3 – In viaggio.
Vagai attraverso le
foreste del Nord Inghilterra per un po’, ma ogni tanto mi avvicinavo alle
città, quando sentivo la necessità di soddisfare certi bisogni legati al mio spirito;
dovevo coltivare la mia interiorità, educare il mio pensiero al raziocinio se
non volevo essere sopraffatto dall’istinto, che in me era ancora troppo forte.
Sentivo il bisogno impellente di ampliare i miei orizzonti e la mia mente.
Forse inizialmente
fu un modo per vincere la solitudine che sentivo sempre più pressante, e i
primi tempi ne trassi notevoli benefici; leggere e apprendere nuove verità e
scoperte, mi faceva evadere un po’dalla realtà e mi faceva sentire quasi
normale.
Il fatto che fossi
diventato un vampiro non implicava che non dovessi più preoccuparmi di
conservare un comportamento umano, e fortunatamente avevo mantenuto in me un
vivo interesse per la conoscenza; mi erano sempre interessate le arti, le
scienze e in particolare la medicina. Presi a leggere testi di anatomia. La
decisione di diventare medico arrivò solo dopo in un secondo momento,
all’inizio era pura curiosità.
Divenni un assiduo
frequentatore di biblioteche ed ero sempre molto attento a nutrirmi
adeguatamente, prima di mettere alla prova i miei istinti; essere a stretto
contatto con gli umani era per certi versi, ancora faticoso, ma lentamente
stavo imparando. La prendevo come una sorta di espiazione per ciò che ero
diventato e sopportavo di buon grado, perché sarebbe stato molto più terribile
per me, cedere alla mia natura e lasciarmi trascinare da essa.
Mi avrebbe
annientato una possibilità del genere.
Per fortuna sono
sempre stato ostinato.
Tentavo di
convincermi che se ero riuscito a resistere fino a quel momento, potevo
continuare su quella strada, perché ero su quella giusta. A volte era
difficoltosa, ma sentivo che dovevo perseverare, perché se c’era una
possibilità di salvezza per la mia anima, ammesso che ne avessi una, era in
quel modo che potevo trovarla.
Ero fermamente
convinto che se avessi fatto il possibile per essere migliore di ciò che ero,
avrei potuto salvare me stesso.
Seppur incredulo, mi
rallegravo del fatto che i miei sentimenti non sembravano affievolirsi, anzi
erano se possibile ancora più potenti, come se fossero in qualche modo
rapportati alla mia forza straordinaria.
Io continuavo a
provare delle emozioni molto umane che in alcune situazioni affioravano con
prepotenza; ad esempio, se vedevo qualcuno che stava male, ero preso dalla
smania di riuscire ad aiutarlo, e Dio sa se in quei tempi, la morte e la
sofferenza cogliessero gli uomini molto più velocemente attraverso innumerevoli
malattie che non davano scampo: peste, colera, vaiolo, sifilide, c’era solo
l’imbarazzo della scelta, e le epidemie erano eventi assolutamente naturali che
mi ero e mi sarei trovato spesso ad affrontare.
Resistere al sangue
poteva essere una tortura, e mi ci volle quasi più di un secolo per diventare
indifferente all’odore, ma di fronte alle varie piaghe dell’umanità mi sembrava
che fosse tollerabile.
Se ero davvero una
creatura senz’anima, cosa di cui dubitavo, non avrei dovuto provare nulla del
genere, meno che mai la compassione, quindi doveva essere giusto ipotizzare che
quel mio sentire provenisse dal mio spirito.
O qualcosa di assai
simile.
Ragionando e
riflettendo sul concetto, mi convinsi quasi totalmente di questo.
Dovevo essere nel
giusto.
Fu una convinzione
che lentamente mi fece rinascere a nuova vita, mi portò a sperare di non avere
perso tutto. Certo, continuavo a
disprezzare la mia natura oscura, ma forse iniziavo a conviverci, ad accettarla
almeno in minima parte.
In fondo, non è un
po’ quello che fanno tutti gli uomini, vivere con le loro debolezze, con le
loro pulsioni più bestiali senza lasciarsi sopraffare da esse? Senza farsi
dominare?
Era quello che stavo
cercando di imparare a fare io. Stava diventando una sfida con me stesso e
dovevo vincerla.
