XIX
~ The exams
Eliminato l’impossibile,
quello che resta,
per quanto improbabile,
deve essere la verità.
[Arthur Conan Doyle]
La
partita in campo era piuttosto equilibrata. A poco più di un’ora dall’inizio,
ancora nessuna riusciva a dominare l’altra con consistenza. Attualmente i
Serpeverde erano sotto di venti punti, ma a giudicare da come si stavano dando
da fare, c’era da scommettere che Hugo non avrebbe avuto vita facile fino alla
fine del match.
Eppure,
nonostante la stabilità degli schieramenti, la partita non si era rivelata mai
tediosa, né statica. Come già ampiamente preventivato, vedere i Grifondoro
contro i loro nemici virtuali di sempre, era un evento più unico che raro. La
loro sete di competizione aveva coinvolto l’intero campo sportivo,
trascinandosi dietro un’aria satura di elettricità.
Rose
sedeva compostamente alla tribuna riservata ai colori della sua Casa,
crogiolandosi sotto i raggi di un caldo sole primaverile. Socchiuse gli occhi e
per un istante lasciò che quel tiepido fascio sul suo viso cancellasse ogni
pensiero. L’ultima settimana prima degli esami, prima della fine di Hogwarts,
prima della fine di tutto. Soltanto
una. Un’insignificante settimana …
“Al
diavolo!”
Aprì
gli occhi, controvoglia, all’imprecazione borbottata sottovoce di Louis. “Che
succede?”
“Lily
stava per segnare, ma all’ultimo secondo Higgs le ha scaraventato addosso un
Bolide. Non l’ha presa, ma non ha neppure segnato.”
Rose
annuì, senza neppure ascoltarlo, sprofondando nei ricordi di quegli ultimi
mesi.
Da
quando i suoi cugini avevano scoperto della relazione con Scorpius, le cose
avevano iniziato a correre molto più velocemente. Il tempo, all’improvviso,
aveva triplicato la sua corsa e lei si era ritrovata di punto in bianco a
doversi sobbarcare di una mole di studio notevole tra gli sguardi frustati e
frustanti di suo fratello e quelli sgranati di tutti gli altri. Erano due mesi,
forse persino qualcosa di più, che aveva piazzato sotto gli occhi di tutti la
loro storia, eppure sembrava che la gente ancora faticasse a mandar giù il
fatto.
Beh,
di certo le cose stavano iniziando a migliorare. Perlomeno adesso non doveva
entrare in Sala Grande ed essere investita dalle occhiate dei più. Era già un
buon passo avanti, tutto sommato.
Scorpius
al contrario sembrava perfettamente padrone della situazione. Si destreggiava
con abilità tra le chiacchiere sussurrate e mostrava un perfetto distacco a
tutti quegli sguardi non richiesti. Se solo non fosse stata certa che il
ragazzo non aveva mai avuto una storia seria prima d’ora, Rose avrebbe pensato
che c’era abituato.
Ma
così non era e per questo non poteva non ammirarlo.
Continuava
a mantenere le distanze dai suoi due ex migliori amici, ma da qualche settimana
almeno con Ottavius c’erano stati dei progressi. Ogni tanto difatti lo vedeva
rivolgergli la parola, anche solo per comunicare qualche informazione sul
Quidditch o sulla famiglia, ma conoscendo Scorpius era un ottimo compromesso
prima della riappacificazione totale. Per quanto riguardava Edmund, invece …
beh, fino a quel momento non ne aveva neppure voluto parlare. Non che questo
bastasse a farla demordere, per inciso, però era uno svantaggio bello enorme il
suo animo maldisposto.
Per
quanto la riguardava, rimaneva ancora saldamente ancorata alla prospettiva di
poter avere tutti e due i suoi mondi insieme,
un giorno. Ovviamente, attualmente, non poteva sperare in qualcosa di più. In
fin dei conti avevano reagito anche abbastanza bene, salvo qualche eccezione.
Albus,
che era stato il primo ad opporsi al suo sentimento, era diventato molto più
comprensivo a riguardo. Si era concentrato sul suo rapporto con Alicia, quello
che con fatica tentava di portare avanti nonostante i suoi frequenti alti e
bassi, e l’aveva lasciata vivere la sua vita. A volte lo scorgeva ancora
fissarla con cipiglio scuro in viso, ma negli occhi non c’era più traccia
dell’antico dolore che vi aveva letto tante di quelle volte da averne perso il
conto.
Anche
quando i ragazzi avevano scoperto tutto, Albus si era sforzato di rimanerne
fuori.
Quel
giorno …
Ripensarci
era ancora fonte d’imbarazzo e di brivido per lei. La sensazione di gelo che si
era impossessata di lei quando, girandosi, si era scontrata con la parte più
familiare del suo mondo. Se chiudeva gli occhi poteva persino rivedere i loro
sguardi sconcertati, mentre la fissavano in una muta domanda di comprensione.
E
poi, con la sua vocina acuta, Lucy a spezzare via il silenzio surreale del
momento.
“Rosie?!”
