambiargli turno stamattina?
Harry”

Mi tremano le mani. Ma di cosa stanno parlando? Sono impazziti tutti e quattro? Non ho appuntamento con Philip! Magari fosse così! Deve essere opera di Tonks, chissà cosa si è inventata.
Mi volto e vedo due occhi castani letteralmente sgranati su di me. Seduto sul mio divano c’è lui. Philip Cross, Ufficio Obliviatori. Mi cade la lettera. Lui deglutisce a vuoto, continuando a guardarmi. So perfettamente di essere in una situazione imbarazzante, ma non riesco a muovermi. Dovrei coprirmi, dirgli di girarsi. E invece che mi viene di dire?
«Come faccio a sapere che sei tu e non Tonks?»
Sembra riprendersi, guarda intorno spaesato poi mi mostra l’indice sinistro, ancora avvolto nel cerotto azzurro a coniglietti. È lui per davvero.
«A-accogli sempre i t-tuoi ospiti così?» mi chiede perplesso.
«Da quanto sei qui?» replico io, senza ascoltarlo.
Abbassa gli occhi un attimo, sembra molto imbarazzato. Non è da lui. Ti prego, dimmi che sei appena arrivato, che non hai sentito niente!
«Ecco… io… dal tuo “stupida-stupida-stupida-stupida-stu-pi-da” delle sei e quaranta».
Come non detto.
«Perché sei qui?»
Ci pensa su. Fa per dire qualcosa. Si interrompe. Prende un profondo respiro prima di rialzare la testa.
«Jillian mi piaci da impazzire, se aspettavo un altro po’ sarei morto. Non potevo continuare a sognarti la notte e a vederti di giorno nei corridoi del Ministero senza dirtelo!» dice tutto d’un fiato.
Non riesco a rispondere. Lo fisso incredula.
«Sono stato un pochino diretto, eh?»
«Se questa è la tua idea di “pochino”…» faccio io, «chissà quando lo sei per intero!»
Mi avvicino e gli siedo accanto, incurante del fatto che, con la portafinestra aperta dietro di me e quasi niente addosso, sicuramente mi prenderò un accidente.
«Io ti piaccio?»
Lui annuisce e, in breve, mi spiega di non essersi mai fatto avanti direttamente perché dietro quell’aria da burlone, da compagnone, in realtà si cela una persona piuttosto timida. Ed è vero: non alza lo sguardo dalle ginocchia ed ha il respiro accelerato. I capelli scuri e cortissimi, gli scorrono tra le dita, mentre cerca di darmi più spiegazioni che può. Ha preso per sfinimento Hermione, che non voleva dargli il mio indirizzo. Ha torturato Harry perché gli desse una mano a farsi cambiare il turno per venire al Victoria Park. Remus lo ha sostenuto passandogli informazioni sulle mie abitudini, dopo che è accidentalmente venuto a conoscenza delle sue mire su di me. Tonks gli ha proposto di bloccare l’ascensore con dentro noi due soli, per saltarmi addosso indisturbato.
«Aspetta… Come sarebbe che lo sapeva?»
«Beh, sì. Non ho potuto negare. Quel giorno che c’era Hagrid con noi sull’ascensore… Insomma, mi sono trovato con te addosso, che mi respiravi all’orecchio… Stavo collassando!»
«Io ho comprato questo per festeggiare…» mi lascio scappare. Devo essere pazza, e dal suo sguardo capisco che non afferra il nesso. «Sì, ecco, io… anche io ero felice di quell’imprevisto… e così ho comprato… No, dai, lascia perdere. Che c’entra Tonks?»
«È salita quando tu e Hagrid siete scesi».
«E allora?»
«Ero rosso, non respiravo, sembravo in paradiso e… sentivo i pantaloni stretti» spiega, tornando per un attimo il solito Philip. «Per fortuna c’era la tua borsa tra di noi, o te ne saresti accorta pure tu. Capisci che era impossibile controbattere alle sue domande in quello stato! Così, le ho detto… che mi piacevi. Un casino. Da un pezzo» ammette.
Per un tempo indefinito resto senza parole. Tonks sapeva. Harry sapeva. Remus sapeva. Hermione sapeva. Solo io ero all’oscuro di tutto!
Mi avvicino.
«E tu, saresti qui per…?» domando, accennando un sorriso.
«Io…» comincia, in difficoltà.
«Senti, e se... ti levassi questa?» dico, prendendo fra le dita un lembo della sua camicia.
Philip sembra spaventato. Ne approfitto per prenderlo per mano.
«Calmati, sto scherzando. Il fatto è che, la nostra cara amica Tonks, mi ha tartassato sul come avrei dovuto fare per irretirti! Solo che, ora che mi hai detto che si trattava di una farsa, mi sono domandata se, per caso, anche le sue idee fossero solo invenzioni. Volevo verificare se avrebbero funzionato comunque».
Philip si rilassa e ride, ricambiando la stretta.
«Non penserai che sia qui per portarti a letto come ho detto stamattina!»
«No? Allora puoi anche andartene!» scherzo, indicandogli la porta.
Ormai siamo talmente vicini che se allungasse quel benedetto braccio potrebbe stringermi. Quasi mi avesse letto nel pensiero, mi abbraccia. Io faccio altrettanto. I nostri visi si sfiorano.
«Mi cacci via se ti bacio?»
«Ti caccio se non lo fai» sussurro.
Il tocco delle sue labbra è delicatissimo. A poco a poco ci lasciamo andare, e ci ritroviamo stesi sul divano, io su di lui. Non sta cercando di fare il gradasso, il playboy. No. Vuole mostrarmi chi è.
«Pensi di fermarti per cena?» chiedo, tra un bacio e l’altro.
«Dipende» risponde, mettendosi a sedere.
Rabbrividisco. L’aria si è fatta più fredda, le stelle fanno capolino sopra il terrazzo.
«Da cosa?»
«Dal dolce» risponde, avvolgendomi nel suo maglione.
«Dal dolce?» ripeto incuriosita.
«Sì. Lo vuoi prima o dopo la cena?» ammicca, accarezzandomi le braccia.
So a cosa allude il furfante. Fingendo di pensarci su sbircio la sua camicia ormai sbottonata. Ringraziando il cielo, lo stampo Babbano ha lasciato su di lui una bella impronta. Ho notato che parecchi maghi hanno la tendenza ad avere corpi magri e glabri come bambini di cinque anni. Lui no.
«Non potremmo fare il bis?» propongo, passando le dita sulla peluria del suo torace.
«Non staremo correndo troppo?»
Forse ha ragione, ma giochiamo a far finta di niente da un’eternità. Ed è da un tempo infinitamente lungo che devo arrangiarmi con l’immaginazione.
«Per colpa della nostra timidezza siamo in arretrato di diversi mesi. E poi, l’hai detto tu che non ti piace lodarti di cose inventate».
Mi prende il viso tra le mani e questa volta il nostro bacio si fa più prepotente. La sua lingua cerca la mia, mentre gli sfilo la maglia.
Un frullo d’ali ci interrompe.
Un gufo si è appollaiato su una sedia. Lo osservo incerta.
«Philip? Non avevi detto che quella degli appunti era solo una scusa di Hermione, perché lasciassi aperta la porta?»
«Sì, infatti» conferma lui.
Mi alzo e sciolgo il laccio che lega la pergamena alla zampa dell’animale. Non di è certo qualcosa che riguarda il lavoro: è piena zeppa di macchie.

