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Autore: Leyla Malfoy    06/01/2010    0 recensioni
Hogwarts...all'epoca dei malandrini... sogni, conquiste, speranze e avventure dei Serpeverde e dei Grifondoro all'epoca dei Malandrini
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lucius Malfoy, Nuovo personaggio, Rodolphus Lestrange, Serpeverde
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’infinito potere di una porta

Rosnake non voleva che Joe MacMillan le portasse la borsa con i libri di aritmanzia, sebbene fosse tanto pesante da trascinarla verso terra a ogni passo. Non voleva che Joe accorciasse le proprie falcate per starle accanto, o che cercasse di tenere viva una conversazione a base di luoghi comuni. E, per la misericordia di Nostradamus, non voleva essere obbligata a conversare con lui sul tempo.

“Oddio, che sbadata” squittì, lasciando cadere la cartella, che si rovesciò spargendo ovunque boccette d’inchiostro, piume, pergamene, assorbenti (malediz!). “Oh, Joe, vai pure, io devo raccogliere questo macello. Accidenti ...”

“Non preoccuparti” la rassicurò quel miracolo di inopportunità vivente. “Ti do una mano, guarda ...”

“No!” esclamò Ros, decisamente troppo precipitosa. “No, cioè, dicevo, vai pure! Non è proprio il caso, sai, raggiungi i tuoi amici, ecco!”

“Beh, okay ...sei sicura che?”

“Sicurissima. A venerdì!”

Lo guardò allontanarsi con un senso di sollievo che le attraversò il corpo, facendole sentire quanto fosse stanca. I muscoli del collo si erano dimenticati come sostenere la testa, e la schiena ormai somigliava a un fascio di cordame impossibile da districare. Avvertiva una strana pulsazione ai polpacci, e la spalla sinistra, quando la ruotava, le provocava ancora qualche fastidio. Per un istante, rivide il volto livido di Potter, la sua espressione sconvolta, e si morse il labbro con tanta energia da avvertire il sapore del sangue.

Arrivata in sala comune, trovò Lucius addormentato sulla poltrona più vicina al fuoco, il libro di trasfigurazione aperto in grembo. Con un sospiro, Ros glielo sfilò dalle mani e lo pose sul tavolo, gli tolse le scarpe e gli appoggiò sulle gambe un golfino dimenticato da qualcheduno (Rabastan? Uno sconosciuto?) sulla sedia lì accanto. Lo guardò per un istante, un ragazzone di un metro e ottantacinque assopito come un bambino, la bocca semiaperta. Vedere Lucius, dopo quello che c’era stato tra loro, faceva nascere in lei vari sentimenti, non ultima una tenerezza quasi dolorosa. Gli soffiò un bacio sulla guancia e salì in dormitorio.

“Ciao” sbuffò Leyla, appollaiata sul letto con la piuma d’oca tra i denti. “Scusa se non siamo venute a prenderti, ma Dawn dev’essere ancora da qualche parte nel parco, a congelarsi le chiappe ... oh, dannazione” una piccola macchia d’inchiostro si stava allargando al margine del foglio, a coprire le ultime parole frettolosamente scarabocchiate. La bionda imprecò.

“Non fa niente, figurati” replicò Ros, sarcastica “mi avete solo abbandonato alla mercé di Joe Acne Macmillan ...”

“Non mi dire!” rise Lelly, glaciale come al solito “Ancora non si è rassegnato?”

“Direi di no. Bah, senti, io vado a farmi un bagno.”

“Brava” disse distrattamente l’altra, alle prese con la cancellazione magica delle varie patacche sulla pergamena. “Se quell’essere ti ha toccato, in effetti ...”

“Dai, scema!” ridacchiò la bruna, mettendo in una borsa accappatoio, ciabatte e il suo preziosissimo (indispensabile, in effetti) shampoo districante “per ricci domati senza fare un sol capriccio”. “Allora, magari raggiungimi con Dawn, quando arriva, io lascio aperto così potete entrare. Mi aveva promesso che mi faceva i capelli, ora che ci penso.”

“Ne hai un gran bisogno, tesoro.” Wow. Grazie.

“A dopo, allora.” La baciò frettolosamente. “Salutami la simpatia, eh”.

Il cuscino la prese in pieno sulla nuca mentre correva verso le scale.

 

ab

Dawnrose si alzò dalla sponda del lago.

