Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Bardunfula    15/11/2009    1 recensioni
Devo parte dell’ispirazione per questa fanfiction a ‘The Portrait of the Unknown One’, una fanfiction che l’utente Lemondropseverus ha pubblicato sul sito www.fanfiction.net .
Il resto è opera mia.
La fiction è ambientata nell'Inghilterra di Enrico VII, ma non segue necessariamente il corso 'veritiero' degli avvenimenti storici che tutti noi conosciamo.
Caterina d'Aragona ed Enrico Tudor sono sposati da cinque anni. Hanno già una primogenita, Maria, e sono in attesa del loro secondogenito.
Sarà, finalmente, un maschio?
I personaggi della fic, alcuni sono realmente esistiti, altri no.
Buona lettura, e commentate :)
Genere: Generale, Storico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
A Queen's Daughter - ....That end really badly

Windsor Castle, Settembre 1529 - … That end really badly

 

“Toglietegli l’elmo!! Prendete le briglie del cavallo presto!!” Enrico aveva gridato con tutta la sua forza. Caterina, già in piedi non appena aveva visto il cavallo del ‘Cavaliere del Giogo’ impennarsi e disarcionare il suo padrone, si era precipitata giù dalla piccola tribuna quando aveva sentito l’urlo terrorizzato del povero cavallerizzo. Quel grido le aveva lacerato il cuore e due secondi dopo la sua mente lo aveva riconosciuto. Non solo era femminile, ma era una voce che lei conosceva bene.
Spaventata a morte aveva visto cadere di schiena il suo beniamino, che poi aveva battuto con forza il capo. Da quel momento era rimasto sul terreno, un pupazzo senza vita; non aveva reagito nemmeno quando il cavallo, spaventato ed ancora adrenalinico per quanto accaduto, era tornato indietro, pestandolo più volte, con gli zoccoli e tutto il suo peso, sulla coscia all’altezza dell’inguine e sull’addome protetto dalla leggera armatura.
“No!! Nooo!!! NO!!!!!!!!” Gridò Enrico, non appena tolse l’elmo al cavaliere, e vide quale viso si celasse al suo interno.

 

“Non muovetela!!”
Il dottor Linacre fulminò con lo sguardo due serve che avevano avvicinato le mani su Isabel.
“La Principessa deve stare immobile, mi sono spiegato bene?” Ordinò. Le due fanciulle annuirono immediatamente e poi sparirono. In quel momento entrò Caterina. Era pallida in volto ed aveva un’espressione stravolta. Quando fu vicina al tavolo rigido su cui era stata distesa la sua creatura, non seppe cosa fare. Tentò di avvicinarsi ancora al tavolo, ma non vi riuscì; allungò una mano per toccare Isabel, ma la mano rimase a mezz’aria; guardò il medico di Enrico ed aprì la bocca come per chiedergli qualcosa, ma non profferì verbo. La sua gola era chiusa dal dolore e dallo sgomento. Il dottore, intuendo il suo stato, si avvicinò e cercò di rassicurarla. “Abbiate fede, mia Regina. La Principessa è nelle mani di Dio. Non ve ne sono di più sicure.” Quell’affermazione, che doveva rassicurare Caterina e convincerla ad affidare sua figlia, certa della risposta di Dio, suonò invece come un’atroce premonizione. Quello stesso Dio che era stato sempre un cardine essenziale della sua vita, ora poteva portarle via per sempre la creatura che più le stava a cuore e maggiormente amava. La Sovrana guardò il volto cinereo della figlia, le labbra esangui, i graffi provocati dalla caduta, nonostante l’elmo e si sentì ancora peggio.
Per non perdere la calma lì, di fronte al dottor Linacre, alle damigelle di Isabel che erano tornate per rendersi utili per qualunque evenienza, ed alle guardie che sorvegliavano il padiglione, Caterina, senza dir nulla, girò sui tacchi e se ne andò. La testa le pulsava talmente tanto ed aveva il cuore gonfio d’angoscia che mancò poco cominciasse ad urlare di rabbia e di disperazione, come non aveva mai fatto in vita sua.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 

