XVIII
~ The balance
La felicità si insinua
dentro la tua vita
attraverso una porta che
non sapevi
di aver lasciata aperta.
[Ethel
Barrymore]
Marzo
era alle porte, ormai, e l’esterno iniziava già a colorarsi delle sfumature
primaverili. Rose non aveva quasi fatto caso allo scorrere impertinente del
tempo, persa com’era nei suoi sentimenti, e per questo non riuscì a non
rimanere stupita dinanzi alla vista dei primi boccioli rosa sulle piante che
adornavano il parco di Hogwarts. Vagamente calcolò che era passato quasi un
mese dal giorno in cui aveva capito di essersi innamorata di Scorpius, infine,
e l’aveva ristretto a sé, in Guferia.
Come
diavolo aveva fatto a non accorgersene? Si rispose poco dopo, quando lo stomaco
fece una capriola alla vista di un certo Serpeverde, all’entrata in Sala
Grande. Il fatto era che si era talmente buttata a capofitto in quella nuova
realtà e in tutte quelle emozioni nuove apportate da essa, da non aver avuto
più attenzione per altro.
“Rosie!”
Lucy la chiamò squittendo gioiosa, facendole segno di raggiungerla.
Rose
per tutta risposta sfoderò un ampio sorriso e, di buonumore, superò i vari
tavoli per raggiungere quello di Grifondoro, dove si erano adunati buona parte
dei suoi numerosi cugini.
“Ma
dove eri finita?” Le domandò subito Dominique, alzando un sopracciglio dorato
con aria sospettosa. “Ti stavo cercando.”
Alla
domanda la diciassettenne abbassò il capo, ad un tratto del tutto interessata
dal fondo del suo piatto, rivelando in sottofondo un chiaro rossore che mise la
cugina in allarme.
“Ero
… ero fuori.” Biascicò Rose, impacciata, fingendo una scarsa spontaneità ne
recuperare una brioche dalla piramide perfetta.
Dopotutto,
considerò nel tentativo di lenire i sensi di colpa, non era proprio una bugia.
Era stata davvero fuori, in cortile, solo che aveva omesso con chi fosse. Scorpius, per l’appunto, che
l’aveva preceduta di qualche minuto – giusto il tempo necessario a farle
prendere atto della trasformazione ambientale – onde sviare qualsiasi dubbio
sui loro incontri segreti.
Non
che la cosa gli facesse piacere, come non mancava mai di sottolinearle, ma si
adattava lo stesso dopo esserle riuscito a strappare l’ennesima promessa.
Anche
quella mattina, d’altra parte, il copione non era cambiato. Lei era arrivata
con un lieve ritardo e lui, scorgendola, aveva subito accennato all’orario.
“Scusa.”
Aveva a quel punto sviscerato Rose. “Michael mi ha bloccata mentre venivo qui.”
“Michael?”
“Michael
Grays. Pare che sia indietro con Pozioni e così ha deciso di approfittarne per
ripassare qualcosa adesso. Perché?”
“Niente.”
Aveva scrollato le spalle Scorpius e sarebbe sembrato persino sincero, se non
fosse stata per la traccia d’irritazione che gli faceva stringere le labbra.
“Che vuoi che me ne importi se la mia
ragazza preferisce perdere tempo con un mentecatto, piuttosto che stare con me
in quei rari momenti in cui ci riusciamo?”
Era
più una domanda retorica, che una vera richiesta, tuttavia Rose era rimasta
ugualmente basita. Aveva boccheggiato un paio di volte, incredula, pensando che
non si sarebbe mai del tutto abituata ad essere la sua ragazza, prima di prendere un profondo respiro. Quando era
riuscita a parlare, la sua voce vibrava ancora di un certo stupore.
“Sei
… geloso?” Dirlo le era sembrato
persino più assurdo che pensarlo.
Lui
aveva alzato gli occhi al cielo, quasi fosse appena stato costretto ad
ascoltare i vaneggiamenti di un pazzoide. “Non dire assurdità, Weasley.”
Eppure,
da come le sue labbra erano rimaste contratto, Rose non era stata del tutto
certa della veridicità della risposta e per questo gli si era avvicinata
provocante.
“Sì,
sei geloso.” Aveva esordito, buttandogli con naturalezza le braccia al collo e
guardandolo con intensità negli occhi cinerini. “E la cosa, stranamente, non mi
dispiace poi molto.”
A
quel punto Scorpius non aveva resistito al restituirle la stretta, stringendola
per la vita e abbassando il capo con lentezza esasperante, fino a far diminuire
la distanza delle loro labbra a pochi millimetri. “Sei insopportabile.” L’aveva
redarguita, ma con un divertimento che ben si palesava nella piega delle labbra
e nello scintillio delle iridi.
“È
un complimento?”
Lui
aveva sorriso e, senza darle risposta, aveva fatto proprie le sue labbra calde.
Quando
si erano separati, a fiato corto, Scorpius si era improvvisamente adombrato.
“Quale sarà la scusa di domani?” Le aveva domandato, tormentato.
“Non
è una scusa. Lo sai.” Aveva sbuffato Rose, come
sempre, tentando invano di sottrarsi
dall’abbraccio.
“Non
voglio litigare con te. Sono solo stufo di nascondermi come se stessimo facendo
qualcosa di sbagliato.”
Le
sue parole avevano avuto la solita reazione di farla sentire in colpa. Era
conscia del fatto che tutta quella riservatezza e tutti quei sotterfugi erano
merito suo, che Scorpius non li desiderava affatto. Tuttavia era ancora
piuttosto difficile, per lei, far combaciare la sua doppia vita. Da una parte
c’era la routine di tutti i giorni, quella fatta di cugini superchiassosi e
cumuli di libri dietro cui nascondersi. Dall’altra, invece, c’era lui e tutto
ciò che stargli assieme significava per lei. Vedere le due cose insieme, era un
qualcosa di difficile anche solo ad immaginare.