Era una bella giornata, nonostante fosse novembre inoltrato. Il sole illuminava il prato e faceva scintillare l’acqua del lago di riflessi argentati, ma non scaldava. La ragazza si strinse nel maglione nero con ricamato sopra lo stemma verde e argento di Serpeverde, rabbrividendo. Non c’era quasi nessuno nel giardino. Rosnake era a lezione di aritmanzia, Leyla si stava portando avanti con i compiti in sala comune e i ragazzi avevano organizzato un torneo di scacchi, decretando che il tempo non era abbastanza bello per uscire. Lei però non aveva voglia di passare tutta la giornata chiusa nel castello, e poi le faceva piacere, in fondo, avere qualche momento tutto per lei. Amava i suoi amici, ma dentro era una persona solitaria, e certe volte sentiva il bisogno di scappare dalla confusione generale e ritagliarsi qualche momento tutto per lei. Ma cominciava a fare troppo freddo, ed aveva promesso a Leyla di tornare presto. Mentre si incamminava verso il portone di quercia semiaperto, però, una voce la costrinse a fermarsi. “Malfoy!”

Per un istante si chiese se fosse rivolto a lei o ai suoi fratelli, ma erano entrambi in Sala Comune. La ragazza si voltò. Qualche metro più indietro c’era Sirius Black. Dawnrose si fermò, mentre il  ragazzo affrettava il passo per raggiungerla. Era molto strano che un Grifondoro, e per di più amico di Potter, la chiamasse in mezzo al giardino.

“Ciao.” Le sorrise Sirius, arrivandole accanto. Dawn fissò il ragazzo per qualche attimo, chiedendosi come una persona del genere potesse avere amici come Potter... Sirius era così... così...

Decise che era meglio rispondere e non rimanere lì a guardarlo. Avrebbe voluto dire “Dimmi cosa vuoi e poi vattene con i tuoi stupidi amici!”, ma tutto quello che le uscì fu: “Ehm... ciao.”

Il ragazzo sorrise di nuovo e cominciò a camminare lentamente verso il castello. Dawn si affrettò a seguirlo. “Che ci fai qui da sola?” chiese lui, voltandosi a guardarla.

“Potrei chiederti lo stesso...” rispose la ragazza, e stavolta fu lei a sorridere.

Sirius ricambiò. “Beh... a volte ho voglia di starmene un po’ per conto mio... E, detto fra noi, certe volte James è davvero insopportabile.” Il suo tono era leggero, ma Dawn capì che ammettere quello davanti a una Serpeverde doveva essere abbastanza difficile. “E tu?”

La ragazza rimase un attimo in silenzio. “Lo stesso per me. Beh, a parte James, naturalmente.” Gli sorrise. “Certe volte mi va di stare da sola.” Si chiese perché stesse dicendo tutto questo a Sirius Black, e si disse che non ne aveva idea.

“Esatto, anche a me.” Sembrava quasi sorpreso di aver qualcosa in comune con lei.

Ormai erano arrivati davanti al portone. Entrarono, continuando a parlare, e Dawn notò un gruppetto di Grifondoro del terzo anno che li guardava male. E in quel momento si rese conto dell’assurdità della situazione: stava camminando accanto a Sirius Black e stava anche avendo una conversazione mediamente intelligente con lui. Quando arrivarono davanti alle scale la ragazza si fermò, ma Sirius non accennò minimamente ad andarsene. “Non vai in Sala Comune?” gli chiese di getto. Non che volesse non stare più con lui, ma era comunque curiosa.

Sirius sorrise, un sorriso così luminoso che Dawn sentì un gruppetto di dodicenni accanto a lei trattenere il respiro. “No, ti accompagno.” rispose, tranquillo.

La ragazza sentì come se dell’elettricità statica le stesse passando attraverso il corpo. “D’accordo.” Fu tutto quello che le uscì dalla bocca. C’era un’atmosfera quasi irreale, mentre i due scendevano le scale dirette ai dormitori di Serpeverde. Era come se si muovessero dentro un sogno. Parlando, i due arrivarono troppo presto davanti alla porta col serpente. E Dawnrose si rese conto che non aveva la minima voglia di pronunciare la parola d’ordine e andarsene. Perché farlo, in fondo? E poi, non stava facendo proprio niente di male: parlava con un suo compagno in un corridoio. “Sì, magari fosse così semplice.” Le disse quella fastidiosa vocina che, ultimamente, la veniva a trovare sempre più spesso. “Cosa ti direbbero gli amici se ti vedessero chiacchierare amabilmente con un Grifondoro amico di Potter? Dopo quello che è appena successo, poi.” In quel preciso istante la ragazza sentì qualcuno che, nella Sala Comune, stava venendo verso la porta. Meglio rientrare.

