Londra/(Castleton, Hawick, Peebles, Edinburgh) Scozia/ Windsor, Estate 1530 – A plague of both
your Houses
“Io sono amata dal
Sovrano. E trovo indegno non essere stata invitata a questo pranzo!!” Gridò
Anna. Caterina la guardò con aria di regale sufficienza. Seduta sul proprio
scranno, aveva alla sua sinistra Maria ed Isabel, e alla sua destra sir Thomas
More ed i duchi di Norfolk e Willoughby. Non scattò in piedi, non gridò, né
sollevò la voce, non la rimbrottò aspramente; non scese insomma al suo livello.
Con olimpica calma si alzò in piedi e la fissò, scandendo.
“Io sono la
legittima consorte del Sovrano, e la Regina di questo Paese. Anche la vostra,
lady Anna.” Era astuto il suo modo di trasmettere ai commensali presenti l’idea
che la pazza isterica fosse Anna, e lei invece la serena, regale Sovrana che
non si lasciava tangere minimamente da una donna di così bassa levatura. “Al
contrario, noi troviamo indegno che voi osiate presentarvi qui, al nostro
cospetto, vantando titoli che farebbero arrossire di vergogna qualsiasi donna
ben nata.” La servì, passando al plurale maiestatis. Per Anna la situazione
stava diventando ancora più delicata, e lo schiaffone non avrebbe potuto essere
più sonoro ed evidente a tutti. La Regina le aveva appena dato della puttana, e
senza aver usato un solo aggettivo offensivo.
A quel punto molti
parvero attendere che le guardie si avvicinassero per portarla via, ma nessuno
si mosse. Caterina rimase in piedi a fissare la rivale, quasi sapesse già in
partenza la sua mossa successiva. Anna contrasse la mascella e strinse i denti,
poi fissò ad uno ad uno i commensali, come ad imprimersi bene in mente le loro
facce, quindi, senza salutare nessuno, Sovrana inclusa, lasciò la sala con la
coda tra le gambe. Per due secondi nessuno fece un fiato, poi risuonò tra le volte
ed i muri un generale sospiro di sollievo per la fine di quell’incontro. E
mentre i presenti pensavano, ancora una volta, che Caterina avesse una regalità
ed una classe impagabile, Maria le accarezzò il polso discretamente e senza farsi
accorgere, ed Isabel la guardò negli occhi e le sorrise immensamente orgogliosa
di lei. La Sovrana con estrema fatica riuscì a dominarsi ed a non prendere le
sue creature e mollare tutti al loro maledetto banchetto. Ad un suo cenno, i
servitori ed i valletti cominciarono a servire le portate ed il pranzo cominciò
davvero senza ulteriori interruzioni.
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“Maestà siamo a
dieci miglia dalla prima cittadina, Castleton..” Annunciò lord Brandon, di
ritorno dalla sua ricognizione. “Quei cani sono accampati attorno a Hawick, a
venticinque miglia da qui..” Enrico annuì, poi si volse indietro a guardare il
suo enorme esercito.
Quel giorno avevano
marciato per quasi l’intera giornata, macinando decine di miglia sotto il sole,
e gli uomini erano stanchi e nervosi. Meglio accamparsi lì e passare la notte
senza scontri con gli scozzesi. Il rancio ed il giusto riposo avrebbero
confortato gli animi e i cuori dei suoi guerrieri. Ed il giorno dopo, all’alba
avrebbero annullato la distanza con il nemico e l’avrebbero sorpreso,
battendolo.
“Lord Brandon, dite
ai miei lords che ci accampiamo qui per la notte. Voglio vederli fra due ore
nella mia tenda, intesi?” Ordinò. Il Duca di Suffolk annuì e, fatto un inchino,
risalì a cavallo e corse ad eseguire l’ordine appena ricevuto.
Maria alzò gli
occhi dal suo lavoro, posandoli su Isabel che, viola fra le gambe, terminava i
suoi esercizi come ogni sera. Da quando Enrico era partito per la Scozia,
Caterina si era trasferita a Greenwich, mentre Maria aveva preso a stare ad
Hampton Court con la sorella.
“E tu non hai
finito di usare le tue lezioni per evitare di chiacchierare e di conoscere lord
Sten?” La prese in giro a sua volta.
“I tuoi informatori
non valgono nulla, sorella..” Ribatté fintamente offesa Isabel. “E’ da due
giorni che è tornato in Svezia..” Spiegò, riprendendo a suonare.
“E come è che non
sei triste?” Rise Maria. Isabel la guardò appena e le fece una smorfia.
“Oh, Maria, sei
qui..” Disse Caterina, entrando nella stanza. Immediatamente entrambe le
ragazze si alzarono e si inchinarono alla Sovrana, seguite dalle due damigelle
presenti. Era da quattro giorni che non la vedevano, dal pranzo in cui lei
aveva sbugiardato ed umiliato Anna Bolena. Le sue giornate erano pienissime di
impegni e di incombenze, più di quanto già non fossero e ovviamente vedere le
due principesse era finito, suo malgrado, all’ultimo posto nella lista delle
cose che riusciva a fare quotidianamente.
“Dite, madre..”
Rispose pronta Maria, come se non si fosse accorta che Caterina non le aveva
nemmeno salutate.
“Dobbiamo parlare,
tesoro. Oggi, finalmente e per puro miracolo, sono riuscita a vedere
l’ambasciatore francese..” Le annunciò Caterina. Maria annuì e subito fece
strada alla madre, perché si sedesse su una delle poltrone.
“Vi lascio sole..”
Mormorò Isabel con un sorriso, avviandosi alla porta. Caterina, che stava per
sedersi, si tirò su e si voltò verso di lei.
“No, bambina,
resta..” Le disse dolcemente. “E continua ad esercitarti..” La incoraggiò. La
fanciulla guardò la sorella, per cercar di capire se quella soluzione andasse
bene anche a lei. Non appena Maria le sorrise annuendo, si accomodò sulla sedia
e riprese ad esercitarsi. Mentre sua madre spiegava alla sorella che la sua
partenza sarebbe stata rimandata a dopo la guerra e che il Re di Francia
avrebbe partecipato ad essa, rinnegando l’antica alleanza con gli scozzesi,
Isabel riprese a suonare.
Per non disturbarle
suonò a volume basso, cosa che con la viola era per fortuna possibile, e provò
ad inventare una melodia sopra degli accordi di basso che mastro Hilliard le
aveva dato proprio quella mattina. Dopo alcuni tentativi un po’ maldestri,
all’improvviso ebbe una sorta di ispirazione e cominciò a suonare liberamente.
Dapprima sfruttò le corde dello strumento pizzicandole con le dita, e quando il
giro armonico terminò il proprio cammino, tornando al punto di partenza, prese
in mano l’archetto e ripeté quanto aveva suonato con le dita.
“Dovete andare,
vero, mamà?” Chiese Maria, con una
nota triste nella voce, mentre Isabel alzava gli occhi su di loro, dopo aver
riposto il suo strumento. Caterina scosse la testa e le disse che avrebbe
passato con loro una parte della serata. Pochi istanti dopo, due valletti
posarono sul tavolo due vassoi. In uno erano posati una caraffa di idromele e
tre calici e nell’altro dei pezzetti di torrone, dolce che Maria non aveva mai
assaggiato.
“E questo?!” Chiese
quasi strabuzzando gli occhi alla vista di quel dolce tanto strano. Sua madre
invece sorrise e guardò con tenerezza Isabel che aiutava a preparare il tavolo,
pur non essendo quello un suo compito specifico.
“E’ torrone,
Maria..” Spiegò Isabel. Dopo aver congedato i valletti, e fatto in modo che
restassero da sole nella sala, versò lei stessa l’idromele nei calici.
“Mai sentito
nominare..” Scosse la testa Maria, alzando le spalle. Guardò con diffidenza il
nuovo dolce, poi, al vedere lo sguardo incoraggiante della madre, si fidò e lo
assaggiò.
“Certo che il
soggiorno in Italia non t’è proprio servito a nulla, Maria!” Esclamò Isabel con
finto orrore, provocandola.