Aveva parlato piano, perdendosi in un sussurro basito, corrugando la fronte nel
tentativo vano di dare una spiegazione a quanto appena colto dai suoi occhi.
Rose
aveva deglutito, la gola irritata, e aveva stretto di più la mano di Scorpius
per cercare di prelevare un po’ della sua forza. “Io e Scorpius stiamo insieme.
Mi dispiace non avervelo detto prima.”
Aveva
letto in ogni singolo viso, scavando in profondità per cercare una qualsiasi
reazione, mordendosi il labbro nello scorgere la loro costernazione.
Albus,
sul fondo, era rimasto impassibile. O quasi. Per un istante una smorfia aveva
spento il suo sguardo, ma quando lei aveva inseguito con disperazione i suoi
occhi, non aveva saputo ritrarsi dal rivolgerle un sorriso d’incoraggiamento.
Stentato, quasi invisibile. Ma c’era stato ed era valso forse più di mille
parole.
Poi
Lily le era andata incontro e, in un impeto di esultanza, l’aveva stretta in
una morsa d’acciaio.
“Lo
sapevo che sarebbe finita così!” Aveva detto, riferendosi a qualcosa che in un
primo acchito non aveva compreso.
Rose
aveva ricambiato lo sguardo, stordita, e i suoi occhi erano di nuovo ricaduti
sul resto della sua famiglia. Nessuno di loro le era sembrato tanto entusiasta
quanto Lily e la cosa l’aveva portata inesorabilmente a chiedersi se non fosse
stato meglio parlarne prima separatamente con ognuno di loro. Dentro la
tensione l’aveva talmente schiacciata, che se non fosse stata per la presa
salda di Scorpius, sarebbe già caduta a terra sconfitta.
“È
questo che vuoi?” Aveva domandato all’improvviso Dominique, gli occhi
chiarissimi puntati con solenne decisione in quelli marroni della cugina.
“Sì.”
Non aveva avuto dubbi Rose nel rispondere.
“Allora
va bene. Se sei felice.”
“Lo
sono.”
Dominique
non era il tipo di persona che si teneva le cose per sé e, se una cosa non era
di suo gradimento, non si faceva troppe remore a dirlo. Per questo sapeva che
era del tutto sincera e, per questo, non poteva non volerle un pizzico in più
di bene rispetto all’affetto già smisurato che serbava per lei. Per quanto bene
la conoscesse, era sempre un’incognita per lei la sua reazione.
Aveva
sentito lo sguardo di tutti su di sé, di nuovo, persino quello degli studenti
estranei alla faccenda che avevano avuto l’unica scusante di passare di lì.
Eppure sotto l’occhio del ciclone, di un solo sguardo Rose aveva avuto bisogno
e l’aveva trovato, proprio lì, al suo fianco. Scorpius, sebbene non avesse
parlato per rispetto a lei, non le aveva lasciato la mano né tolto gli occhi di
dosso neppure per un secondo.
Perciò,
doveva aver per forza fatto la cosa giusta.
Anche
Roxanne, nel frattempo, sembrava essersi ripresa. Aveva sciolto i muscoli e
rilassato le spalle, pronta a dire la sua in proposito, sebbene gli occhi
rivelassero una certa attitudine all’accettazione. Ma prima che dalla sua bocca
aveva potuto fuoriuscire parola, Hugo si era frapposto.
“Bene.” Aveva esordito, duro e tagliente
come le rocce. “È la tua vita, ma non aspettarti che approvi.”
Fino
a quel momento Rose si era concentrata su Albus, in primis, e poi su Lily, su
Dominique, su Roxanne … Non aveva neppure pensato ad osservare la reazione che
ne aveva avuto il fratello. O, forse, il suo era stata un’azione inconscia
perché in qualche modo sapeva che era l’opinione che più le premeva e
spaventava, la sua.
Eppure
guardando per la prima volta il suo viso, si era ritrovata a combattere contro
un muro d’insofferenza. Hugo non le aveva dato chance. La sua ritrosia era
stata così palese che non aveva osato aprire bocca per fargli cambiare idea,
per convincerlo della genuinità della sua storia con Scorpius.
L’aveva
visto allontanarsi, a passo celere, diretto presumibilmente verso la Sala Grande.
Ne aveva osservato la postura perfettamente eretta e aveva trattenuto un
respiro nel vederlo così rigido. Il dolore del rifiuto le si era riversato
addosso come una cascata, mitigato solo dallo shock per la replica improvvisa.
Louis
era stato il primo a seguirlo. Le aveva gettato un’occhiata di scuse ed era
scivolato via, in quel fiume di studenti, alla ricerca del suo mentore.
“Mi
dispiace.” Le aveva mormorato di rimando Lily, prima di accorrere anche lei
verso Hugo, preoccupata.
Rose
aveva annuito, incapace di fare altro, lo sguardo incollato al punto in cui il
fratello era scomparso.
