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Autore: Bellis    05/01/2010    2 recensioni
Un tentato furto in casa Watson apre le porte al delitto, ed il celeberrimo investigatore di Baker Street sembra essere l'unico al mondo in grado di sbrogliare la complicata matassa del mistero. Riuscirà ad aiutare il suo leale Boswell in queste oscure circostanze? [On Hiatus - e spero non per tre anni]
Genere: Avventura, Mistero, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di iniziare, vorrei ringraziare l'Autrice che ha accettato di fare da beta-reader a questo primo brano, dal momento che desideravo accertarmi che fosse all'altezza del fandom. Grazie, Bebbe, spero che il seguito non ti deluda, in caso contrario, rimango come sempre aperta a critiche, suggerimenti, stroncamenti netti, eccetera, mi sarebbero utilissimi :D

Ora, senza indugio. Iniziamo ad occuparci de

L'Enigma del Mosaico di Pietra


Capitolo I - Il signor Sherlock Holmes riceve un inaspettato cliente

Anche se i fatti che mi accingo ad esporre sono avvenuti più di tre anni fa, ormai, mi trovo ancora restìo a prendere in mano la penna per narrarli. Tale è stato il loro impatto sulla mia persona che, nel ritornare ad essi con la memoria, l'orrore e l'atmosfera malefica di quella nottata - uniti all'inevitabile ricordo delle tremende esperienze che seguirono quel cupo presagio - scuotono il mio animo come la tempesta un piccolo veliero.

Pure, questa vicenda che suscitò tanta inquietudine in me e nella mia povera moglie fornì al mio amico Sherlock Holmes lo spunto per una inusuale indagine, provvista di tutti quegli elementi che potevano incuriosire e risvegliare la sua mente, nonchè interessare quel pubblico che in precedenza aveva dimostrato interesse nei confronti delle sue straordinarie doti deduttive.

Se mantenere fluido ed in azione l'ingranaggio scientifico del suo fervido intelletto costituiva una necessità, per lui, il mio interesse in quella vicenda non fu casuale, o frutto dell'amicizia, o di prospettive letterarie: avevo assolutamente bisogno del suo consiglio ed aiuto.
Per la prima volta in vita mia entrai nel vecchio appartamento di Baker Street mostrando tutti i sintomi di agitazione e di sconcerto che tanto spesso avevo notato nel volto e nei modi dei clienti che si presentavano allo specialista.

"Le assicuro, mio caro Watson," esordì Holmes, versando con tranquillità una appropriata dose di brandy in un bicchiere, "che non l'ho mai vista così turbato."

Afferrai, con mano tremante, il recipiente che egli mi porgeva, ed abbassai gli occhi su di esso, sperando, in un inconscio impulso di dignità, di celare allo sguardo indagatore del mio amico almeno una parte della mia così evidente emotività.
"Ha ragione, Holmes." replicai, piuttosto in fretta, bevendo un sorso del liquido alcolico, ed avvertendo che le mie guance stavano riprendendo un poco di colore. "E le confesso, in tutta sincerità, che nemmeno una volta, dopo il periodo della guerra, mi sono ritrovato a sperimentare un tale turbamento."

Mentre parlavo, Holmes si era avvicinato alla sua poltrona, e vi sprofondò, rivolgendo la sua completa attenzione alla mia persona. Il fare sonnacchioso ed annoiato - io lo sapevo bene - nascondeva in realtà un profondo interesse. E, risollevando lo sguardo su di lui, potei osservare una nota di evidente preoccupazione nella fronte corrugata.
"Se la sente di parlarmi di ciò che è avvenuto stanotte?"

"Ma certo." replicai subito, aggrottando le sopracciglia nell'atto di riportare la mente a quella sequenza inesplicabile di fatti, di suoni, dai quali non riuscivo ad estrapolare un filo conduttore, nell'ansia del momento. Il peggior incubo di uno scrittore si rivelava a me in tutta la sua possente natura: non riuscivo a focalizzare il pensiero su nulla, le parole mi sfuggivano, prima a sillabe, poi a paragrafi interi, una dopo l'altra.

Sherlock Holmes si chinò in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia ed il mento ossuto sulle mani congiunte.
"Nella sua lettera della settimana scorsa ho potuto leggere che sua moglie è fuori città. Dunque ella non è stata presente ai fatti della nottata?" chiese, con un'occhiata incoraggiante.

"No, no." esclamai immediatamente, raddrizzandomi sulla sedia, "Grazie al Cielo, Mary non era in casa. Sebbene sia una donna di carattere, provvista di una grande forza d'animo, non so quale shock... ma, veniamo ai fatti." conclusi, proponendomi d'iniziare dal principio e di non omettere quei particolari tanto insignificanti ai miei occhi quanto preziosi per l'analisi razionale del mio amico.

