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Autore: cartacciabianca    17/01/2010    4 recensioni
[ SOSPESA ]
Giocatori, siete nell'Anno del Signore 1232.
Luigi VIII, appena di ritorno sconfitto dall’Inghilterra, punta le lance in resta contro Tolosa, dimora di Raimondo VII. Impadronitosi di quelle terre ne coglie l’intera giurisdizione, affiliando nel 1226 definitivamente la Linguadoca alla Francia. Il Leone di Francia viene meno nell’inverno di quell’anno, e il potere succede così ad un piccolo Re, all’epoca solo dodicenne. Luigi IX, detto il Santo per la sua calorosa religiosità e collezione di reliquie, guidato dalla spavalderia degli uomini di cui è circondato, e appoggiato dalla madre Bianca, eccolo già in battaglia contro una nuova rivolta. Nel 1228 giunge ad un compromesso con Raimondo VII, e nel 1229 promette al conte la giurisdizione delle sue terre, in cambio della sua unica erede Giovanna promessa al fratello del Re, Alfonso di Poitiers, e la completa ammissione della regione nei domini Francesi. La Crociata Albigese si conclude definitivamente nel 1229.

A Phoenix e Châtel-Argent sono trascorsi 17 anni. Ian e Daniel varcano la soglia della quarantina e conti come Granpré stanno per raggiungerli. Non si sentono vecchi o stanchi, ma solo maturi, vissuti e cavalieri di Francia ogni giorno di più. Mettiamo alla prova il coraggio di una ragazzina e l’ambizione del suo migliore amico. Il risultato è una fan fiction esilarante che ce la metterà tutta pur di mostrarsi degno tributo alla trilogia di Cecilia Randall.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Premessa:
A conoscenza di un romanzo collettivo autorizzato da Cecilia, confesso che non ne ho letta nessuna pagina. Perciò, anche se gli eventi sono leggermente posticipati rispetto la data di conclusione del terzo libro, questa storia non ha nulla a che vedere col romanzo collettivo.
Ne approfitto anche per consigliare a chiunque si aspetti una scrittura impeccabile e perfetta come quella della Randall, di chiudere immediatamente questa pagina! Sono consapevole di non meritare di potermi affiancare ad una scrittrice di tanto talento che ammiro, adulo e rispetto come Cecilia. ^^ Molto semplicemente sto dicendo che non so scrivere! XD
Detto ciò, spero lo stesso che la trama in mente abbia catturato la vostra attenzione e stimolato la vostra curiosità.
Ora vi lascio! :D




Diciassette anni dopo, nel mondo moderno…

Quel suono.
Risvegliava gli addormentati sui banchi e rubava i disperati dalle interrogazioni. Quanto amava quel suono non sapeva dirlo, perché aveva salvato la pagella di fine quadrimestre più di una volta a più di uno studente.
L’elettronico “drin” di una campanella scolastica tuonò per tutto l’edificio e l’urlo collettivo degli alunni fece tremare la terra. I corridoi si riempirono di ragazzi in maglietta, canottiera e pantaloncini che correvano verso l’uscita, verso la libertà. Il fracasso era assordante, dalle grida dei ragazzi al trambusto dei banchi singoli che venivano letteralmente gettati da parte, in un unico gesto di assolvimento. Ai lati del corridoi stavano due bidelle con i gomiti poggiati sulle scope, e guardavano la mandria di rinoceronti abbandonare la scuola e riversarsi come un fiume in piena nel cortile esterno. La battaglia coi gavettoni cominciò all’istante, non ci fu pietà per nessuno.
L’aula della IV A superiore, che l’anno successivo sarebbe diventata “matura” per così dire, era già mezza vuota. Alcune ragazze corsero fuori tenendosi per mano e sbraitando energiche di felicità, il professore finiva di sistemare i suoi ultimi appunti annuali nella cartella da ufficio posata sulla cattedra. Sola nella stanza assieme a lui, a riordinare i fogli scarabocchiati e le penne, c’era una ragazza dai corti capelli castani, lisci ma un po’ ribelli dietro le orecchie. Le lentiggini attorno al naso piccolo e grazioso le aveva rubate alla madre, mentre gli occhi attenti sembrava averglieli prestati suo padre. Vestiva sobriamente, jeans e maglietta bianca, sopra la quale aveva indossato un maglioncino di cotono e mezze maniche col cappuccio.