Via
via erano andati tutti, negli occhi la stessa traccia
di apprensione che aveva infiammato i suoi. Nel congedarsi, tuttavia, erano
stati attenti a dimostrare la propria comprensione in merito. Qualcuno le aveva
sorriso, qualcun altro le aveva detto che era tutto okay e alla fine, per
quanto la reazione di Hugo l’avesse lasciata con l’amaro in bocca, Rose aveva
dovuto ammettere che non era andata poi così male.
Dominique
e Albus erano rimasti gli ultimi della combriccola.
Lei
le aveva sorriso, appena, come sapeva fare lei. Poi aveva gettato un’occhiata
di avvertimento all’indirizzo di Scorpius, a volergli dire che era morto se
sapeva qualcosa che non avrebbe voluto sentire, e Rose aveva arricciato le
labbra all’insù, tutto sommato.
Lui,
invece, l’aveva semplicemente guardata negli occhi e, con lentezza, aveva
annuito. Era stato il suo lasciapassare, il suo benestare. Aveva avuto anche
premura di voltarsi verso Malfoy, di lanciargli un’occhiata eloquente, e di
rilassarsi nel carpire nel viso dell’altro la stessa intenzione di dimenticarsi
del passato, della rissa e di qualsiasi attrito ci fosse mai potuto essere.
Poi
se n’era andato anche lui e Rose, in un sospiro, aveva appoggiato il capo sul
petto di Scorpius attirando così anche le occhiate dei soliti ritardatari.
“Ti
sei pentita?” Le aveva chiesto, senza una particolare intonazione, a volerle
nascondere il proprio tormento interiore.
“No.”
Era stata sincera.
Alla
resa dei conti, si era sentita sollevata di aver detto tutto. Tutte quelle
bugie non avrebbero mai portato a niente, l’aveva sempre saputo. E ad Hugo gli
sarebbe passata, presto o tardi, anche se adesso gli risultava incomprensibile
la loro storia.
Ma
si era sbagliata, almeno sull’ultima parte.
Hugo
non aveva abbandonato la sua posizione, neppure per pochi secondi. Non aveva
fatto scenate, non l’aveva ricattata, non le aveva gridato contro. Era rimasto
semplicemente al suo posto, freddo come un iceberg quando le rivolgeva lo
sguardo a rimarcare in continuazione le sue parole di quel giorno.
Alla
fine, onde evitare che il gruppo di cugini dovesse spaccarsi, Rose aveva fatto
in modo da avere da fare quanto più possibile, cosicché Hugo non rimanesse in
disparte.
Il
fatto di stare con Scorpius, comunque, aveva giocato a suo favore perché il
ragazzo riusciva sempre a ritagliarsi il tempo per stare con lei.
L’accompagnava in Sala Grande, in biblioteca – salvo lasciarla ad Albus sulla
porta, senza entrare, per evitare situazioni spinose o presunte tali – e
persino in aula, quando non aveva lezione.
I
suoi cugini, se da un lato apparivano dispiaciuti per il conflitto tra fratelli
in atto, si erano dimostrati anche piuttosto contenti di tutte quelle
attenzioni che lui le rivolgeva. Forse per questo, chi più chi meno, cercavano
ancora di far desistere Hugo dalla sua posizione di rifiuto categorico. Senza
attuali risultati, ma Rose apprezzava moltissimo il gesto.
Quando,
come in quel caso, Hugo non c’era, cercava sempre il contatto con loro. In quei
momenti, tuttavia, in Rose montava una tale rabbia da renderla furiosa verso
Hugo. Come faceva a non accorgersi della terribile voragine aperta? Per quanto
nessuno dei due lo ammettesse, era ovvio che sentissero la reciproca mancanza.
Ma era altrettanto ovvio che cedere era fuori discussione, non fino a quando
era tanto vitale per loro rimanere in quella posizione.
Rose
sospirò e scosse il capo.
Doveva
concentrarsi solo sulla partita se non voleva rischiare di impazzire. Accanto a
lei Dominique scrutava i giocatori senza particolare entusiasmo, seguendo con
attenzione ogni loro movimento e stringendo i denti ad un attacco avversario
particolarmente offensivo. In quel momento Roxanne aveva recuperato la Pluffa
ed era diretta come un fulmine verso le porte avversarie.
Seguì
la scena trattenendo il fiato ed esultando quando la cugina segnò, nonostante i
tentativi di placcaggio della squadra avversaria. Istintivamente cercò la
figura di Scorpius, in alto, e sorrise nel notare un certo disappunto
nell’espressione del suo viso. Ci sarebbe rimasto davvero male se i Grifondoro
avessero vinto, ma in qualità di membro di tale Casa, Rose non se la sentiva di
tifare per i Serpeverde.
In
quel momento Albus si avvicinò con la sua scopa al biondo e, in un gesto tanto
spontaneo quanto naturale, gli assestò una pacca sulla spalla.
A
giudicare da come sorrideva, doveva essere piuttosto soddisfatto della piega
che stava prendendo la partita.
Poi
scattarono via, in contemporanea, proiettati verso un punto indefinito del
cielo sopra le loro teste.
~
“Andiamo.”