Si rivolse a Sirius. “Vado, Black. Ah, e sappi che se quell’idiota di Potter osa anche solo fissare troppo a lungo Rosnake o chiunque altro di noi non ci sarà nessuna indulgenza. Andrò personalmente a spaccargli la faccia. Intesi?” Il ragazzo la fissava a metà tra il sorpreso e il divertito.

“Ciao ciao.” E, con un sorriso, Dawnrose sparì nella Sala, sventagliando all’indietro i lunghi capelli biondi.

Sirius rimase qualche istante a fissare la porta chiusa, poi si voltò e tornò verso il suo dormitorio, senza accorgersi che stava ancora sorridendo.

Dawn entrò nella Sala Comune. Faceva decisamente più caldo che in corridoio, ma la ragazza si accorse che aveva più freddo di quando parlava con Sirius. Non fece in tempo a soffermarsi su questi pensieri: era Rabastan il ragazzo che aveva sentito avvicinarsi.

“Ehi! Ma dov’eri? Leyla ti sta aspettando da un quarto d’ora abbondante... e sta un po’ sclerando.” L’amico la fissava con seria apprensione, e a Dawn venne da ridere. Ma si trattenne.

“Ve l’ho detto, ero al lago.” “A parlare con Sirius!” le fece notare la vocina. E allora? Glielo doveva dire? No. Inoltre, non erano affari di Rabastan.

Il ragazzo la fissò intensamente. “Solo? Mi è sembrato di sentirti parlare con qualcuno prima...” Gli occhi verdi di Rabastan la squadravano. Si sentiva sotto interrogatorio.

“Sì, è vero. Stavo parlando con Sirius. Problemi?” Dillo, Dawn. Dillo. Dillo! “No, non stavo parlando con nessuno. Avrai sentito male.” Non voleva iniziare a mentire al suo migliore amico di una vita, ma allo stesso tempo voleva tenere per sé tutto quello. Rab la fissò ancora per qualche istante, e lei sostenne il suo sguardo, saldamente. Alla fine il ragazzo si voltò e cominciò ad andare verso le poltrone. “D’accordo. Andiamo, dai.” Fu tutto quello che disse.

Appena la vide, Leyla scattò in piedi, gli occhi fiammeggianti. “Dawnrose, ma dov’eri?!” La sorella non le lasciò neanche il tempo di rispondere. “È già passata Ros a dirmi di raggiungerla al bagno dei prefetti... Meno male che la dovevamo andare a prendere ad aritmanzia!”

Dawn spalancò gli occhi: possibile che fosse così tardi? Lanciò un’occhiata all’orologio. Eh sì. Si era fermata a parlare un po’ troppo. Si rivolse alla sorella. “Dai Lelly, per una volta che sono arrivata in ritardo puoi anche chiudere un occhio...” sorrise, sperando di chiuderla lì.

Fortunatamente per lei, Leyla doveva essere molto stanca, e lasciò cadere la cosa. “Vabè, dai... muoviti, andiamo da Ros!” sbottò, con un gesto della mano.

Dawn sparì su per le scale. “Arrivo subito.”

Il dormitorio era vuoto. La ragazza entrò in bagno, spazzolandosi i capelli. Fissò per qualche istante il suo riflesso nello specchio. Spesso non capiva perché ci fossero così tanti ragazzi che la trovavano bella. Sì, certo, bella lo era, ma non capiva perché, ad esempio, non guardassero di più Rosnake. Aveva sempre trovato così bella la sua amica, “Una bellezza in miniatura” come diceva sempre Ariadne Lestrange, così diversa da lei. Quei suoi capelli neri, quella faccia così innocente e quel suo sorriso che scaldava direttamente il cuore la rendeva, agli occhi della giovane Malfoy, bellissima. E anche Leyla era bellissima secondo lei. Mentre Dawn era troppo (troppo alta, troppo bionda, troppo pallida), Leyla era perfettamente equilibrata: era più alta di Ros e più bassa di Dawn, aveva dei perfetti boccoli dorati e la pelle un po’ più colorita di quella della sorella. Sospirò, allontanandosi dallo specchio e lanciando un’occhiata fuori dalla finestra. Sirius stava studiando assieme a Remus sotto la vecchia quercia. Si fermò qualche istante ad osservarli. Si chiese se anche Sirius avesse tenuto per sé il loro incontro o se ne stesse parlando con l’amico. “Ma perché diavolo stai dando così tanto peso a questa cosa?” le chiese la vocina. Non seppe rispondere. Forse era per il sorriso di Sirius, o per i suoi occhi così neri che...

