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Autore: luxu2    27/01/2010    4 recensioni
Laura, lasciata dal marito, decide di cambiare vita e se ne va negli States per un anno ad imparare l'inglese lavorando per un'agenzia che seleziona ragazze alla pari per i vips. Le opportunita' sono parecchie e lei si immagina gia' da Robert Redford. Invece la mandano a casa dei due fratelli Leto.
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Laura'
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Eccomi qui. Dopo 12 interminabili ore di volo sono finalmente arrivata a Los Angeles. Mi accingo ad andare a ritirare i miei bagagli, dopo che gli addetti ai passaporti hanno controllato i miei documenti ed il permesso di lavoro temporaneo che mi permettera' di rimanere negli States per un anno. Un anno nel quale spero di imparare l'inglese e di non pensare piu' al mio matrimonio naufragato. E si': dopo tre anni e mezzo di matrimonio, alla soglia dei miei 31 anni, mio marito mi ha lasciato. La prima settimana e' stata abbastanza dura: le discussioni con mia madre che mi voleva convincere a riconquistarlo, la ricerca di un avvocato e la pena negli occhi dei colleghi di lavoro quando mi guardavano. Poi, dopo una notte insonne, ho preso la mia decisione: cambio vita! E come cominciare se non mollando tutto e trasferendomi il piu' lontano possibile? Uscire dalla vita della piccola provincia lombarda in cui ho vissuto per 30 anni, tra inverni gelidi e nebbiosi ed umide estati torride e infestate dalle zanzare. Cosi' mi sono messa in aspettativa per un anno con il mio lavoro, ho lasciato la custodia della mia casa ai miei genitori, le chiavi della mia macchina a mia cugina e ho preso il primo volo per la California dopo essere entrata in contatto con un'agenzia specializzata che seleziona ragazze alla pari (o domestiche) per i Vips americani. La signora dell'agenzia era stata molto gentile con me e mi aveva chiesto che preferenze avessi. Io gli avevo risposto che mi andava bene qualsiasi cosa purche' non fossero ragazzine viziate stile Paris Hilton e cosi' mi aveva assicurato che mi avrebbe trovato un impiego presso qualche attore. Io mi immaginavo gia' di servire la cena ad un Robert Redford o ad un Clint Eastwod per esempio. Pero' la realta' sarebbe stata ben diversa.
Avevo ritirato le mie due valige, che erano arrivate miracolosamente illese (ma soprattutto erano arrivate), e mi accingevo ad uscire dalla zona degli arrivi per cercarmi un taxi a cui avrei mostrato il biglietto con l'indirizzo dell'agenzia. Spiccicavo si' e no due parole scarse di inglese ad un livello molto scolastico (e diciamo pure che a scuola raggiungevo a malapena la sufficienza nella materia) e mi ero prefissata l'obiettivo di tornare a casa parlando fluentemente senza pensare a quali vocaboli utilizzare e come mettere insieme le frasi.
Raggiunto il parcheggio dei taxi mi infilai velocemente nel primo disponibile, diedi al conducente il bilgietto con l'indirizzo dell'agenzia e questo parti' a tutta velocita' iniziando a chiacchierare con me. Il tipo mi fece sorridere: doveva essere di origine giamaicana visto la decorazione del taxi con i colori della bandiera nazionale e la foto di Bob Marley sul cruscotto. Evidentemente chiacchierare era un'abitudine che avevano tutti i taxisti con i turisti, pero' io capivo una parola ogni 10 e continuavo ad annuire meccanicamente con la testa sperando che non mi stesse proponendo chissa' cosa. Intanto guardavo fuori dal finestrino: la giornata era stupenda ed i marciapiedi brulicavano di persone vestite con abiti leggeri: quando ero partita da Malpensa, il giorno prima, c'erano la nebbia ed un freddo piuttosto intenso. Mi ero lasciata alle spalle l'inverno lombardo per arrivare nell'assolata California.
Il taxi si fermo' di botto ed il taxista mi disse che eravamo arrivati. Aprii la borsa ed estrassi il portafogli per pagare la corsa con 20 dollari e lasciai il resto all'uomo che, ringraziandomi, mi aiuto' a scaricare i miei bagagli e se ne ando'. Rimasi immobile in piedi sul marciapiede con le mie valigie a fissare la porta dell'agenzia. Dovevo essere in una zona piuttosto elegante di L.A. e difatti, dopo aver dato un'altra occhiata all biglietto con l'indirizzo, mi accorsi che si trattava di Beverly Hills.