“Non
piace neanche a me.” Aveva detto, seccata di se stessa. “Ma non posso sbattere
in faccia ai miei cugini la nostra storia. Devo prima prepararli, lo capisci?”
“Certo.”
Aveva sospirato dopo un lungo istante Scorpius, poggiando la sua fronte su
quella di lei. “Certo, Weasley.”
“Glielo
dirò, te lo prometto. Devo solo trovare il momento giusto e … Ma lo farò, davvero.”
Poi
lui l’aveva baciata e lei, prima di abbandonarsi alle proprie emozioni, si era
ripromessa di sbrigarsi a dirglielo, per non dover ancora vedere quell’ombra di
tristezza nel fondo dei suoi occhi.
Tuttavia,
adesso che si trovava a così stretto contatto con Dominique in particolare,
tutte le parole che si era preparata erano semplicemente scivolate nel
dimenticatoio.
Come
accidenti si faceva a dire alla propria famiglia di avere una storia con il
rivale di sempre?!
-Bella domanda.-
Sospirò e, per istinto, cercò tra la tavolata Serpeverde. Scorpius stava mangiando
composto senza distogliere lo sguardo da lei, mentre da poco lontano due
abbacchiati Edmund ed Ottavius lo fissavano taciturni.
“Oggi
vieni a Hogsmeade?” Volle sapere la cugina, fissandola con cipiglio saturo di
sospetto.
Rose
arrossì e tentò di affogare il proprio imbarazzo nell’ultima uscita della
Gazzetta del Profeta. “Devo studiare.” Biascicò, sperando di non essere
risultata tanto impacciata come credeva.
“Uhm.”
Dominique la fissò per un lungo istante, in contemplazione, prima di optare per
una strategia di ritirata a cui seguì il sospiro di sollievo dell’altra.
Per
quanto ancora – si chiese angustiata – avrebbe potuto continuare a quel modo?
~
“Certo
che stare qui con voi a bere Burrobirra, attorniato da coppiette di varia
misura, mi sa tanto di sfigato. No?”
“E
allora vattene, Hugo. Nessuno ti obbliga a rimanere.” Tuonò imbronciato Albus,
separandosi dal suo boccale e appoggiandolo malamente sul ripiano del tavolo,
in un risucchio.
“E
dai, fratello, non prendertela!” Alzò gli occhi al cielo, di rimando, l’altro,
teatrale. “Era tanto per dire, lo sanno tutti che vado pazzo per questo genere
di cose!”
“Che
poi scusa, non dovresti essere con la Tyler?”
“Per
perdermi l’occasione di spassarmela con voi due?” Ribatté ironico Hugo, prima
di tuffarsi in un sorso della bevanda ambrata che aveva tra le mani, evitando
di pensare al fatto che era stata la ragazza stessa a spingerlo a passare
quella giornata libera con i cugini, adducendo la scusa che doveva studiare.
Il
moro sbuffò, ma non si lasciò coinvolgere in quella sottospecie di discussione.
La sua mente era altrove, persa nei meandri di Hogwarts. Per quanto si
sforzasse, non riusciva a non pensare che Rose stava andando avanti, a modo
suo, mentre lui continuava a rimanersene lì, in quella situazione perenne,
senza avere la forza di avanzare o di retrocedere. Era immobile, ecco. Avvolto
da una nube invisibile di staticità che lo costringeva a fissarsi in quel
punto, preda del terrore dei cambiamenti.
“Oh,
no. No. No. No. No!” Esordì a quel punto Louis, l’ultimo dei tre cugini maschi
ad essere rimasto ad Hogwarts, mentre si prendeva con disperazione la testa tra
le mani e stringeva forte i capelli rosso fuoco a voler cancellare qualcosa in
particolare.
“Ti
è saltato un neurone, per caso?” Domandò con un sopracciglio sollevato Hugo,
spiritoso come sempre.
L’altro
lo ignorò. “Vi prego, ditemi che non è mia sorella!”
Gli
altri due seguirono il punto indicato dalla sua mano e sorrisero appena nel
verificare quanto stava accadendo.
“Credo
che non vorresti saperlo, Louis.” Ridacchiò divertito Hugo, senza preoccuparsi
di mostrare un tantino di sensibilità alla causa.
“Perfetto.” Grugnì scocciato il più
piccolo, nascondendo la testa dietro al boccale nella vaga speranza di non
essere visto.
Non
gli era ancora concesso di bere, per quanto fosse dell’innocua Burrobirra. Sua
madre era stata categorica su quell’aspetto e di certo suo padre non si era
dimostrato un degno complice nel tentativo di farla ricredere. Non che
Dominique fosse il tipo da spia, troppo semplice. E togliersi il gusto di
raggirarlo come un calzino?! Nah, da escludere.
“Sbaglio
o qualcuno sta infrangendo i divieti?” La domanda, per quanto incolore, gli
procurò un fastidioso prurito alle mani, costringendolo a grattarsele.
“Era
… era di Hugo!” Tentò di svicolare, immediatamente, Louis, incurante delle
occhiate di fuoco che l’altro gli lanciò.
“Davvero?”
“Beh,
ma certo.” S’intromise a quel punto Hugo, richiamato in causa dal suo spiccato
senso di solidarietà fraterna. “Perché berne una, quando posso averne due? …
Giusto?”
Dominique
lo scrutò diffidente ma, dopo un lungo istante, parve cedere. “D’accordo.
Allora non vi dispiacerà se io e Alicia rimaniamo un po’ con voi.” Sì, ecco, cedere
o quasi.