“Dimenticavo di dirti che sapevo tutto già da un pezzo, ma non dirlo a Remus, lui è convinto che ti stia aiutando solo per spirito altruistico. Quindi, regola numero due: se dovesse capitare che…”

Non leggo oltre. Meno male che non c’erano regole. Da un lato vorrei strangolarla per averci interrotti, dall’altro mi vien da ridere. Prendo una penna e rispondo, nel poco spazio subito sotto. Lego di nuovo la missiva alla zampa del gufo e bisbiglio l’indirizzo, cambiando destinatario. L’uccello decolla e svanisce nella sera.
«Che succede?» mi domanda Philip, avvicinandosi con la camicia in mano e la cintura slacciata.
«Oh, nulla. Remus e Tonks avranno di che discutere stasera» rispondo con un ghigno perfido mentre chiudo le ante.
«Gli hai scritto che sono qui mezzo svestito e pronto a farmi violentare da te?»
«No. Ho scritto a Remus che la sottoscritta “mannara latente” ringrazia molto per l’incoraggiamento, ma pregherebbe il signor Lunastorta di adoperarsi affinché la moglie provi analoghi piaceri, di modo che non condivida troppo della loro intimità con… il pubblico!» spiego, tenendolo per mano e puntando alla camera da letto.
«Mannara latente?» ridacchia.
«Sì. Vuoi vedere come so trasformarmi?»
E per sottolineare quanto sia probabile questa mia mutazione lo afferro per la cinta dei pantaloni, facendo un verso che somiglia ad un ringhio.
«Non ti serve la luna piena?»
«No. Solo un ragazzo molto carino e molto…»
«Innamorato?»
Sorrido, alzandomi sulle punte dei piedi per baciarlo.
Per la cronaca, io e Philip non abbiamo cenato. Il dolce è stato più che sufficiente. Un dolce a base di un Obliviatore tenero e passionale, e di un’Assistente Ai Rapporti con la Creature Magiche molto felice e partecipe.
Ho mai detto che adoro lavorare al Ministero della Magia?

*    Prendi la mia mano
Non pensare ad un obbligo
Ora, proprio ora
Il tuo amore è liberazione


E con questo capitolo si conclude Una giornata al Ministero.
Un grazie a tutti coloro che hanno letto questa fic e, se vi è piaciuta, non temete! Credo proprio che Jillian e amici faranno ritorno al più presto!
Per PiperHG: credo anch'io che sarebbe davvero bello poter gettare un occhio dal nostro mondo in quello dei maghi, criticarli, ammirarli e... invidiarli!
Per Rebecca Lupin: sono contenta di sapere di aver reso bene Dora e Remus. In effetti sono una coppia molto spassosa!
Per arylupin: leggere la tua recensione mi ha fatto molto piacere. Spero che altri, inizialmente scettici, si uniscano a te!

   
 
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