Spingo la porta ed entro. L'ambiente e' luminoso anche grazie ai mobili chiari che lo arredano. Una giovane segretaria alza gli occhi verso di me e sorride cordiale. Mi avvicino a lei presentandomi e chiedendo della signora Stefani nel mio stentato inglese. Si alza e bussa ad una porta invitandomi poi ad entrare e lasciandomi sola con la persona con cui avevo avuto contatti.
"Ben arrivata." la signora Stefani mi accoglie parlandomi in un perfetto italiano. La guardo un attimo stupita. "Oh, non l'aveva capito dal cognome che sono di origine italiana anch'io?"
"Non ci ero proprio arrivata. Pero' mi fa piacere saperlo cosi' sono sicura che capiro' tutto quello che mi dira'." dico leggermente imbarazzata.
"Per quello non c'e' problema. Io e la mia socia siamo specializzate in ragazze straniere che non parlano inglese. Di solito pero' ci capitano delle sudamericane e cosi' utilizziamo di piu' lo spagnolo e il portoghese. Sono felice di poter utilizzare la lingua che mi hanno insegnato i miei genitori." mi fa cenno di accomodarmi su una poltrona di fronte a lei e continua "Dunque Laura. Come le ho anticipato due settimane fa nella mia mail, le ho trovato il posto adatto. Mi ha contattato una signora disperata perche' non sa piu' a chi affidare i suoi figli."
"Dunque si tratta di lavorare come tata con dei bambini?" domando curiosa.
La signora sorride "Non li definirei proprio bambini, visto che hanno abbondantemente superato la trentina entrambi. Suonano in una rock band ed il fratello minore e' anche un attore."
"Quindi mi devo aspettare di tutto. Ragazze in giro per casa, droga..." vedo gia' un grosso problema davanti a me.
"Non penso proprio. Di solito queste cose le fanno durante i tour. La madre mi ha assicurato che sono due bravi ragazzi. E' solo una madre preoccupata che i figli vivano in un ambiente pulito e ordinato e che mangino cose sane e non cibi surgelati cotti al microonde."
"Per quello non si deve preoccupare: sono una cuoca discreta e ho molta fantasia in cucina. Tutto va in base ai gusti dei miei commensali." rispondo sicura.
"Ah ecco! Per fortuna che me lo ha ricordato. Uno dei due e' rigorosamente vegetariano."
"Beh, non e' un problema." aggiungo decisa.
"Bene allora! Posso chiamare per farla venire a prendere. Li avevo gia' avvisati che sarebbe arrivata oggi." esclama entusiasta.
"D'accordo. Spero di soddisfare le sue aspettative e quelle del suo cliente. Se ci fossero lamentele non esiti a dirmelo che vedro' di migliorarmi. Purtroppo fra i miei difetti peggiori c'e' quello di non avere molta pazienza." dico con rammarico.
"Oh ma non si preoccupi. Tutto il resto del suo curriculum e' perfetto e la signora l'ha apprezzato moltissimo."
"Speriamo che lo apprezzino anche i suoi figli." dico preoccupata.
"Bene. Ora si accomodi fuori che organizzo per farla venire a prendere. Intanto si rilassi un attimo: sara' stato un viaggio faticoso per lei."
"In effetti devo ancora abituarmi al fuso orario. Nove ore in meno si stanno facendo sentire. In Italia starei per mettermi a tavola per la cena e qui sono solo le 10 del mattino."
"Non si preoccupi. Quando arrivera' potra' riposare."
Esco dall'ufficio e mi accomodo su una delle poltroncine in sala d'attesa. La segretaria che mi ha accolto all'arrivo mi sorride nuovamente e mi chiede se e' tutto ok. Io rispondo che e' tutto ok e lei mi lascia in pace continuando con il suo lavoro.
Appoggio la testa contro il muro e chiudo gli occhi cercando di rilassarmi. Adesso il bello deve arrivare e io sono talmente stordita che non ho neppure chiesto il nome dei due bambinoni a cui faro' da bay sitter. Speriamo solo che non siano due tipi troppo strani. Con quest'ultimo pensiero cado inconsciamente nel mondo dei sogni.
Uno scrollone mi riporta alla realta'. Mi stropiccio gli occhi e metto a fuoco la segretaria che mi sorride nuovamente e mi dice che il tizio che mi doveva venire a prendere e' arrivato.  Mi rimetto diritta e mi guardo un attimo. La camicia che indosso e' stropicciata all'inverosimile dopo il lungo viaggio ed il pisolino che mi sono appena fatta. Sento di avere la bocca impastata, segno evidente che mi sono addormentata con la bocca aperta, e devo avere anche l'alito relativamente pesante. Mi passo una mano fra i capelli per cercare di sistemarli e mi infilo in bocca una mentina che estraggo dalla mia borsa stile Mary Poppins. Addocchio uno specchio appeso vicino all'ingresso e mi alzo per dare un'occhiata alla situazione. Praticamente mi spavento da sola: ho delle occhiaie cosi' profonde ed un colorito cosi' pallido che sembro Learch della Famiglia Addams. Spero solo che il tizio non faccia molto caso a questi particolari e soprattutto che non mi abbia vista dormire con la bocca aperta, perche' sicuramente stavo russando.