Caterina le guardò
battibeccare in quel modo e sorrise: erano davvero meravigliose nel loro
prendersi in giro. Le spiaceva che avessero raggiunto quella vicinanza da poco
tempo, ma pensò anche che era una comunione più matura e davvero scelta,
qualcosa che non avrebbero mai perso proprio perché raggiunta con molta fatica.
Fu anche per quel motivo che la Sovrana decise di concedersi un paio d’ore in
loro compagnia. La giornata era stata davvero piena, e l’attendevano ancora
diverse ore di lavoro, pur se nel suo studio privato. Mentre Maria era ancora
in silenzio dopo la battuta feroce della sorella, Caterina avvicinò la propria
sedia a quella della primogenita, così da averla a portata di carezza, poi si
prese in grembo Isabel, che ancora rideva divertita in attesa che Maria
trovasse il modo di risponderle, quindi si accinse ad ascoltare il seguito.
“Mi sono soffermata
a guardare le cose più interessanti..” Ribatté stizzita la futura sposa del
delfino.
“Caspita! E hai
impiegato venti minuti per rispondermi a questo modo..” La prese in giro la
sorella. Maria fece una smorfia e non le rispose. Nemmeno si accorse che la sua
risposta aveva attirato la curiosità materna.
“Maria, cielo, quali sarebbero le cose
interessanti sulle quali ti sei soffermata durante il tuo soggiorno?” Le
chiese.
“Madre,
scherzavo..” Rispose la povera principessa, sbiancando in volto. A dispetto del
tono innocuo della Sovrana, la sua domanda esigeva una risposta. Isabel le
porse subito il vassoio con il torrone e poi corse in suo aiuto.
“Mamà, conoscete la modestia di Maria.
Non voleva vantarsi…” Attaccò, e la sorella quasi svenne in attesa che finisse
la frase. “..di tutte le ore passate in preghiera ed a studiare..”
“Ah certo.” Rispose
Caterina, lasciandosi andare un pochino e sorridendo. “Sono certa che Maria ha
fatto fino in fondo il proprio dovere..”
A quelle parole,
Isabel si coprì la bocca, reprimendo una risatina.
“E tu, signorina?”
Chiese allora la Sovrana alla sua secondogenita. “Non hai proprio nulla da
dirmi sul tuo soggiorno italo-francese?”
A quella domanda toccò
a Maria sorridere. Lei ed Isabel si erano ignorate quasi del tutto, ma aveva
saputo quello come la sorella si era comportata, le amicizie che aveva stretto
e come si era fatta onore, facendo in modo che il nome dei due Sovrani inglesi
fosse rispettato ed onorato.
“E’ stata
bravissima, mamà..” Disse ‘soccorrendo’
la sorella ed evitando che fosse proprio lei a raccontare anche delle sole
amicizie galanti che aveva intrecciato. Pian piano Maria raccontò a sua madre
come Isabel aveva agito, interrotta di tanto in tanto dalla sorella, che
narrava a sua volta le sole cose positive della primogenita.
Caterina,
ovviamente, sapeva già tutto quanto le figlie avevano combinato, sia in
positivo che in negativo, ma apprezzò enormemente sia la loro solidarietà
reciproca, che anche quel loro tentativo di farle passare una serata tranquilla
dopo giorni di lavoro intenso e grave.
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“Dottor Griffith..”
Caterina salutò il
medico con un sorriso, ma non riuscì a nascondere la sua sorpresa nel vederlo.
La sua era stata una visita del tutto improvvisa e l’espressione di lui era
tutt’altro che serena.
“Maestà..Vostra
Altezza..” La salutò lui con un inchino rispettoso e salutando anche Isabel che
era accanto a Caterina. “Mi scuso per la mia improvvisata mia signora, ma devo
darvi una notizia poco piacevole..”
Di solito non era
mai così cauto e la cosa non le piacque per niente.
“Signora i casi di sudor in città sono decisamente aumentati.
Uno dei miei mi ha avvisato che anche nel mio spedale oggi due dei miei
pazienti hanno cominciato a mostrare sintomi del sudor.”
Caterina rabbrividì
istintivamente e lanciò fugace occhiata ad Isabel che in silenzio aveva seguito
quella svolta nefasta con estrema attenzione. La Sovrana annuì immediatamente.
Non aveva bisogno di altre informazioni, né c’era certo bisogno di ulteriori
suggerimenti. La corte si sarebbe trasferita quel giorno stesso, per evitare il
contagio.
“Tenetemi
informata, dottor Griffith..” Disse soltanto. “Ve ne prego..”
“Certo, signora..
mi metterò immediatamente in contatto col dottor Vittoria, vostro medico
personale, e cercherò di sentire anche altri colleghi in modo da scambiarci
informazioni..”
“Dottor Griffith,
aspettatemi..” Intervenne Isabel, mentre Caterina annuiva alla proposta del
medico. “Vi prego, datemi il tempo di cambiarmi, e poi verrò con voi allo
spedale..”
A quelle parole,
Caterina ebbe quasi un mancamento, e si voltò verso la figlia. Il medico,
vedendo il suo repentino cambiamento di umore non disse nulla e si affrettò a
congedarsi, lasciando a madre e figlia il tempo di discutere e risolvere la
cosa. L’ultima cosa che voleva era esser risucchiato in una disputa familiare,
tanto più in quella situazione e con quelle contendenti.
Caterina seguì con
lo sguardo il medico, e poi si girò furente verso la figlia.
“Non credo di aver
capito bene sai?, dove credi di andare tu?! Non azzardarti nemmeno a ripetere
quanto hai appena detto, Isabel!!” Sibilò, guardando la figlia e trapassandola
con i suoi occhi chiari. Dato che Isabel stava anche per risponderle, alzò
immediatamente una mano per farla tacere. “In giro per Londra e per
l’Inghilterra ci sono persone gravemente malate, che possono contagiare
chiunque. La situazione è seria ed i medici del Paese sono già estremamente
impegnati a tenere la situazione il più possibile sotto controllo. Devono fare
di tutto perché il contagio fra le persone sia al minimo, e devono inoltre
sperare di non morire essi stessi. Non hanno bisogno che mocciosi imprudenti e
sciocchi intralcino il loro lavoro mettendosi in mezzo. Non sei di aiuto alcuno
là, per cui te ne resti buona qui. Anzi, no, ti ordino di impacchettare alla
svelta le tue cose, dando una mano alle tue dame, dopo di che mi seguirai a Windsor.”
Ordinò con una brutalità che Isabel le aveva sentito pochissime volte. La
principessa non riuscì a pensare che il tono della madre era dettato unicamente
dalla preoccupazione, meglio dal terrore, che anche lei cadesse ammalata. Per
il sudor purtroppo non c’era una vera
e propria cura, anzi ce n’erano diverse e tutte per lo più empiriche e di ben
poca efficacia, e spesso anche lo spostarsi da un luogo all’altro, alla ricerca
di un posto sicuro dove stare, non sortiva alcun effetto e si cadeva ugualmente
ammalati. L’idea che le figlie potessero contrarre il terribile morbo faceva
letteralmente rabbrividire la Sovrana, che non pensò minimamente all’orgoglio
di Isabel, né ad usare un tono almeno civile nel rivolgersi a lei, se questo
voleva dirle fare in modo che le obbedisse e avesse salva la vita.
“Ma madre..” Osò
protestare la fanciulla.
“Non fiatare
nemmeno!! Farete bene ad obbedire, Vostra Altezza, o sarete in un mare di guai,
ve lo assicuro!!” Replicò controllando a stento la collera per quell’impudenza.
Isabel la guardò ed abbassò subito lo sguardo.
“Perdonatemi, non
volevo farvi adirare..” Mormorò, in un sussurro. Non c’era niente che la
spaventasse e le facesse immediatamente abbassare la voce come i rimproveri e
le minacce di sua madre. Alzò gli occhi su di lei e ripeté quanto aveva detto
poco prima, sperando che le credesse. “Volevo rendermi utile, madre, solo
questo..”
