Windsor Castle, Settembre 1529 - … That end
really badly
“Toglietegli
l’elmo!! Prendete le briglie del cavallo presto!!” Enrico aveva gridato con
tutta la sua forza. Caterina, già in piedi non appena aveva visto il cavallo
del ‘Cavaliere del Giogo’ impennarsi e disarcionare il suo padrone, si era
precipitata giù dalla piccola tribuna quando aveva sentito l’urlo terrorizzato del
povero cavallerizzo. Quel grido le aveva lacerato il cuore e due secondi dopo
la sua mente lo aveva riconosciuto. Non solo era femminile, ma era una voce che
lei conosceva bene.
Spaventata
a morte aveva visto cadere di schiena il suo beniamino, che poi aveva battuto
con forza il capo. Da quel momento era rimasto sul terreno, un pupazzo senza
vita; non aveva reagito nemmeno quando il cavallo, spaventato ed ancora
adrenalinico per quanto accaduto, era tornato indietro, pestandolo più volte,
con gli zoccoli e tutto il suo peso, sulla coscia all’altezza dell’inguine e
sull’addome protetto dalla leggera armatura.
“No!!
Nooo!!! NO!!!!!!!!” Gridò Enrico, non appena tolse
l’elmo al cavaliere, e vide quale viso si celasse al suo interno.
“Non muovetela!!”
Il dottor Linacre
fulminò con lo sguardo due serve che avevano avvicinato le mani su Isabel.
“La Principessa
deve stare immobile, mi sono spiegato bene?” Ordinò. Le due fanciulle annuirono
immediatamente e poi sparirono. In quel momento entrò Caterina. Era pallida in
volto ed aveva un’espressione stravolta. Quando fu vicina al tavolo rigido su cui
era stata distesa la sua creatura, non seppe cosa fare. Tentò di avvicinarsi
ancora al tavolo, ma non vi riuscì; allungò una mano per toccare Isabel, ma la
mano rimase a mezz’aria; guardò il medico di Enrico ed aprì la bocca come per
chiedergli qualcosa, ma non profferì verbo. La sua gola era chiusa dal dolore e
dallo sgomento. Il dottore, intuendo il suo stato, si avvicinò e cercò di
rassicurarla. “Abbiate fede, mia Regina. La Principessa è nelle mani di Dio.
Non ve ne sono di più sicure.” Quell’affermazione, che doveva rassicurare
Caterina e convincerla ad affidare sua figlia, certa della risposta di Dio,
suonò invece come un’atroce premonizione. Quello stesso Dio che era stato
sempre un cardine essenziale della sua vita, ora poteva portarle via per sempre
la creatura che più le stava a cuore e maggiormente amava. La Sovrana guardò il
volto cinereo della figlia, le labbra esangui, i graffi provocati dalla caduta,
nonostante l’elmo e si sentì ancora peggio.
Per non perdere la
calma lì, di fronte al dottor Linacre, alle damigelle di Isabel che erano
tornate per rendersi utili per qualunque evenienza, ed alle guardie che
sorvegliavano il padiglione, Caterina, senza dir nulla, girò sui tacchi e se ne
andò. La testa le pulsava talmente tanto ed aveva il cuore gonfio d’angoscia
che mancò poco cominciasse ad urlare di rabbia e di disperazione, come non
aveva mai fatto in vita sua.
“CHE
COSA!?!?!” Sir Knivert non aveva mai urlato ad Isabel in quei mesi, ma in
quella specifica circostanza sentì di non poterne fare decisamente a meno.
“Per
favore, sir Anthony..” Cercò di rabbonirlo la Principessa, cosciente di cosa
aveva appena confessato e di tutti i guai, passati, presenti e futuri in cui
avrebbero potuto incorrere entrambi se il Re o la Regina avrebbero scoperto che
cosa lei aveva appena detto.
“Per
favore cosa, Isabel!!! Siete forse impazzita?!?” Proseguì quello, fuori dalla
grazia divina, ed attirando l’attenzione di una guardia poco distante da loro.
“Sapete dove rischiamo di finire se per caso questa cosa dovesse giungere alle
orecchie di vostro padre?”
