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Autore: theSwamp    07/01/2010    2 recensioni
Renesmee è cresciuta, e della bambina deliziosa che incantava chiunque è rimasto davvero poco, rimane solo una ragazza costretta a vivere una vita sul filo di due mondi totalmente diversi. E arriverà il momento in cui dovrà capire quale sia il vero significato dell'amore.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Renesmee Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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L’aeroporto di Seattle era stato  colpito da una nevicata piuttosto intensa, considerato il periodo dell’anno. Era solo fine novembre, eppure la neve aveva già bloccato la città un paio di volte. I ritardi dei voli furono inevitabili, e così anche noi arrivammo a destinazione sei ore e mezzo dopo rispetto al previsto. Ci fermammo a noleggiare un’auto e a chiamare mia madre: ci aspettavano tutti. Osservavo i paesaggi tanto noti e mi chiedevo cosa fosse cambiato. Ero talmente sicura di non essere più la stessa persona da non poter nemmeno credere che Benjamin stesse ancora lì con me.

-Grazie per essere venuto- dissi, mentre leggevo il giornale del giorno prima, distratta e annoiata dalle notizie sempre simili a se stesse.

-Eh?-

-Voglio dire, io lo sapevo che tu non volevi ritornare qui-. Chiusi definitivamente il giornale.  Lui mi guardò di sbieco, con quei suoi grandi occhi scuri, più inquieti che mai. Rimase un po’ lì a guardarmi e rise.

-Però ci sei voluta venire comunque!-

-Bè, dovevo farlo- risposi piccata.

-Giusto. Renesmee e il senso del dovere, un’inscindibile connubio-. Anche io sorrisi, perché effettivamente c’era dell’ironia.

-Dai, mi voglio impegnare-

-Lo so- sospirò –dobbiamo cercare di essere civili-. Sbuffava irrequieto, guardandosi attorno. Proprio non voleva tornare, ma ero convinta che fosse meglio per tutti e due.

-Fidati, vedrai che non sarà male. Potremo tornare a scuola…-dissi con poca convinzione.

-Ecco, adesso mi hai convinto. Ma come diavolo non ti è venuto in mente di dirmelo prima, che d’ora in poi potremo fingere di essere degli adolescenti complessati e asociali!-

-Ma no, io dico, diciamo che la cosa mi aiuta. Ho bisogno di un momento di normalità, così, per conciliarmi un po’..-

-E poi ti manca casa-, disse, voltandosi a guardarmi negli occhi. Era ritornato serio.

-e poi mi manca casa- ammisi sottovoce, come una sconfitta. Era una sconfitta, in effetti, e anche bella grossa.

-Guarda che anche io lo sapevo già che ti mancava casa-, mi sorrise.

-Potevamo anche dirci tutto prima, allora- sbuffai, più divertita che infastidita dalle nostre rivelazioni paradossali.

-Certo, ma sarebbe stato semplice. E a noi piacciono le cose complicate-. Sorrise di nuovo, ammiccante.

-Lo hai notato anche tu?-, dissi, mettendomi gli occhiali da sole di Ben. Non c’era il sole, ma era la stessa cosa.

-Sì, però se ci fai caso, io sono una persona molto semplice, quindi tutte le complicazione in realtà le porti tu-

-Mmm-. Mi allungai sul comodo sedile della monovolume, e cercai qualche stazione radio decente. Non avevo cd miei, su quella macchina anonima e un po’ triste, come una camera d’albergo.

-Okay, era un sì- ridacchiò soddisfatto.

-E stai zitto un po’!-

La sensazione della sua mano che mi carezzava i capelli, leggera come non mai. Me la portai alle labbra.

-Manca molto?-

-Boh-

-Per te è un problema che mi manchi casa?-. lo guardai di sottecchi, da sotto gli occhiali scuri. Si strinse nelle spalle, come faceva sempre quando doveva darmi un parere.

-Dipende- disse alla fine- da chi ti manca. Ma in generale lo capisco: anche io se avessi una famiglia vorrei rivederla, credo-.