Caterina la guardò
in silenzio per alcuni istanti e poi le disse, dura.
“Non sei di alcuna
utilità lì. Ora obbedisci e fila in camera tua..” Isabel annuì in silenzio e
dopo averla riverita, si voltò e fece per uscire.
“Vostra Altezza.”
La richiamò sua madre. Isabel si girò ed attese in silenzio. “Osate ancora
contraddirmi, e vi assicuro che non la passerete liscia. Andate.”
“Maestà, ecco il
conestabile di Hawick, sir Edmund Jeoffrey..” Annunciò il duca di Suffolk
mentre l’anziano ‘sindaco’ andava incontro al Re d’Inghilterra per porgergli le
chiavi della città.
Enrico annuì, poi
smontò da cavallo e cavallerescamente andò a sua volta incontro al conestabile.
Questi si inchinò prontamente poi alzò le braccia all’altezza della testa,
porgendo le chiavi al Sovrano.
“Grazie sir
Jeoffrey. L’Inghilterra è grata a voi ed alla cittadina di Hawick, ed anche
io..” Gli disse, sorridendo e rialzandolo. Una frase come quella non era certo
di poco conto. L’ira o la gratitudine di un sovrano, per di più di uno come
Enrico, potevano essere spesso decisive, in un senso o nell’altro.
“Maestà, Hawick è
una cittadina assai piccola, ma la nostra lealtà è grande ed una volta data
vale per sempre.” Rispose quegli, infervorato dalle parole di Enrico. “I vostri
amici saranno nostri amici. Analogamente chi si metterà sulla vostra strada,
sarà di traverso anche nella nostra..” Aggiunse, completando il reciproco
impegno alla lealtà. “Vogliate ora, Maestà, essere miei ospiti. Io e la mia
famiglia desidereremmo offrirvi ristoro e riposo dopo la lunga battaglia..”
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“Can you feel
that? Ah, shit. Drowning deep in my sea of loathing, broken your servant, I kneel
(will you give in to me?). It seems what's left of my human side is slowly
changing in me (will you give in to me?). Looking at my own reflection when
suddenly it changes, violently it changes (oh no). There is no turning back
now, you've woken up the demon in me.”
“Sentimi bene, per
queste cose ci vuole calma, pazienza e prudenza.” Sibilò, afferrandolo per le
braccia e scuotendolo con una certa energia. Essendo tutti e due in un
corridoio, sir Bolena si spostò in modo che la ‘conversazione’ potesse
procedere in modo più discreto. “Per quanto non sia nelle mie grazie, la Regina
è chiaramente amata e benvoluta, e fare le cose di fretta e senza troppo
pensarci può portare solamente dei guai..”
“Ma padre..” Osò
protestare suo figlio.
“Ho detto che si fa
come dico io, perdio!!” Lo aggredì, alzando il volume della voce e stringendo
la stretta attorno alle braccia del figlio. “Mi hai capito o devo spedirti
lontano da casa?”
“Certo, padre.
Scusate..” Cambiò subito tono George, improvvisamente rabbonito.
“Bene, vedo che ci
siamo intesi.” Sorrise sir Thomas, nascondendo a stento il trionfo, pur per una
vittoria assai magra come quella.
Da due settimane la
corte si era trasferita a Windsor, nel tentativo di scampare al contagio e il
lavoro della Regina, le sue riunioni, i suoi incontri non ne avevano risentito
troppo. Ella continuava infatti a vedere ed incontrare i suoi consiglieri più
fidati e portava avanti il governo del Paese. Tuttavia, pranzi, cene e momenti
di festa avevano risentito parecchio dell’influenza nefasta del sudor. Molti nobili avevano preso a
disertare la Corte già prima della partenza di Caterina e delle principesse per
Windsor. Quando questa divenne un fatto, essi si ritirarono nei loro castelli e
nelle dimore intorno a Londra o alla residenza regale, mantenendo al minimo i contatti
con il mondo esterno.
La popolazione più
povera, poi, stava anche peggio. Caterina si era attivata affinché una parte
del tesoro reale fosse dedicata e destinata a chi viveva in condizioni pietose,
ma con una malattia come il sudor,
estremamente letale e contagiosissima, i fondi che la Sovrana riusciva a
destinare a quella causa, pur generosi e robusti, erano una goccia nel mare dei
bisogni della popolazione.
Le due principesse
si erano anche loro trasferite a Windsor ed avevano cercato di non stravolgere
troppo la loro routine, sebbene mantenessero anch’esse i contatti al minimo. E
fu proprio a causa di una delle due che Caterina si adirò enormemente.
Poche ore prima
aveva scoperto che una dependance del Castello, sebbene da anni ormai in
disuso, era stata destinata all’accoglienza ed alla cura, per quanto possibile,
di persone che avevano perso parenti e familiari a causa del sudor. La cosa, pur generosa e nobile,
l’aveva fatta infuriare, perché queste persone erano portatrici ambulanti della
malattia, e potevano entrare in contatto con il personale del Castello. Inoltre
il personale che li assisteva non era qualificato e spesso era costituito dagli
stessi servitori del palazzo reale. Insomma, una situazione assurda ed
estremamente pericolosa. Inoltre, cosa niente affatto trascurabile, l’autrice
di questa bravata, aveva disobbedito ad un suo preciso comando, cioè di
occuparsi unicamente dei propri uffici e delle proprie incombenze, lasciando ad
altri quel genere di attività.
“Maestà, sua
Altezza Reale..” Annunciò lady Willoughby, facendo entrare Isabel. Caterina non
annuì nemmeno, né ringraziò. Il suo sguardo diceva più che bene quanto fosse in
collera, e lei si affrettò ad uscire, pur non avendo ricevuto nessuna
autorizzazione in tal senso. Conosceva talmente bene la sua amica, da sapere
cosa fare e cosa no, e quando.
“Quanto pensavate
avrei impiegato a scoprire il vostro bel piano?”
Ad Isabel non
occorse molto tempo per capire la motivazione di quella chiamata, né in che
stato fosse sua madre. Sapeva che cosa aveva fatto e sapeva bene di aver
trasgredito ad un suo ordine netto. Anche se non si pentiva di come aveva
agito, tuttavia non disse nulla e la lasciò sfogare. Se c’era una cosa che solitamente
rendeva sua madre furente erano gli interventi non richiesti e non opportuni.
“Mi prendete per stupida?!
Credevate davvero non mi sarei accorta di nulla!? Vi rendete conto del rischio cui
avete esposto voi stessa ed il mio personale?!” Attaccò subito sua madre,
alzandosi in piedi e andandole di fronte.
‘Quanto è pallida!’ Pensò Isabel con una
fitta acuta di rimorso. ‘Ne sono in parte
la causa..’
“Per non parlare
del fatto che vi avevo espressamente proibito di occuparvi di questa faccenda,
Altezza..” Continuò, le guance rosso acceso, il viso leggermente sudato e
sempre più in collera. “Dite, per caso il mio inglese è peggiorato in queste
due settimane, tanto da impedirvi di capirmi bene? Il mio spagnolo vi è
improvvisamente incomprensibile? O il mio francese, forse..” Chiese ironica e
la fissò in attesa di risposta.
“No, voi vi
esprimete in modo assolutamente comprensibile..” Rispose, calma, Isabel.
“Tuttavia, Vostra Maestà..” Osò dire, sentendo dentro di sé una cosa del tutto
nuova, un brivido mai provato prima.
“Tuttavia!?!?”
Avvampò Caterina, come se Isabel l’avesse insultata nel peggiore dei modi. “Voi
non dovete nemmeno osare contraddirmi!!!”
“E non lo faccio,
Maestà..” Puntualizzò Isabel più decisa. “Ho voluto solo fare ciò che mi
sembrava più giusto per la popolazione che vive qui intorno e non ha più nessuno..”