Raccolse tutte le sue cose nello zaino, tra cui il blocco da disegno e l’astuccio pieno di matite. Si caricò in spalla il tutto, dimenticandosi però di chiuderlo adeguatamente.
Prima di uscire dall’aula, lanciò un’occhiata nel cortile fuori dalla finestra più vicina e si fermò a guardare. Il trambusto proveniente dall’esterno le faceva gelare le ossa, come tutti gli anni. La guerra diventava sempre più spietata: alcuni ragazzi erano entrati in possesso del tubo dell’acqua che usava il bidello per annaffiare il viale fiorito della scuola, e adesso sparavano a tutta birra addosso al primo che capitava loro a tiro. Alcuni disgraziati, invece, avevano aggiunto ai gavettoni dell’acqua anche sacchi di farina e uova.
Il professore in piedi accanto alla cattedra finì di sistemare le sue cose, riallacciò la valigetta e la impugnò pronto ad andarsene. Si accorse di lei e, notando la smorfia che le si era dipinta sul viso, inarcò un sopracciglio. –Signorina, se vuole posso prestarle il mio ombrello- scherzò l’uomo.
La ragazza si volse lentamente verso di lui, ma era già sulla strada per l’uscita dell’aula. –Non si preoccupi- blaterò sorpassandolo e avviandosi in corridoio. E poi quale idiota si porta dietro un ombrello d’estate?
Il quarantenne laureato in storia dell’arte le andò dietro per un certo tragitto, poi svoltò, probabilmente diretto alla sala professori come tutti i docenti.
Ogni anno la stessa storia, la stessa medesima fuga come fossi il più ricercato ladro di gioielli d’America! Odio l’ultimo giorno di scuola… pensava la ragazza affacciandosi all’ingresso principale della scuola. Si permise di osservare i ragazzi di V lanciarsi gavettoni e schifezze d’ogni sorta solo qualche istante. Dopodiché fece dietro front e si avviò verso la mensa. Questa era deserta e la traversò quasi di corsa. Passato il refettorio, arrivò nelle cucine che trovò anch’esse vuote e silenziose, ma puzzolenti di pollo fritto, verdure bollite e formaggio. Una volta fuori, oltre la porta lasciata aperta da chi era incaricato di cestinare la pattumiera, raggiunse la strada come d’abitudine.
Le grida dei ragazzini nel cortile le arrivavano come una eco distante e soffuso, presto sostituito dall’abbaiare di due pastori tedeschi oltre una recinzione metallica.
-Ehi, ciao…- mormorò la ragazza chinandosi alla loro altezza e, nonostante prigionieri oltre la recinzione, allungò loro una mano e si fece annusare le dita. –Ecco, così, bravi- sorrise lei nel vederli calmarsi allo stesso tempo, come gemelli in perfetta sincronia. –Anche se siete pestiferi come dicono, non potete certo essere peggio del mio- ridacchiò prendendo qualche residuo di merendina dalla tasca del suo zaino. Ne diede un pezzo ad entrambi i fratelli pastori, salutò carezzandoli sul naso umido e si avviò questa volta di corsa sul marciapiede.
-Eccola!- sentì gridare alle sue spalle.
-Sì, è lei! Addosso!-.
A quanto pare è destino… si disse con una certa amarezza senza voltarsi indietro.
-Mike, allunga il tubo!-.

Il sole del pomeriggio colorava d’arancio gli alberi del viale. Soffiava una brezza fresca che faceva danzare il pupazzetto di peluche a forma di drago legato al suo zaino. La giovane aveva impiegato quaranta minuti di passeggio per arrivare a casa, e davanti lei c’era la porta d’ingresso ancora chiusa. Aveva percorso tutto il tragitto in quello stato, bagnata fino alle ossa. Puzzava in una maniera immonda di acqua di fogna che le avevano schizzato quelli dell’ultimo anno con la pompa, e meno male che era entrata nel loro campo visivo ad uova e farina esaurite.
Fortuna che è estate, dai che forse non mi ammalo… ma quel pensiero non bastava a consolarla.
Finalmente si decise ad estrarre le chiavi di casa dalla tasca umida dei pantaloni. Mamma e papà sarebbero tornati dal lavoro prima uno poi l’altro con orari diversi, ma lei aveva tempo sufficiente per farsi una doccia e…
-Helly!-.
