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Autore: Tori    04/01/2010    0 recensioni
Creatura nata da amore proibito, soppresso nel sangue, affogato nella vergogna.
A tre giorni dal suo primo respiro, suo padre rinuncerà alla vita attraverso il suo stesso padre.
La creatura sarà marchiata come un animale, come un Mezzosangue, illegittimo figlio del Destino.
A sette anni da questo giorno, la madre deciderà della vita.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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12. Capacità
- Perché non la pianti di seguirmi?
- Seguirti? Ma che dici! È solo che…
- Solo che cosa? Non ho bisogno che tu mi segua perfino in bagno!
- Io volevo solo…
- Sparisci! O vuoi anche assicurarti che sappia distinguere il cesso dal lavandino?!
Adwen corse via, infuriata come le capitava poche volte di essere.
Quel ‘Matthew Leonard Jhonson’ non faceva che ronzarle intorno, accidenti!
Percepiva il suo sguardo continuamente addosso dal primo giorno di scuola. Ed erano passati quasi due mesi. Aveva un che di maniacale.
E poi non faceva che chiederle di uscire. Forse (e l’idea la faceva rabbrividire) era lei, sempre lei, la causa dei suoi terribili voti a scuola. Sperava vivamente di essere solo troppo presuntuosa da pensare una cosa del genere.
“Ci mancherebbe che quel cretino non studi per pensare a me”.
Si tappò nel cubicolo e ci restò fino a quando la campanella trillò la fine dell’intervallo. La ragazza tornò in classe aspettandosi di trovare il suo onnipresente compagno di banco fuori dalla porta, in ansia, a camminare su e giù farfugliando qualcosa tipo “Speriamo che la mia Adwen stia bene, senza di me per un quarto d’ora”.
E invece no: Matt non era nemmeno in classe.
Adwen tornò al suo banco, perplessa: non l’aveva mai nemmeno visto andare in bagno quando c’era lei, possibile che si fosse allontanato?
“L’avrò sconvolto con la mia crudeltà” pensò, sarcasticamente.
Ma eccolo di ritorno, sorridente e con una merendina in mano.
- Ecco – le disse, tornato al suo posto – È per te.
Adwen lo squadrò. Un pegno d’amore?
- È solo per scusarmi. Hai detto che avevi fame, venti minuti fa, no?
Continuò a squadrarlo sempre più preoccupata. Intanto, la professoressa Summers – la scoppiettante bionda che li aveva accolti il primo giorno di scuola – entrava, trascinandosi dietro il solito carico di libri e compiti da correggere.
Adwen farfugliò qualcosa sulla cioccolata, ma Matt la interruppe, solare:
- Volevo anche scusarmi. Credo, non so, di essermi comportato male prima. Voglio che tu sappia che ti credo in grado di distinguere un cesso da un lavandino.
Ridacchiarono.
- D’accordo – Rispose Adwen infine – Credo di poter accettare le tue scuse.
- Magnifico! – Esclamò Matt, al settimo cielo. E poi – Dì un po’: che fai sabato sera?
Peccato che qualcun altro non trovasse altrettanto interessante la loro conversazione.
- Signor Jhonson, che ne direbbe di fare anche con me una bella chiacchierata? Non so, per esempio a proposito della lezione del giorno?
Adwen gemette e appoggiò la testa sul banco.
 
Gli studenti confidano molto nella funzione salvifica dell’ultima campanella.
Così faceva anche Matt Jhonson, durante la sua incredibile – ed ennesima – scena muta della settimana.
Adwen non credeva alle sue orecchie. Non sapeva cosa pensare. O era davvero un cretino, e questo avrebbe spiegato perché un diciottenne frequentasse il secondo anno, oppure aveva dei difficili trascorsi familiari, che lo distoglievano dal lavoro scolastico.
Così, quando la campanella sancì la fine della giornata, e Matt tornò pigramente al suo posto con lo sguardo sconvolto della professoressa che gli perforava la nuca, Adwen lo fissò preoccupata:
– Non puoi essere così scemo da non capire queste cose. O sì?
Matt le sorrise, noncurante.
- Non fa niente. Recupererò.
Adwen alzò un sopraciglio.
- Dici sempre così e poi non succede mai. Un altro po’ e la tua media si potrà esprimere solo con numeri negativi.
Matt rise, preparando lo zaino.
