L’infinito
potere di una porta
Rosnake non voleva che Joe MacMillan le portasse la
borsa con i libri di aritmanzia, sebbene fosse tanto pesante da trascinarla
verso terra a ogni passo. Non voleva che Joe accorciasse le proprie falcate per
starle accanto, o che cercasse di tenere viva una conversazione a base di
luoghi comuni. E, per la misericordia di Nostradamus, non voleva essere
obbligata a conversare con lui sul tempo.
“Oddio, che sbadata” squittì, lasciando cadere la
cartella, che si rovesciò spargendo ovunque boccette d’inchiostro, piume,
pergamene, assorbenti (malediz!). “Oh, Joe, vai pure, io devo raccogliere
questo macello. Accidenti ...”
“Non preoccuparti” la rassicurò quel miracolo di
inopportunità vivente. “Ti do una mano, guarda ...”
“No!” esclamò Ros, decisamente troppo precipitosa.
“No, cioè, dicevo, vai pure! Non è proprio il caso, sai, raggiungi i tuoi
amici, ecco!”
“Beh, okay ...sei sicura che?”
“Sicurissima. A venerdì!”
Lo guardò allontanarsi con un senso di sollievo che
le attraversò il corpo, facendole sentire quanto fosse stanca. I muscoli del
collo si erano dimenticati come sostenere la testa, e la schiena ormai
somigliava a un fascio di cordame impossibile da districare. Avvertiva una
strana pulsazione ai polpacci, e la spalla sinistra, quando la ruotava, le
provocava ancora qualche fastidio. Per un istante, rivide il volto livido di
Potter, la sua espressione sconvolta, e si morse il labbro con tanta energia da
avvertire il sapore del sangue.
Arrivata in sala comune, trovò Lucius addormentato
sulla poltrona più vicina al fuoco, il libro di trasfigurazione aperto in
grembo. Con un sospiro, Ros glielo sfilò dalle mani e lo pose sul tavolo, gli
tolse le scarpe e gli appoggiò sulle gambe un golfino dimenticato da
qualcheduno (Rabastan? Uno sconosciuto?) sulla sedia lì accanto. Lo guardò per
un istante, un ragazzone di un metro e ottantacinque assopito come un bambino,
la bocca semiaperta. Vedere Lucius, dopo quello che c’era stato tra loro,
faceva nascere in lei vari sentimenti, non ultima una tenerezza quasi dolorosa.
Gli soffiò un bacio sulla guancia e salì in dormitorio.
“Ciao” sbuffò Leyla, appollaiata sul letto con la
piuma d’oca tra i denti. “Scusa se non siamo venute a prenderti, ma Dawn
dev’essere ancora da qualche parte nel parco, a congelarsi le chiappe ... oh, dannazione”
una piccola macchia d’inchiostro si stava allargando al margine del foglio, a
coprire le ultime parole frettolosamente scarabocchiate. La bionda imprecò.
“Non fa niente, figurati” replicò Ros, sarcastica
“mi avete solo abbandonato alla mercé di Joe Acne Macmillan ...”
“Non mi dire!” rise Lelly, glaciale come al solito
“Ancora non si è rassegnato?”
“Direi di no. Bah, senti, io vado a farmi un bagno.”
“Brava” disse distrattamente l’altra, alle prese con
la cancellazione magica delle varie patacche sulla pergamena. “Se quell’essere
ti ha toccato, in effetti ...”
“Dai, scema!” ridacchiò la bruna, mettendo in una
borsa accappatoio, ciabatte e il suo preziosissimo (indispensabile, in effetti)
shampoo districante “per ricci domati senza fare un sol capriccio”. “Allora,
magari raggiungimi con Dawn, quando arriva, io lascio aperto così potete
entrare. Mi aveva promesso che mi faceva i capelli, ora che ci penso.”
“Ne hai un gran bisogno, tesoro.” Wow. Grazie.