“C’è già il tesoro
reale che provvede!! Come osate portare avanti iniziative personali?!” Sbottò
Caterina. Il sudore le imperlava la fronte e la zona sopra il labbro superiore,
e il labbro inferiore le tremava leggermente. Per un attimo, Isabel pensò che
non stesse bene. “Voi non dovete nemmeno azzardarvi a portare avanti iniziative
personali. Non ne avete l’esperienza, la competenza, tantomeno il prestigio!!”
La schiaffeggiò moralmente, senza pietà.
Isabel strinse le
labbra e ingoiò quell’insulto, pesantissimo. Sapeva di essere una ragazzina di
sedici anni, senza alcuna esperienza, ma sapeva anche che nei cinque mesi in
cui aveva lavorato col dottor Griffith si era fatta onore e si era conquistata
il rispetto di chi operava con lui. Dirle ora quelle cose, pur ineccepibili, era
una cattiveria senza motivo. Inoltre una cosa non era affatto corretta.
“Non sono a titolo
personale!!” Protestò. Un conto era che le dicesse che era una pivellina, un
altro che la trattasse da bugiarda e da imbrogliona. “Nulla è stato fatto a mio
nome..”
Caterina la guardò,
ma i suoi occhi per un attimo furono come annebbiati. La sovrana si portò la
mano al viso e asciugò il sudore. Isabel la guardò e si sentì scuotere da un
brivido di paura.
“State male? Mamà..” Le chiese, chiamandola e
vedendola ondeggiare.
“Non ho nulla!!” Le
rispose sua madre, ritrovando la rabbia e guardandola ferocemente. “E ditemi,
se non sono a vostro titolo, chi mai è stato insignito di…” Continuò a dire, ma
ad un certo punto non poté più dire nulla, perché la gola le si chiuse. La
testa cominciò a farle male e la vista le si annebbiò improvvisamente. Con una
mano cercò un sostegno cui appoggiarsi. Isabel le fu subito accanto e la
sostenne prima che cadesse a terra.
“Mamà, che vi sentite..” Le chiese
cercando di farsi forza per non scoppiare in lacrime. “Guardatemi, cercate di
non dormire.. non chiudete gli occhi, per l’amor di Dio..”
Pian piano Isabel
riuscì a adagiare la madre sul tappeto, poi prese un cuscino da una sedia lì
accanto e lo mise sotto la testa di lei. Continuando ad accarezzare il volto
della madre, si voltò verso la porta chiusa e chiamò lady Willoughby con tutte
le sue forze. Quindi tornò a fissare Caterina, che un paio di volte minacciò di
addormentarsi.
“State sveglia!!”
Le impose Isabel, colpendole la guancia. “Non lasciatevi andare.. non chiudete
gli occhi.” Continuò a ripeterle disperata, mentre nella stanza entravano di
gran carriera lady Willoughby e il dottor Vittoria.
“Poche decine di miglia
e saremo a Peebles, Enrico..”
Sir Knivert tornò
dalla sua ricognizione ed annunciò al Sovrano il nome della cittadina più
vicino a loro.
Nelle ultime due
settimane non avevano avanzato ulteriormente e gli uomini si sentivano eccitati
e nervosi per la battaglia imminente. Dopo la conquista di Hawick, Enrico si
era fermato nella cittadina, sia per cortesia nei confronti di sir Jeoffrey,
che anche perché l’esercito aveva bisogno di rifornimenti e riposo. E oltrepassata
Peebles li attendeva l’esercito di Francesco, o meglio i cinquemila uomini
mandati dal Re francese, che erano accampati nei pressi di Edinburgo.
La fanteria
dell’esercito di Enrico stava percorrendo, sotto i suoi occhi, una tratto di
strada particolare: alla sua sinistra e poi davanti a sé aveva il fiume Tweed
ed a destra le alture del Cramalt Craig, coperte da una vegetazione
non molto estesa, ma piuttosto fitta, che poteva nascondere delle insidie. I
fanti percorrevano la strada, disciplinati e ordinati, disposti in file di
dieci uomini, a passo cadenzato.
Ad un certo punto
un rumore attirò l’attenzione del Sovrano. Sembrava un sibilo, leggero ma
ficcante, e proveniva dal bosco a poca distanza. Enrico si voltò verso gli
alberi, in ascolto. Non era una giornata ventosa, quindi non poteva certo essere
il vento a produrre quel sibilo. Incuriosito avanzò verso la boscaglia, e ad un
tratto i suoi occhi videro un mare di frecce partire dall’interno del bosco e
prendere i suoi soldati, che ancora marciavano compatti. Il rumore dei loro
passi e la loro concentrazione evidentemente li aveva talmente assorbiti
che non si erano resi conto di nulla. Essi cominciarono allora a cadere, feriti
alla gola o agli occhi, le uniche parti che la loro pesante armatura non
copriva e non difendeva. I superstiti si girarono allora verso il bosco, ma fra
quelli che si muovevano, alcuni venivano regolarmente infilzati dalle frecce e
crollavano a terra, feriti o morti. Chi invece riusciva ad avanzare verso la
boscaglia veniva sorpreso da lance ed asce, che, scagliate come le frecce,
avevano una minore gittata, ma erano di gran lunga più pericolose.
Dopo qualche minuto
oltre le frecce normali che continuavano a piovere, apparvero quelle infuocate,
e le urla dei soldati inglesi si alzarono alte.
Rischiava di essere
una carneficina, e solo allora Enrico si mosse. Per diversi minuti era rimasto
come imbambolato, incapace di reagire allo strazio dei suoi uomini,
imprigionati in quell’imbuto di acqua, legno e fuoco.
“Enrico, dai
l’ordine della ritirata!!” Urlò sir Knivert. “Maestà, avanti!! Avanti, datelo!!”
“Il Re
d’Inghilterra non si ritira!!!” Gli rispose, urlando a sua volta e facendosi
sordo alle sue proteste, più che giustificate. “Soldati, in formazione!!”
Ordinò il Sovrano, che non guardò nemmeno i suoi soldati, non si rese conto di
quanto quell’imboscata li avesse sconvolti e frastornati. I fanti riuscirono,
dopo diverse esortazioni, a mettersi in ordine, pur raffazzonato, poi partirono
alla carica, sotto la guida del Re. Anthony Knivert si risolse ad obbedire, ma
giudicava quella mossa avventata, inutile ed estremamente pericolosa.
“Altezza, non
potete entrare qui..” Il dottor Fernando Vittoria si parò di fronte ad Isabel
con uno sguardo duro. “Vostra madre è in condizioni serie e….”
“Oh, levatevi di
torno!!” Lo aggredì Isabel mettendogli una mano sul petto e spostandolo, o
almeno provando a farlo. “Ero con lei, so perfettamente in che condizioni è..”
“Sì, ma comunque voi
non potete entrare qui dentr..”
Isabel non lo
lasciò nemmeno finire di parlare. Rossa in viso e tremante, gli mise le mani
sul torace e provò a spostarlo, esercitando una forza sorprendente per una
ragazza dal peso tanto inferiore a quello del medico spagnolo.
“Voi non siete
nessuno per dirmi cosa io possa o non possa fare!!” Gli disse a brutto muso,
alzando la voce. “Dottor Vittoria, badate, io entrerò lì dentro e niente potrà
fermarmi. Se solo oserete mettervi in mezzo, mi farete perdere tempo, con il
risultato che io passerò più tempo lontano da lei. Non è questione di sapere se
io starò con mia madre, ma solo quanto tempo impiegherò per entrare nella sua
stanza.” Continuò, più calma, ma non meno ferma e determinata. “Fate una
cortesia ad entrambi, levatevi di mezzo e fatemi passare..” Disse infine
guardandolo negli occhi con una tale sicurezza che davvero sembrava aspettare
solo che lui si levasse dal passaggio.
Con somma sorpresa
di lady Willoughby, che si era affacciata appena aveva sentito le voci
provenire dall’anticamera, il medico della Regina si spostò e fece passare
Isabel, che lo ringraziò appena.
“Vostra Altezza,
Sua Maestà non vorrebbe in nessun caso che..” Protestò Maria de Salinas,
fermando Isabel e mettendole entrambe le mani sulle spalle.