Hugo
e Louis si gettarono un’occhiata l’un l’altro, affranti, ricomponendosi
all’istante sotto lo sguardo severo della sedicenne. Se c’era una cosa che
avevano imparato dagli insegnamenti di Fred e James, era di non abbassare mai, mai la guardia in presenza di una donna.
Sapevano essere più subdole di uno stratega provetto quando ci si mettevano.
Dal
canto suo Albus stava tentando l’approccio con una particolarmente imbarazzata
Alicia, ritrovatasi seduta al suo fianco ancora prima di capacitarsene.
“Perciò
… anche voi ad Hogsmeade, eh?” Le domandò, rigirandosi il boccale tra le mani,
senza trovare il coraggio di guardarla negli occhi.
-Per tutti i Troll, Al! Ma che cavolo
ti metti a dire adesso?! Non è evidente?- Avrebbe voluto
mordersi le mani, tanto si sentiva nervoso. Il che era ridicolo, considerano il
grado di sfiga – come aveva
giustamente appuntato Hugo poco prima – di tutta quella situazione.
“Già.”
Annuì lei, sforzandosi di modulare la voce su una tonalità che non lasciasse
intendere il proprio imbarazzo a stargli seduta così vicino.
Non
aveva mai pensato di potersi scrollare di dosso la sua cotta per lui, tuttavia
lo scoprirsi ancora così imbarazzata al suo cospetto era qualcosa che riusciva
ancora a disarmarla.
“Siete
… sole?” Azzardò ancora Albus, ricordandosi di un piccolo ma significativo
dettaglio: Jason.
Il
fatto di non scorgerlo in loro compagnia, era un buon segno, no?
“Sì.
S- Siamo sole.” Balbettò con imbarazzo Alicia, accennando ad un sorriso che si
fossilizzò sulle labbra quando, alzando appena il capo, incrociò le iridi
berillo di cui si era innamorata.
“Meglio.”
Prima ancora di rendersene conto, la sua bocca aveva parlato per sé.
Albus
abbassò il capo, di scatto, pregando con tutto se stesso che lei non l’avesse
udito. Controllò. A giudicare dall’aria sgranata del suo viso, doveva essersene
proprio accorta, accidenti!
“Ti
ordino qualcosa? Una Burrobirra magari?” Poi si crucciò, rendendosi
effettivamente conto di non conoscere affatto i suoi gusti. “Ma magari preferisci
altro da bere.”
“No.”
Lei, tuttavia, scosse subito il capo, aprendosi poi in un sorriso radioso. “Una
Burrobirra va benissimo, grazie.”
“O-
Okay.” Boccheggiò rapito Albus, per poi scuotere il capo e scivolare via
dall’ondata di calore che, ad un tratto, gli aveva invaso il torace.
Mentre
faceva cenno ad Hannah Abbott, la proprietaria dei Tre Manici di Scopa, di
portare altra Burrobirra, prese piena consapevolezza di una cosa: voleva
provarci. Sul serio, cioè. Voleva provarci davvero con Alicia, stavolta, e
tentare di chiudere in definitiva in un cassetto il suo amore sviscerale per
Rose. Eppure mai, prima di quel momento, aveva avuto il sentore di poterci
riuscire. Neppure quando Teddy, saggiamente, gli aveva avanzato la proposta.
Forse,
considerò, quella giornata non era poi tutta da buttare nella spazzatura.
~
Quel
sabato la biblioteca era, come ovvio, deserta, eccezion fatta per le uniche due
persone sedute nell’angolo più remoto. Rose aveva insistito per ripassare
qualcosa, vista, a suo dire, l’imminenza dei M.A.G.O. che li avrebbero lanciati
direttamente nel mondo lavorativo. Scorpius non ne era altrettanto entusiasta
all’idea, ma pur schernendola per quell’eccesso di zelo, l’aveva seguita lo
stesso in una stancante full immersion preparatoria.
“Rose?”
La chiamò all’improvviso lui, senza tuttavia distogliere la propria attenzione
dal minaccioso tomo di Difesa contro le Arti Oscure che aveva davanti.
“Uhm?”
“Quanto
ancora pensi dovremo continuare a studiare?”
“Una
buona preparazione non ha limiti, Scorpius.” Rispose dottrinale Rose, intenta a
scarabocchiare qualcosa su un papiro di pergamena.
“D’accordo.”
Sembrò capitolare il ragazzo a quel punto ma, quando ormai lei stava per
abbassare la guardia, lo sentì chiudere con forza il libro e, per questo, non
poté fare a meno di gettargli un’occhiata perplessa.
“Non
ho più voglia di starmene qui.” Ammise con nonchalance Scorpius, scrollando le
spalle e mostrando il suo adorabile sorriso sghembo.
“Oh.”
Rose ne parve delusa, oltre che scioccata.
Lui
sghignazzò, piuttosto divertito da quella sua reazione. “Rose.” La chiamò di
nuovo, stavolta con voce intrisa di dolcezza, intanto che la mano racchiudeva
nella sua quella più vicina di lei. “Fuori c’è il sole.”
Alla
notizia, anziché gioirne, alzò gli occhi al cielo. Avrebbe voluto dire che lo
sapeva che c’era il sole, che lo vedeva perfettamente, ma che sapeva anche
abbastanza bene che erano quasi a marzo e che c’erano gli esami, e-
“E
non c’è nessuno.”
La
notizia, per quanto semplice, la spiazzò. Per un lungo momento cercò in quei
ghiacciai sterminati qualcosa che potesse suggerirle il significato racchiuso
nella frase pronunciata dalle sue labbra, sicura di avere la stessa aria
spaesata di un Avvincino fuori dall’acqua. Poi, in un
flash di lucidità, arrivò la consapevolezza e con essa anche l’inevitabile
vergogna.
