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Autore: Lovy91    10/12/2009    1 recensioni
Jonathan, Euridice, Lucas, Martin e Silvester si conoscono da quando Jonathan, Martin e Lucas facevano i bulletti contro Silvester. All'arrivo di Euridice, Silvester stringe una tenera amicizia con lei e la ragazzina fa capire a tutti e quattro che non bisogna “farsi la guerra”. Tre anni dopo, quei ragazzini non esistono più e degli adolescenti hanno preso il loro posto. Con un futuro da costruire e una vita da scegliere. Euridice ha un padre considerato da tutti uno scienziato pazzo alla ricerca di un sogno impossibile e lei è stata strascinata da lui per ogni parte del mondo, costringendola a una vita di vagabondaggi, decidendosi finalmente di stabilirsi a Mesa, California almeno finché non deciderà di andarsene. Lei non crede per niente in suo padre ed è convinta che presto abbandonerà i suoi propositi. Ma dovrà ricredersi presto, molto presto. In particolare quando coinvolgerà anche i suoi amici. Problemi su problemi nascono e non solo: essere l'unica ragazza in un gruppo di ragazzi non è facile... perché, prima o poi, i bambini crescono...
Genere: Romantico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                         Capitolo 1

                    Una giornata impossibile


<< Conosci il detto “chi prima arriva, meglio alloggia”? >>, disse Euridice, seduta sul sedile del passeggero in tutta comodità. Lucas affilò lo sguardo ed Euridice gli sorrise amichevole.
<< Lucas o ti muovi o ti lascio qui >>, disse Martin, scuotendo la cenere della sigaretta fuori dal finestrino. Euridice si girò a guardarlo con un'aria di rimprovero. Sui sedili di dietro si sentì sghignazzare fortissimo: Silvester e Jonathan.
Martin deglutì a quegli occhi poco raccomandabili e posò la sigaretta nel portacenere dell'auto e fece un sorrisino a metà ad Euridice. La ragazza era molto ambientalista.
Lei annuì seria e rivolse la sua attenzione a Lucas.
<< Sali dietro >>, disse Euridice.
Lucas sbuffò, alzò gli occhi al cielo e si sedette accanto a Jonathan. Incrociò le braccia con fare irritato. << Domani mattina mi siederò lì io >>.
<< Vedremo >>, disse Euridice, smettendo di guardarlo. Poggiò un gomito sul bordo del finestrino abbassato per via dell'aria calda. Maggio era quasi alla fine e c'erano già giornate calde ed umide. Ma del resto, a Mesa, California, non ci si poteva aspettare altro che un tempo piacevole come quello. Lì era estate quasi sempre, nel bene o nel male.
Euridice aveva classificato Mesa come una delle sue città preferite e lei ne conosceva di città. Da quando era nata non aveva mai alloggiato in una città per più di un anno, una volta addirittura per soli sei mesi. E sì, che adorava l'Italia, in particolare la sua Sicilia, città natale ma Mesa era la città che poteva considerare veramente con l'appellativo casa. Tre anni per la ragazza era tantissimi. Il tempo di diventare amica di Martin, Jonathan, Lucas e Silvester.
Si ricordava ancora il giorno in cui li aveva visti la prima volta: un pomeriggio di Febbraio, lei era a Mesa da due settimane e ancora sola, senza amici. A differenza di sua sorella Alice che ovunque andasse trovava amici e una volta diventata grandicella, pure ragazzi di ogni nazionalità.
Jonathan aveva picchiato Silvester come faceva praticamente ogni settimana insieme a Lucas e Martin. Silvester era troppo buono per difendersi e Euridice, quattordici anni, si era avvicinata, non sopportando tanta cattiveria. Aveva difeso Silvester e poi un pacato discorso ai tre.
All'inizio, Lucas era tutto intenzionato a prendersela pure con lei e Martin l'aveva fermato. Jonathan, il più grande e il capo, aveva comandato di andare via. Il giorno dopo, si erano diretti a casa di Silvester e gli avevano chiesto scusa. Euridice aveva stretto l'amicizia inizialmente solo con Silvester e restava il suo migliore amico di sempre e poi con gli altri tre, grandi amici presenti in ogni attimo della sua vita.
La fortuna volle che suo padre aveva trovato quello che definiva “una fonte interessante”. Per Euridice, un mucchio di notizie inutili.
Ma preferiva non pensarci tanto, ragionare con suo padre era impossibile.
Una mano scura venne sventolata davanti ai suoi occhi. << Ehi, princesa... Sei sulla Terra? >>, le domandò Silvester, usando il nomignolo spagnolo che usavano da ragazzini.