Mi volto di scatto quando sento la porta dell'ufficio della signora Stefani che si apre e vedo lei che esce assieme ad un tipo vestito in modo piuttosto trasandato e piu' spettinato di me. La signora mi chiama ed io mi avvicino a lei ed al tipo sfoderando uno dei miei sorrisi a bocca chiusa (sia mai che si vede che ho uno spazio incredibile fra i due incisivi superiori). Il tipo intanto se ne sta immobile con le mani in tasca e, suppongo, che mi stia fissando. Non lo posso effettivamente sapere perche' indossa un paio di occhiali da sole enormi.
La signora Stefani si rivolge al tipo e mi presenta. Poi si rivolge a me "Laura, questo e' il signor Leto."
Il mio cervello non fa in tempo a connettersi che il tipo allunga una mano afferrando la mia e si presenta dicendo semplicemente il suo nome "Shannon."
A quel punto il mio cervello e' perfettamente collegato ed io rimango con la bocca spalancata per lo stupore. Questo tipo che mi stringe la mano e' Shannon Leto il batterista dei 30 Seconds to Mars, nonche' fratello maggiore di quel gran pezzo di maschio di Jared Leto.
Davanti al mio momentaneo black out vedo che abbassa gli occhiali sulla punta del naso e mi fissa stupito prima di chiedermi qual'e' il mio nome. Riprendo possesso delle mie scarse facolta' mentali e ritorno nel mondo reale. "Mi chiamo Laura" dico nel mio inglese stentato.
Lui sorride lasciando la mia mano. Si sposta da me ed afferra la mia valigia piu' grossa ed un borsone e, sorridendomi di nuovo, mi fa cenno di seguirlo. Mi affretto ad afferrare il resto della mia roba e lo seguo di corsa attraverso la porta dimenticandomi perfino di salutare.
"Buona fortuna Laura." sento la voce della signora Stefani e mi giro imbarazzata per salutarla.
"Grazie signora. Arrivederci." e sparisco oltre la porta seguendo Shannon che sta caricando le mie valigie nel bagagliaio di un enorme fuoristrada. Mi avvicino per mettere dentro anche quella che ho preso io e lui, molto cavallerescamente, la carica in macchina al mio posto. Mormoro un grazie e lui ricambia con un sorriso.
Sono in macchina con lui e ci stiamo dirigendo verso casa sua percorrendo una strada che costeggia la spiaggia. Io, ovviamente, non spiccico parola, vuoi per l'imbarazzo, vuoi per il fatto che ancora non mi sono resa conto che lavorero' per un anno a casa dei fondatori di una delle mie band preferite in assoluto.
Shannon rompe il silenzio girandosi a guardarmi "Tutto OK?" mi domanda.
Io gli rispondo di si' e ritorno al mio mutismo imbarazzato di prima. Lui pero' prosegue "Sei italiana?" io annuisco e lui continua con un'altra domanda che interpreto, piu' o meno, come "Di che citta'." o giu' di li'.
"Pavia, Lombardia." Shannon sembra perplesso alla mia risposta: evidentemente non ha la piu' pallida idea di dove sia Pavia. Riprovo "Milano?"
Sorride e sembra aver capito. "Abbiamo suonato a Milano."
"Lo so." rispondo io.
"Bella citta'." continua lui per rompere l'imbarazzo.
"Gia'." confermo io.
Altri minuti di silenzio. Poi Shannon riprende con un'altra domanda tipica da prima lezione di inglese "E quanti anni hai?" e' imbarazzato anche lui a farmi una domanda del genere.
"30. Quasi 31." mormoro. Mi giro e vedo che mi fissa stupito.
"Sembri piu' giovane."
Io sorrido "Grazie."
"Sei fidanzata?" domanda ancora.
Io rimango in silenzio un attimo: possibile che dall'agenzia non abbia ricevuto queste informazioni? "No." Sorride di nuovo ma io lo blocco subito "Sono separata."
L'unico commento che fa' e' un "oh" che pare di comprensione. Poi mi guarda di nuovo e mi chiede semplicemente "Chi?"
"Lui mi tradiva e l'ho lasciato due mesi fa." rispondo.