“Non
è degli altri che mi interessa.” Borbottò, abbassando il capo per non doversi
scontrare con quel sorriso capace, più di tutti, di farle avvertire i latrati
del rimorso.
“Non
ti sto giudicando, Rose.” Disse allo stesso tono soffice di prima Scorpius,
attirando con le sue parole l’immediato sguardo confuso di lei. “Ho solo detto
che non mi va di stare qui, al chiuso. Pensavo che magari potevamo andarcene
fuori, visto che siamo soli. A studiare.” Sottolineò, adocchiando tracce
d’incertezza nei suoi occhi cioccolata.
“Beh,
io … veramente non so se …” Farfugliò a quel punto Rose, fermandosi il tempo
necessario a cercare le sue iridi perlacee e avvertendo un magone all’altezza
dello stomaco nell’intercettare la velata speranza dietro cui si celavano.
“Okay.”
Raccolsero
i libri e si avviarono verso l’uscita, facendo un breve pit-stop solo quando
Scorpius si allungò a prenderle la mano, sorridendo poi alla sua espressione
colpita. Era inutile, checché se ne dicesse, non riusciva proprio ad abituarsi
a quella nuova situazione. Il semplice fatto che fino a poco tempo addietro le
era sembrato assurdo, se non addirittura impossibile, riuscire a scambiare con
lui una conversazione civile senza schermaglie aggiunte, le faceva vedere il
tutto sotto una prospettiva necessariamente stralunata.
Il
sole brillava ancora nel cielo e non c’erano nuvole ad offuscarlo, né a
minacciarlo, quando uscirono all’aria aperta. Lui adocchiò un albero in
particolare e, trainandola dolcemente, ve la condusse. Una volta qui liberò la
presa delle loro mani per prendere posizione, stravaccandosi con la schiena
contro il tronco e i libri alla sua sinistra.
Rose,
al contrario, non fu di tanto ottimi riflessi. Era rimasta talmente inebetita
dall’aria rilassata sul viso di lui, da non riuscire a muoversi, quasi ne fosse
stata paralizzata. I suoi occhi, gli unici ancora in grado di metabolizzare
qualcosa, continuavano a saettare irrequieti dal suo fisico scultoreo ai
capelli dorati, resi ancora più chiari dalla luce abbacinante del sole, al viso
perfetto per scendere di nuovo sul torace e risalire ancora, in un circolo
vizioso.
Sarebbe
stata lì immobile a rimirarlo ancora a lungo se Scorpius, avvertendo il suo
sguardo addosso, non avesse avuto l’ardire di alzare un sopracciglio e
sfoderare al contempo una delle sue migliori espressioni da strafottente, di
quelle che sapevano mandarla all’istante su tutte le furie.
Ci
riuscì anche quella volta, come ovvio.
Rose
lo mandò mentalmente al diavolo per averle rovinato il bel momento, strinse i
pugni e, a peso morto, si gettò sul prato, rischiando persino di farsi male al
fondoschiena tanto era stata la foga con cui si era seduta. Poi, sbuffando
scocciata, recuperò un libro e vi ci immerse il viso di fretta, consapevole di
essere quantomeno arrossita. Odiava quel suo potere di farla sentire sempre
così imbarazzata con un solo sguardo, la faceva sentire più ridicola di quanto
già non sapesse esserlo.
Pochi
secondi dopo, comunque, fu convinta a riemergere tra le pagine ingiallite dal
suono allegro della sua risata. Scorpius, difatti, sembrava sinceramente
divertito e non si preoccupava di dimostrarlo. Era talmente di buonumore che
anche gli occhi, socchiusi, lasciavano intravedere una luce diversa, appagante.
“Beh?
Che hai da ridere?” Lo rimbeccò, isterica, dopo qualche istante di inutile
attesa per verificare che non fosse lui a parlare per primo.
Ma
Scorpius, anziché risponderle, continuò a sogghignare e, quando ormai lei stava
per mandarlo del tutto al diavolo, l’afferrò per un polso per costringerla ad
avvicinarsi. Lo scatto repentino, giustamente, la fece sbilanciare e cadere
dritta tra le sue braccia, affondando il capo nel suo petto scolpito. Lui,
allora, la agganciò per la vita e, con una lieve rotazione del busto, la
costrinse a poggiarsi con la schiena contro di lui.
“Weasley,
giuro che un giorno o l’altro mi farai morire.” Sogghignò, respirando il
profumo alla vaniglia dei suoi capelli e, allo stesso tempo, avvolgendola con
le braccia in una stretta decisa.
Rose
virò in tutte le tonalità del rosso al commento e fu grata, ancora una volta,
di stargli di spalle di modo tale da non potergli mostrare il proprio visibile
imbarazzo. Stava giusto per ribattere qualcosa sulla mancanza di tatto, quando
lo sentì combattere con i libri. Poco dopo si ritrovò tra le mani lo stesso
libro che stava studiando in biblioteca.
“Incantesimi,
giusto?”
Alla
domanda rimase incantata, gli occhi che increduli tentavano di mettere a fuoco
la pagina che lui aveva aperto, nel punto esatto dove l’aveva lasciata. Poi,
come inevitabile, sopraggiunse la cognizione. Scorpius si era ricordato non
solo della materia che stava portando avanti, ma finanche del numero di pagina
a cui era arrivata, mentre lei non aveva avuto attenzioni che per se stessa.
Si
sentì un verme e, contemporaneamente, felice come se avesse toccato il cielo
con un dito.