<< Certo che sono sulla Terra >>, rispose. << Pensavo >>.
<< Che strano >>, la prese in giro Martin, spegnendo la sigaretta e mettendo in moto l'auto e guardando nello specchietto per controllare di non avere auto dietro.
Euridice lo fulminò con gli occhi. << In effetti la parola “pensare” è sconosciuta nel tuo vocabolario >>.
I tre dietro risero e Martin non le rispose nemmeno. Il rapporto tra lui e lei era sempre stato di innocenti battute e prese in giro. Essere l'unica ragazza tra quattro maschi aveva rafforzato il carattere di Euridice e nessuno comprendeva cosa ci facesse una ragazza come lei insieme a quei quattro.
<< Ho una notizia fantastica >>, disse Lucas mentre erano fermi nel traffico per via di un semaforo rosso.
<< Illuminaci >>, lo invitò a continuare Silvester.
<< Uscirò con... rullo di tamburi >>, batté le mani sul sedile.
<< Parla Lucas! >>, dissero i quattro in coro.
<< Suspense zero, proprio >>.
<< Lucas >>, lo rimproverò Jonathan.
<< Okay, okay... Con Mariah! >>.
<< Wow >>, mormorarono in coro guardando tutti fuori dal finestrino, meno Martin che era concentrato sulla strada e in quel momento mandò a quel paese un motociclista.
<< Ve lo ripeto: Mariah! >>.
<< Sai che strano. Mariah Lopez uscirebbe pure con se stesse se potesse >>, disse Euridice, per niente colpita.
<< Invidiosi! >>, disse Lucas.
<< Io no di certo >>, disse Euridice.
<< Eh già >>, mormorò Jonathan, fissando la strada. Tutti sentirono quelle due parole e nessuno le commentò. Euridice strinse le palpebre come se la luce le desse fastidio e sospirò, quasi addolorata.
Il motivo del leggero astio da parte di Jonathan, una frecciatina quasi, era dovuto a un fatto che aveva creato una piccola frattura nel gruppo. Da quando Jonathan conosceva Euridice si era presa una cotta per lei: quella cotta era presto diventato altro e il ragazzo aveva deciso di provare. Ma a Euridice, Jonathan, non piaceva se non come amico e quel bacio aveva rovinato per un mese l'atmosfera del gruppo finché non decisero di metterci una pietra sopra e tornare amici. Euridice aveva sperato che Jonathan la dimenticasse, e aveva sperato male. Non guardava le altre e i suoi occhi erano solo per lei. Occhi che Euridice neanche guardava.
Martin spezzò la tensione creatasi nell'abitacolo: << Oggi pomeriggio ho bisogno di una mano in matematica. Euridice? >>.
<< Ti aiuterei anche ma mio padre mi obbliga a seguirlo in quella che lui chiama la “scoperta del secolo” >>. Sbuffò. E gli altri ridacchiarono. Giovanni Rosetti era conosciuto abbastanza, ma non in buona luce.
Da quando si era laureato in una famosa università italiana si era messo alla ricerca degli Elementi. L'uomo era convinto della sua esistenza ed era certo che si nascondessero in qualche parte del mondo, nascosti delle profondità di caverne e rocce, pronti per essere studiati dall'umanità e sfruttati per il bene di tutti. Vent'anni di ricerche non avevano portato a nulla, o perlomeno a costruirsi una nomina poco bella tra gli scienziati e ricercatori di tutto il mondo.
Sua moglie Giulia lo aveva seguito per l'amore che provava e successivamente, costretto le due figlie.
Chiamarsi Rosetti non era un bene in quei tempi e nel liceo di Euridice non erano poche le prese in giro e bigliettini infilati nel suo armadietto, pieni di frasi offensive che lei aveva sempre buttato e neanche letto. I suoi amici si erano proposti di farla pagare a chi se la prendeva con lei ma la giovane aveva rifiutato per non dover rischiare di andare a trovarli in carcere.
<< E dicci: dov'è questa volta la scoperta? >>, le domandò Jonathan.
<< Una caverna fuori Mesa. Come minimo, mi costringerà a ore di auto, almeno tre. Mia madre ha inventato la scusa di dover continuare il suo manoscritto e Alice aveva un affare importantissimo. E io sono rimasta incastrata. Scommetto le risate Lunedì mattina >>.
<< Telecamera? >>, le chiese Silvester.
<< Sempre, sempre, sempre. Non gira mai senza >>, confermò la ragazza.