“DAWNROSE!!” La voce di Leyla non era per niente rassicurante. Dawn si lanciò giù per le scale, pensando che, quel giorno, ne stavano succedendo parecchie, di cose strane. Solo che non pensava che la più bizzarra dovesse ancora accadere.

ab

La porta del bagno dei prefetti era in lucido legno scuro, con una piastrina intagliata che recitava “vietato l’accesso agli studenti non autorizzati”. A quelli senza agganci, piuttosto. La parola d’ordine per entrare in quel bagno era utilizzata con preziosa merce di scambio da tre quarti di Hogwarts.

In effetti, quella stanza non aveva nulla in comune con gli ordinari servizi degli studenti. Era di dimensioni notevoli, e una gigantesca vasca interrata troneggiava al centro, tra le colonne. La cosa migliore, però, erano le centinaia di rubinetti dorati, ognuno dei quali emetteva un bagnoschiuma diverso, alcuni dei quali davvero assurdi. Il preferito di Ros produceva enormi bolle rosa fucsia impossibili da affondare e di consistenza collosa, che fluttuavano sulla superficie dell’acqua.

Pregustando la sensazione dell’acqua calda sulla pelle, la ragazza mormorò “Acquazzurra!” e spinse la soglia con la spalla, entrando a ritroso. Solo che andò a sbattere contro qualcosa. Qualcosa di solido. Qualcosa di umano.

“Ah!” strillò, sorpresa, girandosi. Così facendo, urtò la porta, che si chiuse saldamente alle sue spalle. Mio dio. Mio dio, no. Silurare Macmillan era un mio diritto. Non ho fatto nulla di male. Ma perché, perché?

“Bella mossa, bella mossa davvero” l’aggredì James Potter, che stava ritto di fronte a lei, umido e privo di qualunque indumento, ad eccezione di un asciugamano striminzito che gli ricopriva le cosiddette pudenda. Per un attimo, fu certa di essere precipitata in un incubo, e soppresse il desiderio di darsi un pizzicotto. Quell’essere spregevole pareva perfettamente a suo agio, ma la collera gli imporporava le orecchie e la fronte. 

 “Tu ... io ... no ... torno d-dopo” balbettò Ros, sul punto di morire lì, soffocata dalla vergogna. Aveva fissato gli occhi sul punto che le pareva meno sconveniente, cioè l’incavo del collo del ragazzo, là dove la pelle rosata si tendeva sulla fossetta delle clavicole. Appoggiato in quel punto esatto, c’era un piccolo ciondolo di legno, attaccato a una stringa di cuoio. Il contrasto tra il color carne e il bruno le si impresse negli occhi, e le rimase davanti, come un monito, mentre tentava di aprire la porta e di uscire fuori, nel mondo civile, dove la gente era asciutta e vestita. Solo che- se ne rese conto con un’ondata di puro orrore- quella stramaledetta porta rifiutava di obbedire.

“Ma che brava” Potter sollevò un sopracciglio “Hai vinto la bambolina.”

“E’ ...” balbettò Ros, incoerente “E’ ...incastrata?” No, ti prego, ti supplico, no. Non puoi farmi questo. Non chiusa in bagno con un Grifondoro nudo. Queste cose non succedono, non nella vita reale.

“Ottimo, Lestrange” sputò il Cercatore fuori dai denti. “A quanto pare, si apre solo dall’esterno. E tu, stupida ragazzina, hai appena bruciato una possibilità di tirarci fuori di qui.”

“Ma ... la bacchetta ...” gemette la Serpeverde. “Non puoi ... non sai?”

“Se mi fossi portato dietro la bacchetta, credi che sarei ancora qui?”

“Io ce ...” no, no, no! “Non ce l’ho!”

“Ecco, mi pareva. Inutile fino al midollo, eh?” Potter era senza occhiali, e per la prima volta Rosnake fu sottoposta allo sguardo diretto dei suoi occhi nocciola. Si sentiva nuda, come se fosse stata lei quella appena uscita dalla vasca da bagno.

“Ma chi ti credi di essere, scusa?” ringhiò, stringendosi le braccia al busto. “Non sono io che ho rotto la porta!”

