XX
~ The wedding
Nella mia fine
è il mio principio.
[Mary Stuart]
Victoire
era semplicemente stupenda. Mentre la vedeva scendere la navata sostenuta dal
braccio di un emozionato Bill Weasley, Rose non poteva fare a meno di sentirsi
orgogliosa e fiera. Era certa che nessuna sarebbe stata mai tanto incantevole
in un abito così ricco senza risultare eccessiva. In qualche modo, era la
cugina a rendere meraviglioso il vestito e non il contrario. Persino il fiocco
dietro le spalle, che Dominique aveva insistito con la madre affinché togliesse
almeno quello, era perfetto nell’insieme.
Perciò
era facile condividere i pensieri e i sentimenti di Teddy, impalato come un
tonto a rimirare la sua ormai prossima consorte, con la bocca aperta e gli
occhi sgranati. Per l’occasione aveva promesso ad una disperata Fleur di non
mutare i capelli e gli occhi in continuazione, e di comune accordo aveva deciso
per un caldo marrone chiaro i primi e di un tenue azzurro i secondi. Promessa
che, se aggiunta allo smoking nero, quasi non lo faceva sembrare lo stesso
ragazzo distratto e colorato di
sempre, quanto un semplice innamorato che sta per prendere la decisione più
importante della sua vita.
Rose
non provò neppure ad immaginare cosa si provasse in simili situazioni. Come
tutti i suoi cugini, aveva visto l’amore tra i due ragazzi sbocciare pian piano
e tramutarsi poi in una vera storia d’amore. Aveva ascoltato le confessioni di
Victoire e con James, ufficiale confessore di Teddy, si erano scambiati i
rispettivi pareri.
Ora
che la loro relazione si trovava ad una cruciale svolta, era quasi
destabilizzante la consapevolezza di quanto naturale fosse quella conclusione.
In
qualche modo aveva sempre pensato che Teddy e Victoire si appartenessero, ma
vederli lì, dinanzi ai suoi occhi, mentre accettavano di amarsi per tutta la
vita, era un’emozione troppo grande persino per una persona razionale come lei.
L’unico
momento in cui aveva rischiato di rovinarsi la cerimonia, era stato durante la
sua discesa della navata.
Victoire
aveva voluto lei e Dominique come testimoni, mentre Teddy aveva chiesto di
farlo, da parte sua, a James e ad Albus.
Dominique
e James erano stati i primi a lanciarsi, a braccetto, tra una frecciatina e
l’altra. Poi era stato il suo turno, con Al, e quando erano apparsi nel
giardino ricolmo di persone aveva avvertito un vago terrore. Se avesse
sbagliato? Se per colpa sua avesse rovinato il matrimonio di Victoire? Zia
Fleur non l’avrebbe mai perdonata, non dopo tutta la fatica che aveva fatto per
organizzare tutto e-
“Respira,
Rosie. Andrà tutto bene.” L’aveva tranquillizzata serafico Albus, per poi
sfoderare un sorriso splendente e mostrare un’invidiabile calma.
Come
faceva a non essere nervoso? Rose aveva visto suo padre e sua madre, tra le
prime file, e avvertito un groppo alla gola. Si sentiva così ridicola …
Ma
poi il viso di Ron si era illuminato di un’emozione strana, che lo aveva fatto
arrossire in zona orecchie, e Hermione le aveva sorriso, materna. Allora il
respiro era ritornato regolare e i battiti non erano sembrati poi tanto
impazziti, mentre Rose si accorgeva di riuscire persino a sorridere a sua
volta. Davanti Teddy le aveva fatto l’occhiolino, James alzato un pollice e
Dominique gli occhi al cielo – sapeva già cosa avrebbe voluto dirlo, che era
paranoica e che sarebbe stata perfetta – mentre accanto Albus le dava
affettuose pacche sul braccio.
Quando
aveva raggiunto il suo posto, quello da testimone della sposa, l’ansia era
ormai del tutto scemata, permettendole così di godere di ogni singolo istante
che precedeva ed includeva l’arrivo della sposa.