“A dopo, allora.” La baciò frettolosamente.
“Salutami la simpatia, eh”.
Il cuscino la prese in pieno sulla nuca mentre
correva verso le scale.
ab
Dawnrose si alzò dalla sponda del lago.
Era una bella giornata, nonostante fosse novembre
inoltrato. Il sole illuminava il prato e faceva scintillare l’acqua del lago di
riflessi argentati, ma non scaldava. La ragazza si strinse nel maglione nero
con ricamato sopra lo stemma verde e argento di Serpeverde, rabbrividendo. Non
c’era quasi nessuno nel giardino. Rosnake era a lezione di aritmanzia, Leyla si
stava portando avanti con i compiti in sala comune e i ragazzi avevano
organizzato un torneo di scacchi, decretando che il tempo non era abbastanza
bello per uscire. Lei però non aveva voglia di passare tutta la giornata chiusa
nel castello, e poi le faceva piacere, in fondo, avere qualche momento tutto
per lei. Amava i suoi amici, ma dentro era una persona solitaria, e certe volte
sentiva il bisogno di scappare dalla confusione generale e ritagliarsi qualche
momento tutto per lei. Ma cominciava a fare troppo freddo, ed aveva promesso a
Leyla di tornare presto. Mentre si incamminava verso il portone di quercia
semiaperto, però, una voce la costrinse a fermarsi. “Malfoy!”
Per un istante si chiese se fosse rivolto a lei o ai
suoi fratelli, ma erano entrambi in Sala Comune. La ragazza si voltò. Qualche
metro più indietro c’era Sirius Black. Dawnrose si fermò, mentre il ragazzo affrettava il passo per raggiungerla.
Era molto strano che un Grifondoro, e per di più amico di Potter, la chiamasse
in mezzo al giardino.
“Ciao.” Le sorrise Sirius, arrivandole accanto. Dawn
fissò il ragazzo per qualche attimo, chiedendosi come una persona del genere
potesse avere amici come Potter... Sirius era così... così...
Decise che era meglio rispondere e non rimanere lì a
guardarlo. Avrebbe voluto dire “Dimmi cosa vuoi e poi vattene con i tuoi
stupidi amici!”, ma tutto quello che le uscì fu: “Ehm... ciao.”
Il ragazzo sorrise di nuovo e cominciò a camminare
lentamente verso il castello. Dawn si affrettò a seguirlo. “Che ci fai qui da
sola?” chiese lui, voltandosi a guardarla.
“Potrei chiederti lo stesso...” rispose la ragazza,
e stavolta fu lei a sorridere.
Sirius ricambiò. “Beh... a volte ho voglia di
starmene un po’ per conto mio... E, detto fra noi, certe volte James è davvero
insopportabile.” Il suo tono era leggero, ma Dawn capì che ammettere quello
davanti a una Serpeverde doveva essere abbastanza difficile. “E tu?”
La ragazza rimase un attimo in silenzio. “Lo stesso
per me. Beh, a parte James, naturalmente.” Gli sorrise. “Certe volte mi va di
stare da sola.” Si chiese perché stesse dicendo tutto questo a Sirius Black, e
si disse che non ne aveva idea.
“Esatto, anche a me.” Sembrava quasi sorpreso di
aver qualcosa in comune con lei.
Ormai erano arrivati davanti al portone. Entrarono,
continuando a parlare, e Dawn notò un gruppetto di Grifondoro del terzo anno
che li guardava male. E in quel momento si rese conto dell’assurdità della
situazione: stava camminando accanto a Sirius Black e stava anche avendo una
conversazione mediamente intelligente con lui. Quando arrivarono davanti alle
scale la ragazza si fermò, ma Sirius non accennò minimamente ad andarsene. “Non
vai in Sala Comune?” gli chiese di getto. Non che volesse non stare più con
lui, ma era comunque curiosa.