Isabel
ebbe il buon senso di tacere e di non controbattere. In realtà quando aveva
iniziato, non aveva mai pensato alle conseguenze del suo gesto. Sapeva che i
tornei non erano per tutti e che c’era chi non era così fortunato da finire un
combattimento nelle stesse condizioni in cui lo aveva cominciato, tuttavia nel
suo animo ingenuo e vagamente romantico sperava di far ingelosire il Re e
magari farlo riavvicinare a sua madre. Anche se non ne parlava con nessuno,
soffriva enormemente per le voci che sentiva su suo padre e quella sgualdrina da
quattro soldi che non perdeva occasione per avvicinarla o adularla, ed avrebbe
fatto qualunque cosa, davvero qualunque cosa, per fare in modo che i suoi
genitori si riavvicinassero. Sapeva che il Re era enormemente geloso ed
irascibile, e in fondo quello che gli ci voleva era la paura che qualcuno
potesse guardare la sua Regina con gli stessi occhi con cui lui guardava le sue
amanti. Era una cosa scandalosa ed inaudita, Isabel ora se ne rendeva conto
pienamente; come si rendeva perfettamente conto di un’altra cosa: quel torneo
per lei poteva essere un pericolo, non necessariamente per il fatto di essere
scoperta da qualcuno. E lo stesso dolore, che lei stava agitando per colpire il
padre, avrebbe potuto in quel caso colpire sua madre, gettandola in una
disperazione che non meritava e che, soprattutto, Isabel non avrebbe mai voluto
infliggerle.
Dopo un viaggio
senza meta all’interno del Palazzo, Caterina si ritrovò negli appartamenti di
Isabel. In silenzio entrò nella camera da letto e si guardò intorno.
Le tende erano
spalancate e la luce del giorno illuminava ogni cosa. Immediatamente la Sovrana
riconobbe la dolce e leggera fragranza della figlia. Sapeva di miele e cannella,
e lei la percepiva ogni volta che lei le si avvicinava. Spesso Isabel non aveva
ancora parlato, né era stata annunciata, che Caterina sapeva già fosse nei
paraggi. Solo per aver sentito nell’aria quel profumo, che ora la commosse
profondamente.
Passo dopo passo si
avvicinò al piccolo inginocchiatoio in legno davanti all’immagine della
Vergine. Il Bambino sorrideva, seduto sulle ginocchia materne, e Caterina sentì
il cuore dolerle più di quanto già non dolesse. Sembrava la esortasse ad
affidarGli la figlia, ad avere fiducia nella Sua potenza salvifica, nella Sua
Morte e Resurrezione.
Sul piccolo ripiano
dell’inginocchiatoio era posato il libro della preghiera delle ore della
principessa. Caterina lo prese e poi si sedette sulla poltrona poco distante.
Sapeva che Isabel amava in modo particolare la Compieta e la recitava tutte le
notti, a volte in sua compagnia. Amava quell’affidarsi a Dio senza riserve, nel
momento più difficile di un essere umano, quello del sonno; quello in cui tutto
era addormentato e il passo dalla vita alla morte era più facile e concreto.
“Il Signore Vi conceda una notte serena ed un
riposo tranquillo, mamà..” La salutava alla fine della preghiera la figlia,
prendendo in prestito il commiato della Compieta, e guardandola con un affetto
ed una dedizione che la commuovevano ogni volta.
“Alla
mia sinistra il Cavaliere del Giogo..” L’annunciatore si voltò allungando il
braccio e i presenti in tribuna scoppiarono in un applauso caloroso e grida di
giubilo.
In
quei tre mesi il cavaliere si era conquistato la benevolenza di tutti, sia
perché il suo status di ‘anonimo’ suscitava la curiosità e l’interesse
generale, ma anche perché pur essendo capace e bravo, non mancava di aiutare
gli avversari che batteva e disarcionava. E questo era un comportamento che
trovava generalmente consenso, piuttosto che la boriosa e superba spocchia di
chi vinceva e non si voltava indietro a soccorrere gli avversari. Inoltre egli
era stato tanto scaltro e furbo da non partecipare ad ogni torneo e giostra.
Non era quindi diventato un habitué e questo aveva accresciuto ulteriormente la
curiosità intorno a lui. Da ultimo, ma non per ultimo, il suo secondo
soprannome era il ‘Cavaliere della Regina’. Naturalmente nessuno pensava che
fra i due ci fosse una tresca, ma quel modo di chiamarlo aveva preso piede
almeno quanto il primo ed ormai era giunto fino alle orecchie del Re. Sulle
prime Enrico non aveva detto nulla, ma a mano a mano che il tempo passava, la
gelosia e la sensazione che qualcosa non andasse per il verso giusto erano
aumentate.