<< Seriamente, Euridice: ma tuo padre per quanto ancora vuole andare avanti così? Insomma, è palese che quella è solo una stupida leggenda. Perfino mio nonno lo diceva e lui credeva a tutto>>, disse Lucas, sporgendosi dal sedile di dietro per guardarla meglio.
Euridice si agitò nervosamente sul suo sedile. << Piacerebbe saperlo anche a me, Lucas. Non sai quanto>>. Un tono triste e abbattuto. La verità era un'altra: Euridice temeva da un giorno all'altro che suo padre si alzasse una mattina e dicesse di fare i bagagli perché traslocavano. In tre anni, Euridice andava a dormire con questa paura. Tre anni erano troppi per una come lei nello stesso luogo.
<< Magari li trova davvero >>, azzardò Martin. Lo guardarono con uno sguardo scettico e mezzo divertito. Martin ridacchiò. << Scherzavo. E comunque, ho bisogno di aiuto sul serio. Visto che Jonathan è peggio di me, Silvester è un pessimo insegnante>>, l'amico lo guardò male e storse la bocca, <>.
<< Ehi! >> esclamò Lucas, dandogli una pacca sulla spalla.
Lo ignorò. << Non rimani che tu >>.
<< Te l'ho già detto, Martin. Non posso oggi pomeriggio >>.
<< Verrò con voi e poi mi aiuterai. Fosse la prima che rimango anche a cena. Tua madre mi adora >>.
<< Perché non ammetti che vieni per Alice? >>.
I tre ragazzi risero.
La guardò. << Io non vengo per Alice. Per carità, tua sorella è carina. Ma non vengo per lei >>.
Euridice continuò fissarlo con le sopracciglia inarcate finché non si arrese. << Okay, forse vengo anche per Alice >>.
<< Vai dietro alle ragazzine >>, lo prese in giro Silvester con un fischio.
<< Ha un anno in meno >>, protestò Martin. << E comunque non ho detto che mi piace così tanto... >>.
<< Oh! Parli della mia sorellina! >>.
<< Insomma, sorellina >>, mormorò Jonathan e Silvester gli diede una calcio alla caviglia per farlo stare zitto.
Euridice li ignorò tutti e tre e preferì guardare il paesaggio mattutino di Mesa.
Martin fermò la macchina in un parcheggio libero nel cortile della scuola, con una frenata stridente. Inutile dire che Martin era il più egocentrico che adorava stare al centro dell'attenzione.
Lo guardarono male e poi scesero dall'auto, sbattendo le portiere e Martin li guardò con rimprovero. Passò una mano sulla carrozzeria argentata della Porche che amava più di se stesso (e per uno come Martin doveva essere proprio importante).
Non giunsero neanche all'entrata della scuola che Lucas rimase imbambolato davanti all'ingresso, occhi sgranati e bocca aperta.
<< Ahi ahi >>, esclamarono gli amici dietro di lui evitando di ridere per il suo bene.
La ragazza dell'appuntamento, Mariah, era abbracciata contro un muro con un ragazzo dell'ultimo anno, il doppio di Lucas, giocatore di football. E si baciavano appassionatamente, non curanti degli studenti che li guardavano di striscio prima di entrare.
Lucas si avvicinò a Mariah e i due non si fermarono e lei neanche lo guardò. << Mariah! >>. Attirò finalmente la sua attenzione.
Lei lo guardò con un sorriso e si pulì il rossetto rosa sbavato. << Ciao Lucas >>.
<< Ciao Lucas? >>, le fece il verso, << no dico, chi è questo? >>.
<< George >, gli rispose tranquilla. Fece un cenno verso il ragazzo. << George, lui è Lucas >>.
<< Piacere >>, lo salutò l'energumeno con un lieve movimento della testa.
<< Mariah, noi dovevamo uscire >>, le ricordò.
<< Lo so. Uscire, appunto. Mica stiamo insieme! >>, disse serena.
I quattro amici di Lucas erano sciolti in risatine dietro di lui ma smisero quando lui si voltò a guardarli, facendo finta di fare altro.
<< Sai che ti dico? Che io e te non usciremo proprio! >>.
<< Bene >>, le rispose, abbracciandosi di nuovo al ragazzo. << Potresti andare via. Ero occupata >>.
Lucas rimase senza parole e andò via prima di sentire il loro sbaciucchiamento. Gli amici erano fermi sui gradini bianchi della scuola, in silenzio religioso e le labbra strette.
Lucas salì gli altri tre scalini ed entrò nell'edificio a mattoncini gialli. Li sentì chiaramente ridere.