Rose
annuì, mentre Scorpius le prendeva agilmente la mano. Con lui non c’erano mai
domande, solo affermazioni. Prendeva quel che voleva ma, nel farlo, aveva
l’affascinante vizio di non essere mai inopportuno. Stare con Scorpius era
semplice, naturale … spontaneo, ecco. E lei non era mai stata tanto spontanea
in vita sua, così allacciata alla retorica del raziocinio.
Il
parco era semidesolato, se non fosse stato per il coro di voci concitate che
giungevano con più o meno chiarezza fino a loro. Rose sorrise e, allo stesso
tempo, strinse di più la mano del suo ragazzo. Voleva dimostrargli che gli era
vicino, che gli dispiaceva per come le sorti dell’incontro avevano influito sui
Serpeverde, ma non poteva fingere di non essere compiaciuta per aver assistito
alla vittoria della propria Casa.
“Sei
deluso?” Gli domandò, gettandogli un’occhiata di sottecchi per osservarne meglio
la reazione.
Scorpius
sospirò, senza particolare inclinazione emotiva impressa nel viso
dall’incarnato smunto. “Albus è stato bravo.” Ammise, suo malgrado, pensando e
rimuginando sulle azioni cruciali della partita.
“È
vero.” Annuì concorde Rose.
Era
strano. Era come se si fosse spaccata in due parti. Da una c’erano i
Grifondoro, i cugini, la felicità per aver vinto la partita, seppure per
pochissimi punti. Dall’altro c’era Scorpius, la delusione che aveva visto nel
suo viso e in quelli della sua Casa quando Madama Bumb aveva declamato la fine
di una partita che li aveva visti sconfitti. Non era facile convivere con
entrambe le cose, ma voleva davvero
provarci, senza remore.
Frattempo
Scorpius l’aveva attirata con uno spintone a sé, cingendole il collo con un
braccio e arruffandole i capelli con la mano libera, quella che aveva
disincastrato dalla sua, quasi fosse stata una bambina capricciosa e lui il
fratello maggiore che voleva strigliarla con affetto.
“Rose
Weasley! Dovresti denegare, non affermare!” La punzecchiò, mordace, sfoderando
un sorriso sibillino.
Il
malumore per la cocente sconfitta, ad un tratto, si era come polverizzato. Non
volatilizzato, questo no. Non ancora, almeno.
“Ehi!”
Tentò invano di divincolarsi lei, succube della sua forza e del proprio fisico
gracile.
Quando
finalmente Scorpius si decise a lasciarla andare, aveva i capelli talmente in
subbuglio che ci sarebbe voluto un miracolo per districarli! Arrabbiata, con un
ghigno ferino capace di spaventare persino un Mangiamorte, provò a ridare quel
poco di piega ancora possibile alla sua zazzera scombinata, con l’unico
risultato però di annodarli e incresparli ancora di più. Sbuffò, inviperita, e
non si trattenne dal lanciare occhiate assassine in direzione del malfattore,
maledicendo al contempo se stessa per l’ondata di compassione a cui si era
abbandonata in nome dei Serpeverde.
-Al diavolo, loro e i miei stupidi
capelli!-
Era
così imbufalita che, riprendendo a camminare a passo marziale – le mani ancora
nel cespuglio che ricopriva la sua testa – e fumando rabbia ogni due per tre,
non badò nemmeno per un secondo al percorso che i suoi piedi avevano
intrapreso. D’altronde, che diavolo ci faceva uno stupido sasso proprio sulla
sua traiettoria? Rose non lo seppe mai, neppure quando, sbilanciata, precipitò
rovinosamente sul selciato erboso, guadagnandosi senza far niente una bella
macchia in bella vista sui jeans.
Alzò
gli occhi al cielo, infuriata, mentre in sottofondo già echeggiava la risatina
di scherno di Scorpius. Lo avrebbe volentieri ammazzato, in quel momento, se
solo non fosse stata tanto irrimediabilmente e inopportunamente innamorata di lui. Perciò si limitò a lanciargli
un’occhiata al vetriolo, a rialzarsi e a strigliarsi i vestiti con qualche
manata decisa per liberarsi dei fili d’erba.
“Parola
mia, sei un fenomeno, Weasley.” Esordì Scorpius dopo uno scrosciare di risate
particolarmente feroce che gli fece inumidire gli occhi.
“Perché
non vai al diavolo, Malfoy?” Fu la retorica domanda che ne ricevette in
risposta, e Rose dovette modulare la voce per non apparire più stridula del
necessario, trattenendosi a stento dallo scoppiare a piangere, istericamente.
A
quel punto stava per andarsene via, umiliata e ferita come mai in vita sua, non
del tutto consapevole dello stato pietoso in cui versavano i suoi capelli e i
suoi indumenti a quel punto, quando una mano le artigliò il braccio,
impedendole di proseguire.
Non
si voltò. Era troppo arrabbiata e frustata per sorreggere il suo viso
bellissimo. Al contrario tentò con tenacia di liberarsi dalla presa, con
qualche strattone deciso, del tutto inutile alla causa. Scorpius era troppo
forte per lei, riusciva a tenerla inchiodata al suolo senza neppure ricorrere a
grandi eccessi di forza. Si sentì disperata, ancora più umiliata e decisamente
imbarazzata, con il viso in fiamme in un mix perfetto di collera e vergogna.