Per dominare una
natura quasi incontrollabile, tanto potente e selvaggia, occorreva un tempo
quasi infinito, un tempo che i comuni mortali non avevano, ma io sì.
Forse per questo a
quelli come me era stata concessa l’eternità.
In futuro, sarebbe
stata proprio la mia natura a consentirmi di salvare con prontezza molte vite
umane, usando le mie capacità sensoriali; l’olfatto mi avrebbe fornito preziose
e tempestive informazioni sulla salute dei miei pazienti, perché le cellule di
un corpo umano malato, hanno un odore diverso da uno sano e questo mi avrebbe
consentito diagnosi precoci e più precise.
Quell’energia
misteriosa che mi aveva generato come male assoluto, l’avrei plasmata in una
sostanza benevola. Ma sarebbe passato un tempo lunghissimo prima di arrivare a
un simile controllo.
Prima di lasciare
per sempre Londra avevo cercato altri vampiri, per tentare di capire come
fossero, se vivevano i conflitti che vivevo io, ma scoprii che erano solo dei
mostri dominati unicamente dai loro impulsi. Si erano abbruttiti e involgariti,
e non facevano nulla per tentare di migliorare la loro condizione di reietti;
erano interessati solo al sangue umano e nient’altro.
Non avrebbero potuto
darmi ciò che cercavo; qualcuno con cui confrontarmi, che mi facesse vedere uno
spiraglio di luce in mezzo alle tenebre che stavo attraversando.
Per questa ragione decisi
di andare in Francia e attraversai la Manica a nuoto.
Dal punto di vista
intellettuale la Francia era un paese che poteva offrirmi molti e nuovi
stimoli; lì proseguii i miei studi, coltivai i miei interessi artistici e la
mia curiosità. Erano gli inizi del ‘700 e la società francese era decisamente
più libera di quella inglese, meno bigotta e dai costumi più disinvolti e
frivoli. Mi avvicinai un po’ di più agli umani, cercando di confondermi con
loro, aiutandoli per quanto riuscivo, ma non potevo ottenere quella vicinanza e
compagnia che cercavo. Riuscivo a camuffarmi dietro i miei occhi che per
fortuna avevano perso quel colore rosso vermiglio inquietante delle origini, ed
erano mutati in un colore castano dorato più rassicurante, eppure a volte mi pareva
di percepire una paura indefinita negli uomini che incontravo, come se
inconsciamente qualcosa dicesse loro che non erano al sicuro con me nei
paraggi.
Fu in Francia che
conseguii la mia prima laurea in medicina; studiavo di notte, non avendo bisogno
di dormire e durante il giorno svolgevo un’ attività di traduttore che mi
permetteva di mantenere una parvenza di esistenza comune e decorosa.
A volte la sete si
faceva sentire prepotente; quando coglievo un profumo più invitante del solito,
il veleno inondava la bocca e allora dovevo allontanarmi velocemente, per
evitare di distruggere tutti gli sforzi che avevo fatto fino a quel momento. I
miei successi erano altalenanti e ciò contribuiva a minare il mio precario
equilibrio, sempre in bilico su quel filo sottile e fragile che era la mia
volontà. Certi pensieri cupi e rossi di sangue mi assalivano ancora, facendo
vacillare pericolosamente la mia resistenza, rendendomi profondamente insicuro
e timoroso di perdermi.
Così a volte, avevo
la sensazione di tornare indietro e le conquiste che avevo fatto sembravano
annullarsi: era una lotta estenuante fra due esseri opposti che convivevano
forzatamente dentro di me, che avrei dovuto sostenere ancora a lungo e il
mostro molto spesso ruggiva e reclamava violentemente i suoi diritti.
Ma non so dove, per
fortuna trovavo sempre la forza necessaria per metterlo a tacere e lui tornava
a nascondersi nei recessi più bui della mia anima per un po’.
Passavano gli anni e
nella mia esistenza solitaria il tempo sembrava dilatarsi all’infinito e tutto
pareva scorrere lento e immutabile; la solitudine della mia condizione infelice
aumentava in modo sempre più pesante, ma non avevo mai incontrato neppure in
Francia qualcuno che fosse come me, almeno a livello emotivo; forse io rappresentavo
un’ eccezione, una nota stonata disegnata sul pentagramma da un musicista
distratto; cominciavo a pensare che i vampiri fossero tutti concentrati a
Londra e che la loro natura fosse quella di esseri ormai dannati e senza alcuna
possibilità di redenzione.