Uscirono dalla scuola in silenzio e Adwen, quasi tormentata dai sensi di colpa, rimuginava.
Al cancello, si decise:
- Posso sapere cosa fai di così importante, il pomeriggio, da non poter studiare?
Matt la fissò e non rispose subito, preso in contropiede.
- Ehm…
- Computer? Oppure qualcos’altro…? – La ragazza lo incoraggiò, pronta ad accogliere qualsiasi risposta. O almeno la gran parte delle risposte.
- Uhm… Be’, io…
Molti studenti percorrevano quella strada, come loro.
Matt aspettò che arrivassero al semaforo prima di rispondere, in modo che la sua voce fosse coperta dalle chiacchiere degli altri. Parlò tutto d’un fiato:
- In realtà, io… Non riesco a non pensare a te.
Adwen accusò il colpo. Aprì la bocca, ma la richiuse subito dopo. Lui sembrava così dannatamente sincero. E bello.
Però era anche vero che l’ultima volta che un ragazzo le aveva detto una cosa simile non era andata così bene.
- Stai dicendo sul serio? – chiese con un filo di voce, fissandolo.
Matt le sorrise e le posò le mani sulle spalle, facendola arrossire terribilmente. Poi qualcosa s’incrinò nella sua espressione angelica e scoppiò in una fragorosa risata.
- Possibile che tu creda a ogni cosa che dico?
Adwen si liberò dalla sua stretta, e chiese, acida:
- Che vuoi dire?
- Ti sembra possibile che io passi tutto il mio tempo pensando a te?
Il caso volle che, dietro Matt, si fosse riunito un gruppo di bulli dell’ultimo anno, che si borbottavano improbabili imprese con altrettanto improbabilmente bendisposte, eleganti, popolari, libertine ragazze. Il genere di persone che s’irritano facilmente, pronte a dimostrare con i fatti la loro forza fisica e la loro arroganza.
Adwen li conosceva: erano particolarmente temuti, le loro imprese erano note a tutta la scuola e quasi nessuno poteva dire di non averli mai visti in azione, mentre distruggevano un bagno o chiudevano qualcuno in uno sgabuzzino, pestavano un ragazzino del primo anno oppure lanciavano la carta igienica per i corridoi. Detenevano il primato di sospensioni ed erano pure riusciti a farsi bocciare un paio di volte per restare insieme.
Lei stessa ci aveva perfino avuto a che fare più volte, anche se, in effetti, non erano mai arrivati alle mani.
Ma in quel momento d’ira e frustrazione, aveva buttato lo zaino a terra e chiuso fuori dalla mente tutto il mondo.
Si sentiva ferita, tradita. Se c’era una cosa che lui non doveva dire era quella.
Non pretendeva di essere nei suoi pensieri, per carità! Ma le faceva un gran male che lui, l’unico che provava interesse per lei almeno come amica, che volesse sempre parlarle, sentire la sua voce, starle vicino, ridere, scherzare, stare bene con lei, scherzasse su quelle cose, le ricordasse di essere così diversa… Dolorosamente diversa dagli altri…
Sbraitò un caustico “Vai a quel paese!” e lo spinse con forza, facendo cadere anche a lui lo zaino dalla spalla e mandandolo a cozzare proprio contro il più grosso di loro.
Quell’orco in giubbotto di pelle, altrimenti noto come Bruce, colto alla sprovvista vacillò e i suoi compagni sghignazzarono.
Matt, alto, bello, forte, gentile, non si scompose più di tanto:
- Scusa, mi dispiace. Non volevo…
Ma quel brutto orso alzò ghignante il pugno massiccio.
Adwen si accorse con disgusto che una parte della sua anima voleva ardentemente che Bruce lo colpisse e gli facesse del male. Eppure, d’altronde, Matt era per lei la cosa più vicina a un amico e – anche se le doleva ammetterlo – aveva imparato a volerlo così com’era.
- Non ti azzardare! – gridò allora all’energumeno, fuori di sé dalla rabbia. Era stata molto stupida.
Quello la guardò e la riconobbe.
- Ohò! Chi si rivede – rispose, abbassando il pugno. Spinse Matt di lato e si avvicinò ad Adwen, ergendosi molto più alto di lei.
- Che vuoi? – lo aggredì la ragazza.
- Mica mi faccio dare ordini da una donna, che credi.