“CHE COSA!?!?!” Sir Knivert non aveva mai urlato ad Isabel in quei mesi, ma in quella specifica circostanza sentì di non poterne fare decisamente a meno.
“Per favore, sir Anthony..” Cercò di rabbonirlo la Principessa, cosciente di cosa aveva appena confessato e di tutti i guai, passati, presenti e futuri in cui avrebbero potuto incorrere entrambi se il Re o la Regina avrebbero scoperto che cosa lei aveva appena detto.
“Per favore cosa, Isabel!!! Siete forse impazzita?!?” Proseguì quello, fuori dalla grazia divina, ed attirando l’attenzione di una guardia poco distante da loro. “Sapete dove rischiamo di finire se per caso questa cosa dovesse giungere alle orecchie di vostro padre?”
Isabel ebbe il buon senso di tacere e di non controbattere. In realtà quando aveva iniziato, non aveva mai pensato alle conseguenze del suo gesto. Sapeva che i tornei non erano per tutti e che c’era chi non era così fortunato da finire un combattimento nelle stesse condizioni in cui lo aveva cominciato, tuttavia nel suo animo ingenuo e vagamente romantico sperava di far ingelosire il Re e magari farlo riavvicinare a sua madre. Anche se non ne parlava con nessuno, soffriva enormemente per le voci che sentiva su suo padre e quella sgualdrina da quattro soldi che non perdeva occasione per avvicinarla o adularla, ed avrebbe fatto qualunque cosa, davvero qualunque cosa, per fare in modo che i suoi genitori si riavvicinassero. Sapeva che il Re era enormemente geloso ed irascibile, e in fondo quello che gli ci voleva era la paura che qualcuno potesse guardare la sua Regina con gli stessi occhi con cui lui guardava le sue amanti. Era una cosa scandalosa ed inaudita, Isabel ora se ne rendeva conto pienamente; come si rendeva perfettamente conto di un’altra cosa: quel torneo per lei poteva essere un pericolo, non necessariamente per il fatto di essere scoperta da qualcuno. E lo stesso dolore, che lei stava agitando per colpire il padre, avrebbe potuto in quel caso colpire sua madre, gettandola in una disperazione che non meritava e che, soprattutto, Isabel non avrebbe mai voluto infliggerle.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Dopo un viaggio senza meta all’interno del Palazzo, Caterina si ritrovò negli appartamenti di Isabel. In silenzio entrò nella camera da letto e si guardò intorno.
Le tende erano spalancate e la luce del giorno illuminava ogni cosa. Immediatamente la Sovrana riconobbe la dolce e leggera fragranza della figlia. Sapeva di miele e cannella, e lei la percepiva ogni volta che lei le si avvicinava. Spesso Isabel non aveva ancora parlato, né era stata annunciata, che Caterina sapeva già fosse nei paraggi. Solo per aver sentito nell’aria quel profumo, che ora la commosse profondamente.
Passo dopo passo si avvicinò al piccolo inginocchiatoio in legno davanti all’immagine della Vergine. Il Bambino sorrideva, seduto sulle ginocchia materne, e Caterina sentì il cuore dolerle più di quanto già non dolesse. Sembrava la esortasse ad affidarGli la figlia, ad avere fiducia nella Sua potenza salvifica, nella Sua Morte e Resurrezione.
Sul piccolo ripiano dell’inginocchiatoio era posato il libro della preghiera delle ore della principessa. Caterina lo prese e poi si sedette sulla poltrona poco distante. Sapeva che Isabel amava in modo particolare la Compieta e la recitava tutte le notti, a volte in sua compagnia. Amava quell’affidarsi a Dio senza riserve, nel momento più difficile di un essere umano, quello del sonno; quello in cui tutto era addormentato e il passo dalla vita alla morte era più facile e concreto.
Il Signore Vi conceda una notte serena ed un riposo tranquillo, mamà..” La salutava alla fine della preghiera la figlia, prendendo in prestito il commiato della Compieta, e guardandola con un affetto ed una dedizione che la commuovevano ogni volta.