Lo raggiunsero al suo armadietto, dove si era messo a sistemare nervosamente i libri della prima ora nella sua borsa blu con il logo della scuola.
<< Lucas, non era un granché >>, cerò di consolarlo Martin.
<< Appunto: sai quante ragazze belle e meno... ehm... espansive ci sono? >>, continuò Euridice.
<< E pensa anche che adesso potrai scegliere con più accuratezza >>, rincasò la dose Silvester.
<< E infine, stasera, sei libero per aiutarmi >>, concluse Jonathan.
<< Scordatelo! Non sono dell'umore. Euridice ti aiuterà >>.
<< Ho un idea! >>, disse tutto d'un tratto la ragazza. << E se stasera mi accompagnaste tutti quanti?! >>.
<< Non provarci Euridice! L'ultima volta mi sono venute le vesciche ai piedi! >>, si lamentò Martin.
<< Vi prego! >>, supplicò lei, con gli occhi dolci. << Non voglio andarci da sola con mio padre! >>.
<< No! No! No! No! >>, esclamarono i quattro amici.

Sette ore dopo Lucas, Silvester, Martin e Jonathan erano stipati sul sedile posteriore del Subaru formato famiglia del signor Rosetti. Entusiasta come non mai di averli con sé, parlò ai cinque di cosa avesse scoperto con le sue ricerche.
Euridice era soddisfatta perché almeno era insieme ai suoi amici piuttosto che dover sopportare una scalata da sola con il suo papà mezzo ammattito per quella sciocca leggenda.
Euridice somigliava molto poco a suo padre: i capelli neri come la notte e mossi li aveva ereditati dalla mamma e gli occhi verdi e brillanti come gemme dalla nonna paterna Amelia, morta quando il padre aveva dodici anni. Non era mai stata altissima e aveva un colore chiarissimo di pelle, simile a quello della vaniglia. Da ragazzina, il viso era cosparso di brufoli e crescendo era spariti e ne era orgogliosa. Si era sentita davvero un mostro all'epoca. Il viso tondo e il naso leggermente schiacciato, identici a suo padre.
I suoi amici erano diversissimi, sia fisicamente che caratterialmente.
Silvester era di origine messicana: era nato a città nel Nuovo Messico ed era venuto a Mesa a tre anni. Perciò aveva una carnagione scura, così come i lisci capelli e gli occhi neri. Un viso spigoloso e un fisico asciutto, molto alto, almeno uno e novanta. Quando erano più piccoli, Euridice diceva sempre che lui la proteggeva anche se in effetti era stato il contrario.
Jonathan era il più grande di tutti, di un anno. Aveva perso un anno scolastico quindi era indietro e si sarebbe diplomato con i quattro l'anno successivo. Neanche Jonathan era di Mesa: i suoi genitori erano inglesi e suo padre era un ambasciatore importante a cui era stato dato un incarico di prestigio in California. La signora Catherine Anderson, la madre di Jonathan, aveva deciso di stabilirsi a Mesa con lui e la sorellina Masie di quattordici anni.
Di conseguenza, a una prima occhiata, i capelli biondi, color miele, e le iridi di un azzurro cielo non passavano inosservati, così come la pelle chiara, simile a quella della sua amica italiana. Euridice aveva sempre pensato che Jonathan fosse il più bello del gruppo, con quel viso senza imperfezioni e il fisico sistemato il palestra. Eppure a lei, Jonathan, non piaceva.
I cinque componenti del gruppo avevano una cosa in comune: nessuno era nato a Mesa. Martin era di New York, dove aveva vissuto fino ai dieci anni e poi i suoi lo avevano costretto a trasferirsi nella tranquilla città dove abitava da sette anni.
I suoi capelli castano chiaro, tenuti legati in una coda dietro la nuca, gli davano l'aria del teppista, insieme all'orecchino argentato all'orecchio destro. I suoi genitori avevano quasi fatto saltare la casa quando si era ritirato con quella cosa all'orecchio. Martin era figlio unico e da lui si aspettavano molto: i Brown ci tenevano ad essere la famigliola perfetta che dicevano di essere e Martin non contribuiva. Lui era orgoglioso e spavaldo e di conseguenza non faceva trasparire quella situazione che lo faceva soffrire.
Fisicamente, non amava molto la palestra. Era abbastanza pigro e preferiva le giornate a guardare il football in TV con un sacchetto di patatine insieme a Lucas e Euridice. La sua fortuna era che non ingrassava. I suoi occhi era grandi, tanto da prendersi qualche presa in giro dai suoi amici e blu mare.