Sirius sorrise, un sorriso così luminoso che Dawn
sentì un gruppetto di dodicenni accanto a lei trattenere il respiro. “No, ti
accompagno.” rispose, tranquillo.
La ragazza sentì come se dell’elettricità statica le
stesse passando attraverso il corpo. “D’accordo.” Fu tutto quello che le uscì
dalla bocca. C’era un’atmosfera quasi irreale, mentre i due scendevano le scale
dirette ai dormitori di Serpeverde. Era come se si muovessero dentro un sogno.
Parlando, i due arrivarono troppo presto davanti alla porta col serpente. E
Dawnrose si rese conto che non aveva la minima voglia di pronunciare la parola
d’ordine e andarsene. Perché farlo, in fondo? E poi, non stava facendo proprio
niente di male: parlava con un suo compagno in un corridoio. “Sì, magari fosse
così semplice.” Le disse quella fastidiosa vocina che, ultimamente, la veniva a
trovare sempre più spesso. “Cosa ti direbbero gli amici se ti vedessero chiacchierare
amabilmente con un Grifondoro amico di Potter? Dopo quello che è appena
successo, poi.” In quel preciso istante la ragazza sentì qualcuno che, nella
Sala Comune, stava venendo verso la porta. Meglio rientrare.
Si rivolse a Sirius. “Vado, Black. Ah, e sappi che
se quell’idiota di Potter osa anche solo fissare troppo a lungo Rosnake o
chiunque altro di noi non ci sarà nessuna indulgenza. Andrò personalmente a
spaccargli la faccia. Intesi?” Il ragazzo la fissava a metà tra il sorpreso e
il divertito.
“Ciao ciao.” E, con un sorriso, Dawnrose sparì nella
Sala, sventagliando all’indietro i lunghi capelli biondi.
Sirius rimase qualche istante a fissare la porta
chiusa, poi si voltò e tornò verso il suo dormitorio, senza accorgersi che
stava ancora sorridendo.
Dawn entrò nella Sala Comune. Faceva decisamente più
caldo che in corridoio, ma la ragazza si accorse che aveva più freddo di quando
parlava con Sirius. Non fece in tempo a soffermarsi su questi pensieri: era
Rabastan il ragazzo che aveva sentito avvicinarsi.
“Ehi! Ma dov’eri? Leyla ti sta aspettando da un
quarto d’ora abbondante... e sta un po’ sclerando.” L’amico la fissava con
seria apprensione, e a Dawn venne da ridere. Ma si trattenne.
“Ve l’ho detto, ero al lago.” “A parlare con
Sirius!” le fece notare la vocina. E allora? Glielo doveva dire? No. Inoltre,
non erano affari di Rabastan.
Il ragazzo la fissò intensamente. “Solo? Mi è
sembrato di sentirti parlare con qualcuno prima...” Gli occhi verdi di Rabastan
la squadravano. Si sentiva sotto interrogatorio.
“Sì, è vero. Stavo parlando con Sirius. Problemi?”
Dillo, Dawn. Dillo. Dillo! “No, non stavo parlando con nessuno. Avrai sentito
male.” Non voleva iniziare a mentire al suo migliore amico di una vita, ma allo
stesso tempo voleva tenere per sé tutto quello. Rab la fissò ancora per qualche
istante, e lei sostenne il suo sguardo, saldamente. Alla fine il ragazzo si
voltò e cominciò ad andare verso le poltrone. “D’accordo. Andiamo, dai.” Fu
tutto quello che disse.
Appena la vide, Leyla scattò in piedi, gli occhi
fiammeggianti. “Dawnrose, ma dov’eri?!” La sorella non le lasciò neanche il
tempo di rispondere. “È già passata Ros a dirmi di raggiungerla al bagno dei
prefetti... Meno male che la dovevamo andare a prendere ad aritmanzia!”