-Non è lui che mi manca, stai tranquillo. E non devi vergognarti di essere geloso-

-Tu mi psicanalizzi, e la cosa ti diverte-

-Nah. La cosa mi affascina-. Gli feci una linguaccia, e ricevetti in risposta una tirata di orecchie. Ma decisi di piantarla, visto che non era proprio il caso di finire fuori di strada con la macchina appena presa a nolo.

Il viaggio durava parecchio a causa della neve, che aveva riempito le strade di una poltiglia gelata grigio marrone che ci impediva di superare con successo le sessanta miglia orarie, e io mi addormentai un paio di volte. Verso sera cominciarono a comparire cartelli stradali in direzione di Bremerton.

Bremerton era la nostra nuova città, dopo Forks. Per ovvi motivi molti della famiglia avevano lasciato Forks prima di me, come Carlisle ed Esme, che avrebbero dovuto dimostrare dieci anni più della loro apparente età, e che già cinque anni fa, per i bravi abitanti di Forks, si erano ritirati nel Maine perché il dottore aveva deciso di trasferirsi nella casa natia, da poco lasciata vuota a causa della morte del padre. La tristezza della circostanza mise a tacere le chiacchiere. Poi fu il momento di Jasper e Alice, entrambi vincitori di una borsa di studio alla facoltà di fisica dell’università di Cambridge, Inghilterra, seguiti l’anno successivo dai novelli sposi Rosalie ed Emmett, che decisero di trasferirsi ad Augusta, nel Maine, per vivere a meno di quattro ore di fuso orario dai genitori adottivi. Fino a che non rimanemmo solo io e i miei genitori, nella piccola casetta perfetta. Ma anche il loro aspetto divenne presto un problema, fino a quando anche noi ci trasferimmo nel Maine. Soffrii il distacco da mio nonno, e Jacob soffrì il distacco dal suo branco. Ci aveva seguiti, giustamente. Fu soprattutto il pensiero di Charlie e dei compagni di Jake a convincerci a tornare da quelle parti, almeno ancora per un po’. Almeno fino a quando Charlie sarebbe rimasto tra noi, era quello che tutti tacitamente pensavamo. E così la primavera precedente arrivammo tutti a Bremerton.

Era un’insulsa cittadina a sud di Forks, brutta e scomoda per le nostre esigenze, perché la foresta attorno era povera di animali e troppo ricca di campeggiatori. Ma era abbastanza vicina a Forks perché potessimo mantenerci in contatto con i nostri legami, e abbastanza lontana perché nessuno si ricordasse della nostra famiglia. Alcuni di noi, per precauzione, cambiarono cognome. Quando ne attraversammo la strada principale, mi sembrò quasi di non esserci mai stata prima.

-La tua casa era in affitto?-, dissi, mentre lasciavamo la macchina all’autonoleggio. Avremmo proseguito con l’auto di Ben, che si trovava ancora nel garage della grande casa.

-No. Me l’aveva procurata Thomas-

-Allora la possiamo usare ancora?-

-Se vuoi sì.-. controllò di aver dato l’importo giusto, consegnò le chiavi, non lasciò mancia. Non era tirchio, ma non dava molta importanza al denaro, perciò non capiva il motivo per cui alla gente normale i soldi piacessero tanto. Si dimenticava quasi sempre di lasciare le mance. –Ti piacerebbe?-. mi osservò, con un mezzo sorriso che lasciava intravedere i denti lucidi, affilati.

-Non so. Mi fa tutto un po’ impressione, non so se mi piacerà così tanto-

-Hai dei ricordi tanto brutti?- . Con indifferenza mi mise un braccio attorno al collo, non prima di aver alzato il cappuccio del mio giubbotto. Aveva cominciato a piovere un po’.

-No. Ma nemmeno con la mia famiglia ho dei ricordi tanto brutti, eppure adesso che sto per tornare vorrei non essere qui-. Chissà dov’era Jacob. Chissà se mio padre poteva già sentire un’ eco dei miei pensieri. Fermammo un taxi e Ben diede l’indirizzo della casa: non era lontana, e saremmo arrivati nel giro di dieci minuti. Il taxista era impegnato a canticchiare una canzone che non avevo mai sentito, continuammo il nostro discorso.