La ragazza irrigidì le spalle e si voltò senza allontanare la mano con la chiave dalla serratura.
Fermo al limitare del marciapiede, sul sellino di un motociclo, c’era un giovane che, quando si tolse il casco e spense il motore scoppiettante, mostrò una chioma di capelli castano chiaro scompigliati in ciocche ribelli. Occhi verde smeraldo e il volto maturo con qualche accenno di barba. –Guarda come sei ridotta- commentò facendo una smorfia.
-Hai ragione! Sono fradicia! Oddio, ma come ho fatto a non accorgermene…- brontolò lei con sarcasmo. Inserì e girò la chiave nella serratura.
-Mi dispiace, ma quando è suonata non ti ho più vista, volevo darti un passaggio- disse alludendo allo scooter su quale sedeva.
-Grazie, Gabriel, ma non avrei accettato comunque- affermò freddamente. –Ciao- aggiunse poi entrando in casa. L’abbaiare di un cane svegliato dal tintinnio delle chiavi si era già diffuso per tutto il quartiere. –Skip, piantala!- lo strillò lei.
-Aspetta, Helly, dai!- il giovane smontò dallo scooter e mise il cavalletto. Arrivò di corsa sulla soglia prima che la ragazza potesse chiudergli la porta in faccia.
-Che cosa c’è?!- eruppe fulminando l’amico con un’occhiataccia.
-Mi hanno dato il debito in storia- comunicò semplicemente. –A settembre dovrò fare gli esami di ammissione, perciò ho pensato: dato che sei la migliore della scuola in quella materia, magari…-.
-No-.
-In cambio ti aiuto in matematica, promesso- sorrise.
-Ho detto di no. Ciao-.
-Helly, accendi il cell! Ti chiamo!- strillò lui a porta ormai chiusa.
Una volta al sicuro tra i quattro muri di casa, attese che Skip la smettesse di abbaiare. Chiuse gli occhi e ascoltò il tintinnio delle unghiette delle sue zampe ticchettare sul parquette, mentre scodinzolava come un matto con la lingua a penzoloni fuori dalla bocca.
-Sì, sono loro- mormorò la ragazza facendosi annusare la mano, dove il cane aveva riconosciuto l’odore dei due pastori. –Seduto- ordinò, e così l’animale fece. –Bravo- sorrise lei aggiungendo alle parole anche una festosa carezza. Si appoggiò con le spalle alla parete e lasciò cadere lo zaino a terra. Non le importava se il felpino bagnato avesse macchiato l’intonaco della parete o le scarpe rovinato il pavimento.
Scale. Bagno. Doccia. Tre comandamenti divenuti sacri in casi come quelli.
La diciassettenne si avviò su per i gradini, seguita da Skip, e si spogliò durante il tragitto, ma il cane cambiò presto direzione e andò a sgranocchiare l’ossicino di gomma lasciato nella stanza della padrona.
La ragazza arrivò in bagno con indosso solo la biancheria e accese il getto d’acqua regolando la temperatura. Ammirò lo specchio che lentamente si appannava per via del calore che aumentava, e si vide riflessa con i capelli già bagnati attaccati al viso, piatti, raggrinziti e scoloriti. Il viso pallido reduce di una carnagione bianca anche sotto il sole estivo, le lentiggini castane e gli occhi azzurri. Si carezzò le guance stirandosi la pelle con un sospiro. Poi spostò la sua attenzione all’orologio da polso che si slacciò mentre leggeva le lancette.
Mamma fa il turno all’ospedale anche ‘sta notte, e papà tornerà dall’ufficio tra un’oretta. Ragionò. Forse faccio in tempo ad andare da Samantha prima che torni, così ho la scusa per non preparare la cena, si disse.

Faceva buio.
Salutata Samantha sulla soglia di casa, era montata sul primo mezzo pubblico che passava sulla strada e in una mezz’oretta era di ritorno. Scese dall’autobus con un saltello e intraprese il viale alberato che aveva percorso già quattro volte in una sola giornata, tra andata e ritorno da scuola e casa dell’amica. Samantha Fox distava abbastanza perché un contrattempo l’avesse potuta tenere occupata fino a quell’ora di rientrare, così che ad attenderla in casa avrebbe trovato solo un cane affamato, una madre preoccupata e un padre entrambe le cose.