"Rientravo, circa alle tre del mattino, presso il mio appartamento in Kensington Road, dopo una giornata di lavoro particolarmente intensa. In questo periodo, un paziente dalla grave e debilitante malattia mi costringe spesso a stancanti veglie notturne. Fornite le ultime istruzioni ai famigliari, mi incamminai lungo la via deserta e buia. Almeno un centinaio di metri separa le due abitazioni, e non accolsi con piacere l'opportunità di una passeggiata.

"Le oscure strade di Londra sembravano ancora più fredde ed umide, e, nei momenti in cui mi soffermavo al margine del lastricato buio, anche il più piccolo rumore mi avrebbe fatto sobbalzare. Ciò che sentii fu certamente sufficiente."

Holmes si era rilassato contro lo schienale della poltrona, giungendo in grembo le mani ed intrecciandone le dita affilate ed ossute. Le palpebre erano semichiuse, a mascherare la sua estrema attenzione al mio racconto. Bevvi un ultimo sorso di brandy, e continuai.

"Uno stridìo, Holmes, uno stridìo innaturale. Quasi diabolico, nel suono acuto. Assomigliava, per certi versi, ad un pianto singhiozzante di bambino, o al miagolìo disperato di un gatto. Ma non era nè l'uno nè l'altro, nè uomo, nè bestia, questo glie lo posso assicurare.

"Mi guardai intorno, nella fioca luce dei lampioni. Ero proprio al di sotto delle finestre che davano sul mio appartamento. E mentre alzavo lo sguardo sulla vetrata che illuminava la stanza da letto, vidi, oltre la tenda, una forma disumana e grottesca."

"La luce era accesa?" chiese improvvisamente il mio amico, aprendo gli occhi grigi e scrutandomi attentamente, scuro in volto.

Deglutii, "Più che la luce d'una lampada, sembrava la fiammella di una candela. Tengo sempre qualche candela sul piano di legno dello scrittoio, nella camera." balbettai, in una spiegazione, temo, piuttosto confusa.

Holmes annuì e si riadagiò nella sua postura rilassata e decisamente ingannevole, per uno sconosciuto. Assottigliò lo sguardo, socchiudendo le palpebre.
"Come ha deciso di agire, dunque?"

Riflettei attentamente. Immagino che il mio volto si fosse adombrato, al ricordo del rapido conflitto che ebbe luogo nel mio cuore per pochi momenti. Dovevo fuggire, di fronte a quell'inaspettato evento, cercare un conestabile, mettermi in contatto con la polizia centrale, oppure disdegnare il loro lento ausilio ed affrontare quella creatura - di qualunque cosa si trattasse - da solo?
"Beh, Holmes, avevo con me il bastone dal manico metallico, e non potevo proprio sopportare l'idea di un furto perpetrato dinanzi ai miei occhi, in casa mia. Così, mi avvicinai alla porta, trovandola aperta, la serratura forzata, e..." spiegai, brevemente.

Un breve sorriso comparve sul viso del mio amico.
"... e fece irruzione, com'era prevedibile, conoscendo la sua indole sentimentale ed impulsiva - ma non ho intenzione di interromperla, Watson." aggiunse in fretta, giacchè stavo per controbattere, "La prego, prosegua."

Sollevai le sopracciglia e continuai nella mia esposizione.
"Le scale erano buie, e non osavo accendere un fiammifero per illuminare l'andito che conduce alla porta del salotto. Ma la mia cautela non servì a nulla. Evidentemente, qualunque presenza permanesse in quella casa, aveva avvertito il mio arrivo, perchè udii un rumore soffocato provenire dall'asse di antico legno. Tenni ben stretto il bastone, sollevandone il manico e preparandomi a colpire... ciò che sarebbe fuoriuscito.

"Fu solo un battito di ciglia, Holmes, solo un attimo, prima che una strana creatura, dalle sembianze semiumane, mi travolgesse. Tentai di calare il bastone su quella massa deforme, ma fui atterrato, ed udii distintamente una voce d'uomo emettere un secco ordine, come un comando, e distinsi solo la parola 'Qui', pronunziata con accento deciso; riuscii ad afferrare il braccio di folta peluria che mi aveva gettato a terra. Sembrava un qualche tipo di animale."

Holmes aveva riaperto gli occhi e mi osservava, preoccupato.
"La voce d'uomo," iniziò, con voce tranquilla e quieta, "aveva un accento particolare?"

Aggrottai le sopracciglia nello sforzo di ricordare.
"No, non... mi sembra. In verità, ho distinto ben poco di quel che disse. Parlava in un sibilo, in un sussurro."

"Potè vederlo in volto? Distinguerne le fattezze?"

"Per nulla, Holmes." risposi, desolato dalla mia incapacità di rendere maggiori informazioni, "Mi trovavo nel buio più completo."