-Vorrei capire qual è il tuo problema-, disse giocherellando col mio indice sinistro. –Per poterci lavorare-. Aveva un senso del dovere molto sviluppato, al contrario di me. Sorrisi.

-Quando lo saprò, stai certo che te lo farò sapere-

-Tu hai capito qual è il motivo per cui siamo così giusti insieme?-. strinse un po’ i suoi occhi scuri. Mi sembrò più perfetto che mai.

-Sinceramente no-

-Nemmeno io. Ma non ci faccio più tanto caso, perché alla fine mi piace, non riuscire ad arrivarci-

-Anche a me, mi fa sentire viva-

-Anche io mi sento vivo. Non capitava da un po’-

Scendemmo dal taxi, Ben pagò, mi guidò lungo il lungo viale, dopo aver aperto il cancello con una lunga chiave dall’aria antica. Il viale era coperto di neve, la coltre avvolgeva la casa, il giardino poco curato. Della neve riuscì ad entrarmi negli stivali, mi inzaccherai tutti i piedi. Volevo cambiarmi le calze.

-Quando avremo messo a posto un po’ di cose, ti porterò a fare un viaggio-, disse distraendomi dal mio tentativo di non fare entrare altra neve negli stivali. Aveva alzato il viso al cielo, lo sguardo rivolto verso l’alto, alle nubi chiare cariche di nuova neve. Non si rivolgeva direttamente a me, ci stava pensando su, e mi piaceva essere le confidente. Le cose che non si potevano dire proprio a nessuno, era bello dirle tra di noi. –Così potrai vedere tante cose. Sei una brava compagna di viaggio-

-E da cosa lo sai?-

-Quando ci sono cose nuove da vedere, la tua attenzione si focalizza su quelle, e basta: non c’è altro, solo quello che c’è di nuovo. Anche quando hai visto me, non mi hai notato per qualcosa di… speciale. Era solo la tua curiosità a spingerti ad avvicinarti a me-

Qualche fiocco pesante ricominciò a cadere.

-Vero. Ma la mia curiosità non poteva sapere a cosa mi avrebbe portato, per fortuna. Altrimenti mi sarei spaventata-

-Vero anche questo. Prendiamo la macchina, ci aspettano-

Andammo verso il garage sul retro, dove se ne stava, inutilizzata, l’auto di Ben. Quella lunga berlina dall’aria veloce e costosa non gli si addiceva per niente, e capii che anche quella gliel’aveva procurata Thomas. Ma c’era troppa neve sulle strade per poter prendere la moto, e ci arrangiammo con quello che c’era.

-Ho proprio voglia di partire, ci sto-, dissi, mentre osservavo le strade della città, note e allo stesso tempo inesplorate. –Dove mi vuoi portare?-. Avevo viaggiato spesso con la mia famiglia, soprattutto nella stagione invernale, più umida e piovosa, e avevo visto tanti posti. Mi piaceva viaggiare, essere coccolata nei grandi alberghi, entrare nelle boutique delle più belle città d’Europa ed essere servita da commessi impeccabili, visitare i musei più famosi del mondo. Ma ovviamente con Benjamin sarebbe stata tutta un’altra cosa. Sembrava contento che gli avessi rivolto quella domanda, e mi ricordai dei suoi lunghi vagabondaggi.

-Per prima cosa- disse, solenne –ti porterò a sud di San Francisco. Poi ti dovrò portare in Norvegia, e poi in Turchia, a vedere Istanbul. E poi ti dovrò portare in Kashmir. Sono dei gran bei posti- 

-E questa tabella di viaggio non ha alcun senso, giusto?-

-Assolutamente no-. Mi venne da ridere –Il bello è non essere mai rintracciabili, al punto che nemmeno tu sai dove sarai il giorno dopo-.

Osservavo il paesaggio cambiare, i prati lasciare il posto alla foresta fitta, sentivo casa avvicinarsi.