Di fatti, quando Helly trasse le chiavi e le infilò nella serratura, Skip accorse subito sull’ingresso e cominciò ad abbaiare dall’altra parte della porta. Quando entrò, la ragazza trovò casa buia quasi come l’esterno.
-Papà- chiamò. –Papà, ci sei?- si guardò attorno notando che la sua cartella da lavoro e le chiavi della macchina (che aveva anche visto parcheggiata nel vialetto) erano sul mobile lì accanto, assieme alle bollette imbustate prese dalla cassetta della posta.
Skip abbaiò ancora e fece avanti e indietro dal primo gradino delle scale ai piedi della ragazza, come a volerle indicare una direzione da seguire.
-Va bene, ho capito che hai fame, aspetta un attimo!- sbuffò accendendo le luci del soggiorno e dell’ingresso. Lasciò la sua roba sul tavolo da pranzo e arrivò in cucina. Accese le luci anche lì e preparò in fretta da mangiare per il cane, versandogli nella ciotola due pugni di croccantini, ma Skip continuava ad abbaiare.
-Zitto, stupido! Se papà sta dormendo, così lo svegli!- lo rimproverò.
Nulla da fare, il cane era agitatissimo e bazzicava a destra e sinistra cantilenando e mugolando.
-Vuoi uscire?- gli chiese lei afferrando il guinzaglio dalla cesta e mostrandolo al cane.
A quanto pare no… pensò vedendolo peggiorare, piuttosto.
Poi, a sorpresa, Skip scattò di corsa su per le scale.
La ragazza, scocciata e senza parole, si limitò a posare il guinzaglio sul ripiano della cucina e seguire il cane al piano di sopra. Giunta in corridoio, trovò Skip a grattare la porta dello studio di suo padre con una zampa. Si chinò su di lui e lo fece smettere. –Grazie, così danno la colpa a me- sibilò. –Smettila, si può sapere che ti prende?- chiese sollevandosi in piedi. Lanciò un’occhiata alla stanza da letto dei suoi genitori, ma fu sorpresa di trovare il letto vuoto e tutto rifatto come lo lasciava la mamma la mattina.
Quindi papà non sta dormendo… constatò la ragazza, e nello stesso istante Skip riprese a grattare la porta mugolando.
Questa è zona Off-Limit per me da diciassette anni, lo sai? Razza di cagnaccio, guarda cosa mi fai fare… sbuffò. Posò la mano sulla maniglia e si decise ad aprire, chiedendosi se suo padre non stesse lavorando a qualcosa di importante che l’aveva tenuto incollato al computer tutto il giorno. Socchiuse leggermente la porta e spiò all’interno attraverso la fessura creata. Anche se era piuttosto buio, riuscì a scorgere l’interno silenzioso e avvolto dalle ombre, ma il motore del computer andava e il bagliore dello schermo illuminava la poltrona vuota.
Forse è in bagno e ha lasciato il computer acceso… si disse dimenticando aperta la porta e avviandosi in corridoio, mentre Skip, invece, entrava nello studio e cominciava ad abbaiare impazzito.
Helly non ci fece caso e raggiunse il bagno, ma non trovandovi nessuno ad occuparlo, tornò sui suoi passi e andò a cercare in salone. Magari si è addormentato sul divano e non ci ho fatto caso.
Ma nulla da fare, suo padre non era in nessuno di questi posti.
Sentendo il cane abbaiare ancora dal piano di sopra, Helly salì di nuovo le scale due gradini alla volta, ben intenzionata a mettere a tacere quell’animale una volta per tutte. –Non hai fame, non vuoi uscire, graffi le porte!- strillò. Piombò nello studio spalancando la porta. –Skip, almeno smettila di…-.
-GRAZIE AL CIELO!-.
Si sentì stringere calorosamente da un paio di braccia forti che l’avvolsero tutta, mentre l’orecchio andava a posarsi sul battere forsennato di un cuore in corsa come un treno.
-…Papà?- mormorò la ragazza, stretta al petto dell’uomo.
-Dannazione- proruppe lui scostandola appena da sé. La teneva ferramente per le spalle facendole quasi male. –Hellionor, mi hai fatto venire un accidenti! A me e a tua madre!- aggiunse guardandola negli occhi, coi propri accesi di terrore e furore assieme.
La ragazza non sapeva che cosa dire, e così tacque.