“Sì, perché adesso è colpa mia se siamo chiusi qui, eh?” la rabbia storse per un attimo i tratti del Grifondoro, e Ros sentì un fulmine di dolore attraversarle il braccio sinistro.

“Beh, mi sembra che tu sia famoso per distruggere le cose.” Disse, le labbra serrate. Per la prima volta in dieci minuti, James  apparve veramente colpito. Un’ombra gli oscurò il viso, mentre il suo sguardo corse all’avambraccio di lei, piegato contro il petto. La carnagione scura di Ros era priva di pecche, macchie o lentiggini, e quel polso talmente sottile. Come aveva potuto accanirsi così, torcerlo tra le dita, fino a sentire il dolore che gli scorreva lungo le vene? Come aveva potuto piegare un corpo così fine e fragile? Aveva la nausea.

Improvvisamente, il Cercatore si sedette sul porta asciugamani lì a fianco e prese la testa fra le mani.

“Okay, basta” sospirò “Pensiamo piuttosto a come tirarci fuori da questa situazione”.

“Idee?” chiese Ros, amara. Si appoggiò al muro e incrociò le braccia dietro la schiena. “No, perché io la vedo un po’ buia.”

“Beh, e allora cosa dovremmo fare? Stare qui a fissarci? Non è che crepi dalla voglia di sprecare un pomeriggio a litigare con te.”

“Perché, pensi che io sia felice di condividere uno spazio ristretto con te?”

“Certo” James si alzò pigramente, stiracchiandosi con una certa intenzione “Dai, chi non vorrebbe essere bloccata in bagno con un simile ben di dio?” Ha ragione, ha ragione, ha ragione. A differenza di Lucius, che era molto alto e aveva le spalle ampie tipiche dei Malfoy, Potter era di statura media e snello, il tipico fisico da Cercatore. Aveva lunghe gambe adatte alla corsa, con i polpacci muscolosi e cosce nervose, lo stomaco piatto, gli addominali in rilievo, come disegnati in un modello teorico del colpo umano. I pettorali perfettamente definiti le si stagliavano davanti agli occhi, un buon elemento di distrazione.

“Forse è ora di scendere dal piedistallo, ragazzino” sbottò, sperando di non arrossire. “In effetti, forse è proprio ora di rivestirsi.”

Erano di nuovo ritti uno di fronte all’altra, in tensione. Ros avrebbe potuto allungare una mano e sfiorare quell’ombelico perfetto. O far scattare la testa e tirargli una capocciata nel sopracciglio, a scelta. “Ma dai” la sfotté lui, beffardo “Scommetto che nemmeno Lucilla può vantare un fisichino del genere. Tu dovresti saperlo, no?”

“Perché, Potter, ti rode essere sempre l’unico verginello?”

Lui si chinò su di lei, incombente, fastidiosamente vicino. Gli sentì addosso l’odore del bagnoschiuma, misto a dopobarba, lo stesso di Ian, le parve. “Ascolta un po’, puttanella saccente ...”

“Oh, sì, sentiamo, chissà che per una volta non ti esca qualcosa di comprensibile, anziché i soliti grugniti!” Lui l’afferrò per la spalla, la sinistra, e una fitta le percorse il braccio.

“Ma che ti credi di fare, scusa?” In un moto di stizza, Ros allungò il braccio destro e spinse via il ragazzo, appoggiandogli la mano aperta sul petto. Maledizione, non si era sbagliata. La sua pelle era davvero morbida come sembrava alla vista. Sentì il suo corpo scaldarsi nel punto in cui lo toccò.

“Lestrange, io ...”

Non seppe mai io cosa. Proprio in quel momento, infatti, sentì qualcosa scattare dietro di lei, e la luce penetrò da ogni parte: qualcuno doveva aver aperto la porta. 

ab

 

 

Le due sorelle Malfoy camminavano verso il bagno dei prefetti, chiacchierando del più e del meno. In quel momento l’argomento di conversazione era Rosnake.

“Almeno c’è lei che si mantiene normale...” stava dicendo Leyla “Io con i M.A.G.O. sto impazzendo... hanno già cominciato a stressarci!”

Dawn annuì. “Sì, davvero! Io, grazie al cielo, ho appena finito la punizione... se non ci fosse lei, che almeno è sempre tranquilla...” Dicendo questo, la ragazza aprì la porta del bagno dei Prefetti. Ma non vide ASSOLUTAMENTE quello che si aspettava. Sentì Leyla lanciare un urlo, ma molto, molto lontano. La sorella le piantò le unghie nel braccio, pallida come un fantasma. Dal canto suo, Dawn non voleva credere a quello che aveva davanti agli occhi.