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

“Alla mia sinistra il Cavaliere del Giogo..” L’annunciatore si voltò allungando il braccio e i presenti in tribuna scoppiarono in un applauso caloroso e grida di giubilo.
In quei tre mesi il cavaliere si era conquistato la benevolenza di tutti, sia perché il suo status di ‘anonimo’ suscitava la curiosità e l’interesse generale, ma anche perché pur essendo capace e bravo, non mancava di aiutare gli avversari che batteva e disarcionava. E questo era un comportamento che trovava generalmente consenso, piuttosto che la boriosa e superba spocchia di chi vinceva e non si voltava indietro a soccorrere gli avversari. Inoltre egli era stato tanto scaltro e furbo da non partecipare ad ogni torneo e giostra. Non era quindi diventato un habitué e questo aveva accresciuto ulteriormente la curiosità intorno a lui. Da ultimo, ma non per ultimo, il suo secondo soprannome era il ‘Cavaliere della Regina’. Naturalmente nessuno pensava che fra i due ci fosse una tresca, ma quel modo di chiamarlo aveva preso piede almeno quanto il primo ed ormai era giunto fino alle orecchie del Re. Sulle prime Enrico non aveva detto nulla, ma a mano a mano che il tempo passava, la gelosia e la sensazione che qualcosa non andasse per il verso giusto erano aumentate.  
Quando il cavaliere si presentò dinanzi a lei, come faceva di solito, la Regina gli sorrise e lo salutò con un cenno del capo. Lui invece si chinò rispettosamente e poi, sempre camminando all’indietro per non darle le spalle, tornò al cavallo. Caterina lo osservò bene e per un attimo fece un paragone più che azzardato, praticamente assurdo. Un paio di mattine prima aveva assistito, non vista, alla lezione di equitazione di Isabel. Era la prima volta da che la figlia aveva ripreso le sue lezioni, e la Sovrana lo aveva fatto sia per rendersi conto di come se la cavava, sia perché voleva vedere più in generale come stesse.
Aveva fatto diverse scoperte in quella occasione: prima fra tutte il fatto che il nome che Isabel aveva dato alla sua cavalla, Estrella de Alhambra, era un evidente omaggio a lei. Quel gesto l’aveva ovviamente commossa e deliziata enormemente e si era ripromessa di ringraziarla a dovere, anche se avrebbe dovuto poi confessare di averla vista esercitarsi. La seconda cosa era che sua figlia era davvero una brava cavallerizza, attenta e disciplinata, che non mancava di incitare a dovere il suo animale, pur rispettandolo e non sottoponendolo a sforzi eccessivi e controproducenti. Ancora, che Isabel era disciplinata e rigorosa anche come alunna. Beveva tutto quel che sir Knivert le diceva, e non lo contraddiceva né gli disobbediva mai. Quasi alla fine della lezione, il nobile le ordinò altri esercizi e lei, pur chiaramente distratta da altro, obbedì con disciplina. Ad un certo punto però, gli ‘attrezzi da lavoro’ cambiarono e si aggiunsero due armature leggere e due lance. Caterina rimase a dir poco interdetta: perché mai la figlia stava esercitandosi con cose che non avrebbe mai utilizzato ed in una situazione potenzialmente pericolosa?
I suoi pensieri vennero interrotti quando le trombe squillarono ed annunciarono l’avversario che quel giorno lo sconosciuto cavaliere avrebbe avuto. La folla impazzì di gioia e tutti gridarono, al solo sentire le trombe. Per la prima volta in quel torneo il ‘Cavaliere del Giogo’ smontò da cavallo e passeggiò nervosamente avanti ed indietro. Aveva capito immediatamente anche lui che stavolta non avrebbe avuto un avversario qualsiasi. Il cavallo del Re, con l’abituale gualdrappa azzurra a strisce bianche, comparve pochi istanti dopo ed Enrico subito si diresse di fronte alla Regina, chinando il capo.
“Mia signora..” gridò, sottolineando l’aggettivo possessivo, per poi girarsi verso l’avversario e fissarlo fino a che lui non ebbe abbassato il capo, in un inchino devoto e reverente. “Siete pronto?” Lo sfidò, sentendo salire la propria adrenalina e l’eccitazione del pubblico trasformarsi in un’onda che aumentava. “Allora, Cavaliere del Giogo, siete pronto? Fatemi sentire la vostra voce!!” Ripeté Enrico, ormai completamente in trance. Il Cavaliere lo fissò a lungo, restando immobile e poi in un secondo salì in sella. Il cavallo, sentendo la nervosa scarica adrenalinica del suo padrone, si mosse a scatti e poi fece per impennarsi. I due sfidanti raggiunsero i loro inservienti e mentre Enrico si faceva passare l’elmo, il suo avversario restò immobile, come se si stesse concentrando. Poi fu la volta delle lance, quindi i due si portarono all’inizio della lizza, ognuno dalla propria parte. “Vediamo se riuscirete a battermi!!” Gridò Enrico a voce altissima. Il suo cavallo diede uno scatto e poi partì al galoppo, facendo tremare il terreno. Pochissimi istanti dopo il cavaliere avversario fece lo stesso, non prima di aver soppesato la sua lancia, come faceva ogni volta.