"Eravate insieme da molto?" ora la sua curiosita' sta diventando quasi morbosa.
"10 anni e 3 di matrimonio." rispondo mesta.
"Mi dispiace." mormora di nuovo e poi torna in silenzio.
E' logico che voglia sapere qualcosa di una persona che vivra' sotto il suo stesso tetto. Non sono molto propensa a parlare del mio matrimonio fallito, pero' dovro' fare un'eccezione.
Torno a guardare fuori dal finestrino: il lungomare e' scomparso e ci stiamo avvicinando ad una zona collinare dove si susseguono una fila infinita di cancelli che celano delle ville piu' o meno grandi. Dopo pochi minuti sento che rallenta e si avvicina ad un cancello. Ferma la macchina ed estrae un telecomando per aprire il cancello ed entrare nel cortile.
La casa non e' la classica villa holliwoodiana che uno si puo' immaginare ma e' abbastanza grande. E' in stile moderno con grandi vetrate e l'esterno e' dipinto di bianco. Sul lato, lievemente nascosta in mezzo al prato ben curato, c'e' una piscina. Shannon prosegue lungo il vialetto di ghiaia e parcheggia la macchina davanti alla porta di ingresso poi mi sorride "Siamo arrivati. Casa dolce casa." io gli sorrido di rimando.
Scendiamo dalla macchina e scarichiamo i miei bagagli. Afferro al volo il borsone che stava per lasciare per terra con un tonfo: li' dentro ci sono il mio pc portatile, la cornice digitale con le mie foto preferite e il vaso di nutella da 5 Kg che mi ha regalato mio fratello prima di partire.
"Attento! C'e' roba fragile qui!" esclamo.
Shannon si gira e si scusa con aria mortificata. Io sorrido per alleggerire la tensione. Non e' bene che cominci subito sgridandolo anche se e' un po' irruento.
Lo seguo in casa portando le borse. Appoggia i bagagli nell'ingresso e mi fa segno di lasciare li' tutto: vuole mostrarmi la casa.
Comincia indicandomi il salone che e' ampio ed arredato in stile molto moderno: un trionfo di nero con qualche dettaglio in bianco. Se non fosse uno stile cosi' moderno penserei che manca l'orso impagliato dall'aria minacciosa e poi sembra la casa della famiglia Addams. Sparsi per il soggiorno come soprammobili ci sono un paio di chitarre, i vari premi vinti con il gruppo e, in un angolo la cosa piu' strana: una riproduzione di un'armatura antica. Shannon mi sorprende a fissarla e, sogghignando, mi spiega che quella e' di Jared e che era quella che indossava quando ha interpretato Efestione in Alexander. Io gli faccio capire che ho visto quel film, anche se all'epoca non avevo idea di chi fosse Jared. Shan ridacchia di nuovo e, dai suoi gesti, credo di capire che Jared, ogni tanto per gioco, si mette l'armatura e gira per casa combattendo contro quello che gli capita a tiro. Lo guardo spalancando gli occhi e mi metto a ridere anch'io: sara' veramente dura con questi due.
Finiamo il giro della casa e mi mostra la cucina, la sala da musica, la lavanderia ed il ripostiglio al piano inferiore. Al piano superiore ci sono le camere da letto: sono cinque. Le due piu' grandi sono di Jared e Shannon e, tanto per rimanere in tema, sono arredate con mobili scuri entrambe. Le due camere sono separate da un grande bagno con l'accesso da entrambe le parti. Quello e' il bagno padronale e personale di Shannon e Jared.
La camera in fondo al corridoio e' destinata a me. Non e' cosi' oscura come le altre ed ha una bella vista sul giardino e la piscina ed un piccolo bagno privato. Shannon fa un'espressione come a dire che il giro turistico e' finito e mi riaccompagna giu' a prendere i bagagli che, gentilmente, mi aiuta a portare al piano di sopra e a sistemare in camera. Comincio a disfare le valigie aprendo per primo il borsone con gli oggetti fragili: tiro fuori il pc portatile, la cornice digitale e il mega vaso di nutella che attira subito l'attenzione di Shannon. Come una falena attirata dalla fiamma di una candela, Shannon si avvicina al vaso di nutella intuendo che si tratta di qualcosa di commestibile e lo guarda curioso e lievemente tentato. Lo guardo sorridendo e mi avvicino a lui che mi chiede di cosa si tratta.
"Crema al cioccolato e nocciole. Specialita' italiana e regalo di mio fratello."
Shannon si gira e mi guarda "Hai un fratello?"