Tuttavia,
prima ancora di poter esplodere in un fiume di rabbia, prima di girarsi e
gridargli tutti gli insulti di cui era capace e a cui suo padre aveva dato
ampiamente del suo, prima ancora di poter pensare a qualcosa … a qualsiasi
cosa, le mani di Scorpius le avevano cinto i fianchi e il suo alito fresco
pizzicava sulla pelle accaldata del collo.
“Perché
devi prendere sempre tutto come un’offesa?” Le sussurrò in un orecchio, la voce
di un’ottava più bassa del normale, soffermandosi solo un istante a lasciarle
un bacio caldo prima di continuare. “Se non fossi sempre così rigida, avresti capito cosa intendevo.”
Stava
cercando di rassicurarla? Beh, aveva davvero un bizzarro modo per farlo. Sì,
giacché Rose in quel momento si sentiva tutto fuorché rassicurata.
Strinse
i pugni, col fiato sospeso e il corpo intirizzito. “Bene. Allora vattene,
invece di perdere tempo con una rigida
come me. Forse non sono abbastanza intelligente da cogliere il significato
profondo delle tue parole derisorie, ammesso che ci sia.” Soffiò, in un
sussurro indispettito e severo, di quelli che utilizzava solo quando era
particolarmente adirata, ferita, o entrambe.
Alle
sue parole Scorpius sembrò immobilizzarsi nell’atto di baciarle ancora il
collo, come colto da un improvviso Petrificus Totalus. Il tutto comunque durò per appena una manciata di
secondi. Poi lo sentì scostarsi, freddo, e quando si voltò finalmente a
fronteggiarlo subì un assalto al cuore nell’incrociare i suoi occhi spietati
come il ghiaccio più artico.
“Hai
ragione. Sarà meglio che me ne vada.” Concordò in una scia melliflua e
inflessibile, per darle le spalle e dirigersi micidiale verso un punto
impreciso del castello.
Ma
ogni suo passo era una stilettata al cuore per entrambi e ogni parola non
detta, diveniva un insormontabile muro tra loro. Il dolore, alle porte, bussava
per entrare e la speranza iniziava repentinamente a cedergli il posto. Ad un
tratto tutto ciò per cui stavano combattendo, rischiava d’insinuarsi drastico
tra di loro; ed era lì, appena dietro l’angolo, pronto ad investirli e a
travolgerli.
Rose
voleva gridargli di fermarsi, voleva correre e bloccarlo, voleva …
Singhiozzò,
silenziosamente. Per qualche ragione il suo corpo si rifiutava di rispondere ai
comandi più semplici. La paura, vedendolo allontanarsi di secondo in secondo,
l’attanagliava in una morsa d’acciaio ed era certa a quel punto di stare
trattenendo il respiro, perché i polmoni bramavano impaziente, ma non
importava. Quello che contava, era solo la sua muta preghiera. Tutte le cellule
del suo corpo, il suo cuore e la sua mente erano proiettati in quell’unica
direzione.
-Non andartene. Non andartene. Ti
prego, non andartene.-
Poi,
all’improvviso, Scorpius si fermò, si buttò nevrotico le mani alle tempie e si
girò verso di lei.
Aveva
sentito i suoi pensieri? Oppure aveva parlato a voce alta, senza accorgersene?
Che infondo … importava sul serio saperlo?!
“Scorpius.”
Mormorò, piano, le lacrime che in un crack
si erano liberate da quella stupida gabbia autoimposta e si riversavano copiose
sulle sue guance.
Non
seppe neppure se fu prima lei, o lui, o insieme a muoversi. Ma quando si
ritrovarono, stringendosi in un abbraccio pieno di disperazione e di passione,
tutto passò in secondo, terzo piano. Si accucciò nelle sue braccia e strofinò
il viso nella sua maglia, levando via ogni traccia di pianto.
“Scusa.
Scusami, sono una cretina, una stupida … Non voglio litigare per delle
stupidaggini, non voglio che … sono così stressata per gli esami che nemmeno mi
accorgo di quello che dico e … Merlino, nemmeno le pensavo quelle cose!”
Lui
rise alle sue pessime scuse e Rose pensò che nessun suono era più bello di
quello. La strinse, le baciò i capelli e le carezzò la schiena nello stesso
momento.
“No,
Rose. Non sei tu.” La tranquillizzò, perfettamente rilassato. “Sono io che devo
ancora imparare molte cose su come comportarmi. Lo sai, sei l’unica.”
Non
prima. Unica. Lei era l’unica …
Lo
baciò, issandosi sulla punta dei piedi, con un impeto ed un desiderio
travolgente che non aveva mai conosciuto, prima. Quando lo lasciò, aveva il
fiato corto e il battito accelerato, ma era felice.
Rise,
così, senza preavviso. Era facile. Quando era diventato così facile?