L’uomo si passò una mano in mezzo ai capelli biondi e se li stirò all’indietro con un gesto nervoso. –Si può sapere dove sei stata?- domandò furibondo.
-Ero da Samantha- sibilò esangue. –Dove credevi che fossi?- chiese subito dopo con una risatina isterica.
-Presto, chiama tua madre e dille che stai bene- disse invece lui andando dietro la scrivania e riprendendo la tastiera e il mouse sotto le dita. –L’hai fatta preoccupare- aggiunse scoccandole un’occhiata burbera.
-Più di quanto lo sei tu?- rise lei.
-Hellionor Eva Freeland, non sto scherzando- sbottò l’uomo avviando il processo di spegnimento del computer. –Avresti potuto almeno avvertire, ho temuto che…- s’interruppe scuotendo la testa e guardando chissà cosa sul desktop del PC.
-Cosa? Che Skip avesse mangiato me invece dei croccantini? Ma per favore, papà. L’anno prossimo mi consegnano il diploma, non sono più una bambina-.
-E allora dimostralo, e fa’ una cazzo di telefonata!- strillò Daniel.
La ragazza s’irrigidì d’un tratto come una statua. Non aveva mai visto suo padre così arrabbiato.
-Tieni- l’uomo le lanciò il suo cellulare, che Helly afferrò al volo. –Chiama Jodie, ma non pensare di averla passata liscia, signorina- l’ammonì. –Per adesso va’ giù e prepara la cena. Più tardi tua madre ed io decideremo come passerai l’estate-.
La ragazza si avviò nel corridoio. -E meno male che in questo paese sono già maggiorenne!- si lamentò componendo il numero sul cellulare dell’ospedale dove lavorava sua madre.
-In Francia non lo saresti!- ribatté Daniel a gran voce.
-E chissene frega!- gridò dalle scale.
Dopo un lungo attimo di silenzio, Daniel guardò Skip che si era accucciato sotto la scrivania, avendo ascoltato le urla dei due fino ad allora con timore ed orecchie abbassate. Il signor Freeland si chinò a fargli una carezza, e il cane prese subito a scodinzolare grazie al tocco magico del padrone.
-Quella ragazzina mi ucciderà, se continua così- sospirò Daniel appoggiandosi allo schienale della sedia. Fissò l’icona di Hyperversum galleggiare sul desktop come screensaver. Scrutò allungo la mela fluttuante sullo sfondo nero, sbollentando man a mano che il tempo inesorabile del mondo reale gli scivolava addosso.
‘Sta volta ho avuto davvero paura che avesse scoperto la mia password… sospirò l’uomo, e nel farlo si voltò a guardare una vecchia foto incorniciata posata sulla mensola vicina. Vi erano quattro figure abbracciate amichevolmente, e Daniel non fece fatica alcuna nel riconoscerli dal primo all’ultimo.
In ordine da sinistra a destra: Martin Freeland, Jodie Carson, Daniel Freeland e ultimo, ma non d’importanza, Jean de Ponthieu, il Falco d’Argento… mio migliore amico Ian Maayrkas.
Daniel prese tra le dita quella vecchia foto, guardando prima gli amici poi l’icona di gioco sul desktop.
Sarà meglio avvertire Ian che mia figlia non si è persa nel Medioevo come temevo.





Angolo d’Autrice
Eccomi, finalmente ce l’ho fatta! Nella mia testa credo di aver architettato a sufficienza per poter finalmente mettere mani su questa fan fiction, stata fantasia troppo a lungo. Per essere un primo capitolo, i fatti, come avrete notato, scorrono “abbastanza” tranquilli! ^^ Ma sì, diamo spago alle paranoie di Daniel e vediamo cosa succede ad una sua presunta figlia, il cui nome per esteso è Hellionor Eva Freeland.
I personaggi di questa storia saranno più o meno quelli descritti nel libro, e le vicende ricalcano un presunto seguito del terzo libro, perciò, se siete gran curiosoni ma non avete ancora letto il terzo volume della Randall, non andate oltre con la lettura di questa storia! XD
Hyperversum è diventata ormai una parte di me, non riuscendo più a togliermelo dalla testa nemmeno ora che devo ancora finire i compiti di matematica! XD
Detto ciò, voglio ringraziare in anticipo lettori e recensori. ^^
Qualsiasi commento è ben accetto, critiche positive o negative verranno serbate come tesori di un altro mondo.



   
 
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