Dawn spalancò gli occhi: possibile che fosse così
tardi? Lanciò un’occhiata all’orologio. Eh sì. Si era fermata a parlare un po’
troppo. Si rivolse alla sorella. “Dai Lelly, per una volta che sono arrivata in
ritardo puoi anche chiudere un occhio...” sorrise, sperando di chiuderla lì.
Fortunatamente per lei, Leyla doveva essere molto
stanca, e lasciò cadere la cosa. “Vabè, dai... muoviti, andiamo da Ros!”
sbottò, con un gesto della mano.
Dawn sparì su per le scale. “Arrivo subito.”
Il dormitorio era vuoto. La ragazza entrò in bagno,
spazzolandosi i capelli. Fissò per qualche istante il suo riflesso nello
specchio. Spesso non capiva perché ci fossero così tanti ragazzi che la
trovavano bella. Sì, certo, bella lo era, ma non capiva perché, ad esempio, non
guardassero di più Rosnake. Aveva sempre trovato così bella la sua amica, “Una
bellezza in miniatura” come diceva sempre Ariadne Lestrange, così diversa da
lei. Quei suoi capelli neri, quella faccia così innocente e quel suo sorriso
che scaldava direttamente il cuore la rendeva, agli occhi della giovane Malfoy,
bellissima. E anche Leyla era bellissima secondo lei. Mentre Dawn era troppo
(troppo alta, troppo bionda, troppo pallida), Leyla era perfettamente
equilibrata: era più alta di Ros e più bassa di Dawn, aveva dei perfetti boccoli
dorati e la pelle un po’ più colorita di quella della sorella. Sospirò,
allontanandosi dallo specchio e lanciando un’occhiata fuori dalla finestra.
Sirius stava studiando assieme a Remus sotto la vecchia quercia. Si fermò
qualche istante ad osservarli. Si chiese se anche Sirius avesse tenuto per sé
il loro incontro o se ne stesse parlando con l’amico. “Ma perché diavolo stai
dando così tanto peso a questa cosa?” le chiese la vocina. Non seppe
rispondere. Forse era per il sorriso di Sirius, o per i suoi occhi così neri
che...
“DAWNROSE!!” La voce di Leyla non era per niente
rassicurante. Dawn si lanciò giù per le scale, pensando che, quel giorno, ne
stavano succedendo parecchie, di cose strane. Solo che non pensava che la più
bizzarra dovesse ancora accadere.
ab
La porta del bagno dei prefetti era in lucido legno
scuro, con una piastrina intagliata che recitava “vietato l’accesso agli
studenti non autorizzati”. A quelli senza agganci, piuttosto. La parola
d’ordine per entrare in quel bagno era utilizzata con preziosa merce di scambio
da tre quarti di Hogwarts.
In effetti, quella stanza non aveva nulla in comune
con gli ordinari servizi degli studenti. Era di dimensioni notevoli, e una
gigantesca vasca interrata troneggiava al centro, tra le colonne. La cosa
migliore, però, erano le centinaia di rubinetti dorati, ognuno dei quali
emetteva un bagnoschiuma diverso, alcuni dei quali davvero assurdi. Il
preferito di Ros produceva enormi bolle rosa fucsia impossibili da affondare e
di consistenza collosa, che fluttuavano sulla superficie dell’acqua.
Pregustando la sensazione dell’acqua calda sulla
pelle, la ragazza mormorò “Acquazzurra!” e spinse la soglia con la spalla,
entrando a ritroso. Solo che andò a sbattere contro qualcosa. Qualcosa di
solido. Qualcosa di umano.
“Ah!” strillò, sorpresa, girandosi. Così facendo,
urtò la porta, che si chiuse saldamente alle sue spalle. Mio dio. Mio dio, no.
Silurare Macmillan era un mio diritto. Non ho fatto nulla di male. Ma perché, perché?