Adwen sbuffò, divertita.
- Strano. O ci vedo male, Bruce, oppure non gli hai davvero fatto niente, come ti avevo chiesto.
Lui, arrabbiatissimo, senza scrupoli o freni inibitori, fece per mollarle uno schiaffone, ma lei lo evitò rapidamente.
Nella manovra, ovviamente, Adwen non si accorse dello sguardo rapito, ammirato, ma anche soddisfatto, di Matt, che da quel momento incrociò le braccia e si gustò la piccola zuffa.
Il ragazzone cercava di prendere la sua vittima alla sprovvista, menando le manacce di qua e di là in modo confuso, mentre tutti gli altri ragazzi fissavano inorriditi la scena, andavano via o perfino si azzardavano a fare il tifo.
Gli altri bulli del gruppo si limitarono a ridere a crepapelle del loro compagno, lasciando stare Matt.
Adwen se la cavava piuttosto bene, la cosa la divertiva: essere in grado di schivare ogni colpo, prendersi gioco dell’avversario, la sfogava, la appagava. Fino a che…
- Figlia di puttana! – imprecò, esausto, il ragazzone.
Adwen si bloccò a distanza di sicurezza.
- Cos’hai detto? – sibilò fra i denti – Come hai chiamato mia madre?
Ansimante, Bruce ripeté con gioia l’appellativo.
- Puttana! Puttana! – latrò.
Adwen cercò di essere ragionevole.
- Non ti azzardare mai più – bisbigliò, guardandolo con odio – Mai più.
Poi chiuse gli occhi, sforzandosi di scacciare dalla mente il ricordo degli allenamenti con nonna Ofelia: era in grado da molto di tempo di difendersi con quelle tecniche, ma adesso, davanti a tutti, non voleva esserci costretta dal suo mancato autocontrollo. Avrebbe perso Matt, se lui avesse saputo quanto diversa lei era.
Eppure, purtroppo, più cercava di trattenere quell’energia dentro di sé, più quella veniva fuori, invisibile a occhi umani, l’avvolgeva come una nuvola.
Evidentemente il Caso e la Fortuna non vollero accontentarla, e Bruce proseguì convinto:
- Perché? Secondo te cos’è? Non hai nemmeno un padre! Tua madre l’avrà data a qualche stronzo…
Adwen spalancò gli occhi solo mentre quel bastardo recitava quella frase e mozzò il fiato al suo aggressore come a tutti quelli che potevano vedere i suoi occhi: le iridi erano completamente bianche, s’intravedeva solo una lieve linea a delimitarla dal resto del globo.
Adwen intravide con dolore lo sguardo sconvolto di Matt, che la fissava a bocca aperta.
- Ti avevo avvertito – bisbigliò a Bruce.
Caricò il colpo spostandosi rapidamente in avanti. Tutto diventava sfocato, troppo luminoso…
“È vero” pianse nell’anima “Per me non c’è pace”.
Solo lei vedeva la luce che avvolgeva il suo corpo, la luce dalle sue dita.
Solo lei sentiva lo scricchiolio del fulmine che aveva evocato.
O così credeva.
Si scagliò in avanti, puntando al viso di quell’orribile ragazzo che le stava davanti, adesso sconvolto dal suo sguardo.
Ma non riuscì nemmeno a sfiorarlo: una mano forte e calda afferrò il suo polso, la riportò sulla terra…
- Adwen, guardami! – la voce di Matt, il suo viso perfetto… Si era messo in mezzo.
Ma, ancor più sorprendente, come aveva fatto a non restare folgorato? L’aveva toccata, ma…
Il fulmine si dissolse dalle sue dita, i suoi occhi tornarono del grigio abituale.
Barcollò, ma Matt la sorresse.
- Va tutto bene – la strinse con dolcezza, anche se i suoi gesti conservavano ancora una certa incertezza.
- No che non va tutto bene! – urlò Bruce – Credete che mi faccia mettere i piedi in testa da una coppietta come la vostra?!
Questa volta, se Adwen lo guardò con odio, Matt si girò verso di lui con il viso contratto dal disgusto.
- Ascoltami, non lo ripeterò – disse a voce alta, chiaramente – Ti do la possibilità di mettere da parte la tua stupidità, di girarti e tornare sui tuoi passi sano e salvo, dimenticando quello che è successo oggi. Ma se vuoi continuare, ti posso garantire che non durerai cinque secondi.