Con
una sicurezza che neppure sapeva di possedere, cercò la sua mano, stretta
attorno alla propria vita, e vi allacciò le proprie dita. Poi, con quella
libera, si allungò indietro e recuperò la porzione di collo che riusciva a
raggiungere, costringendolo a chinarsi verso di lei quel tanto che le
permetteva di sfiorarlo. Ma fu più di quello, quando incontrò le sue labbra. Un
bacio dolce, caldo, eppure così saturo d’amore da rimanerne stordita, per
qualche istante.
Quando
si separarono, rimase ad osservarlo per una frazione in più del necessario,
perdendosi nel sorriso che all’improvviso sembrava incapace di abbandonarlo.
Era così bello il sorriso di Scorpius … Né troppo smagliante, né stentato,
sembrava piuttosto un ghigno sghembo in cui riversare l’incredibile gioia che
gli attraversava già lo sguardo di ghiaccio.
Ecco,
era a quello che non riusciva a distaccarsene: i suoi occhi. Erano sempre stati
così freddi e alienati, o impertinenti e sardonici. Tuttavia mai davvero
ridenti, come in quel momento.
Sorrise,
sentendo il cuore gravitarle nel petto, e dovette costringersi a ritornare al
suo libro per non perdere del tutto la concentrazione.
Fu
abbastanza difficile, invero, mettersi a preoccupare di Incantesimi quando
poteva stare così stretta a lui senza la paura di essere scoperti, però il suo
lato diligente era troppo profondo per essere messo così facilmente a tacere.
Prese un respiro e, lasciando il collo di lui, recuperò il libro dal proprio
grembo, mettendolo quindi con le spalle contro le sue gambe. L’altra mano,
invece, rimaneva saldamente ancorata a quella di Scorpius.
“L’incantesimo
di duplicazione.” Recitò, leggendo il titolo, sorridendo quando Scorpius la
strinse un pochino più forte contro di sé.
Il
ragazzo appoggiò il mento sul suo capo e, silenziosi, scivolarono nella
lettura, sempre del tutto consapevoli del contatto perfetto dei loro corpi.
~
Il
sole si stava pigramente calando nella bocca formata dalle due montagne, ad
occidente, screziando il cielo in tante sottilissime strisce albicocca fatte di
mille puntini aggregatisi, ricordando in modo irreale i migliori lavori di
un’epoca passata dominata dal puntinismo. Rose chiuse gli occhi, liberando un
sospiro che si addensò in una nuvoletta di vapore, segno rimarcante di quanto
la temperatura fosse notevolmente diminuita nel giro di poco tempo. Aveva le
ossa delle gambe indolenzite, ma ciò nonostante non credeva di essersi mai
sentita tanto bene come in quel momento.
“Dovremmo
farlo più spesso.” Esordì all’improvviso, sollevando le palpebre per cercare il
fisico allampanato di Scorpius, appena rialzatosi.
Per
tutta risposta il ragazzo abbandonò la contemplazione del tramonto per fondere
gli occhi nel viso di lei.
“Rientriamo.”
Disse invece, porgendole una mano per aiutarla a mettersi in piedi.
Rose
annuì e, afferrando di buon grado l’appoggio, si stupì nel sentirsi sollevare
da terra con un facilità estrema, quasi il suo corpo non avesse peso in quel
mondo.
“Grazie.”
Mormorò, mentre si dava una riassettata generale.
Rimosse
con le mani qualche ciuffo di erba rimasto ancorato ai suoi jeans e si buttò
indietro i capelli, arruffati per via dell’umidità che, di punto in bianco, aveva
invaso l’atmosfera. Normalmente i suoi capelli si incurvavano in morbide onde,
ma in quelle condizioni climatiche non era difficile ritrovarli più ispidi e
crespi. Certe volte avrebbe volentieri dato l’anima pur di avere i capelli come
quelli di Victoire, ad esempio, che non sembravano affatto conoscere la parola imperfezione nel proprio vocabolario.
Con
un colpo di bacchetta, frattempo, Scorpius aveva recuperato tutti i libri
sparsi per terra e adesso li reggeva con nonchalance nella mano sinistra, sotto
lo sguardo basito di Rose, mentre l’altra era di nuovo protesa verso di lei.
Non se lo fece ripetere due volte e, con un sorriso, gli allacciò le dita nelle
sue come ormai iniziava a diventare un’abitudine. Il modo in cui riuscissero a
combaciare alla perfezione, rivelandosi due tasselli adiacenti di uno stesso
puzzle, era sempre qualcosa per cui valeva la pena sorprendersi.
Mano
nella mano, si avviarono verso l’entrata del castello, godendosi gli ultimi
raggi del sole e insieme il surreale silenzio intercalatosi, cosa insolita per
un luogo sovraffollato quale Hogwarts. Per una manciata di secondi, mentre
l’aria fresca le solleticava il viso, Rose pensò che le sarebbe mancato tutto
quello una volta uscita di lì. Aveva sempre avuto un certo terrore dei cambiamenti
e il futuro la spaventava a morte, tuttavia era troppo razionale per sperare di
potersi sottrarre all’imminente cambiamento che stava correndo in linea di
collisione con la sua vita.
Finita
la scuola, avrebbe trovato ad aspettarla una vita diversa da quella che aveva
sempre conosciuto. La stessa estate che si profilava silenziosa dinanzi, aveva
assunto toni distaccati da quella di sempre. Un tempo, difatti, Rose vedeva
l’arrivo della bella stagione come una scusa valida per riposarsi, salvo poi farsi
prendere da qualche crisi isterica a poche settimane dall’inizio del nuovo anno
scolastico.
Quell’estate,
invece, si rivelava un enigma vero e proprio.