Scorpius
le sistemò i capelli, lisciandoglieli con delicatezza, quasi temesse di farle
male, e a quel punto non le importava nemmeno più come andassero. Poteva anche
annodarglieli, se preferiva. Era ritornato da lei, era tornato indietro vincendo contro il proprio radicato
orgoglio.
“Straordinaria.”
Esordì ad un certo punto lei, infilandosi tra una risata e l’inizio di
un’altra.
Rose
corrugò la fronte, confusa, fossilizzando per un istante la scia di un sorriso
sul viso. “Come?”
“Prima,
quando ho detto che sei un fenomeno. Intendevo l’accezione positiva del
termine. Che sei straordinaria, Rose.”
Per
una frazione d’istante il tempo semplicemente smise di esistere. C’erano solo i
suoi occhi grigi, paradossalmente caldi, e le sue mani gentili nei capelli.
Poi, con forza, le lancette scardinarono le barriere ma, assieme alla
percezione del tempo, portarono con sé anche un’appagante felicità.
Lo
strinse, nascondendo il viso nel suo petto per impedirgli di notare il rossore
affiorato in superficie.
Suonava
così strana quella parola – straordinaria … Rose Weasley? Davvero? – che le
faceva uno strano effetto pensarla associata a lei. Era sicura di non essere
mai straordinaria per qualcuno, prima, in vita sua. Geniale, acuta, anche dolce
sì … ma mai, mai straordinaria.
~
“Sei
preoccupato per gli esami?” Domandò Alicia di punto in bianco, mentre si
avviavano silenziosi verso la Sala Grande.
Albus
per tutta risposta scrollò le spalle, sinceramente alienato dall’ansia
attanagliante che sembrava aver colpito i tre quarti degli studenti dell’ultimo
anno. “Mah, non più di tanto. Sarebbe inutile allarmarsi proprio adesso che
l’anno è finito, no? Quel che è fatto, è fatto; giusto? E poi ho sempre l’asso
nella manica!”
Lei
ridacchiò, consapevole di quale asso stesse parlando.
“Sei
sicuro che tua cugina la pensi come te?”
“Chi,
Rose?! Scherzi? Non saprà resistermi!” La buttò sul ridire Albus, riuscendoci
in pieno tra l’altro, mentre una parte remota del suo cervello registrava il
cambiamento.
Una
volta il semplice pensare a lei, a sua cugina, lo faceva annaspare, inghiottito
da una tormenta di dolore e frustrazione. Adesso, sebbene la consapevolezza che
un briciolo di sé sarebbe stato sempre devoto a Rose, riusciva ad accantonare
tutto quello strazio in un angolo remoto e a ragionare in termini più salutari.
Era libero, ecco. Era libero da
quell’amore lacerante, distruttivo, che in tanti anni non aveva saputo
edificare nulla. Ed era sollevato, perché sapeva che poteva dedicarsi ad Alicia
come meritava, senza l’ombra costante di Rose a ricordargli che il suo cuore
era stato già preso.
“Sei
cambiato.” Non era un’affermazione vera e propria, più un’osservazione fatta da
un’angolazione esterna.
Albus
girò il capo verso di lei, con un sopracciglio inarcato, in una muta domanda di
spiegarsi a cui Alicia non seppe sottrarsi.
“Cioè,
non è proprio così.” Ritrasse subito dopo, impicciandosi con le parole e
dandosi della stupida per questo. “Sì, ecco, quello che volevo dire è che sei
diverso da ciò che sei stato negli ultimi anni. Sei … sei ritornato te stesso … il vero te stesso. Non so
come spiegarlo. È come se Albus se ne fosse andato in vacanza, per un po’. Ma
adesso sei ritornato … no?”
Non
lo sapeva … Era ritornato? Ci pensò su, scosse la testa e sorrise, luminoso,
mentre le prendeva timidamente una mano nella sua per attirarla con una spinta
verso di sé.
Alicia
avvampò seduta stante a quella nuova, improvvisa vicinanza, ma Albus non se ne
curò. Per una qualche ragione, non riusciva a togliersi il sorriso dalle
labbra. Era come se avesse appena scoperto il modo di raggiungere il nirvana e
adesso fremesse dalla voglia matta di arrivarci.
Si
chinò verso di lei, piano, aggiungendo al piacere della conquista anche
l’entusiasmo dell’attesa. Quello che accadde dopo, quando gli occhi si chiusero
da soli e le labbra incontrarono di loro iniziativa quelle umide di Alicia, fu
un indistinto agglomerato di sensazioni altalenanti. C’era la gioia dell’arrivo
e la calma del volersi pregustare ogni singolo attimo di quel paradiso
sperduto; l’eccitazione della prima volta e la saggezza di tutte le prime volte
passate, per quanto potessero contarsi sulle dite di una mano; la voglia di
rifarlo subito, al più presto possibile, e quella antitetica di non permettere
a quell’istante di concludersi.
Era
tutto così strano, tutto così acuto … Da quanto tempo non provava simili cose?
Ma come avrebbe mai potuto pensare di poterle vivere, quando il suo cuore, per
tutto quel tempo, non aveva visto altre che Rose?