Il mio amico annuì e sul volto affiorò un secondo, lieve sorriso d'incoraggiamento.
"Immagino che quella strana coppia - l'uomo e la creatura - si sia data alla fuga."

Annuii, "Sì, infine fuggirono entrambi. Ma non prima che quella bestia affondasse i denti nel mio avambraccio." con una nota di disappunto nella voce sollevai il braccio destro, facendo ricadere leggermente indietro la manica della camicia bianca.

Holmes balzò in piedi e si accostò alla mia poltrona. Comprendendo le sue intenzioni - da scienziato, avrebbe certamente voluto esaminare tutti gli indizi possibili riguardanti la colluttazione - avevo già slacciato il bottone del polsino e mi stavo apprestando a rimuovere il bendaggio leggero che avevo applicato sulla parte lesa dopo aver provveduto all'opportuna disinfezione.

La pelle era arrossata ed ancora sanguinante ai bordi della ferita, piuttosto irregolari e lividi. I segni erano ben definiti ed evidenti soprattutto nella parte sottostante dell'avambraccio, dove la dentatura dell'animale non aveva incontrato la resistenza dell'osso. Il mio amico avvicinò l'arto alla luce e lo osservò accuratamente, col suo fare distaccato ed asettico.

"Cosa ne pensa, dottore?" chiese infine, dopo un lungo silenzio.

"Sembrerebbe quasi il morso di un primate."

I suoi occhi grigi saettarono nella mia direzione, "Precisamente. E un primate di media taglia, a giudicare dall'estensione dei segni." indicò le lacerazioni meglio visibili perchè più dolorosamente impresse nella carne. "Guardi questi tagli quasi riuniti."

"Corrispondono, come posizione, agli incisivi inferiori."

"Giusto. Nota nulla di strano?"

Portai la mia attenzione sull'oggetto delle sue affermazioni, ma infine scossi il capo, non riuscendo a capire a cosa l'investigatore si stesse riferendo.

"Sono inclinati verso l'esterno, Watson." mi spiegò, "E sono appuntiti, estremamente affilati. Ora, vede invece i punti laterali della ferita. Sono arrotondati e più profondi."

"I canini!" esclamai, iniziando a capire. "Solo una dentatura massiccia avrebbe potuto lasciare marchi così netti."

Holmes accennò in senso affermativo, rilasciando la stretta sul mio polso ed avvicinandosi al suo sterminato archivio, che percorse avanti e indietro con lo sguardo, "Vede, vecchio mio, esistono innumerevoli arti a questo mondo che non sono sufficientemente apprezzate per il loro valore pratico. Lo studio della dentatura e della conformazione cranica dei mammiferi non solo ha fatto progredire considerevolmente le scienze geologiche, tracciando la linea dell'evoluzione umana [1], ma trova spesso applicazione anche nella criminologia, come lei può ben immaginare."

Prese un tomo dalle dimensioni notevoli, simile ad un atlante, e lo aprì sul tavolo, sfogliando le pagine sino a raggiungere quella che cercava, "Cosa ne dice, amico mio?"

Mi chinai sul disegno annotato del cranio di un animale esotico il cui nome avevo già sentito nominare, "Un babbuino." studiai per alcuni momenti gli schemi, "Questa raffigurazione coincide in modo impressionante con i segni lasciati da quell'animale!"

Il mio camerata aveva iniziato a camminare avanti e indietro attraverso il salottino, "Vi sono degli ulteriori dettagli in quell'enciclopedia? Bene. Legga ad alta voce, la prego."

Obbedii prendendomi sulle ginocchia il libro per riuscire ad intendere con più prontezza la calligrafia dell'autore, "'Originari del Vecchio Mondo, questi primati della famiglia dei Cercopitechi possiedono una rigida gerarchia, che ne ha reso molto interessante ed attuale lo studio dal punto di vista sociologico. I babbuini sono diffusi in tutta l'Africa, fatta eccezione per la parte nord-occidentale. Il loro habitat naturale sembra infatti essere la savana, provvista di boscaglia bassa, o foreste dall'aspetto semidesertico e rado.' Ma, Holmes: l'Africa! Come può una bestia nativa di quei luoghi essere giunta sin qui, in Inghilterra? E perchè mai qualcuno dovrebbe tenerla come un animale da compagnia?"

Sherlock Holmes si era fermato e mi guardava con aria seccata. "Ah, Watson." scosse il capo, bruscamente, "Lei mi sta chiedendo di tirare a indovinare! Non vi sono fatti, attualmente, che possano rispondere alle sue domande." agitò una mano, borbottando tra sè, "Tuttavia possiamo, con un semplice procedimento associativo, determinare che il suo aggressore è un primate appartenente a quella specie. Il che renderà immensamente più facile l'individuazione del suo complice umano."