Io però mi ostinavo
a pensare che la mia esistenza immortale non l’avevo scelta e che quindi,
potevo e dovevo tentare di elevare me stesso, non accettare supinamente una
disgrazia che mi era capitata. Non avevo mai preso nulla per assoluto e nel
profondo ero ancora convinto che anche bene e male fossero termini relativi.
Fu proprio a Parigi
che attorno al 1730 incontrai per la prima volta un altro vampiro solitario
come me. A parte questo, non avevamo nient’altro in comune. Lui si nutriva di
sangue umano e non aveva alcun rimorso per il tipo di vita che aveva scelto di
condurre.
Si chiamava Etienne;
aveva almeno un secolo più di me e non era mai uscito dalla Francia.
Lo incontrai per
caso una sera mentre giravo per le strade sordide della città; avevo appena
iniziato a esercitare come medico e stavo andando a fare visita a un bambino
che aveva una febbre violenta.
Lo vidi in compagnia
di una donna piuttosto avvenente, forse una cortigiana a giudicare
dall’aspetto, che a breve sarebbe morta. Lei era totalmente succube e non
pareva rendersi conto del pericolo che lui rappresentava. Potevo leggere la
voglia nei suoi occhi assetati e cerchiati di viola.
Incrociammo i nostri
sguardi senza parlare, riconoscendoci per quello che eravamo, mal celando un
moto di sorpresa. Ci saremmo incontrati di nuovo e avremmo approfondito la
reciproca conoscenza.
Oggi sono convinto
che anche Etienne, in modo sottile, sentisse il peso della solitudine; solo per
questo, per un certo periodo ci avvicinammo uno all’altro, anche se i nostri
stili di vita non avrebbero potuto essere più diversi.
Io cercavo di
salvare delle vite, lui le stroncava senza esitare mai.
E naturalmente
Etienne non comprendeva la mia scelta, giudicandola assurda e innaturale.
“Non sai a cosa
rinunci, Carlisle. Gli uomini sono le nostre prede naturali e noi siamo
assassini. Non possiamo essere nient’altro che questo…”
Naturalmente non ero
d’accordo con lui.
“Se fosse così, tu
ti limiteresti a uccidere per soddisfare la tua sete, non sprecheresti tempo ed
energie per sedurre delle potenziali prede…”
“L’eternità può
essere noiosa, Carlisle…io cerco solo di renderla interessante. E tu in fondo,
fai la stessa cosa, anche se in modo diverso…”
Obbiettava col
chiaro intento di provocarmi, ma forse in parte aveva ragione; anch’io ero
spaventato dall’eternità. Avevo riflettuto spesso sulle sue parole e mi ero
chiesto se non stessi solo cercando una motivazione logica all’esistenza di
esseri come me.
Ma durante i nostri
confronti io ribattevo sempre con assoluta calma.
“No, le mie
motivazioni sono diverse. Io sono convinto che qualcosa della nostra essenza
umana resti in noi… è difficile, non lo nego, ma dovremmo cercare di preservare
questa componente umana, invece di farci dominare dal nostro istinto di predatori…
solo così possiamo elevarci al di sopra di noi stessi.”
“Elevarci al di
sopra di noi stessi?”
“Migliorarci,
evolverci nelle nostre coscienze…”
“L’evoluzione non è
per i vampiri: siamo immutabili. Ma che cosa intendi per essenza umana?” Sentivo
perplessità nella sua voce.
“Sto parlando di…
anima, Etienne.”
Alle mie parole
esitanti, lui reagì con una palese espressione di sbigottimento e quando mi
rispose, quasi si mise a ridere.
“Cosa? Tu credi che
i vampiri abbiano un’ anima? Non dirai sul serio!!”
“Sì, invece.”
Azzardai.
“È la teoria più
bizzarra che abbia mai sentito!!” Esclamò assolutamente divertito.
Ci perdemmo in
svariate e lunghe discussioni dove mi ostinavo ingenuamente a difendere la mia
idea, ma non riuscii mai a persuaderlo. Sarebbe stato come convincere un ateo
dell’esistenza di Dio.
Io invece ero
convinto che Dio o chi per lui, governasse noi come governava il mondo e il
resto dell’universo, e l’energia che aveva generato i vampiri era la stessa che
aveva creato l’uomo e forte di questo, ho fatto il possibile per trasmettere
questa convinzione anche ai miei figli.