Dominique
aveva assunto la sua aria indifferente, ma Rose aveva intravisto delle lacrime
durante il sì. Nonna Molly, invece, era stata incontenibile e, assieme a Fleur,
si erano date ad un pianto sommesso. Andromeda Black, viceversa, era stata più
discreta, ma Harry aveva dovuto offrirle un fazzoletto ad un certo punto.
Lo
zio Bill si era dimostrato piuttosto ritroso al momento del bacio, ma non aveva
opposto resistenze particolari. Louis aveva fischiato e un coro di applausi si
era levato nell’ampio giardino della Tana quando Teddy aveva stretto Victoire
con più foga del necessario. C’era stato anche qualche commento indelicato, che
Rose aveva addossato senza fatica a Fred, l’unico ad aver fatto desistere i due
novelli sposi dal saltarsi addosso seduta stante.
Il
lancio del riso era stato a metà tra una pioggia incantata ed una tormenta.
James, Fred, Hugo e Louis avevano dato del loro meglio per enfatizzare
soprattutto la seconda. Ovviamente il peggio se l’era subito Teddy che,
cavalleresco, si era stretto sulla neo moglie per proteggerla.
Poi
erano arrivati i complimenti, i baci, gli abbracci, le pacche sulle spalle e le
battutine sibilline, ed era stato tutto perfetto, come in quei film Babbani che
di tanto in tanto Hermione faceva loro vedere.
~
“Che
dici Miss Iceberg: pensi di concedere un ballo al più bello del reame?” James,
che aveva appena lasciato la madre Ginny tra le braccia del padre, si fiondò al
tavolo dove Rose e Dominique si erano appostate sfoderando quel suo
insopportabilmente adorabile sorriso sibillino.
“E
dove sarebbe?” Dominique alzò un sopracciglio, scettica. “Davanti a me vedo
solo un monocellulare dalla dubbia razza.”
“Ah
ha. Molto spiritosa, donna. Allora, balliamo o no?” Insistette lui tuttavia e
alla fine, anche se non senza uno sbuffo spazientito, lei aveva accolto
l’invito.
Ovviamente
non aveva accettato la sua mano e si era diretta alla pista senza degnarlo di
uno sguardo, ma James aveva trovato la cosa divertente e, con un sorriso, le
era scodinzolato dietro.
A
quel punto Rose era rimasta a guardarli per un lungo istante, ridacchiando di
fronte all’evidente riluttanza di Dominique a lasciarsi andare, per poi
saltellare con lo sguardo da una coppia all’altra di ballerini.
Albus
aveva provato a schiodarla dalla sedia, ma senza alcun successo, tanto che alla
fine si era visto costretto ad arrendersi. In quel momento stava volteggiando
per tutta la pista con una sorridente Roxanne, dando letteralmente spettacolo.
Sembrava davvero felice e lei, come ovvio, non poteva non risentirne
positivamente di riflesso.
Spostò
lo sguardo e intercettò i movimenti del tutto fuori ritmo di suo fratello con
Lily. Ballavano in un modo così scoordinato, che sembrava stessero inscenando
il ballo delle foche, più che altro. Ma quello era il loro modo di divertirsi e
andava bene così, tutto sommato.
James
e Dominique stavano continuando a pestarsi i piedi a vicenda. Zia Ginny rideva
entusiasta tra le braccia di un goffissimo zio Harry, mentre sua madre tentava
invano di convincere suo marito Ron a ballare, salvo poi venire trascinata da
un radioso zio George. Nonna Molly continuava a disperare lo zio Charlie con le
sue idee sul metter su famiglia.
Rose
sorrise e, per distrarsi, bevve un sorso d’acqua.
Era
contenta, come non aveva mai creduto possibile. Ed era contenta con Scorpius
Hyperion Malfoy, l’ultima persona che avrebbe mai sospettato poter essere un
giorno la causa della sua gioia. Scosse il capo al pensiero sciocco, mentre in
automatico con la mano andava a recuperare qualcosa dal fondo della borsetta
dannatamente pervinca. Una spilla, per l’esattezza. La tirò fuori guardinga,
concedendosi un sorriso sognante solo quando riuscì a vederla.