Misi da parte il volume, passandomi una mano sul volto, frustrato. Mi rendevo conto che gli interrogativi posti al detective erano probabilmente ancora privi di una risposta, ed il suo contegno era pienamente giustificato. Avvertivo però uno strano senso di coinvolgimento in quella faccenda, e percepivo che quelle circostanze tanto inusuali erano il preludio a qualcosa di più grande.

"Dottore," mentre rimuginavo, l'investigatore si era avvicinato a me, "Non ha concluso il suo racconto, credo."

Era vero: e non riuscivo a spiegarmi come avesse fatto a capirlo. Ma cessai di arrovellarmi il cervello ed annuii appena. Cercai un minimo di concentrazione e ritornai a poche ore prima, nel momento in cui avevo rinunciato all'idea di inseguire i due ladri - chissà se mai essa aveva veramente sfiorato la mia mente! - e mi ero precipitato all'interno dell'appartamento.

"Il salotto e la stanza da letto erano sottosopra. Ogni cassetto del guardaroba di Mary sembrava essere stato rivoltato, mentre la mia scrivania, incredibilmente, era intatta. Ebbi l'istinto di iniziare a frugare dappertutto anch'io, cercando di stimare quanto i criminali avessero sottratto, ma immagino che il mio inconscio avesse già maturato l'idea di recarmi da lei senza indugio, perchè mi trattenni ed uscii subito."

Il mio interlocutore sedette di fronte a me, sul divano, e stette senza parlare per parecchi minuti, immerso nelle proprie riflessioni. "Ha fatto bene." approvò, "Però, sento che c'è un altro particolare mancante."

Accennai un sorrisetto, ancora una volta stupito da quel vivido intuito: non sarei mai riuscito a nascondergli nulla. "Ecco, non ho controllato ancora, ma credo di aver visto sul tappeto, proprio accanto al tavolino di mia moglie, l'astuccio di una sua collana di pietre lavorate, dono della signora Forrester per il suo scorso compleanno. Era vuoto, e il gioiello non era nei pressi."

Il detective giunse le punte delle dita di fronte a sè, appoggiandosi allo schienale del divanetto e collocando diligentemente questa ultima informazione nel suo bilanciato sistema di equazioni in via di costruzione. Io lo fissavo in silenzio, fantasticando sulle complesse e lunghissime catene di cause ed effetti che si nascondevano dietro la fredda nebbia grigia delle sue iridi.

"Holmes." lo richiamai alla realtà, quando il silenzio e l'agitazione mi parvero troppi, "Mi giudicherà una persona dalla fervida immaginazione, ma ho un brutto presentimento. Il modo in cui questo furto si è svolto... mi riesce inspiegabile." esitai, sbirciando il suo volto, "Lei potrebbe venirne a capo. Lo farà, vero?"

Si trattava di una vera e propria richiesta di aiuto, sebbene mascherata da tutte quelle convenzioni sociali che la nostra civilizzata Inghilterra ci imponeva. Il mio amico lo sapeva bene. Scorsi l'ombra di un sorriso distendere i suoi lineamenti ascetici, ed egli si allungò ad appoggiarmi una mano sulla spalla.
"Preferirei non indulgere alla sua fastidiosissima abitudine di affermare l'ovvio, mio caro amico."

E dopo questa teatrale ed obliqua replica, si avviò rapidamente alla porta. Quella sua improvvisa esplosione di energia lo avrebbe fatto sembrare un altro, agli occhi di un estraneo, rispetto al tranquillo pensatore di Baker Street che era stato fino a pochi secondi prima.
"Andiamo, Watson!" esclamò, afferrando soprabito, bastone e cappello.

"Dove?" chiesi, seguendolo istintivamente.

"A Kensington Road." rispose, con impazienza. "Svelto, o quella carrozza svolterà l'angolo della strada senza averci visti."

Feci appena in tempo ad oltrepassare la soglia della porta prima che lui la riaccostasse.


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[1] : Kia mi ha detto che la pubblicazione delle opere di Charles Darwin risale alla prima metà dell'Ottocento, ovvero prima che questa vicenda avesse luogo. Io le credo e la ringrazio dell'informazione. -- Torna SU

Note dell'Autrice
Il mistero inizia a delinearsi, ma per ora le domande sono davvero tante.
Chi è l'uomo che ha aggredito il caro dottore? Per quale motivo si portava appresso una bestia non certo considerabile come animaletto domestico? Cosa lo avrà spinto a penetrare in casa sua e rubare la collana della signora Watson?
Ah, la smetterò, prima che il nostro Holmes esca dalla fanfiction e protesti per il mio blaterare a vanvera! :P
Vedrai, vedrai che nel prossimo capitolo tutto sarà più chiaro.
Forse.

A presto!


   
 
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