Ma Etienne
ridicolizzava il mio pensiero e si ostinava a sostenere la tesi contraria.
“No Carlisle,
convinciti. Noi non abbiamo un’ anima. Siamo dannati. Quanto prima ti
rassegnerai a questa verità, tanto meglio accetterai la tua natura e smetterai
di torturarti. Guarda me: io sono contento di quello che sono e prendo tutto
quello che viene.” E allargava le braccia in un gesto plateale.
“A te interessa una
cosa sola…”
“Sì, è vero! -
rideva – ma è il meglio che ci viene dato!”
“Il meglio? Ma non
ti senti limitato? Non ti sembra vuota la tua vita, perennemente uguale di
giorno in giorno?”
“Siamo immortali,
Carlisle! È una realtà che non possiamo cambiare. Che limite potremmo avere?
L’unica cosa che può ucciderci e la noia!! L’eccitazione del sangue, il piacere
violento della conquista, il potere di vita e di morte è l’unica cosa che fa
sentire vivi quelli come noi!”
Non c’era verso di
fargli comprendere il mio punto di vista.
Etienne era teso nel
perseguimento ossessivo di tutti i piaceri che la sua condizione gli dava e
nell’arco di oltre 150 anni aveva affinato ogni possibile strategia che gli
permettesse di raggiungere i suoi obbiettivi.
La sua tecnica di
caccia non aveva nulla a che vedere con quella di un qualsiasi altro vampiro
che uccideva gli umani. Le sue prede, solo donne, lui le seduceva, le irretiva.
Etienne riusciva molto bene in questo perché era un individuo estremamente
raffinato ed elegante nei gesti e negli atteggiamenti, e possedeva un fascino
ammaliante a cui le donne parevano non resistere: era questa la loro sventura.
Quando puntava una
delle sue vittime, questa non aveva scampo.
Un po’ tutti i
vampiri hanno questa capacità, ma in lui era sviluppata in sommo grado e sapeva
esercitare con notevole talento il suo ascendente in modo fatale: era il suo
potere.
Era lo stesso
carisma che ho potuto osservare in mio figlio Edward, ma lui non l’ha mai
esercitato fino in fondo.
Era lo stesso
fascino conturbante che ho trovato in Rosalie, esacerbato e nascosto dietro
all’astio di una vita mai voluta e vissuta con l’ amara consapevolezza di non
poter tornare indietro.
Probabilmente da
umano, Etienne doveva essere stato un libertino e aveva mantenuto questa
caratteristica anche da vampiro, perché la conquista erotica per lui era un
piacere unito a doppio filo a quello del sangue. La seduzione faceva parte del
gioco mortale e nel momento in cui l’atto culminava con l’estasi dei sensi, si
univa l’euforia dell’ appagamento della sete attraverso il sangue; all’apice
del godimento lui uccideva famelico, traendo da questo un piacere immenso.
Era l’essere più
sottilmente perverso che avessi mai incontrato; le nostre nature sembravano
troppo lontane, rendendo quasi impossibile qualsiasi confronto. Eppure, uno
strano giorno in cui mi sentivo più solo del solito, mentre annaspavo nel mio
sconforto, incredibilmente fu lui a toccare il nervo scoperto di ciò che mi
angustiava.
“Che cosa vorresti
davvero, Carlisle?” mi chiese con estrema serietà.
“Come? Non capisco…”
“Non vuoi bere
sangue umano, e va bene, ma devi ammettere che vorresti ci fosse qualcuno con
cui dividere l’eternità. Mi chiedo perché non ti sei ancora creato un compagno
o una compagna: non mi dirai che ti fai delle remore anche su questo, vero? Che
cosa aspetti? Che qualcuno te lo chieda spontaneamente?”
“Tu l’hai mai
fatto?” nella mia voce c’era una nota di apprensione.
“L’ho fatto e lo
faccio ancora se mi viene la voglia…” fu la sua frase lapidaria.
Ricordo che furono proprio
le sue parole a scatenare la mia inquietudine, ad accendere qualcosa nel mio
animo.