“Avete detto bene,
signora. Sua Maestà non vorrebbe.” Le rispose pronta Isabel. “Voi però sembrate
dimenticare che Caterina d’Aragona è anche, e soprattutto, una madre. Mia
madre. Non c’è nulla che mi impedirà di stare con lei mentre sta male,
mettetevelo bene in mente. Potete chiudermi dentro una torre, incatenarmi da
qualche parte, farmi portare via da un esercito armato fino ai denti, non ha
alcuna importanza. Io tornerei qui e cercherei in tutti i modi di stare con
lei. Maria, voi siete una madre..” Le disse Isabel con lo sguardo su di lei e
un’espressione speranzosa e decisa assieme. Alla fine lasciò a metà la frase
più importante, quella che avrebbe, nelle sue intenzioni, dovuto commuovere e
far capitolare la amica di sua madre. Come aveva previsto, lei si spostò e la
fece passare, chiudendo poi la porta dietro ad entrambe.
Isabel entrò così
nella stanza dove Caterina d’Aragona era stesa, incosciente ed esanime, sul suo
enorme letto. La fanciulla le andò vicino e senza minimamente pensare al
contagio, le accarezzò il voltò, baciandolo ripetutamente.
“Non mollate,
Maestà. Fatelo per questo Paese che vi adora e ama. Tenete duro, mia dolce
Regina..” Mormorò nel suo orecchio, cercando di mantenere il proprio contegno.
Non le fu affatto semplice, mentre il respiro affannoso eppure superficiale
della madre le entrava nell’orecchio. “Mia vita e mia luce, sono qui con te..
Non morire, ti prego..”
Sotto una pioggia
fittissima di frecce infuocate e non, la fanteria di Enrico avanzò verso il
bosco. Quando i superstiti arrivarono agli alberi, la formazione ordinata e
compatta in cui erano riusciti a chiudersi, si sciolse e i soldati si
scatenarono in una caccia senza quartiere dei loro nemici. Dopo pochi istanti
fu tutto un clangore assordante di spade, spadoni ed asce. Le urla dei
combattenti si alzarono altissime, e ad esse si aggiunsero di lì a breve quelle
straziate e strazianti dei feriti e dei moribondi.
Come ipnotizzato,
Enrico rimase quasi in disparte a fissare i suoi uomini che tentavano di fare a
pezzi i nemici prima che essi riservassero loro la medesima cortesia. Non c’era
pietà né cavalleria in quei duelli; i fanti inglesi, scioccati dall’imboscata e
poi caricati dalle urla di battaglia di Enrico erano tornati ad essere macchine
da guerra formidabili, e gli arcieri scozzesi, che non portavano un’armatura
particolarmente pesante, cominciarono a cadere uno dopo l’altro.
All’improvviso, un
piccolo gruppo di arcieri si staccò dal resto dei compagni ed avanzò,
nascondendosi ed usando di tanto in tanto gli alberi e la fitta vegetazione
come scudo e protezione. Ad un reciproco segnale tutti assieme si misero in
posizione e scagliarono le loro frecce in direzione di Enrico.
Sir Anthony, che li
vide prepararsi, incitò il proprio cavallo nella direzione del Re e fece appena
in tempo a frapporsi tra le frecce ed il corpo del Sovrano, prima di essere
colpito da cinque di esse. Una gli trapassò il collo, una si conficcò nella
guancia, e le altre tre lo colpirono sull’armatura e caddero a terra dopo pochi
istanti. Sir Anthony ondeggiò sulla sella ed aprì la bocca vomitando un fiotto
di sangue, poi si accasciò contro il collo del suo cavallo, incosciente.
Enrico, ancora una
volta, rimase scioccato da quanto aveva visto e non si mosse. Fu uno dei
soldati che si avvicinò a piedi al cavallo di sir Knivert e lo portò in una
zona almeno in apparenza più tranquilla e fuori dalle traiettorie di quei
micidiali proiettili. Poi fece la strada a ritroso e dato che Enrico era ancora
lì fermo, lo incitò a muoversi, almeno per togliersi da lì..
“Maestà!! Maestà,
non vedete che abbiamo bisogno di voi?!” Gridò con forza. “Tornate in voi
Maestà!!”
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“Sir Thomas, io..”
Maria guardò il
Cancelliere e scosse la testa. Nominata da quattro giorni Reggente, pur sotto
il tutoraggio di Thomas More, la Principessa si sentiva del tutto inadeguata
per quel compito, senza contare il fatto che, da quando si era sentita male,
sua madre non aveva più ripreso conoscenza e le sue condizioni non sembravano
poter migliorare in alcun modo. La giovane donna si sentiva letteralmente
soverchiata dall’enorme peso che gravava sulle sue spalle e nemmeno l’aiuto di
sir More sembrava sortire un effetto benefico. Il filosofo comprese allora che
doveva stimolarla e pungolarla in modo più energico di quanto avesse fatto nei
giorni precedenti e, per bene della fanciulla e del Paese, provvide subito.
“No, Vostra
Altezza, così non va bene.” La rimproverò. “Vostra Madre vi ha nominata
reggente, ha fiducia in voi. Talmente tanta da lasciarvi la guida del Paese..”
“Ma, sir Thomas..”
Obiettò lei.
“Io sarò al vostro
fianco, Altezza, per aiutare e servire voi, ed il Paese.” La confortò. “E con
me ci sono molti consiglieri fedeli e devoti. E’ del loro costante e leale
appoggio ciò su cui dobbiamo fare affidamento e che conviene tenere a mente,
piuttosto dei pochi sleali ed infedeli servitori. A suo tempo essi saranno
puniti, Altezza, non abbiate timore. Ma per ora, a voi l’onore e l’onere più
alto che possa capitare ad una Principessa.” Seguitò a dirle con decisa
tenerezza. “Siate orgogliosa dell’ufficio che, pur nella disgrazia, vi è
piovuto in grembo, e rendete orgogliosi l’Inghilterra e vostro padre. E
soprattutto vostra madre.”
“Vostra Altezza,
dovete mangiare..”
Seduta sul letto
accanto a sua madre, Isabel alzò una mano, agitandola con fastidio. Come poteva
pensare a un’attività tanto stupida come il mangiare, quando sua madre non
aveva mostrato alcun segno di miglioramento in quattro giorni? Come solo
potevano pensare che il suo cervello pensasse ad altro che a lei?
“Vi ammalerete,
Altezza..” La esortò lady Willoughby con maggiore energia. Riluttante, Isabel
alzò lo sguardo su di lei, con una smorfia, per poi tornare a guardare sua
madre.
“Non scende questa
maledetta.. sono quattro giorni che brucia..” Mormorò a voce bassa,
massaggiandosi la fronte e le tempie con le dita, lambiccandosi per capire cosa
fare. Poi si alzò di scatto e prese a passeggiare avanti e indietro, lanciando
ogni tanto uno sguardo, ora disperato, ora concentrato, alla figura esanime,
pallida e sofferente distesa sul letto e con le pesanti coperte tirate fin
quasi sulla bocca.
“Le coperte!!”
Esclamò alla fine Isabel, fermandosi a metà di quel suo strano andirivieni. In
un attimo fu accanto al letto, afferrò il bordo delle coltri, pesanti
nonostante fosse estate, e con un movimento deciso le sollevò, scoprendo il
corpo della madre. “Sono queste che non fanno scendere la febbre!!! Come ho
fatto a non pensarci, stupida che non sono altra..” Si rimproverò aspramente.
Lady Willoughby la guardò scandalizzata.
“Vostra Altezza,
per l’amor di Dio, che fate?” Chiese terrorizzata da ciò che la fanciulla aveva
appena fatto.
“Per l’amor di Dio,
signora, portate acqua fredda e delle bende..” Le rispose Isabel, senza nemmeno
dar ascolto alle sue stupide lamentele. “La febbre deve scendere e coprirla
come una mummia non servirà di sicuro allo scopo!!” La donna rimase a
guardarla, incapace di capire cosa stesse facendo, di accettare il suo
ragionamento, men che meno di ritenerlo anche solo lontanamente corretto.