Lucas era, invece, proveniente dal Canada, Toronto. La sua infanzia era ambientata negli inverni nevosi, dell'asfalto ricoperto di neve candida e i grossi fiocchi che si posavano a terra, ricoprendo tutto di un manto luccicante. Quegli inverni erano finiti a undici anni, quando i suoi genitori, biologi, lo avevano portato con loro a Mesa.
Raccontava spesso di sentire la mancanza di quegli inverni freddi e pieni di neve. Nonostante i suoi sei anni trascorsi nella soleggiata cittadina, la sua pelle aveva sempre una tonalità pallida su quella scura. Gli occhi erano leggermente allungati e di un grigio-azzurro. I capelli ordinati con il gel ogni giorno, di un biondo-rossiccio che detestava, ereditato da sua madre. Neanche lui amava la palestra però praticava judo fin da bambino e questo gli aveva regalato un bel fisico già di per sé magro.
I caratteri tanto diversi li portavano spesso a scontrarsi e Euridice li calmava in ogni occasione: sembrava quasi che la sua venuta servisse a farli rimanere amici.
Ed ora erano stati costretti dalla ragazza a una scalata di chissà quanti metri per una caverna (vuota secondo Silvester) e per tornare indietro.
Il signor Rosetti avevano parlato della sua ricerca per tutto il viaggio, ininterrottamente. A giudicare dalla scarsa attenzione di sua figlia doveva averle spiegato tutto giorni prima. E facendo nascere il sospetto che la ragazza avesse premeditato di “invitarli” a quella scalata e mitica scoperta inconcludente.
La macchina venne fermata ai piedi di una bassa montagna ripida, troppo ripida. I suoi amici la guardarono terrorizzati e poi Euridice con uno sguardo omicida. In tutta risposta, la ragazza gli sorrise, si legò meglio la felpa azzurra in vita e agitò la mano verso la montagna: << Su! È ora di muoversi! >>.
<< Ragazzi! >>, li chiamò Giovanni Rosetti, frugando dentro l'auto. << Potreste essere i protagonisti della scoperta del secolo, non è fantastico? >>.
Si guardarono tutti e cinque, approfittando della distrazione dell'uomo, impegnato a recuperare attrezzatura dal bagagliaio. Si mise in spalla uno zaino dall'aria pesante, tintinnante. Si domandarono quanti oggetti c'erano lì dentro e sperarono che si fosse dimenticato la sua amata telecamera.
Li guidò lungo un sentiero in salita, con lui a capo di tutti. Lo scienziato era abituato a quel genere di sfacchinate e sua figlia più o meno. Ma gli amici per niente. Euridice rideva spesso della loro stanchezza e li prendeva in giro.
<< E voi sareste uomini? >>, gli chiese, fermandosi per l'ennesima pausa e poi ridacchiando.
Appoggiati a degli alberi, riprendevano fiato, completamente sudati e senza respiro.
<< Io dovevo essere con Mariah >>, si lamentò Lucas. << In un locale con l'aria condizionata! >>.
<< E invece sei in compagnia della tua più cara amica Euridice. Non sei felice? >>, lo prese in giro lei.
Lucas stava per farle un gestaccio ma il viso dello scienziato riapparve da una macchia di alberi.
<< Andiamo ragazzi! Solo un'altra ora e saremo arrivati! >>.
<< Un'altra ora?! >>, esclamarono in coro i ragazzi.
Euridice sbuffò e seguì suo padre.
L'ora dopo, i ragazzi erano seduti di nuovo, stavolta contro delle rocce appuntite ma non si sarebbero mossi di lì per niente al mondo, neanche se fosse sopraggiunta una frana. Tre ore di cammino per un sentiero disconnesso non era il modo migliore di passare una giornata. Ora capivano come facesse Euridice ad avere il suo fisico mangiando schifezze su schifezze con loro.
Infatti l'amica passeggiava avanti e indietro a passi leggeri davanti all'entrata della grotta tanto chiacchierata da suo padre. Le mani dietro la schiena, canticchiava un motivetto italiano di cui nessuno capì le parole.
Jonathan la guardava di tanto in tanto e alla quarta volta, lei lo investì con i suoi occhi verdi e distolse lo sguardo, riponendo l'attenzione a un albero. Euridice arrossì subito e guardò altrove anche lei.
Gli amici se ne erano accorti e sospirarono.
<< Entrate! >>, disse il signor Rosetti, all'imbocco della caverna.
<< Dobbiamo entrare? >>, gli domandò Lucas, sventolandosi con la mano.