“Bella mossa, bella mossa davvero” l’aggredì James
Potter, che stava ritto di fronte a lei, umido e privo di qualunque indumento,
ad eccezione di un asciugamano striminzito che gli ricopriva le cosiddette
pudenda. Per un attimo, fu certa di essere precipitata in un incubo, e soppresse
il desiderio di darsi un pizzicotto. Quell’essere spregevole pareva
perfettamente a suo agio, ma la collera gli imporporava le orecchie e la
fronte.
“Tu ... io
... no ... torno d-dopo” balbettò Ros, sul punto di morire lì, soffocata dalla
vergogna. Aveva fissato gli occhi sul punto che le pareva meno sconveniente,
cioè l’incavo del collo del ragazzo, là dove la pelle rosata si tendeva sulla
fossetta delle clavicole. Appoggiato in quel punto esatto, c’era un piccolo
ciondolo di legno, attaccato a una stringa di cuoio. Il contrasto tra il color
carne e il bruno le si impresse negli occhi, e le rimase davanti, come un
monito, mentre tentava di aprire la porta e di uscire fuori, nel mondo civile,
dove la gente era asciutta e vestita. Solo
che- se ne rese conto con un’ondata di puro orrore- quella stramaledetta porta
rifiutava di obbedire.
“Ma che brava” Potter sollevò un sopracciglio “Hai
vinto la bambolina.”
“E’ ...” balbettò Ros, incoerente “E’
...incastrata?” No, ti prego, ti supplico, no. Non puoi farmi questo. Non
chiusa in bagno con un Grifondoro nudo. Queste cose non succedono, non nella
vita reale.
“Ottimo, Lestrange” sputò il Cercatore fuori dai
denti. “A quanto pare, si apre solo dall’esterno. E tu, stupida ragazzina, hai
appena bruciato una possibilità di tirarci fuori di qui.”
“Ma ... la bacchetta ...” gemette la Serpeverde.
“Non puoi ... non sai?”
“Se mi fossi portato dietro la bacchetta, credi che
sarei ancora qui?”
“Io ce ...” no, no, no! “Non ce l’ho!”
“Ecco, mi pareva. Inutile fino al midollo, eh?”
Potter era senza occhiali, e per la prima volta Rosnake fu sottoposta allo
sguardo diretto dei suoi occhi nocciola. Si sentiva nuda, come se fosse stata
lei quella appena uscita dalla vasca da bagno.
“Ma chi ti credi di essere, scusa?” ringhiò,
stringendosi le braccia al busto. “Non sono io che ho rotto la porta!”
“Sì, perché adesso è colpa mia se siamo chiusi qui,
eh?” la rabbia storse per un attimo i tratti del Grifondoro, e Ros sentì un
fulmine di dolore attraversarle il braccio sinistro.
“Beh, mi sembra che tu sia famoso per distruggere le
cose.” Disse, le labbra serrate. Per la prima volta in dieci minuti, James apparve veramente colpito. Un’ombra gli
oscurò il viso, mentre il suo sguardo corse all’avambraccio di lei, piegato
contro il petto. La carnagione scura di Ros era priva di pecche, macchie o
lentiggini, e quel polso talmente sottile.
Come aveva potuto accanirsi così, torcerlo tra le dita, fino a sentire il
dolore che gli scorreva lungo le vene? Come aveva potuto piegare un corpo così
fine e fragile? Aveva la nausea.
Improvvisamente, il Cercatore si sedette sul porta
asciugamani lì a fianco e prese la testa fra le mani.
“Okay, basta” sospirò “Pensiamo piuttosto a come
tirarci fuori da questa situazione”.
“Idee?” chiese Ros, amara. Si appoggiò al muro e
incrociò le braccia dietro la schiena. “No, perché io la vedo un po’ buia.”
“Beh, e allora cosa dovremmo fare? Stare qui a
fissarci? Non è che crepi dalla voglia di sprecare un pomeriggio a litigare con
te.”
“Perché, pensi che io sia felice di condividere uno
spazio ristretto con te?”