Ma
aveva tempo anche per preoccuparsene e lei era ben intenzionata a mettere da
parte le energie necessarie all’impresa almeno fino al matrimonio tra Teddy e
Victoire. Il solo pensiero di sua cugina che si sposava con il figlioccio dello
zio Harry, la fece sussultare. Era la prima della loro generazione a compiere
un passo del genere e la cosa, in qualche modo, la spaventava. Un altro sintomo
che gli eventi stavano cambiando. Scosse il capo, non voleva pensarci giusto in
quell’istante.
Scorpius
se ne accorse e, per questo, le gettò un’occhiata perplessa.
“Niente
di importante.” Si affrettò a dire subito Rose, scrollando le spalle e
dispiegando le labbra in un morbido sorriso. “Stavo solo pensando a
quest’estate.”
“Al
fatto che non mi potrai vedere più così spesso?” La rimbeccò lui e lei stava
sul punto di prendersela, se non avesse notato il ghigno ironico del suo viso.
“Te
l’hanno mai detto che sei uno sbruffone, Malfoy?”
Scorpius
ridacchiò al commento e, con un gesto fluido, la fece passare il braccio destro
attorno alla testa, senza mai sciogliere la stretta delle loro mani, per poi
costringerla ad avvicinarsi con una lieve pressione sul collo. Lei arrossì
appena nel percepire la sensazione di calore trasmessa dal suo corpo. Da lì, in
quella nuova posizione, poteva quasi avvertire il battito regolare del suo
cuore.
“Fa
parte del mio fascino.”
“Ma
certo.” Fece una smorfia Rose. “Avrei dovuto immaginarlo, penso. Comunque, per
rispondere alla tua domanda, no, mi riferivo al matrimonio di Teddy e Victoire.”
“Non
ti va di andarci?”
“No,
non è nemmeno questo. Beh, devo ammettere che l’idea di dovermi imbellettare,
per poi scuocere al sole cocente non è tra le mie prospettive preferite, ma
credo che sopravvivrò.”
“Meglio
così.” Non si trattenne dal considerare a voce alta Scorpius, pensieroso, per
nulla imbarazzato neppure di fronte all’occhiata sbalordita che ne ricevette.
“Non voglio ritrovarmi una poltiglia liquefatta per ragazza.”
Come
succedeva ad ogni annotazione del genere, Rose avvampò seduta stante. Il cuore
batteva così forte che per un momento temette di vederlo uscire dal petto. Poi,
come a tutte le precedenti volte, la sensazione di calore venne soppiantata da
una frana artica, scaturita dal senso di colpa per tutte le menzogne con cui
invece lo stava ripagando.
“Rose?
Sei già liquefatta?”
“Eh?”
Alzò il capo, stralunata, per poi scuotere il capo ad intermittenza. “No, no …
nessun pericolo. Ancora.”
Scorpius
annuì, senza ribattere alcunché. Aveva il viso contratto nello sforzo di
percepire l’entità dei suoi pensieri. Quando alla fine dovette darsi per vinto,
non poté non sbuffare scocciato e la cosa, chissà come, la convinse ad andare
avanti, sperando magari di ridonargli il buonumore con le sue peripezie
goffissime.
“A
proposito, sai di che colore mi vestirò? Pervinca. Cioè, dico, pervinca!” Comunicò, enfatizzando il
termine e continuando subito dopo incoraggiata dalla risata di lui. “Non sapevo
neppure esistesse come colore! Ma zia Fleur dice che è perfetto per me e per
Dominique, anche se nessuna di noi ne è entusiasta. Credo non lo sia neppure
Victoire, detto tra noi. Oddio, sembrerò una gelatina …!”
“Una
gelatina liquefatta.” Puntualizzò Scorpius, senza smettere di sorridere.
“Già.”
Alzò gli occhi al cielo Rose, in una delle sue migliori interpretazioni
melodrammatiche, per poi ritrovare un’aria preoccupata. “A te non spaventa?”
“Cosa?”
“Il
futuro. Il non dover più ritornare ad Hogwarts. È il nostro ultimo anno.”
Si
fermò dall’aggiungere altro perché lui, senza motivo apparente, si era bloccato
sulla porta, costringendola a fare lo stesso.
“Rose.”
“S-
Sì?” Deglutì, nervosa; i loro visi erano così vicini adesso da riuscire a
distinguere ogni sfumatura di quegli occhi cenerei.
Scorpius
la guardò a lungo, serio, prima di lasciarsi scappare un ghigno che aveva tutta
l’aria di essere scanzonato.
“Ho
litigato con i miei due ex migliori
amici, ho studiato tutto il giorno sotto ad un albero anziché approfittarne
della libera uscita e sto con una Weasley. Il resto, a confronto, sembrerà una
barzelletta. Credimi.”
E
come poteva non farlo, quando lui le sorrideva a quel modo?
Sorrise
a sua volta e scosse il capo. “Hai ragione. Non potrà essere più strano di
questo, no?” Ribadì, incapace di riuscire a distogliere gli occhi dai suoi,
come attratta da una calamita invisibile.
Si
accigliò soltanto per qualche istante, preda di un pensiero particolare. “Non senti
la loro mancanza?”
Scorpius
non aveva bisogno di chiedere spiegazioni, per sapere a chi si stesse
riferendo. “No.” Sputò quasi con
rabbia, segno evidente che non aveva ancora digerito tutta la faccenda.
Rose
sospirò. Sapeva riconoscere dal fondo delle sue iridi quando stava mentendo. In
quel caso era quasi ovvio che lo stesse facendo, riusciva a fiutare l’odore di
bugia da miglia.
“Sono
i tuoi migliori amici.”
“Lo
erano.” La corresse lui.
“Beh,
comunque sia, sono certa che infondo avessero voluto agire in buona fede.”
“Tu
non conosci Edmund.”