Quando
il cavaliere si presentò dinanzi a lei, come faceva di solito, la Regina gli
sorrise e lo salutò con un cenno del capo. Lui invece si chinò rispettosamente e
poi, sempre camminando all’indietro per non darle le spalle, tornò al cavallo. Caterina
lo osservò bene e per un attimo fece un paragone più che azzardato,
praticamente assurdo. Un paio di mattine prima aveva assistito, non vista, alla
lezione di equitazione di Isabel. Era la prima volta da che la figlia aveva
ripreso le sue lezioni, e la Sovrana lo aveva fatto sia per rendersi conto di
come se la cavava, sia perché voleva vedere più in generale come stesse.
Aveva
fatto diverse scoperte in quella occasione: prima fra tutte il fatto che il
nome che Isabel aveva dato alla sua cavalla, Estrella de Alhambra, era un
evidente omaggio a lei. Quel gesto l’aveva ovviamente commossa e deliziata
enormemente e si era ripromessa di ringraziarla a dovere, anche se avrebbe
dovuto poi confessare di averla vista esercitarsi. La seconda cosa era che sua
figlia era davvero una brava cavallerizza, attenta e disciplinata, che non
mancava di incitare a dovere il suo animale, pur rispettandolo e non
sottoponendolo a sforzi eccessivi e controproducenti. Ancora, che Isabel era
disciplinata e rigorosa anche come alunna. Beveva tutto quel che sir Knivert le
diceva, e non lo contraddiceva né gli disobbediva mai. Quasi alla fine della
lezione, il nobile le ordinò altri esercizi e lei, pur chiaramente distratta da
altro, obbedì con disciplina. Ad un certo punto però, gli ‘attrezzi da lavoro’
cambiarono e si aggiunsero due armature leggere e due lance. Caterina rimase a
dir poco interdetta: perché mai la figlia stava esercitandosi con cose che non
avrebbe mai utilizzato ed in una situazione potenzialmente pericolosa?
I
suoi pensieri vennero interrotti quando le trombe squillarono ed annunciarono
l’avversario che quel giorno lo sconosciuto cavaliere avrebbe avuto. La folla
impazzì di gioia e tutti gridarono, al solo sentire le trombe. Per la prima
volta in quel torneo il ‘Cavaliere del Giogo’ smontò da cavallo e passeggiò
nervosamente avanti ed indietro. Aveva capito immediatamente anche lui che
stavolta non avrebbe avuto un avversario qualsiasi. Il cavallo del Re, con
l’abituale gualdrappa azzurra a strisce bianche, comparve pochi istanti dopo ed
Enrico subito si diresse di fronte alla Regina, chinando il capo.
“Mia
signora..” gridò, sottolineando l’aggettivo possessivo, per poi girarsi verso
l’avversario e fissarlo fino a che lui non ebbe abbassato il capo, in un inchino
devoto e reverente. “Siete pronto?” Lo sfidò, sentendo salire la propria
adrenalina e l’eccitazione del pubblico trasformarsi in un’onda che aumentava.
“Allora, Cavaliere del Giogo, siete pronto? Fatemi sentire la vostra voce!!”
Ripeté Enrico, ormai completamente in trance. Il Cavaliere lo fissò a lungo,
restando immobile e poi in un secondo salì in sella. Il cavallo, sentendo la
nervosa scarica adrenalinica del suo padrone, si mosse a scatti e poi fece per
impennarsi. I due sfidanti raggiunsero i loro inservienti e mentre Enrico si
faceva passare l’elmo, il suo avversario restò immobile, come se si stesse
concentrando. Poi fu la volta delle lance, quindi i due si portarono all’inizio
della lizza, ognuno dalla propria parte. “Vediamo se riuscirete a battermi!!”
Gridò Enrico a voce altissima. Il suo cavallo diede uno scatto e poi partì al
galoppo, facendo tremare il terreno. Pochissimi istanti dopo il cavaliere
avversario fece lo stesso, non prima di aver soppesato la sua lancia, come
faceva ogni volta.
“Quando ti invoco, rispondimi, Dio, mia
giustizia: dalle angosce mi hai liberato; pietà di me, ascolta la mia
preghiera. In pace mi corico e subito mi addormento: tu solo, Signore, al
sicuro mi fai riposare.”