 

Quando ti invoco, rispondimi, Dio, mia giustizia: dalle angosce mi hai liberato; pietà di me, ascolta la mia preghiera. In pace mi corico e subito mi addormento: tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare.
Quelle parole, che Caterina lesse mentalmente, erano sottolineate con un tratto sottile di penna. Caterina se ne chiese il motivo, ma poi pensò che dovevano avere un significato particolare per Isabel. Mentre ancora rileggeva la preghiera del Salmo, dalle pagine del libro scivolò un bigliettino che le cadde in grembo.
“Cosa ho fatto di male per meritare questo tipo di castigo? Dicono che è per il mio bene, ma chi può volere il mio bene e punirmi a questo modo? Che io sia liberata presto da tutto questo..”
La Sovrana riconobbe in un istante la grafia leggera e delicata della figlia. Mentre leggeva quanto Isabel aveva scritto, le mancò il respiro. Gli occhi le si offuscarono per le lacrime, ma riuscì a non cedervi.
A te protendo le mie mani, sono davanti a te come terra riarsa. Rispondimi presto, Signore, viene meno il mio spirito. Non nascondermi il tuo volto, perché non sia come chi scende nella fossa.
Il tratto di penna si fece in questa porzione di preghiera più deciso. Leggendo meglio, Caterina riuscì a scorgere delle parole tra una riga e l’altra del Salmo.
“Che mi richiamino presto, Signore, e se così non fosse rendi la mia schiena e il mio viso duri per i loro colpi ed i loro schiaffi, le mie orecchie sorde ai loro insulti e la mia mente impermeabile alle loro parole vane..”
“Mia signora, Sua Maestà vuole vedervi.” Annunciò a voce sommessa lady Willoughby. Siccome Caterina non rispose subito, la dama azzardò a ripetere quanto aveva appena detto. La Regina alzò gli occhi colmi di lacrime e di sgomento sulla sua amica, ed annuì appena. Maria de Salinas si avvicinò preoccupata. “Maestà, posso fare qualcosa? Vi prego, parlatemi, cara signora. Ditemi cosa posso fare per voi..” La esortò con dolce sollecitudine. Come se non avesse sentito, Caterina rimase ferma dove era, abbassando di nuovo gli occhi sul libro.
Signore, Dio della mia salvezza, davanti a te grido giorno e notte. Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle tenebre e nell’ombra di morte. Pesa su di me il tuo sdegno e con tutti i tuoi flutti mi sommergi. Hai allontanato da me i miei compagni, mi hai reso per loro un orrore.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Al centro della lizza i due cavalieri posizionarono in modo appropriato le lance e si prepararono per lo scontro. Il Cavaliere del Giogo, deciso a non colpire il Sovrano ed a lasciargli la vittoria, come da tradizione, spostò la sua lancia verso l’esterno, in modo chiaro, ma non eccessivamente plateale. Enrico invece lasciò la propria come era e quando si trovò a pochi passi dal bersaglio, ossia lo scudo del Cavaliere, si abbassò leggermente sulla schiena del cavallo, quasi ad imprimere maggiore forza al colpo.
Il Sovrano non si rese conto che così facendo, anche la sua lancia si abbassò leggermente, quel tanto che bastò per farla sbattere contro il recinto di legno che fungeva da separazione delle due lizze. Subito Enrico tirò su la lancia, pensando di riuscire comunque a colpire lo scudo e disarcionare il suo avversario. Invece colpì il cavallo, infilzandolo con la lancia anche se di poco.
La folla urlò di paura e di terrore e Caterina, raggelata sul suo scranno, non ebbe la forza nemmeno di muoversi. Strinse solamente i braccioli della sua sedia, fino a che le nocche le divennero bianche e doloranti.
Immediatamente l’animale nitrì di dolore e si impennò furiosamente per cercare di sottrarsi al suo supplizio. Schegge assai grosse della lancia gli si conficcarono nella carne, facendolo sanguinare copiosamente e il povero cavallo non poté fare altro che nitrire e muoversi a scatti, più nervoso che mai. Tutta la poca esperienza del suo padrone venne a galla nel momento in cui egli provò a controllarlo. Non ci riuscì affatto e anzi passò all’animale una notevole dose di ulteriore nervosismo oltre che di paura. Alla fine il possente cavallo impennò un‘ultima volta, imbizzarrendosi sul serio e muovendosi a destra e sinistra come un pesce fuori dall’acqua. Il cavaliere, troppo inesperto per reggere quel tipo di sollecitazione, lasciò andare le redini una prima volta e poi, con un urlo terrorizzato, una seconda volta. Precipitò a terra, di schiena e batté il capo, prima sul paletto in legno del divisorio e poi, con un tremendo colpo sordo, sul terreno. Da quel momento si allungò a terra quasi fosse un fantoccio, spalancando le braccia come in croce.
Mentre il Sovrano gridava di togliergli l’elmo e di fermare il cavallo che, ancora agitato, lo stava calpestando, Caterina scese giù dalla tribuna e corse accanto al cavaliere, raggiunta subito dopo da Enrico. Entrambi notarono al polso sinistro dello sfortunato giovane il nastro con i colori della Sovrana. Enrico lo scambiò per un ulteriore segno di sfida da parte di lui, ed un’infedeltà manifesta da parte della moglie. Furente la guardò con un’occhiata di fuoco, poi rabbioso, sciolse il nastro dal polso del poveretto, con una forza tale da levargli anche il guanto.
La Regina invece, che aveva riconosciuto il possessore del nastro, si accosciò a terra, prendendo fra le sue l’altra mano, quella ancora guantata, e fissandolo con un tale e vitreo sgomento che chi era attorno a lei pensò che fosse morta in piedi.
Con una certa fretta, il Re cercò di aprire la serratura dell’elmo. Nel farlo i capelli lunghi e color rame del cavaliere vennero fuori e lui si sentì stringere lo stomaco. Terrorizzato guardò la moglie, e poi aprì del tutto la cerniera dell’elmo, togliendolo con delicatezza estrema.
In un istante apparve, pallido e graffiato, il volto di Isabel, e Enrico poco mancò che sentisse il cuore scoppiargli nel petto.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