Si
separò con lentezza, rimanendo ad occhi chiusi ancora per un poco, per
assaporare ed incanalare ogni emozione nella giusta via. Quindi li riaprì e si
ritrovò involontariamente a specchiarsi in quelli attoniti di lei. Sorrise,
stupendosi di riuscire ancora a farlo, nonostante tutto.
“Sì.”
Disse infine, dopo un tempo che parve infinito, con l’aria allegra di un
bambino che ha ottenuto in regalo qualcosa che stava cercando da tanto. “Credo
di sì.”
La
vide abbassare il capo, imbarazzata e teneramente goffa, e fu impossibile non
scaldarsi il cuore a quella visione della ragazza. Per questo e perché da
quando l’aveva baciata non desiderava altro, che Albus ritornò a poggiare le
labbra su quelle di lei. Diminuendo ancor di più la distanza, stavolta, con le
mani che, prendendo coraggio, la strinsero da dietro, spingendola delicatamente
verso di sé.
Poteva
respirare il profumo della sua pelle, perdersi nella flagranza che la
caratterizzava e immergere le dita in quella cascata biondo cenere, senza
provare sensi di colpa per quello che stava facendo. Alicia non era uno
scacciapensieri. Alicia era Alicia ed era per questo che non poteva fare a meno
di sentirsi tanto stupidamente bene.
Il
resto, almeno per il momento, poteva attendere.
~
La
sessione di esami era stata particolarmente difficile da sopportare. I diretti
interessati erano scivolati lentamente, chi più chi meno, in uno stato di
profondo stress e, per tale ragione, non erano mancate le scaramucce a scopo
unico di scaricarsi di dosso il nervosismo accumulato. Il che si era rivelato
debilitante anche per tutti gli altri studenti, cosicché quando sopraggiunse
l’ultimo giorno di scuola erano molte le facce felici che l’ansia da verifica
si fosse finalmente conclusa.
Il
preside Doge aveva disposto una serie di candele lungo tutti i tavoli e aveva
decorato le pareti con numerosi arazzi, i quali avrebbero poi dovuto assumere i
colori dei vincitori della Coppa delle Case. Lunghe fiumane d’edera si
diramavano dalle pareti, imbellite di fiocchi e lustrini dalle tonalità più
vivaci, rendendo la Sala Grande selvaggiamente conciliante. Sopra le loro
teste, un cielo nitido si lasciava percorrere da qualche sporadica nuvola,
bianca e soffice come la bambagia, per ritornare subito dopo a sfavillare nel
suo incontrastato turchese.
Rose
aveva mangiato fino a scoppiare, ridendo come una bambina ai commenti di Albus
e all’aria disincantata che Dominique riusciva, nonostante l’allegria generale,
a sfoderare.
Si
era ripromessa di non pensare al dopo,
a cosa sarebbe successo finito quel ciclo di vita. Aveva deciso che per i
problemi sul futuro, avrebbe potuto disquisire a lungo nell’estate splendente
che si profilava all’orizzonte e che per il momento doveva solo pensare a
godersi l’euforia post-esami. A tal proposito gettò un’occhiata al tavolo dei
Serpeverde, al solito posto, rimanendo piuttosto stupita di scorgere Ottavius
accanto a Scorpius – solo distrattamente si chiese dove fosse finito Edmund –
ma sorvolando quando il suo ragazzo le rivolse un sorriso di quelli rari, che
sapevano mandarla inesorabilmente in brodo di giuggiole.
Alla
fine il buon vecchio Elphias Doge, con il suo solito cappello in bella mostra e
con la sua voce affannosa, decretò che la vittoria spettava alla Casa di
Corvonero e tutto si colorò di blu e di bronzo, per la gioia dei membri e il
compiacimento di Vitious. La Coppa del Quidditch, invece, era andata ai
Grifondoro, che avevano vinto sui Serpeverde per una manciata. Cosa che si era
ripetuta l’anno precedente, ma con una bizzarra inversione di vinti e
vincitori.
C’era
stato il discorso di chiusura, a cui era seguito un boato di esultanza che
aveva fatto ridacchiare persino il professor Rüf.
Ovviamente non erano mancate neppure le lacrime e un sentito cordoglio quando
il preside aveva ricordato con affetto le perdite della Prima e della Seconda
Guerra Magica, con particolare riferimento ad uno dei suoi predecessori nonché
caro amico Albus Silente. A quel punto anche il Potter che ne portava il nome
aveva scalzato il buonumore per lasciarsi andare ad un attimo di depressione,
ma Rose, che lo conosceva alla perfezione, era stata brava a rincuorarlo.
“Lui
era un grand’uomo, è vero. Ma tu sei Albus Potter.
Sarai grande anche tu, nel tuo modo e nei tuoi tempi.” Gli aveva sussurrato in
un orecchio, guardandolo complice, e lui sapeva che lo stesso valeva per lei,
con dei genitori famosi quali i suoi, perciò le aveva creduto con facilità.
Anche
Rose aveva avuto la sua dose di applausi, comunque, quando Doge aveva
ringraziato lei e Michael Grays per gli ottimi servigi resi come Capiscuola.