“Chiamo
immediatamente il dottor Vittoria!” Esclamò, come se solo lui potesse
esprimersi in modo compiuto su tutta quella faccenda.
“Fate come vi
pare!!” Sbottò Isabel non curandosi del rimprovero appena ricevuto. “E già che
andate via, fate portare lenzuola pulite.. questa stanza ha estremo bisogno di
sole ed aria fresca..” Disse decisa, dandole per la prima volta in vita sua
degli ordini. Quindi si diresse verso la vetrata, aprì le pesanti tende viola
di velluto e subito dopo fece la stessa operazione su una delle finestre, in
modo che cominciasse a circolare un po’ di aria fresca. “Non è ancora una
tomba! E non lo sarà fino a che resterò con lei!!” Esclamò decisa.
“Enrico!!”
‘Una voce amica!!’ Pensò il Sovrano non
appena vide il duca di Suffolk camminare a passo svelto verso di lui. I due
compagni d’armi si abbracciarono, più a lungo del solito.
“Sono ancora
sconvolto..” Mormorò Charles Brandon. Enrico, che non lo aveva mai visto nemmeno
lontanamente vagamente turbato da qualcosa, a sentirlo addirittura sconvolto si
spaventò davvero. “Come è potuto succedere, Enrico?” Chiese ancora il duca,
sciogliendo la stretta con il suo Re. Quest’ultimo scosse la testa, ancora
stravolto. Sembrava non voler ricordare o parlare di quanto era avvenuto.
Charles lo guardò
con attenzione e sentì un brivido. Non era mai avvenuta una cosa simile e lui
non seppe più come confortare o incitare il suo amico. Era impensabile che il
Re cadesse in una sorta di depressione proprio ora. Erano a pochi passi
dall’obiettivo ed ora c’era bisogno di tutte le loro energie, di tutta la loro
forza e di tutta la loro speranza. La battaglia che si sarebbe scatenata ad
Edinburgo non poteva essere presa in quel modo.
“Pensa ad Anthony,
Enrico!!” Lo incitò allora sir Brandon, pensando di stoccare le corde della
rivalsa e del suo orgoglio. “Andiamo da quei selvaggi bastardi e vendichiamo il
nostro amico!! Con o senza l’aiuto dei damerini francesi, dobbiamo
annientarli!!”
“Che state
facendo?!”
La voce del dottor
Vittoria ruppe, con una nuova nota quasi isterica, il silenzio della stanza
della Regina.
Isabel, che stava
ponendo le bende sul suo corpo, lo guardò appena, poi proseguì il suo lavoro,
in silenzio. Da che aveva cominciato a stendere i panni freddi sulla fronte,
sul collo, e sulle braccia di sua madre, si era chiusa in un silenzio carico di
concentrazione e dolore. Non riusciva nemmeno a credere che quanto aveva ideato
potesse non servire e che la vita di sua madre potesse scivolare via sotto i
suoi occhi. La giovane principessa non osò nemmeno guardare il suo viso, perché
sapeva che l’enorme carico di lacrime sarebbe diventato un fiume in piena se
lei avesse solo incrociato quegli occhi chiusi e muti.
“Vi ho detto, che
diavolo state facendo?!” La apostrofò, stavolta con molta meno grazia, il
medico. Isabel non gli diede ascolto e continuò imperterrita. Con delicatezza
sollevò la camicia da notte della madre fino all’altezza della vita e poi,
sulla sua biancheria intima, all’altezza degli inguini, posò altre due pezzuole
umide, una da una parte e una dall’altra.
“Sacrilegio!!
ORRORE!!!” Gridò scandalizzato il dottor Vittoria. Isabel lo guardò, furente.
Non rimise nemmeno a posto la camicia da notte
della mamma, tanto era furiosa con lui.
“Come osate?!” Lo
aggredì fuori dalla grazia divina, andando di fronte a lui. “Chi vi da il
permesso di osare rivolgervi a me usando quelle parole oltraggiose!!!” Il
medico, che certo non si aspettava una reazione di quel genere, la guardò
visibilmente imbarazzato. Aveva osato parecchio, lo sapeva, ma pensava di
poterselo permettere e che bastasse per aver ragione di lei e farla tornare al proprio
posto, possibilmente fuori dalla stanza. Invece la piccola Isabel aveva assunto
un contegno cocciuto e testardo, tipico della casa materna, e la rabbia
improvvisa e letale, tipica di Enrico.
“Vostra Altezza,
voi non sapete molto di medicina..” Riprese lui, più conciliante, pensando di
poter ricomporre la frattura. “Forse dovreste affidarvi a chi sa ne di più e
può occuparsi meglio di Sua Maestà..”
Il volto di Isabel
divenne una maschera di gelida rabbia. Le sue guance divennero rosse e lei
strinse le labbra, dopo averle inumidite. Lady Willoughby, che la conosceva
meglio di lui, provò una tenerezza enorme per lei. Era evidente che stava
contando fino a mille per non rispondergli malamente, ed era ovvio che fosse
adirata ed offesa per quell’uscita del tutto inappropriata, per quanto
tecnicamente corretta.
“Dottor Vittoria,
vi siete occupato di Sua Maestà, per quattro lunghissimi giorni e non vedo come
la vostra presenza e le vostre cure abbiano portato il benché minimo sollievo a
mia madre.” Rispose lei con tutto il gelo di cui fu capace. Il voltò di lui si
imporporò di rabbia e vergogna. Chi era mai quella ragazzina per osare
parlargli a quel modo?, si chiese.
“Vostra Altezza,
voi sapete, vero, che se Sua Maestà non dovesse riprendersi dopo questo.. uhm..
diciamo… trattamento alquanto strano, io non avrei certo alcuna responsabilità
agli occhi del Re, o del Paese..” Buttò lì, con noncuranza. Il colpo andò a
segno perché il viso di Isabel accusò la pesantezza di quelle frasi.
“Uscite immediatamente
da questa stanza, señor Vittoria..” Sibilò
Isabel, dandogli le spalle e dedicandosi totalmente a sua madre.
“Vostra Altezza..”
La salutò lui, con formalità e freddezza. Poi si avviò alla porta e lasciò in
breve la stanza.
Solo quando il
medico fu uscito da lì, Isabel rialzò gli occhi sulla porta, con un’espressione
rabbiosa ed impaurita assieme. Sospirando tornò a guardare sua madre, le
sistemò bene le pezzuole e rimise a posto la camicia da notte. Mentre separava
il lenzuolo di lino pulito dal resto delle coperte, e la copriva solo con
quello, il suo labbro inferiore iniziò a tremare. Dapprima fu una cosa leggera
e quasi senza importanza, ma poi il tremito si fece più forte.
Per non piangere di
fronte all’amica di sua madre e rischiare un’ulteriore cattiva figura, Isabel
affondò i denti sul suo labbro inferiore, fino a che non sentì il sapore del
sangue.
Lady Willoughby la
guardò in silenzio, con immensa tenerezza. L’offesa che quel cialtrone le aveva
rivolto era stata inescusabile e gravissima; per un attimo la dama aveva temuto
che la principessa si sarebbe scagliata contro di lui, ma poi l’eccellente educazione
ricevuta e l’esempio materno avevano avuto ragione del suo carattere e della
sua giovanissima età e lei si era limitata a congedarlo, per quanto
gelidamente. Per un attimo la lady ebbe l’impulso di andarle accanto e
stringerla fra le braccia. Isabel era enormemente attaccata a sua madre, lo
sapeva chiunque in Inghilterra, ed il compito che la fanciulla si era scelta
rischiava di essere troppo gravoso per lei. Tanto più che se le male parole del
dottor Vittoria si fossero avverate, per Isabel sarebbero potuti essere guai
seri.
A poco a poco però
la giovane principessa parve calmarsi e riprendere il proprio contegno. In
silenzio si sedette a terra, accanto al letto di sua madre, e posò la testa sul
materasso, facendo in modo che le dita di Caterina sfiorassero la sua fronte.