Nel tempo presi a
valutare la possibilità di crearmi un compagno, meglio ancora una compagna, ma
quell’idea fece sorgere in me altri dubbi e perplessità e fui molto restio ad
attuarla; era giusto condannare qualcuno alla mia stessa sorte? Togliere la
vita a una persona per il mio bisogno egoistico di non essere solo? Col rischio
poi, di creare un altro vampiro assetato di sangue che avrebbe distrutto altre
vite?
Non era un’azione
che potevo compiere con leggerezza.
Erano domande che
non potevo evitare di pormi.
Forse quello che io
ero diventato, dipendeva in massima parte da ciò che ero stato come uomo.
Avevo solo delle
teorie in testa, ma nulla era dimostrabile.
Soprattutto avevo
paura di commettere un errore, un’ ingiustizia che non avrei potuto riparare;
togliere la vita a un essere umano era un’ idea che mi atterriva, mi
disgustava, inoltre temevo che se avessi assaggiato per la prima volta il
sapore del sangue umano, non sarei più riuscito a fermarmi e mi sarei
trasformato nel mostro che fino a quel momento, ero riuscito con grande fatica
a soffocare dentro di me.
Quella era una
possibilità che dovevo considerare e mi lacerava.
Forse ero condannato
a restare solo. Avrei dovuto accettarlo.
Logorato dai miei
strani pensieri, mi sentivo inquieto e la tentazione di attuare il mio
proposito agitava il mio animo, ma ero troppo combattuto e insicuro sul da
farsi.
Capii che non era il
momento, non ero pronto a fare un passo simile.
Mi gettai ancora di
più nei miei studi di medicina e desiderai ulteriormente ampliare le mie
conoscenze.
Era passato qualche
decennio; per me era giunto il momento di lasciare anche la Francia che non
riusciva più a darmi quello a cui anelavo, ne a rispondere alle domande che mi
ponevo ancora, sulla mia natura e la mia condizione. Non avevo mai smesso di
interrogarmi sul problema se fossi dannato o meno, se la mia anima si era
smarrita anni prima a Londra o se avesse conservato la sua essenza. Lo speravo,
volevo crederlo, ma non avevo certezze, tranne quel sentimento di compassione
che continuavo a provare e che fortunatamente non mi aveva mai abbandonato. Era
la sola cosa che alleviasse la mia pena e l’angoscia che a volte affiorava,
quando sentivo che la mia esistenza non aveva senso.
Così ripresi la mia
vita errabonda, chiedendomi se mai avrei trovato un’ ultima dimora stabile in
cui trovare una quiete impossibile.
Varcai i confini e
arrivai in Italia. Il paese del sole.
Dovetti fare molta
attenzione a non rivelare il mio vero aspetto, così mi muovevo soprattutto sul
far del crepuscolo e nelle ore notturne.
Arrivai a Milano,
città all’epoca sotto la dominazione austriaca, e lì passai qualche anno
concentrato su nuovi studi di carattere scientifico.
Poi, in Toscana;
prima Firenze, città ricca di cultura e di storia che mi affascinò moltissimo
con le sue opere architettoniche e la sua arte rinascimentale.
Quello era uno dei
vantaggi di poter essere un vampiro immortale; la possibilità attraverso i
secoli e i continenti, di estendere all’infinito lo scibile umano.
Finché un giorno,
nel mio peregrinare, arrivai nella cittadina etrusca di Volterra; fu qui che
feci l’incontro forse più sconvolgente da quando era iniziata quella mia strana
disavventura, l’unico fino ad oggi che davvero mi abbia messo in crisi
facendomi quasi vacillare e dubitare della mia scelta…
Continua…
Nota: il personaggio di Etienne è puro frutto di fantasia e non conoscendo
affatto la letteratura vampiresca, se non il “Dracula” di Stoker, non saprei
dire se esiste un personaggio che in qualche modo gli somigli. Se voi ne sapete
più di me, magari fatemelo notare.
Ho pensato che questo vampiro libertino fosse una figura perfetta
da collocare nel periodo storico del ‘700, inoltre poteva creare un certo
contrasto con Carlisle. Ho alzato il raiting proprio per la descrizione che
faccio di lui e anche il prossimo capitolo potrebbe essere un po’ più forte,
rispetto ai primi. Ditemi che ne pensate.
Come sempre grazie di cuore per le vostre recensioni e per come
avete accolto la mia storia, tanto da metterla nei preferiti e seguiti, spero
che continui a incuriosirvi almeno un po’. Come sempre mi rimetto al vostro
giudizio.