Lei era arrossita e aveva tentato di scivolare sotto al tavolo, come ovvio, ma
Albus non gliel’aveva permesso e l’aveva obbligata ad accettare i complimenti
che le venivano offerti. Persino Hugo si era sbottonato dalla freddezza degli
ultimi tempi e le aveva lanciato un sorriso incerto, che le aveva ridonato
all’istante il sorriso.
Poi,
quasi all’improvviso, sul finire della cena i tavoli erano stati accantonati
negli angoli e la Sala era diventata una fortuita pista da ballo. Il professor
Paciock aveva provveduto alla musica, trasportando un grandioso stereo magico
giusto al centro, e all’istante avevano iniziato tutti a ballare. Rose, chissà
come, si era ritrovata dalle braccia di Louis a quelle di Albus a quelle di
Scorpius, che non l’aveva più lasciata andare, con sua immensa gioia, comunque.
Era
stato proprio sulle note di un lento, che aveva osato sollevare la questione
Higgs.
“Ho
visto che eri seduto vicino ad Ottavius, prima. Perciò … tutto bene tra voi?”
Scorpius
aveva roteato gli occhi, melodrammatico, e aveva assunto un broncio adorabile.
“Quando la finirai di preoccuparti per questa storia?”
“Uhm
…” Fece finta di pensarci su Rose, prima di sorridere. “Mai.”
“Lo
sospettavo.” Replicò subito lui, per poi chinarsi su di lei a depositarle un
bacio sulle labbra.
“Non
hai risposto alla mia domanda.” Prima che il contatto potesse divenire più
profondo, tuttavia, Rose si scostò quel tanto che bastò per riuscire a
guardarlo negli occhi.
Sbuffò
dal naso. “Se dico di sì, la smetti di angustiarti per nulla?”
“Dipende.
Quanto è sincero il tuo sì?”
“Abbastanza
per crederci.” La rassicurò lascivo Scorpius, abbassandosi di nuovo a baciarla,
stavolta senza che lei gli impedisse di approfondire il bacio.
Quando
si separarono, Rose poggiò il capo sul suo petto e lui la strinse possessivo,
come era solito fare. Rimasero così a lungo, poi qualcosa parve attirare le
attenzioni di Scorpius, al punto da farlo sghignazzare apertamente. Di nuovo,
lei cercò il suo viso.
“Perché
ridi?”
“Tua
cugina Dominique ha appena dato un bel due di picche ad Ottavius.”
Rose
sgranò gli occhi, incredula. “Davvero?”
“Sì.”
Annuì sibillino Scorpius, negli occhi un lampo di sinistra soddisfazione. “Credo
che lo perdonerò. Non avrei saputo escogitare punizione migliore, per lui.”
Lei
fu d’accordo, ma non lo espresse a voce alta per evitare fraintendimenti di
sorta. Al contrario cercò la figura allampanata della cugina e non poté fare a
meno di sorridere quando la vide ballare con Hugo sotto lo sguardo incredulo ed
umiliato di Ottavius. Gli dispiaceva per lui, ma in fin dei conti se l’era meritato.
Vagò
con lo sguardo sul resto del suo parentado, sorridendo felice quando vide Albus
avvinghiato ad Alicia, e chissà come il suo sguardo arrivò sull’unica persona
che in tutta la Sala non sembrava affatto divertita.
Con
un groppo in gola, si rese conto che lui la stava fissando, senza però tracce
di rabbia o di rancore nel suo sguardo e la cosa, in qualche modo, la indusse a
rintanarsi di più tra le braccia di Scorpius, a voler cancellare i sensi di
colpa ritenuti da tutti ingiustificati.
-Edmund.-
N/A
Chiedo venia per avervi
fatto attendere così tanto nella
pubblicazione di questo penultimo capitolo. Mi dispiace davvero tanto per il
ritardo, sono stati giorni impegnativi questi e, ahimè, continuano ancora ad
esserlo. Spero solo che, a questo punto, il capitolo valga l’attesa.
Devo ringraziarvi e lo
faccio con il cuore per le splendide parole che avete speso in mio aiuto. La confusione
non è ancora passata e le idee sono ancora ben lontane dallo schiarirsi, ma i
vostri incoraggiamenti mi hanno senz’altro dato una grande mano. E vi devo
davvero ringraziare per questo, perché mi avete dimostrato che il vostro
apporto non si limita solo al mio modo di scrivere (il che è già tantissimo,
comunque), ma anche ad aiutarmi quando è la vita reale a creare magagne. Perciò
GRAZIE. Grazie di cuore, a tutti.
Non mi soffermerò molto, perché
il prossimo è l’ultimo e vorrei fare le cose per bene. Sicuramente (a costo di scriverlo sull’agenda!) posterò il
ventesimo, ultimo capitolo la settimana prossima. Perciò, rimando tutto il
resto ad allora, ma intanto grazie ancora, non ho parole da aggiungere al
prezioso aiuto che mi avete dato …
Alla prossima.
Baci.
memi