“Tieni duro, vita
mia..” Mormorò fra sé, cercando di trattenere le lacrime che ormai le facevano
male agli occhi da quanto erano urgenti.
“Maestà!!!
Maestà!!!!”
Il messaggero scese
da cavallo e crollò a terra. Enrico lo guardò e fece un rapido cenno.
Immediatamente due guardie gli si fecero vicino e lo sollevarono, aiutandolo.
“La Regina è caduta
ammalata, mio signore!!” Scoppiò in lacrime il povero latore.
Enrico sentì la
terra mancare da sotto i suoi piedi. Le mani gli corsero alla testa.
Caterina era
ammalata. Il solo pensiero lo faceva impazzire.. Nelle sue mani l’Inghilterra
era al sicuro, ma ora.. Per la prima volta dopo anni il suo cuore era
preoccupato per la moglie. Per la prima volta dopo anni il suo cuore mancò
diversi colpi alla notizia che lei poteva morire. Il bacio che le aveva dato,
più una provocazione a qualcuna che altro, poteva essere il suo ultimo gesto
per lei.
‘Che diavolo ci faccio qui?’ Pensò. ‘Questi bastardi non meritano il mio impegno
ora..’
Mentre il messaggero
descriveva la condizioni della Regina, cercando di non esagerare con i
particolari nefasti, la mente del Sovrano si mise all’opera.
“Che sia
rifocillato e si possa riposare!!” Ordinò, quando egli finì. “Sir Brandon,
preparate per il nostro rientro..” Aggiunse, sconvolgendo chi era attorno a
lui.
“Quando si agitava il mio
cuore e nell’intimo mi tormentavo, io ero stolto e non capivo, davanti a Te
stavo come una bestia. Ma io sono con te sempre: Tu mi hai preso per la mano
destra. Mi guiderai con il tuo consiglio e poi mi accoglierai nella
tua gloria.”
Isabel chiuse la Bibbia,
dopo aver messo il segnalibro fra le due pagine, e poi guardò sua madre, che
ancora non aveva ripreso conoscenza. Erano passate molte ore da quando il
dottor Vittoria aveva lasciato la stanza della Regina, e la giovane principessa
non aveva fatto altro che stare accanto a sua madre, cambiando ogni ora le
pezze umide, leggere per lei e pregare il Signore perché la rendesse sana e
salva al Paese.
Le parole di Vittoria,
uscite di bocca più per ripicca che per reale convincimento, l’avevano colpita.
Che cosa le sarebbe capitato se la Sovrana non ce l’avesse fatta e se la sua
fibra, pur forte, avesse ceduto? Sarebbe stato meglio per lei morire pochi
istanti dopo. Suo padre non l’avrebbe mai perdonata, probabilmente l’avrebbe
fatta finire alla Torre, se non addirittura sulla forca. Isabel scosse la
testa. Era egoista a pensare quelle cose, mentre sua madre si dibatteva tra la
vita e la morte. Non aveva senso sprecare i suoi pensieri in altro che non
fosse lei.
“Farò di tutto per farvi
uscire da questo pasticcio, mia signora..” Le mormorò all’orecchio, chinandosi
su di lei, come aveva fatto tante volte Caterina quando era stata Isabel a star
male. Le labbra della fanciulla si posarono sulla tempia destra della madre.
“Ti tirerò fuori dal tuo sonno, mia adorata guida.”
“Chi altri avrò per me in
cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio
cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre. Ecco,
perirà chi da te si allontana, tu distruggi chiunque ti è infedele. Il mio bene
è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio, per narrare
tutte le tue opere presso le porte della città
di Sion.”
“Majestè!”
Esclamò. “Eccovi sano e salvo dunque!”
Poco distante, il duca di Suffolk
sorrideva fiducioso. Ci erano voluti quasi due giorni per far riprendere Enrico
dalla sua depressione, ma poi, in meno di una settimana a tappe forzate erano
arrivati al campo francese, a meno di due km da Edimburgo. Le notizie che
continuavano a provenire da Londra sulla salute della Regina non erano
confortanti, ma se non altro non era morta. Anche per lei il Re aveva deciso di
restare e continuare la guerra. Era certo che al suo ritorno Caterina sarebbe
stata di nuovo in piena salute, e lui le avrebbe portato in dono la corona
scozzese.
Pochi istanti dopo, mentre
l’esercito inglese cominciava ad accamparsi sul terreno, Enrico radunò i suoi
comandanti ed assieme a quelli francesi programmava la strategia con cui
avrebbero fatto cadere la Capitale della Scozia ed il Regno di Giacomo.
“Signore, tu mi scruti e mi conosci, Tu sai quando
seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando
cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie; la mia parola non è
ancora sulla lingua e Tu, Signore, già la conosci tutta. Alle spalle e di
fronte mi circondi e poni su di me la tua mano. Stupenda per me la Tua
saggezza, troppo alta, e io non la
comprendo.”
Dopo aver cambiato la camicia da
notte a sua madre, Isabel aprì la finestra e lasciò che l’aria fresca del
mattino entrasse nella stanza. La notte precedente aveva dormito ben poco, come
ormai da una settimana a quella parte, e si sentiva stanca, ma non avrebbe mai
ceduto. Le notizie che provenivano dalle prime sedute del Consiglio con Maria a
capo del Paese non erano incoraggianti. Il partito della famiglia Bolena era
tornato di nuovo in auge e chi si era allontanato da loro, ora si era
riallineato con la loro condotta. Maria, troppo inesperta e per niente
smaliziata, aveva enormi difficoltà a far sentire la propria voce, pur con
l’aiuto fedele di sir More. Era quindi necessario che Caterina tornasse al più
presto in salute e riprendesse il proprio posto alla guida del Paese.
Immersa com’era nei propri pensieri,
Isabel non sentì nemmeno il respiro più affannoso della madre. Solo quando si
voltò, e vide la sua bocca aprirsi, corse da lei. Pochi istanti dopo essa
sembrò essere in procinto di vomitare. Istintivamente Isabel le girò il viso su
un lato, facendo appena in tempo a metterle sotto la bocca un enorme telo di
lino. Prima che tutto fosse finito, la Principessa rimise la testa in posizione
dritta, ma qualcosa andò storto. Le labbra della Sovrana divennero blu e lei
smise in poco tempo di respirare.
“Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo
formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi
hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano
fissati, quando ancora non ne
esisteva uno.”
“Avanti, Vostra Altezza, non mi
verrete a dire che il Paese non necessiti di interventi ben diversi che le
repressioni contro i riformisti..” Thomas Bolena fissò Maria e quasi le rise in
faccia.
La Principessa lo squadrò
gelidamente. Odiava quell’uomo e tutto quel che rappresentava.
“Non vi consiglio di sfidare me e la
vostra buona stella, sir Bolena..” Gli rispose lei, ferma. Lui tacque, ma in
realtà aveva vinto. Pochi minuti prima il Consiglio aveva respinto, con una
maggioranza minima, ma pur sempre valida, una sua decisione che inaspriva le
pene, pecuniarie e non, per chi veniva sorpreso a propagandare teorie eretiche.
Frustrata e delusa, da sé, ma non
solo, Maria congedò i membri del Consiglio e si alzò, uscendo dalla stanza.
In quella settimana i Bolena avevano
fatto di tutto per farle capire che non avrebbe avuto vita semplice ed alla
fine erano riusciti a respingere una sua proposta. Era inaudito e lei si
sentiva ribollire di rabbia. Avrebbe potuto far finire tutti alla Torre, ma in
realtà si rendeva conto di non aver potere contro loro. Volevano spaventarla e
ci stavano riuscendo. Con orrore e paura si chiese fin dove sarebbero arrivati
per i propri scopi.
“Altezza, aspettate..” La voce
rassicurante di sir More la fermò e la fece girare verso di lui. se possibile,
il Cancelliere aveva un’espressione ancora più furente della sua. Anche lui
stava vivendo malissimo quello smacco. “Altezza, non vi sarete fatta
scoraggiare da questa mossa, spero..” La incoraggiò lui, ma la sua espressione
diceva che era decisamente oltre la semplice delusione per quel voto contrario.