“Certo” James si alzò pigramente, stiracchiandosi
con una certa intenzione “Dai, chi non vorrebbe essere bloccata in bagno con un
simile ben di dio?” Ha ragione, ha
ragione, ha ragione. A differenza di Lucius, che era molto alto e aveva le
spalle ampie tipiche dei Malfoy, Potter era di statura media e snello, il
tipico fisico da Cercatore. Aveva lunghe gambe adatte alla corsa, con i
polpacci muscolosi e cosce nervose, lo stomaco piatto, gli addominali in rilievo,
come disegnati in un modello teorico del colpo umano. I pettorali perfettamente
definiti le si stagliavano davanti agli occhi, un buon elemento di distrazione.
“Forse è ora di scendere dal piedistallo, ragazzino”
sbottò, sperando di non arrossire. “In effetti, forse è proprio ora di
rivestirsi.”
Erano di nuovo ritti uno di fronte all’altra, in
tensione. Ros avrebbe potuto allungare una mano e sfiorare quell’ombelico
perfetto. O far scattare la testa e tirargli una capocciata nel sopracciglio, a
scelta. “Ma dai” la sfotté lui, beffardo “Scommetto che nemmeno Lucilla può
vantare un fisichino del genere. Tu dovresti saperlo, no?”
“Perché, Potter, ti rode essere sempre l’unico
verginello?”
Lui si chinò su di lei, incombente, fastidiosamente
vicino. Gli sentì addosso l’odore del bagnoschiuma, misto a dopobarba, lo
stesso di Ian, le parve. “Ascolta un po’, puttanella saccente ...”
“Oh, sì, sentiamo, chissà che per una volta non ti
esca qualcosa di comprensibile, anziché i soliti grugniti!” Lui l’afferrò per
la spalla, la sinistra, e una fitta le percorse il braccio.
“Ma che ti credi di fare, scusa?” In un moto di
stizza, Ros allungò il braccio destro e spinse via il ragazzo, appoggiandogli
la mano aperta sul petto. Maledizione, non si era sbagliata. La sua pelle era
davvero morbida come sembrava alla vista. Sentì il suo corpo scaldarsi nel
punto in cui lo toccò.
“Lestrange, io ...”
Non seppe mai io cosa. Proprio in quel momento,
infatti, sentì qualcosa scattare dietro di lei, e la luce penetrò da ogni parte:
qualcuno doveva aver aperto la porta.
ab
Le due sorelle Malfoy camminavano verso il bagno dei
prefetti, chiacchierando del più e del meno. In quel momento l’argomento di
conversazione era Rosnake.
“Almeno c’è lei che si mantiene normale...” stava
dicendo Leyla “Io con i M.A.G.O. sto impazzendo... hanno già cominciato a
stressarci!”
Dawn annuì. “Sì, davvero! Io, grazie al cielo, ho
appena finito la punizione... se non ci fosse lei, che almeno è sempre
tranquilla...” Dicendo questo, la ragazza aprì la porta del bagno dei Prefetti.
Ma non vide ASSOLUTAMENTE quello che si aspettava. Sentì Leyla lanciare un
urlo, ma molto, molto lontano. La sorella le piantò le unghie nel braccio,
pallida come un fantasma. Dal canto suo, Dawn non voleva credere a quello che
aveva davanti agli occhi.