<< Certo! Dovete essere testimoni! >>.
Sospirarono ancora e si alzarono, con tutti i muscoli che dolevano dalla fatica. Euridice fu più svelta e sparì là dentro con una torcia. Entrarono e c'era buio e fresco.
<< Euridice? >>, la chiamò Silvester.
<< Dai, Euridice, esci >>, disse Martin.
Un grido li fece voltare. Lucas si teneva una mano sul cuore, pallido dalla paura. Euridice lo guardavano incredula.
<< Devi essere pazza! >>, strillò Lucas e il suo eco si perse nella grotta.
<< Ti ho toccato la spalla! >>.
<< Mi hai fatto venire un infarto! >>.
<< Sei un fifone Lucas >>, disse Jonathan, sbuffando e raccogliendo la torcia per ridarla a Euridice. Lei la prese ed evitò di guardarlo troppo. Cercava sempre di non dargli l'impressione sbagliata.
Camminarono per la caverna, attenti a non cadere per via delle pietre. Le pareti erano umide di acqua come constatò Martin passandoci la mano. Man mano che si avvicinavano al signor Rosetti, notavano che la temperatura aumentava sempre più, quasi si trovassero ancora fuori sotto il sole battente.
<< Lo sentite? >>, domandò ai suoi amici Jonathan.
<< Sentire cosa? >>, disse in tutta risposta Silvester.
<< Questa è... aria? >>.
<< Aria?! >>, esclamarono gli amici.
<< Come fa ad esserci aria in una caverna? >>, chiese scettica Euridice, passandosi una mano fra i capelli fini e mossi.
Jonathan si strinse nelle spalle e proseguì: era quello più silenzioso e di poche parole.
Lo seguirono anche gli altri e a un certo punto, Martin inciampò in un sasso.
<< Ti sei fatto male? >>, gli domandò Lucas, aiutandolo ad alzarsi.
<< No >>, mormorò il ragazzo. << Ma che diamine...?! >>.
Euridice si abbassò e sfiorò con la punta delle dita la superficie della caverna. << Ghiaccio...>>.
<< Un momento: come diamine fa ad esserci ghiaccio quando ci saranno almeno... venti gradi? >>. Silvester era alquanto confuso.
Un urlo giunse dal fondo della caverna, un urlo maschile.
<< Papà! >>, urlò Euridice ma non ottenne risposta.
Corsero a perdifiato, rischiando di inciampare nel ghiaccio e nella terra sottostante che di colpo era diventata troppo morbida e si affondava. Giunsero sul fondo e e ripresero fiato. Il signor Rosetti gli venne incontro in piena salute e senza un graffio.
<< Si può sapere perché hai urlato? >>, gli chiese la figlia, morta di spavento.
L'uomo era incapace di parlare come se avesse perso l'uso della parola. Indicava solo l'estremità in fondo, sulla destra, della caverna con uno sguardo acceso. In silenzio, lo seguirono e rimasero a bocca aperta, increduli, sconvolti.
Euridice mise una mano sulla spalla di suo padre. << Li hai trovati... E io non ti ho creduto in tutto questo tempo... >>.
Davanti ai loro occhi di diverse tonalità, c'era qualcosa che occhi umani non vedevano da secoli e secoli. Simili a luci colorate, brillavano nella caverna come se brillassero di luce propria. Erano incastonate in una roccia di un grigio fumo, durissima.
Cinque colori spiccavano dal quel colore scuro. Un rosso luccicante che accecava quasi a guardarlo. La seconda era bianca, un bianco mai visto prima, candido. La terza era di un azzurro che richiamava le onde del mare nelle giornate di sole splendente. La quarta era un caldo marrone, simile alla terra fertile. E l'ultima, un azzurro ghiaccio, vicino al bianco, che dava una sensazione di freddo solo a guardarla.
Tutti e cinque di forma sferica, distanziate l'un l'altra come se non dovessero toccarsi.
<< Lucas, sai tenere la telecamera ragazzo? >>.
<< Sì, signore >>, rispose Lucas. Prese la telecamera dell'uomo e si sistemò in modo da fare una ripresa migliore. Il resto del gruppo era troppo affascinato per allontanarsi e perfino Lucas si allontanò di malavoglia.
Euridice si sentì in colpa per non avergli mai creduto. Averlo preso per uno scienziato pazzo e fallito.
Il signor Rosetti si chinò sulle sfere colorato, evitando di toccarle. Guardò nell'obbiettivo della telecamera e annuì a Lucas. Cominciò a riprendere.