-Anche da umano sei sempre scappato via-

-Sempre. È il mio talento, essere…-

-Schivo?-. Non era esattamente quello il concetto, ma nemmeno io trovavo la parola giusta.

-Forse direi più…bugiardo. In ogni cosa, ed è per questo che i tuoi mi detestano: non riescono mai a capire le mie intenzioni, ed è per lo stesso motivo che i Volturi mi hanno ritenuto adatto ai loro scopi. Abbastanza ragionevole per non tradire, cinico quel tanto che serve per essergli utile-

-Non è giusto, sbuffai- anche io voglio essere una brava bugiarda-. Lui mi guardò un po’ storto, disapprovando.

-Vai benissimo così, non c’è nessun gusto in quello che sono-

-Ti capisco, nemmeno io lo faccio apposta, a essere crudele-

-Tanto non vale la pena di cercare l’approvazione della gente-, disse alzando le spalle-sinceramente, finché tu mi perdoni, non devo giustificare altro-. Era una dichiarazione d’amore così articolata, per i suoi standard contorti, da spaventarmi quasi.

-Bè, quando si parla di famiglia, forse anche tu cercheresti l’approvazione di quelli che ti hanno cresciuto-

-Magari sì, ma non è che me lo ricordo, quindi non posso giudicare. Però te l’ho sempre detto, che capisco che tu abbia bisogno della loro approvazione-

-Approvazione…non esageriamo-, mi lamentai frustrata. Detestavo doverlo ammettere, proprio lo odiavo profondamente. E d’accordo che tanto tra noi ci si poteva dire davvero tutto e si poteva accettare ogni debolezza, ma quella davvero non la potevo soffrire. Rise un po’ di me e ci rimasi un po’ male, ma non avevo tanto tempo per pensarci su. La parte più previdente, intelligente e ordinata della mia testa stava già pensando a quello che sarebbe successo di lì a dieci minuti.

Famiglia, realtà, problemi. Problemi a non finire. Mi girava la testa, ma dovevo pur cominciare ad adattarmi. Non si può vivere nella propria dimensione per sempre , e anche se Benjamin sembrava volermi dimostrare il contrario, per me era diverso. Le somme io dovevo tirarle.

-Cerco solo di far quadrare i conti Ben, lo sai. Perché le cazzo di cose io le devo mettere a posto, mi capisci?-

-Sono proprio un selvaggio del cazzo. Mi spiace che io sia così un selvaggio del cazzo e che tu debba rimettere a posto le cose anche per conto mio-

-Non è un problema, meglio: lo è ma ci sarebbe anche se tu non ci fossi-

-Non credo proprio. Non te ne sarebbe successa mezza se non ci fossi stato io, Nes. Nel bene e nel male-

-Be, questo non lo so-. Pensai un secondo alla faccenda –Mi piace che tu sia venuto, alla fine. Anche se non capisco più niente di niente e se tutti pensano che sono una traditrice. Non è che si tia troppo male-

-A me non sembrava-, disse, sbuffando nervoso.

-E’ solo qualche effetto collaterale. Insomma, non è che volevo suicidarmi per colpa tua. Sono una ragazzina incredibilmente lagnosa, Ben, dovresti saperlo-

-Vedi di ricordarti una cosa sola, e ricordatela sempre. Per quanto chiunque possa pensare che tu sia sbagliata, e che hai dei peccati sulla coscienza, la tua parte migliore è mia. È mia, la tengo con me, e non posso separarmene, e non posso vedere altro. Mi capisci? Io ho il meglio di te-

Il tono con cui aveva parlato non mi spaventò, ma mi turbò. Il suo amore passava per il sangue e la materia, eppure non era una cosa sbagliata. Volevo avere dei diritti su di lui come lui li aveva su di me. Se dovevamo essere liberi, dovevamo esserlo insieme.

-Anche io ho il meglio di te. Non è di nessun altro-, sussurrai.

Non parlammo più fino a quando giungemmo a casa, e con un sospiro, mi ritrovai di fronte alla porta semi aperta. Benjamin non più alle mie spalle, ma di fianco a me.

 

 

 

  
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