"Si'. Si chiama Roberto ed ha una bellissima bambina che si chiama Linda."  e accendo la cornice digitale per mostrargli le foto della mia nipotina. Lui guarda le foto sorridendo e imitando le smorfie di Linda. "E' molto carina." sorrido per il complimento di circostanza. In realta' mia nipote e' una adorabile palla di ciccia con le orecchie a sventola: guardandola bene ricorda vagamente l'elefantino Dumbo. Pero' per me e' la bambina piu' bella del mondo anche se, quando mi vede, si mette a piangere.
Lo stomaco di Shannon brontola rumorosamente e lui arrossisce accorgendosi che l'ho sentito. Guardo il mio orologio: fa le nove di sera ora italiana, pero' qui e' mezzogiorno e, giustamente, e' ora di pranzare.
Shannon mi guarda "Ti andrebbe di uscire a mangiare qualcosa?" domanda.
Evidentemente non e' abituato a cucinare e si adatta a pranzare fuori. "Posso cucinare io se vuoi." propongo.
Il suo viso si apre in un sorriso imbarazzato e scendiamo in cucina. Apro il frigorifero: e' desolantemente pieno di bottiglie di birra. Mi metto a rovistare meglio e trovo un pezzetto di formaggio che sembra quasi decente, una cipolla solitaria e due pere ancora un po' acerbe. Mi e' venuta un'idea per il pranzo! Pero' prima devo accertarmi che ci siano tutti gli ingredienti. "Hai del riso in casa?" Shannon apre uno sportello e ne estrae una scatola di riso di una qualita' che non conosco ma che, per fortuna, sembra adatta al mio scopo. Tiro fuori dal frigorifero tutto l'occorrente e rovisto alla ricerca di due pentole. Cucinero' un risotto alle pere e formaggio.
Shannon si siede su uno sgabello intorno al bancone che funge da tavolo e mi guarda armeggiare con le pentole e gli ingredienti.
"Cosa cucini?" domanda perplesso.
"Risotto. Un piatto tipico della mia zona." rispondo io.
Dal suo posto di osservazione studia i miei movimenti cosi' sicuri intorno ai fornelli e si rilassa leggermente. Faccio soffriggere un pezzo di cipolla tritata in un goccio di olio e con la rimanente ed una carota mezza appassita preparo il brodo vegetale nell'altra pentola. Butto il riso assieme alla cipolla e lo lascio tostare leggermente per poi bagnarlo con un goccio di birra (ci voleva il vino ma sempre meglio di niente) e poi passo la bottiglia a Shannon che si concede un breve aperitivo. Nel frattempo il brodo bolle e con questo bagno il riso per permettergli di cuocere. Mescolo lentamente e lascio al riso il compito di assorbire il brodo e di cuocere e mi accingo a tagliare il formaggio e le pere a cubetti. Apparecchio per due sul bancone dove Shannon e' ancora appoggiato con la birra in mano e verso gli ultimi ingredienti per mantecare il mio risotto che ormai e' pronto. Impiatto il riso e ne metto uno sotto al naso di Shannon che lo guarda dubbioso. Mi siedo a tavola con lui e comincio a mangiare. Mi guarda ancora un momento e poi infila una forchettata di riso in bocca masticando lentamente per capire se gli piace. Evidentemente e' stato di suo gradimento perche' dopo neanche due minuti aveva spazzolato completamente il piatto e mi guardava con aria beata.
"Vuoi ancora?" domando io vedendo la sua espressione da bimbo felice.
"Certo! E' buonissimo!" dice allungando il piatto. "Hai fatto una magia con quel poco che c'era in frigorifero."
"Bisognerebbe fare spesa." dico io. "Dov'e' il supermercato piu' vicino?" domando nuovamente.
"C'e' un Wallmart a tre isolati da qui." dice lui con la bocca ancora piena.
"C'e' un autobus che ci arriva?" domando io.
"Autobus?" domanda incredulo "Ti accompagno io. Adoro fare spesa."

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Delirio da indigestione di 30STM. Vogliate scusarmi per queste cavolate ma non ho resistito a scrivere questa storia. Le frasi in corsivo sarebbero discorsi in inglese, infatti, come potete notare, le frasi di Laura sono quanto di piu' elementare possa dire una che mastica appena una lingua straniera imparata a scuola. Nel personaggio di Laura c'e' molto di me (compreso il fatto che non so' parlare inglese come si deve) le ho dato la mia stessa eta', una nipotina come la mia con le orecchie a sventola e che piange quando mi vede, la mia fantasia in cucina ed il mio carattere: insomma Laura e' il mio avatar nella storia. L'unica cosa che mi differenzia da lei e' che io il marito ce l'ho ancora.
   
 
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