“Si è mossa, Maestà!” Disse trionfante lady Thorston. “Vostra figlia si è mossa..”
Caterina, sempre con il libro in mano, agguantò due lembi del vestito e si mise a correre disperata verso il padiglione.
L’ultimo pensiero scritto da Isabel nel suo libro che aveva letto le ronzava di continuo in testa, ma lei cercò di non pensarci e di concentrarsi sulla figlia che apparentemente era tornata in sé.
La piccola folla davanti e dentro la struttura mobile era talmente assorta e concentrata sulla salute della Principessa che nessuno sentì Caterina arrivare. Solo quando una delle guardie annunciò con voce tonante la sua presenza, il muro umano si aprì in un istante, formando due ali che le permisero di passare.
Enrico era già lì, terreo in volto e con la bocca contratta in una smorfia. Tutta la sua ira e il suo orgoglio gli si erano rivoltati crudelmente contro ed ora fissava terrorizzato la figlia semi-incosciente.
Caterina lo raggiunse, ponendosi dal lato opposto del tavolaccio su cui avevano steso Isabel e lo guardò per un istante soltanto. Poi prese la mano fredda della figlia e la portò alla bocca.
“Coraggio, amore, torna da me..” Mormorò guardandola, mentre apriva gli occhi. Per alcuni istanti la principessa rimase con gli occhi fermi, come se stesse rimettendo a fuoco e stesse cercando di capire dove fosse e cosa fosse successo. Poi li spostò alla sua destra, sulla madre. Caterina le sorrise immediatamente, accarezzandole la fronte ed i capelli. Il sorriso che Isabel le regalò quando la vide fu la medicina migliore dopo uno spavento simile. La fanciulla le strinse appena la mano, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. Erano lacrime di sollievo, di scampato pericolo, di gioia nel vedere un volto amato, ma nello stesso tempo c’era qualcosa che Caterina sulle prime non riuscì a decifrare. Gli occhi di Isabel esprimevano anche il rimorso per lo spavento procuratole e la paura che il suo gesto così avventato e sconsiderato potesse farla infuriare, rischiando di allontanarle senza rimedio.
Le parole che la sua creatura aveva scritto ancora una volta nel libro le tornarono in mente, e riempirono di lacrime anche i suoi occhi.

“Infamia e ignominia sono le uniche eredità di questo posto. Accetto che mi battano, che mi insultino, che mi sottopongano a digiuni estenuanti e senza senso, non che si attenti al mio onore. Perfino il gelo che mi infligge mia madre è meglio di quest’oltraggio. Perfino i suoi occhi freddi e severi sono meglio di quelli licenziosi di queste bestie.. Perfino il dolore senza fine che provo nel guardarla e nel sentirla distante da me è meglio di queste mani che vorrebbero da me ciò che non possono avere..”

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Bardunfula