Quelle parole, che
Caterina lesse mentalmente, erano sottolineate con un tratto sottile di penna.
Caterina se ne chiese il motivo, ma poi pensò che dovevano avere un significato
particolare per Isabel. Mentre ancora rileggeva la preghiera del Salmo, dalle
pagine del libro scivolò un bigliettino che le cadde in grembo.
“Cosa ho fatto di
male per meritare questo tipo di castigo? Dicono che è per il mio bene, ma chi
può volere il mio bene e punirmi a questo modo? Che io sia liberata presto da
tutto questo..”
La Sovrana
riconobbe in un istante la grafia leggera e delicata della figlia. Mentre
leggeva quanto Isabel aveva scritto, le mancò il respiro. Gli occhi le si
offuscarono per le lacrime, ma riuscì a non cedervi.
“A te protendo le mie mani, sono davanti a te
come terra riarsa. Rispondimi presto, Signore, viene meno il mio spirito. Non
nascondermi il tuo volto, perché non sia come chi scende nella fossa.”
Il tratto di penna
si fece in questa porzione di preghiera più deciso. Leggendo meglio, Caterina
riuscì a scorgere delle parole tra una riga e l’altra del Salmo.
“Che mi richiamino
presto, Signore, e se così non fosse rendi la mia schiena e il mio viso duri
per i loro colpi ed i loro schiaffi, le mie orecchie sorde ai loro insulti e la
mia mente impermeabile alle loro parole vane..”
“Mia signora, Sua
Maestà vuole vedervi.” Annunciò a voce sommessa lady Willoughby. Siccome
Caterina non rispose subito, la dama azzardò a ripetere quanto aveva appena
detto. La Regina alzò gli occhi colmi di lacrime e di sgomento sulla sua amica,
ed annuì appena. Maria de Salinas si avvicinò preoccupata. “Maestà, posso fare
qualcosa? Vi prego, parlatemi, cara signora. Ditemi cosa posso fare per voi..”
La esortò con dolce sollecitudine. Come se non avesse sentito, Caterina rimase
ferma dove era, abbassando di nuovo gli occhi sul libro.
“Signore, Dio della mia salvezza, davanti a
te grido giorno e notte. Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e
nell’ombra di morte. Pesa su di me il tuo sdegno e con tutti i tuoi flutti mi
sommergi. Hai allontanato da me i miei compagni, mi hai reso per loro un
orrore.”
Al
centro della lizza i due cavalieri posizionarono in modo appropriato le lance e
si prepararono per lo scontro. Il Cavaliere del Giogo, deciso a non colpire il
Sovrano ed a lasciargli la vittoria, come da tradizione, spostò la sua lancia
verso l’esterno, in modo chiaro, ma non eccessivamente plateale. Enrico invece
lasciò la propria come era e quando si trovò a pochi passi dal bersaglio, ossia
lo scudo del Cavaliere, si abbassò leggermente sulla schiena del cavallo, quasi
ad imprimere maggiore forza al colpo.
Il
Sovrano non si rese conto che così facendo, anche la sua lancia si abbassò
leggermente, quel tanto che bastò per farla sbattere contro il recinto di legno
che fungeva da separazione delle due lizze. Subito Enrico tirò su la lancia,
pensando di riuscire comunque a colpire lo scudo e disarcionare il suo
avversario. Invece colpì il cavallo, infilzandolo con la lancia anche se di
poco.
La
folla urlò di paura e di terrore e Caterina, raggelata sul suo scranno, non
ebbe la forza nemmeno di muoversi. Strinse solamente i braccioli della sua
sedia, fino a che le nocche le divennero bianche e doloranti.
Immediatamente
l’animale nitrì di dolore e si impennò furiosamente per cercare di sottrarsi al
suo supplizio. Schegge assai grosse della lancia gli si conficcarono nella carne,
facendolo sanguinare copiosamente e il povero cavallo non poté fare altro che
nitrire e muoversi a scatti, più nervoso che mai. Tutta la poca esperienza del
suo padrone venne a galla nel momento in cui egli provò a controllarlo. Non ci
riuscì affatto e anzi passò all’animale una notevole dose di ulteriore
nervosismo oltre che di paura. Alla fine il possente cavallo impennò un‘ultima
volta, imbizzarrendosi sul serio e muovendosi a destra e sinistra come un pesce
fuori dall’acqua. Il cavaliere, troppo inesperto per reggere quel tipo di
sollecitazione, lasciò andare le redini una prima volta e poi, con un urlo
terrorizzato, una seconda volta. Precipitò a terra, di schiena e batté il capo,
prima sul paletto in legno del divisorio e poi, con un tremendo colpo sordo,
sul terreno. Da quel momento si allungò a terra quasi fosse un fantoccio,
spalancando le braccia come in croce.