- Matt…? – Lo chiamò Adwen, mentre lui la scostava da sé e si avvicinava a Bruce.
- Allora? – continuò il giovane, con sicurezza.
Erano a meno di due metri di distanza.
- Ma sei scemo? Non me ne vado senza averti pestato a dovere, verme!
Matt rispose con un’alzata di spalle.
- Ok.
Un passo elegante in avanti, caricò il calcio e… Bam!
Lo prese in pieno sul lato destro della faccia, mandandolo al tappeto con un solo colpo.
Non si fermò a raccogliere i complimenti degli altri ragazzi, né a rispondere agli insulti spaventati degli altri bulli.
Semplicemente e senza fiatare, recuperò il suo zaino e quello di Adwen, se li buttò entrambi in spalla, afferrò lei per il braccio e la trascinò via.
Svoltato l’angolo, Adwen si divincolo dalla sua stretta.
- So camminare da sola, grazie!
- Scusami, è solo che… - Matt lanciò un ringhio irato e tirò un calcio all’aria – Quel… Quell’imbecille! Voglio dire, ti stava facendo scopr…
S’interruppe e si morse il labbro, mortificato.
- Lo so! - Adwen non sapeva che dire.
- Non preoccuparti, davvero. Ho capito – disse Matt, con naturalezza – Hai delle importanti “capacità”, direi.
Adwen si bloccò in mezzo alla strada.
- Che cosa vuoi dire? – ansimava. Aveva scoperto il suo segreto? Non poteva essere: non era la prima volta che usava i suoi “poteri”, nessun umano poteva percepirli.
Matt si girò verso di lei e le sorrise, enigmatico.
- Non ho mai incontrato nessun’altra come te – Adwen arrossì di nuovo – Quindi, voglio dire che mi è venuta un’idea.
- Cioè? – la ragazza non si sentiva ancora al sicuro.
- Io sono un ragazzo scapestrato, con un inesistente senso di responsabilità scolastica, ma per contro, carismatico, divertente, affascinante e di gran bell’aspetto…
- Hai dimenticato “modesto” – Aggiunse divertita Adwen.
- Esatto – proseguì Matt – Tu sei, invece, un genio in ogni materia, magari non divertente e affascinante quanto me, in effetti… Ma hai un talento per le zuffe e sai far paura… Per non contare il fatto che… Ehm… Mi piaci.
Adwen lo guardò.
- Perdi credibilità se fai così – gli rispose, lusingata, distogliendo lo sguardo per un secondo dai suoi bellissimi occhi scuri – Comunque… Che vuoi dire con questo infinito e imbarazzante preambolo?
- Propongo un patto – rispose Matt, sicuro, sempre sorridendo pimpante, come se cinque minuti prima non fosse successo niente – Tu mi aiuti a studiare. Io ti insegno a combattere.
Adwen non credeva alle proprie orecchie.
- Cosa?
- Ho visto che sei interessata, no? A giudicare dalla tua faccia quando fai a botte e dai tuoi movimenti, almeno.
Le porse la mano, lanciandole un’occhiata accattivante.
Lei lo fissò, piacevolmente incuriosita. Chissà, magari Matt non era poi così male.
La strinse, felice, lasciò perfino che l’abbracciasse…
- Si può fare – accondiscese Adwen – Ma dimmi: come hai fatto?
- Cosa?
- Prima.
Matt non rispose.


A prescindere dal fatto che è praticamente una vita e mezzo che non riesco a postare (Perchè? Dopo una settimana di compiti in classe e interrogazioni che nemmeno gli esami di stato e feste e parenti e amici e regali e impegni insindacabili di qua e di là… Nonfatemicipensare!), spero che il capitolo sia valsa l'attesa! ^O^

Ringrazio sentitamente tutti coloro che leggono, seguono e recensiscono questa storia, in particolare la mia adorata Tonno, che si mi sta aiutando molto. Sperando che non sia soltanto una mia vaga percezione, credo di stare migliorando almeno sotto alcuni aspetti, grazie al suo supporto morale (o dovrei dire vessazione sarcastica? xD).

Spero di buttare giù il tredicesimo capitolo il prima possibile.
Alla prossima ^^
Auguri a tutti (anche se passati)!!!
  
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