<< Sono qui oggi, venti Maggio 2008, per riferire una scoperta che cambierà le sorti del mondo per l'eternità. Qui, a Mesa California, sono sepolti da moltissimi secoli, gli Elementi. I quattro principali e uno complementare. Una scoperta che non credevo di fare >>.
Cominciò a spiegare la loro storia, storia che Euridice conosceva a memoria. E i suoi amici non erano da meno.
Finita la registrazione, dal suo zaino, lo scienziato estrasse cinque piccole capsule trasparenti.
<< Bisogna stare molto attenti >>, avvertì gli altri, << se cadono non so cosa succederà. Devono essere estratti e presi a mani coperte >>.
<< Non esplodono vero? >>, domandò preoccupato Silvester.
<< Fidati >>, disse Giovanni. Con un marteletto pneumatico ruppe la roccia dal lato della sfera rossa. Smise quanto bastava per estrarla e non farla cadere. Con la massima attenzione, creando ansia, allungò una mano e cercò di estrarla. Pian piano ci riuscì e fece una smorfia: scottava.
<< Deve essere il fuoco >>, disse posandola nella prima capsula che sistemò in uno spazio dentro una valigetta nera.
Gli altri lo guardavano ammirati e non riuscivano a staccare gli occhi da quella scena troppo irreale. La sfera blu si rivelò l'acqua, quella marrone la terra, la bianca l'aria e infine quella azzurro-bianco il ghiaccio a giudicare da quanto era fredda. Sistemò l'ultimo Elemento dentro la quinta capsula e la mise nella valigetta. Prelevò anche qualche campione di roccia e sistemò tutto nella valigetta. La richiuse pianissimo e la se la mise sotto braccio. Chiese agli altri di sistemare il resto degli utensili nello zaino poiché lui si avviava fuori. Avevano appena cominciato e un rumore di passi veloci distrasse tutti. Giovanni si fermò ancor prima di cominciare a camminare.
Degli uomini apparvero e cosa peggiore, erano armati. Erano almeno una decina. Dietro di essi, un altro uomo li sorpassò, pareva il capo. Di colore, pelato e occhi neri. Altissimo, anche più di Silvester.
Sorrideva.
<< Signor Giovanni Rosetti, che piacere >>, disse.
<< Chi siete? >>, chiese lui, sudando dalla paura.
<< Non vi interessa. Sono anni che seguiamo il suo operato, sa? Noi non la consideriamo uno scienziato pazzo, per niente >>.
<< Ehm... grazie. Però, vede, io devo andare. Ho una commissione. Ragazzi >>. Fece cenno di proseguire ma gli uomini alzarono le pistole. Silvester si mise davanti ad Euridice, istintivamente.
<< Ch-che cosa volete? >>.
<< Gli Elementi >>, rispose. << Mi chiamo Mark. E voglio gli Elementi, la telecamera e i campioni di roccia >>.
<< N-no >>, balbettò Giovanni. << Sono le ricerche di una vita! >>.
<< Allora temo che dovremo uccidervi >>, disse pacato Mark.
Euridice non riuscì a starsi zitta: << Ah, certo! Perché noi vi diamo quei cosi e voi ci lasciate andare come se niente fosse? >>.
Mark inarcò un sopracciglio a tanta insolenza nei suoi confronti. Era abituato ad essere rispettato.  
<< Ragazzina, sei perspicace. Perciò perché non c'è li date e la fate finita? >>.
Giovanni si strinse contro il petto la valigetta. La ricerca di tutta la vita, i sogni... Ma niente valeva la vita di sua figlia e dei suoi amici. Tremante porse la valigetta all'uomo che la prese soddisfatto.
<< Lascia andare almeno mia figlia e i ragazzi. Ti prego. Non parleranno >>.
Mark guardò il gruppo.
<< No, papà! >>, urlò Euridice ma Silvester la fermò prima che si fiondasse da lui.
<< No >>, disse semplicemente Mark. Schioccò le dita. << Uccideteli e poi non lasciate tracce >>.
Si incamminò per uscire da lì e gli uomini puntarono ancora di più l'arma. Euridice corse ad abbracciare suo papà ed evitò di piangere. Gli amici volevano reagire e non sapevano come. Jonathan era uno di poche parole e anche il più impulsivo. Nel tentativo di salvare la situazione, corse per disarmare il più vicino ad Euridice ma ottenne solo di cadere. Alla sua caduta, Mark si voltò per assicurarsi che tutto stesse andando bene e nel voltarsi, il suo piede urtò una grossa pietra e cadde sul terreno morbido. La valigetta volò per la caverna con il rischio di schiantarsi a terra. Martin fu più veloce di tutti e la prese al volo. Mark si rialzò, rosso di rabbia.