“Ma
era il tuo miglior amico!” S’impuntò Rose, decisa a preservare l’immagine che
aveva sempre avuto dei tre.
Se
la maschera sul viso di Scorpius aveva saputo resistere ad ogni insinuazione,
non riuscì a celare uno scricchiolio di protesta dinanzi alla realtà offertagli
su un piatto d’argento. Aveva ragione, logicamente. Edmund era il suo migliore
amico e forse, proprio per questo, ne era penalizzato più che rispetto ad
Ottavius. Certe cose, d’altra parte, non ci se le aspetta dalla persona che a
ragione dovrebbe anche essere quella che più ti conosce, giusto? E così, se da
una parte non aveva dubbi che presto o tardi sarebbe finito per riconciliarsi
con il cugino, complici anche i rapporti di sangue, gli risultava ancora
estremamente difficile, se non impossibile, pensare di ricongiungersi anche con
il giovane Nott.
Tutte
riflessioni che sdrucciolarono oltre quando la sua mente brillante colse al
volo il significato intrinseco a tutte quelle incertezze.
“Sei
preoccupata che abbiamo litigato? Anzi no, meglio: vorresti che io facessi pace
con loro? Dopo tutto quello che ti hanno fatto?” Era sconvolto, come avrebbe
dovuto.
Rose
arrossì appena, ma non demorse. “Vorrei solo che non litigaste per me.”
Scorpius
sorrise, appena, avvicinandosi. “Sei incredibile.”
Rose
distingueva perfettamente il suo respiro caldo sulla pelle e il senso di
eccitazione che le procurava il contatto delle sue mani sulla propria pelle, ma
nessuna di quelle sensazioni era paragonabile a l’effetto provocatole dal
sentore che lui stava per baciarla. Erano trascorsi mesi ormai dal loro primo
bacio, quello dal retrogusto amaro dell’inganno che aveva portato alla
fotografia, la causa scatenante di tutto quello. Eppure ancora non riusciva a
metabolizzare e canalizzare l’adrenalina che il solo baciarlo riusciva ad
iniettarle nelle vene e, forse, non ci sarebbe riuscita mai.
Con
una mano percorse la linea del suo braccio, della spalla, del collo, per poi
immergerla in quella massa dorata che erano i suoi capelli. Dorati, quasi
fossero stati immersi nell’oro. Più chiari di quelli di Victoire ma vagamente
più scuri di quelli di Dominique, quasi platinati.
Le
labbra adesso erano a pochissimi millimetri di distanza, tanto più che Rose
chiuse gli occhi e, impaziente, si alzò sulle punte per-
“Ecco
Hogwarts, ragazzi!”
Scorpius
alzò il capo e, in men che non si dica, allentò la
stretta, prima ancora che lei riuscisse a capacitarsene e ad aprire dunque gli
occhi. Il repentino cambiamento l’aveva così stordita che, delusa, non poté
fare a meno di cercare il suo sguardo. Si sentiva vuota, come se le avessero
appena strappato dalle mani qualcosa che a fatica aveva acciuffato.
“Stanno
arrivando.” Disse solo lui, più eloquente con il capo che indicò il punto del
parco dove sorgeva il cancello.
Rose
socchiuse gli occhi per mettere a fuoco la massa indistinta che si avvicinava
pian piano. Non le ci volle molto per capire che erano gli altri studenti di
ritorno da Hogsmeade e che, l’esclamazione multipla di prima, proveniva proprio
da loro. Sbuffò, avvilita, e in quell’istante avvertì la mano di Scorpius
scivolare via dalla sua. Lo guardò sconcertata, dimentica del tacito accordo di
segretezza che regnava tra loro, e per un lungo attimo si sentì spezzata in due
da quell’improvviso rifiuto. Poi si ricordò che era lei a volerlo, ad averlo
quasi scongiurato per quello, e che Scorpius stava semplicemente attenendosi al
piano. Non era lui a spezzare lei. Era lei,
a farlo con lui.
Il
pensiero, tanto consistente da apparire concreto, le si rovesciò addosso come
una valanga.
Mentre
cercava il suo viso, febbrile, per leggere quello che già sapeva vi avrebbe
trovato, una parte remota del suo cervello registrò l’improvviso distacco della
mente con il corpo. Sapeva di essere rigida come una statua e persino cerea
come essa, e tuttavia non riusciva a preoccuparsene. Fino a quel momento non
aveva dato peso a come lui avrebbe potuto sentirsi dinanzi alla sua insana voglia
di nascondersi, ma ora che ne aveva saggiato una parte, per quanto minuscola,
gli occhi le si aprivano come per incanto per dare spazio alla verità.
Come
faceva a sopportare quella sensazione? Eppure era lì. Gliela leggeva negli
occhi, assieme a tutto l’amore che a suo modo provava per lei.
“Buon
pomeriggio, Rose!” La salutò schifosamente sorridente Michael, troppo preso dal
mostrarsi pomposo per accorgersi del ragazzo seminascosto in un cono d’ombra,
che stringeva i pugni per impedirsi di prenderlo a pugni seduta stante.
Lei,
al contrario, notò il repentino cambiamento e se da un lato provò un’assurda
sensazione di piacere per quella sua nuova possessività, dall’altro la dilaniò.
Ad un tratto, come il lampo di un flash, prese piena consapevolezza, per la
prima volta, di quando lui tenesse a lei. Scorpius era davvero innamorato – la cosa le procurava delle strane vertigini
all’altezza dello stomaco – di lei.
“Come
mai non sei venuta ad Hogsmeade?” Stava nel frattempo dicendo Michael,
tranquillo, mentre uno sciame di studenti li separava ignari dal Serpeverde.
“Hai studiato per i M.A.G.O., vero? Anch’io volevo ma-”
“Scusami.”