“Coraggio, Altezza, non dobbiamo mollare proprio ora.. Ora si vede di che pasta
siamo fatti..”
Lady Willoughby guardò Isabel come
se avesse appena pugnalato sua madre, ma non fece nulla per rendersi utile.
“Portatemi uno stecco, presto!!”
Ordinò Isabel. “Deve avere qualcosa nella gola..” La dama si affrettò ad
obbedire ed in pochi secondi tornò nella stanza. “Per favore Maria, aiutatemi a
tenere aperta la sua bocca.” Ancora una volta la dama di origine spagnola
obbedì ed Isabel, dopo estenuanti tentativi riuscì a vedere che si trattava di un
pezzo di…
“Ma è cibo!!” Esclamò la
Principessa. “Chi diavolo si è permesso di darle..” Scattò subito.
“Perdonatemi, Altezza, ho pensato di
darle un po’ di brodo, con del pane..” Mormorò lady Willoughby, scoppiando in
lacrime. Isabel la guardò e la incoraggiò.
“Non ora, Maria.. ora mi servite
lucida ed attenta..” La tirò su, o almeno ci provò. La donna si asciugò
prontamente le lacrime e accorse al capezzale della Regina. Le sue labbra erano
sempre più blu. Non appena Maria ebbe aperto la sua bocca, tenendo ferma la
parte inferiore della mascella, Isabel prese lo stecco e si preparò ad
acchiappare il pezzo di cibo. Concentrata ed attenta come pochissime volte in
vita sua, dopo il terzo tentativo dovette desistere. Spaventata ma determinata
a riuscire, usò le dita e finalmente, alla fine, riuscì a tirarlo fuori dalla
trachea della mamma.
“Brava, Altezza!!!” Esclamò Maria,
tutta contenta. Isabel deglutì, sospirando di sollievo.
“Ora giratela su un fianco..” Ordinò
decisa. La dama corrugò per un attimo le sopracciglia, ma poi obbedì
docilmente. Allora Isabel corse a prendere tre cuscini e li sistemò contro la
schiena della madre, in modo che lei stesse a metà strada tra la posizione
supina e quella sul fianco.
“Così respirerà meglio e se anche
dovesse vomitare ancora, non soffocherà..” Sostenne Isabel. Lady Willoughby le
sorrise e poi andò ad abbracciarla, con trasporto.
“Siete stata bravissima, Altezza..”
Le disse con gioia. “Sua Maestà sarà orgogliosa di voi.” Aggiunse, mentre le
labbra di Caterina riacquistavano colore e la Sovrana riprendeva a respirare
normalmente.
“Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro numero, o Dio; se li conto sono
più della sabbia, se li credo finiti, con te sono ancora.”
“Bene, Capitano Grenet, questa è la
suddivisione finale dei compiti..” Annunciò trionfante Enrico. L’ufficiale
francese sorrise compiaciuto.
“Oui,
Majestè.” Rispose. “Voi vi occuperete dalla parte occidentale e noi di
quella orientale. Le strade dei rifornimenti saranno chiuse, a maggior ragione
in caso di rifornimenti d’armi e truppe.” Enrico annuì.
“Non sarà semplice, ma staneremo
quei bastardi. Se necessario attenderò che escano uno ad uno dalla città.
Voglio prendere Edimburgo.. Dio solo sa cosa significhi per me e per
l’Inghilterra..” Disse, pensando tanto a sir Knivert che a Caterina. Monsieur
Grenet annuì in silenzio.
“Se permettete, Maestà, io vado a
dare ordini ai miei uomini. Ci sono i primi turni di guardia da stabilire..”
Chiese gentilmente congedo. Enrico annuì e, dopo che l’ufficiale d’oltre Manica
fu uscito dalla tenda, restò solo con sir Brandon.
“Quei bastardi pagheranno tutto;
dovessi passarli uno per uno con la mia spada, Charles.”
“Dopo che avrai fatto pulizia fuori
casa, Enrico, sarà tempo per farla anche dentro..” Gli rispose il compagno,
grave.
“Ora così dice il Signore che ti ha creato, o
Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: «Non temere, perché io ti ho
riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare
le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo
al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare; poiché io sono il
Signore tuo Dio, il Santo di Israele, il tuo salvatore. Io do l'Egitto come
prezzo per il tuo riscatto, l'Etiopia e Seba al tuo posto. »”
Affacciata alla finestra, Isabel guardava
le luci di Windsor e del giardino visibile dalla vetrata e ripensava al suo
primo ricordo in assoluto. In uno dei troppo rari momenti in cui i suoi
genitori erano entrambi in compagnia sua e di Maria, suo padre, imbracciato il
liuto, suonava una gagliarda particolarmente allegra. Sua sorella, che aveva
cinque o forse sei anni, danzava di fronte a tutti loro. Isabel sorrise al
ricordo: da sempre Maria aveva un talento particolare per la musica, sia nella
danza che nella pratica, merito certamente del loro padre che era assai abile,
e delle lezioni che Caterina le aveva impartito fin da piccola. E mentre Maria
danzava, lusingava e divertiva il Re coi suoi sorrisi, le sue attenzioni e le
sue mosse aggraziate. Isabel, con i suoi tre anni, era troppo piccola per
danzare, e troppo alle prime armi per accompagnare al virginale suo padre, e guardava
quella scena stando in disparte, come spesso avveniva quando Enrico e Maria
facevano qualcosa assieme. Fu quindi sua madre a coinvolgerla ed a farla
sentire partecipe. Tese una mano verso di lei e la bimba si avvicinò
immediatamente, sedendosi in grembo alla mamma e appoggiandosi con la schiena
contro di lei. Seguendo il ritmo del brano con i piedi, Caterina la faceva salterellare
sulle sue ginocchia, ridendo e divertendosi assieme a sua figlia.
La Principessa risentì nelle
orecchie la gaia risata della mamma. Non aveva mai realizzato quanto anche lei
fosse stata bene in quell’occasione e quanto si fosse divertita guardando Maria
ballare ed Enrico suonare. Con nostalgia e tenerezza, Isabel pensò a quel
momento come a uno dei più felici della sua vita. In compagnia di sua madre si
sentiva sempre al sicuro ed amata, libera se non di mostrare tutte le proprie
emozioni, per lo meno di mostrarle l’immenso affetto che sentiva per lei.
“Sei più di una madre per me..”
Mormorò inginocchiandosi accanto al suo letto e posando il capo contro la mano
della mamma. “Ti prego, torna da me.. dammi ancora la possibilità di volerti
bene e di renderti orgogliosa di me.. ho ancora bisogno dei tuoi consigli, dei
tuoi dolci rimproveri, delle tue lisciate sacrosante. Ho ancora bisogno delle
tue carezze e delle tue coccole, ed anche di quegli sguardi con cui mi tieni
d’occhio quando pensi che io non ti veda e non mi accorga..” Continuò sentendo
pian piano arrivare tutta la paura e la fatica accumulata in quei giorni
tremendi. L’idea che sua madre potesse non farcela cominciò a farsi strada nel
suo cuore; più quell’idea trovava fondamento, più risultava insopportabile,
indicibilmente dolorosa. “Torna da me.. Ho bisogno che tu viva per poterti difendere
da quella sgualdrina e dalla sua orribile famiglia, e anche da mio padre che
ogni giorno ti manca di rispetto ed è tanto stupido da non accorgersi di che
tesoro abbia accanto, e che io e Maria non siamo cieche e soffriamo
tremendamente. Son io, mamma, ad aver bisogno di te. Non sono pronta a
lasciarti andare via. Ti prego, resta ancora con me..” Sussurrò a voce bassa,
lasciando che le lacrime, trattenute durante tutti quei lunghi giorni,
scorressero, finalmente libere. Non si accorse nemmeno che la mano della mamma
si mosse accanto al suo viso, dapprima leggermente, poi con maggiore energia,
arrivando perfino ad accarezzarla sotto la mandibola.