<< Uccideteli! >>.
<< Martin, rompi le capsule! >>, gli ordinò Giovanni.
<< Papà, sono le tue ricerche! >>, disse Euridice.
<< Non voglio che finiscano in mano a gente del genere! >>.
Martin l'aprì e Mark urlò di non farlo. Martin era vicino ai suoi amici a cui si era aggiunta la ragazza. Rovesciò l'oggetto e le capsule caddero contro le rocce. Un rumore simile a un esplosione invase il luogo, rimbombando contro le pareti rocciose.
Un fumo si alzò, rendendo l'aria irrespirabile e gli occhi lacrimanti. I presenti tossivano tranne i cinque ragazzi. Gli unici a non essere toccati dal fastidio del fumo. A occhi sgranati guardavano quelle sfere colorate e luminose, che erano rotolate per terra e sembravano disegnare un percorso. Di colpo, si alzarono di circa un metro. I cinque arretrarono spaventati contro il muro. Prima che potessero accorgersene, le sfere aumentarono di luminosità, troppa. Chiusero gli occhi per evitare di diventare ciechi e un sensazione spiacevole li invase e una forte nausea li colse. Quando tutto finì, dei nemici non c'era traccia: erano scappati in men che non si dica.
Così come la sensazione spiacevole e la nausea.
Il fumo svanì lentamente e Giovanni Rosetti era ancora vivo ma ferito a una spalla. Euridice corse ad aiutarlo con le lacrime agli occhi.
<< State bene? >>, chiese l'uomo.
<< Fortunatamente sì >>, rispose Silvester, guardandosi attorno. Il fumo era completamento dissolto e notarono un particolare che fece gemere di disperazione Giovanni: le capsule infrante a terra e gli Elementi svaniti nel nulla.
Si mise le mani nei capelli. << Dove sono? >>.
<< Non li hanno presi quei tizi, ne sono sicuro >>, disse Martin.
<< Anche io >>, concordò Jonathan, toccando i pezzi di vetro.
<< Dobbiamo tornare a Mesa, papà. Hai bisogno di un medico >>, disse Euridice, aiutandolo a rialzarsi con cautela. Perdeva sangue dalla spalla sinistra.
Tremavano tutti e mettere un piede avanti passo dopo passo era la cosa più difficile del mondo. Uscirono dalla grotta così in fretta come se avessero corso velocemente. Il sole batteva e gli unici rumori erano quelli di cornacchie nascoste fra gli alberi.
<< Dovrò rimettermi a cercarli >>, disse Giovanni.
<< Cosa?! Stai scherzando? Non voglio! >>, protestò animatamente la figlia. << Papà, non devi! È chiaro che non sei l'unico a cercarli e tu non sei armato! >>.
Protestò per almeno un quarto d'ora prima di calmarsi grazie a Silvester. Si affrettarono a trovare il sentiero e cominciare a percorrerlo. Di comune accordo, decisero di tenersi tutto per sé e di non andare dalla polizia: meglio non rischiare. Non sapevano chi erano quei tizi ed erano chiaramente pericolosi.
Nessuno parlava, c'era un silenzio innaturale. Cosa che capitava raramente tra di loro.
Jonathan si tirò il colletto della camicia per slacciarlo meglio. << Fa un caldo tremendo >>.
Lucas si strinse nelle spalle. << La temperatura è scesa, però >>.
Silvester e Martin si guardarono e aggrottarono la fronte ma preferirono lasciar perdere. Di cose strane e pericolose ne erano successe fin troppe.
<< Euridice, posso camminare da solo >>, disse il padre.
<< Voglio aiutarti >>, disse la figlia, senza problemi.
Posò una mano su quella del padre e il braccio intorno al suo collo. Giovanni sobbalzò al contatto con la figlia.
<< Tesoro appena arriviamo a casa, fatti una bella doccia ghiacciata >>.
Euridice aggrottò le sopracciglia e fece un piccolo sorriso. << E perché? >>.
<< Il sole deve essere troppo caldo. Scotti >>.


Angolino!

Questo è il primo capitolo e spero sia piaciuto! Come tutte le mie storie, di norma nasce tutto dal caso e non so mai dove andrò a finire! Di conseguenza aspettatevi di tutto! Ciao ciao!

Meiss: Grazie ^^. Sono felice che ti piaccia!

   
 
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