Farfugliò Rose senza pensarci, gli occhi puntati sulla porzione di viso di
Scorpius che riusciva ancora a distinguere. “Scusami, Michael.”
Sentì
lo sguardo del Caposcuola penetrarle la schiena, ma non se ne curò mentre
s’intrufolava tra la calca di studenti che, come un fiume inarrestabile,
ostacolavano la sua corsa verso l’altra sponda. Ad un tratto era un giunco che,
flessuoso, si lasciava sbatacchiare dalla corrente, senza però darvi mai la
forza per formarla. I suoi occhi erano fossilizzati sull’obiettivo del suo
cammino e nemmeno tutti gli spintoni gratuiti in cui si era gettata a capofitto
le avrebbero impedito di valicare quel fiume.
-Scorpius.- La
sua mente brillante continuava a ripeterle quel nome, a frequenze regolari,
seguendo ritmi precisi scanditi dal battito stranamente calmo del suo cuore.
Una parte di lei, la più surrealista, non poteva fare a meno di notare come
fosse tutto così naturale per lei, anche quel difficile passaggio, quasi
l’avesse sempre saputo nella sua vita che un giorno sarebbe andata a finire a
quel modo. Il senso di fatalità si era così sradicato nei suoi pensieri, che
tutto ormai aveva assunto connotati diversi. Ad un tratto gli avvenimenti di
quell’ultimo tempo avevano assunto significati intrisi di una forte
concentrazione mistica e sembravano voler gridare, nella loro mansueta vita,
che ogni dettaglio era servito per arrivare a quel punto.
Qualche
vocina, in lontananza, aveva iniziato a farfugliare il suo nome, ma Rose aveva
occhi e attenzione rivolti solo al ragazzo che le era dinanzi. Lo sciame di
studenti scorreva fluido alle sue spalle e già sapeva del sapore agrodolce dei
ricordi. Adesso c’era solo Scorpius, per lei.
Con
naturalezza fece scivolare la sua mano sottile in quella forte di lui,
sorridendo quando lo vide sgranare gli occhi, in una muta domanda.
“Avevi
ragione tu. Avevo paura.” Disse, come se fosse sempre stato lì, sulla punta
della lingua, talmente ovvio da essersene infine dimenticata.
Ma
la verità era sintetizzata alla perfezione in quelle poche parole. Ci aveva
messo un po’ per capirlo, intorpidita com’era stata dal buio dell’ignoranza.
Quando Scorpius aveva constatato che tutta la storia di Albus non era altro che
la pallida scusa di qualcosa di ben più intimo, di una bugia raccontata con
l’unico scopo di preservare se stessa, era arrivata quasi a detestarlo. Cosa ne
sapeva lui? Come poteva dire certe cose? Se l’era chiesto mille, miliardi di
volte, sentendosi di volta in volta sempre più ferita mentre si ripeteva che
non aveva capito nulla di lei. Adesso invece scopriva che era sempre stata lei
ad essere nel torto. Tutte quelle asserzioni … beh, non erano altro che degli
insulsi tentativi di ignorare il groppo alla gola.
“Sono
stata una stupida.” Aggiunse, defluendo da quelle riflessioni per scontrarsi
con il suo sguardo profondo.
Non
poteva promettere che sarebbe cambiata, che di punto in bianco avrebbe imparato
a tenere da parte la paura del giudizio degli altri. La paura di deludere
qualcuno. Però poteva sempre provarci … no?
Lo
vide digerire l’informazione e sfoderare un sorriso sghembo nel farla propria.
Poi, come se non attendesse altro che il suo consenso, allungò la mano libera
verso il viso di Rose e con una dolcezza che nessuno gli avrebbe mai associato,
le scostò una ciocca ribelle per incastrarla dietro l’orecchio. Lei arrossì ma
non poté impedirsi di sorridere, crogiolandosi nella felicità scaturita da
quella nuova, acquisita di lui.
“D’accordo
Weasley. Diciamo che ti perdono.” Disse alla fine, senza abbandonare la vena
ironica, con l’accento nutrito però di un velato accenno di contentezza.
“Oh,
ma grazie, Malfoy!”
“Rose?!”
Ad interrompere il loro allegro chiacchiericcio, sopraggiunse una voce
sconvolta che lei conosceva sin troppo bene.
S’irrigidì,
all’istante, e dovette impallidire parecchio perché Scorpius fu sul punto di
lasciarle la mano. Glielo impedì, stringendola anzi con maggior veemenza.
Apprezzava a dismisura il gesto, ma non poteva permettergli di stare male
perché non voleva e non sapeva affrontare la realtà. Quindi prese un grande
respiro e si voltò. Dinanzi a lei sette paia di occhi la fissavano, chi più chi
meno, con sconcerto.
N/A
Che periodo
incredibilmente nero … Pensavo che prima o poi l’ispirazione sarebbe tornata,
ma niente. Niente di niente. Inizio a
deprimermi. -_-’’ Stendiamo un velo pietoso, mi sa che è meglio. Anche se la
mancanza di estro artistico aggiunta ad un vago senso di angoscia e a tutta una
serie di domande su dove voler andare nel proprio futuro, dove dirigerlo e
tutte quelle cose lì, ecco, mi stanno tenendo col morale piuttosto basso a dire
il vero.
E di certo non aiutano a
ritrovare l’ispirazione, nossignore.
Beh, scusatemi per questo
sfogo interiore, mi ci voleva, mi sento davvero abbacchiata se penso al mio
futuro, specie ora che mi manca così poco per laurearmi … E grazie. Davvero,
grazie infinite per i vostri commenti e per l’appoggio incredibile che riuscite
a darmi.
Ci vediamo nel prossimo –
penultimo – capitolo.
Baci.
memi