Il Bagno dei Prefetti era, da sempre, una stanza
molto bella. Marmo bianco ovunque, alte ed eleganti colonne con profili di
bronzo tutt’intorno e, al centro, un’enorme vasca immacolata piena d’acqua
fumante e schiuma. Nonostante fosse riservata ai Prefetti, ai Caposcuola e ai
Capitani di Quidditch, spesso Leyla e Ros avevano fatto entrare anche Dawn di
straforo. Peccato che, in quel momento, la tranquillità della stanza fosse
totalmente rovinata dalle due persone che stavano davanti alle sorelle Malfoy,
tra la vasca e la porta. Una delle due era Rosnake. Rosnake con addosso la
divisa, i ricci neri che le scendevano liberi fin sotto la vita, una mano sul
petto dell’altra persona. L’altra persona era James Potter. Il Grifondoro
teneva Ros per una spalla ma, cosa più orripilante dell’intera scenetta, era
completamente nudo. Lo striminzito asciugamano bagnato che aveva appoggiato sui
fianchi cadde proprio in quel momento, mentre Dawnrose aprì la porta.
Per qualche istante tutti rimasero immobili. Potter
e Ros scioccati, ancora le mani uno sull’altro; Leyla e Dawn orripilate e
sconvolte. La prima a riprendersi fu la giovane Lestrange, che saltò lontano
parecchi metri dal ragazzo, e cercò di balbettare qualcosa tipo: “Ragazze, non
saltate... conclusioni affrettate... non pensate... come sembra... io... lui...”
prima che le si seccasse la gola e le parole le morissero in bocca.
In quello stesso istante si riscosse anche Dawn, che
era rimasta immobile, le unghie di Leyla piantate ancora nella carne. La
ragazza gridò, saltò all’indietro e sbatté la porta con tutta la forza che
aveva. Poi si mise a correre, Leyla attaccata al suo braccio. Corse più veloce
che poté, gli occhi sbarrati, la mente piena di immagini che non avrebbe voluto
vedere. Come se qualcuno la inseguisse con un accendino.
Leyla gridò in tutta fretta la parola d’ordine e la
porta della Sala Comune si aprì un attimo prima che Dawn vi si spiaccicasse
contro. Le due sorelle si precipitarono in mezzo alla Sala e su per le scale,
fino al dormitorio. Finalmente Leyla staccò la mano dal braccio della sorella,
che si chiese se sarebbe mai più riuscita a muoverlo. Dawn si chiuse con uno
schianto la porta alle spalle, mentre Leyla, con un gridolino isterico, si
lanciò sul suo letto. Cominciò subito a prendere furiosamente a pugni il
cuscino, urlando cose per la maggior parte senza senso e senza nessi logici: “Io...
lei... quell’essere... come... come hanno... potuto?? Proprio Ros... e lui...
loro... insomma... COME?!?” Il resto fu solo un bisbiglio sconvolto.
Dawnrose si mise a camminare su e giù per la stanza.
Infine si fermò davanti alla finestra, fissando l’orizzonte. “Calma, Leyla. Ci
dev’essere per forza una spiegazione. Rosnake non può essere impazzita di
colpo.” “O forse sì?” “Sicuramente è colpa di quello stronzo pervertito di
Potter. Non gli è bastato quasi romperle il polso, a quel bastardo. Ma stavolta
lo faremo pentire di aver messo le mani addosso a Ros.” Sentenziò la ragazza.
Cercò in tutti i modi di scacciare quell’orribile immagine, ma riaffiorava
continuamente. Orrore.
Leyla parve calmarsi un po’. Sospirò. “Bene. Dawn,
sento che io... sto per...” Roteò gli occhi. “... svenire.” E, con un flebile
lamento, si accasciò sul letto.
Dawn guardò distrattamente il corpo della sorella
accasciasi, poi riprese a fissare fuori. Sirius era di nuovo fuori, stavolta da
solo, seduto sulle rive del lago. Probabilmente era stato tutto un sogno, si
disse la Serpeverde. Sì, era così. Doveva essere così. Anche perché, in quel
caso, tutto avrebbe avuto più senso: la sua chiacchierata con Sirius, il Bagno
dei Prefetti... Quello di cui aveva bisogno era un pizzicotto. Si sollevò la
manica della camicia, e scoprì una macchia di sangue sul braccio. Le unghie di
Leyla erano maledettamente affilate. Altro che pizzicotto.