Mentre
il Sovrano gridava di togliergli l’elmo e di fermare il cavallo che, ancora
agitato, lo stava calpestando, Caterina scese giù dalla tribuna e corse accanto
al cavaliere, raggiunta subito dopo da Enrico. Entrambi notarono al polso sinistro
dello sfortunato giovane il nastro con i colori della Sovrana. Enrico lo
scambiò per un ulteriore segno di sfida da parte di lui, ed un’infedeltà
manifesta da parte della moglie. Furente la guardò con un’occhiata di fuoco,
poi rabbioso, sciolse il nastro dal polso del poveretto, con una forza tale da
levargli anche il guanto.
La
Regina invece, che aveva riconosciuto il possessore del nastro, si accosciò a
terra, prendendo fra le sue l’altra mano, quella ancora guantata, e fissandolo
con un tale e vitreo sgomento che chi era attorno a lei pensò che fosse morta
in piedi.
Con
una certa fretta, il Re cercò di aprire la serratura dell’elmo. Nel farlo i
capelli lunghi e color rame del cavaliere vennero fuori e lui si sentì
stringere lo stomaco. Terrorizzato guardò la moglie, e poi aprì del tutto la
cerniera dell’elmo, togliendolo con delicatezza estrema.
In
un istante apparve, pallido e graffiato, il volto di Isabel, e Enrico poco
mancò che sentisse il cuore scoppiargli nel petto.
“Si è mossa,
Maestà!” Disse trionfante lady Thorston. “Vostra figlia si è mossa..”
Caterina, sempre
con il libro in mano, agguantò due lembi del vestito e si mise a correre
disperata verso il padiglione.
L’ultimo pensiero
scritto da Isabel nel suo libro che aveva letto le ronzava di continuo in
testa, ma lei cercò di non pensarci e di concentrarsi sulla figlia che
apparentemente era tornata in sé.
La piccola folla
davanti e dentro la struttura mobile era talmente assorta e concentrata sulla
salute della Principessa che nessuno sentì Caterina arrivare. Solo quando una
delle guardie annunciò con voce tonante la sua presenza, il muro umano si aprì
in un istante, formando due ali che le permisero di passare.
Enrico era già lì,
terreo in volto e con la bocca contratta in una smorfia. Tutta la sua ira e il
suo orgoglio gli si erano rivoltati crudelmente contro ed ora fissava
terrorizzato la figlia semi-incosciente.
Caterina lo
raggiunse, ponendosi dal lato opposto del tavolaccio su cui avevano steso
Isabel e lo guardò per un istante soltanto. Poi prese la mano fredda della
figlia e la portò alla bocca.
“Coraggio, amore,
torna da me..” Mormorò guardandola, mentre apriva gli
occhi. Per alcuni istanti
la principessa rimase con gli occhi fermi, come se stesse rimettendo a
fuoco e stesse cercando di capire dove fosse e cosa fosse
successo. Poi li spostò
alla sua destra, sulla madre. Caterina le sorrise immediatamente,
accarezzandole la fronte ed i capelli. Il sorriso che Isabel le
regalò quando
la vide fu la medicina migliore dopo uno spavento simile. La fanciulla
le
strinse appena la mano, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
Le parole che la
sua creatura aveva scritto ancora una volta nel libro le tornarono in mente, e
riempirono di lacrime anche i suoi occhi.
“Infamia
e ignominia sono le uniche eredità di questo posto. Accetto che mi battano, che
mi insultino, che mi sottopongano a digiuni estenuanti e senza senso, non che
si attenti al mio onore. Perfino il gelo che mi infligge mia madre è meglio di
quest’oltraggio. Perfino i suoi occhi freddi e severi sono meglio di quelli
licenziosi di queste bestie.. Perfino il dolore senza fine che provo nel
guardarla e nel sentirla distante da me è meglio di queste mani che vorrebbero
da me ciò che non possono avere..”