Il Bagno dei Prefetti era, da sempre, una stanza molto bella. Marmo bianco ovunque, alte ed eleganti colonne con profili di bronzo tutt’intorno e, al centro, un’enorme vasca immacolata piena d’acqua fumante e schiuma. Nonostante fosse riservata ai Prefetti, ai Caposcuola e ai Capitani di Quidditch, spesso Leyla e Ros avevano fatto entrare anche Dawn di straforo. Peccato che, in quel momento, la tranquillità della stanza fosse totalmente rovinata dalle due persone che stavano davanti alle sorelle Malfoy, tra la vasca e la porta. Una delle due era Rosnake. Rosnake con addosso la divisa, i ricci neri che le scendevano liberi fin sotto la vita, una mano sul petto dell’altra persona. L’altra persona era James Potter. Il Grifondoro teneva Ros per una spalla ma, cosa più orripilante dell’intera scenetta, era completamente nudo. Lo striminzito asciugamano bagnato che aveva appoggiato sui fianchi cadde proprio in quel momento, mentre Dawnrose aprì la porta.

Per qualche istante tutti rimasero immobili. Potter e Ros scioccati, ancora le mani uno sull’altro; Leyla e Dawn orripilate e sconvolte. La prima a riprendersi fu la giovane Lestrange, che saltò lontano parecchi metri dal ragazzo, e cercò di balbettare qualcosa tipo: “Ragazze, non saltate... conclusioni affrettate... non pensate... come sembra... io... lui...” prima che le si seccasse la gola e le parole le morissero in bocca.

In quello stesso istante si riscosse anche Dawn, che era rimasta immobile, le unghie di Leyla piantate ancora nella carne. La ragazza gridò, saltò all’indietro e sbatté la porta con tutta la forza che aveva. Poi si mise a correre, Leyla attaccata al suo braccio. Corse più veloce che poté, gli occhi sbarrati, la mente piena di immagini che non avrebbe voluto vedere. Come se qualcuno la inseguisse con un accendino.

Leyla gridò in tutta fretta la parola d’ordine e la porta della Sala Comune si aprì un attimo prima che Dawn vi si spiaccicasse contro. Le due sorelle si precipitarono in mezzo alla Sala e su per le scale, fino al dormitorio. Finalmente Leyla staccò la mano dal braccio della sorella, che si chiese se sarebbe mai più riuscita a muoverlo. Dawn si chiuse con uno schianto la porta alle spalle, mentre Leyla, con un gridolino isterico, si lanciò sul suo letto. Cominciò subito a prendere furiosamente a pugni il cuscino, urlando cose per la maggior parte senza senso e senza nessi logici: “Io... lei... quell’essere... come... come hanno... potuto?? Proprio Ros... e lui... loro... insomma... COME?!?” Il resto fu solo un bisbiglio sconvolto.

Dawnrose si mise a camminare su e giù per la stanza. Infine si fermò davanti alla finestra, fissando l’orizzonte. “Calma, Leyla. Ci dev’essere per forza una spiegazione. Rosnake non può essere impazzita di colpo.” “O forse sì?” “Sicuramente è colpa di quello stronzo pervertito di Potter. Non gli è bastato quasi romperle il polso, a quel bastardo. Ma stavolta lo faremo pentire di aver messo le mani addosso a Ros.” Sentenziò la ragazza. Cercò in tutti i modi di scacciare quell’orribile immagine, ma riaffiorava continuamente. Orrore.

Leyla parve calmarsi un po’. Sospirò. “Bene. Dawn, sento che io... sto per...” Roteò gli occhi. “... svenire.” E, con un flebile lamento, si accasciò sul letto.

Dawn guardò distrattamente il corpo della sorella accasciasi, poi riprese a fissare fuori. Sirius era di nuovo fuori, stavolta da solo, seduto sulle rive del lago. Probabilmente era stato tutto un sogno, si disse la Serpeverde. Sì, era così. Doveva essere così. Anche perché, in quel caso, tutto avrebbe avuto più senso: la sua chiacchierata con Sirius, il Bagno dei Prefetti... Quello di cui aveva bisogno era un pizzicotto. Si sollevò la manica della camicia, e scoprì una macchia di sangue sul braccio. Le unghie di Leyla erano maledettamente affilate. Altro che pizzicotto.

  
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