Non
riusciva ancora a crederci. Una spilla. Scorpius le aveva comprato una spilla.
“Chiudi
gli occhi.” Le aveva detto, seduta – non senza un certo imbarazzo – sulle sue
gambe, mentre erano sul treno che li avrebbe condotti per l’ultima volta via da
Hogwarts.
Lei
aveva obbedito e lui aveva iniziato a giocare con un lembo della sua maglia.
“Aprili, adesso.” Aveva detto, alla fine.
Rose
li aveva aperti e doveva aver assunto un’espressione davvero buffa alla vista
di quella spilla dorata a forma di rosa, con lo stelo delicatamente artigliato
dalle spire di un serpente, incurante delle spine, perché Scorpius aveva fatto
un sorriso sghembo saturo di divertimento.
“Non
ti piace?”
“N-
No … cioè, sì, sì che mi piace! È solo che …” Aveva aggrottato la fronte,
confusa, mentre cercava il suo viso. “Perché?”
Scorpius
aveva scrollato le spalle, con indifferenza. “Così non mi dimenticherai.”
-Già, come se fosse possibile.-
Rose scosse il capo, posando la spilla nella borsa e lasciandosi sopraffare da
un sospiro. Cosa ne sarebbe stato di loro, adesso che non c’era Hogwarts a
proteggerli? Non si riferiva solo a lei e a Scorpius, ma anche ad Albus, ad
Ottavius, ad Edmund …
La
vita si apriva davanti ai loro occhi più accecante che mai e lei ne era
affascinata, sì, ma anche profondamente intimorita. Non era sicura che avrebbe
imparato a vedere in tutto quel bagliore. Dietro di lei, c’era tutto ciò che
aveva sempre conosciuto; davanti, invece, c’era l’ignoto.
-Basta Rose.-
S’impedì di continuare. –Basta pensarci,
adesso non servirebbe. È il matrimonio di Victoire e di Teddy, conta solo
questo.-
Il
pensiero la fece rilassare all’istante. Ma l’aver accennato ad Edmund non poté
non provocare una reazione a catena, accendendo altri ricordi che di vecchio
avevano ben poco. Trovava ancora assurdo ciò che le aveva detto, quando le si
era avvicinato, poco prima di scendere dal treno.
Scorpius
era andato a cambiarsi e lei ne aveva approfittato per controllare la
situazione per l’ultima volta. Michael Grays le aveva sorriso appena quando
l’aveva vista, ancora offeso con lei per la storia di Scorpius, ma non vi aveva
badato ed era andata avanti. Edmund si era fatto trovare nella carrozza
successiva, accanto all’entrata, già munito di jeans e maglietta scuri.
Nel
scorgerlo, Rose aveva avvertito un magone e una vaga percezione di dovergli
dire qualcosa. Tuttavia l’ansia aveva avuto il sopravvento e, dopo un paio di
boccheggi vuoti, aveva deciso di lasciar perdere. Quindi era andata per la sua
strada, come dal piano originario, ma nel superarlo era stata bloccata dal tono
dimesso della sua voce.
“Mi
dispiace.” Le aveva detto, ancora troppo freddo e distaccato da come sarebbe
richiesto, però abbastanza sincero da destare la sua curiosità e convincerla a
voltarsi verso di lui.
Edmund
aveva l’aria impenetrabile di sempre, se solo non fosse stato per il velo
ombroso sceso nei suoi occhi. La stessa che gli aveva visto distintamente alla
festa, la sera prima, e che continuava a scorgergli ad intermittenza in quegli
ultimi mesi. Rose non lo conosceva bene, eppure era sicura di non sbagliarsi
nell’affermare che quello era il suo modo di dimostrare la propria sofferenza e
forse proprio per questo non poteva fare a meno di sentirsi in colpa, almeno
per una piccola parte.
“Non
era contro di te, ma eri una minaccia per me. Sei l’unica di cui Scorpius
avesse potuto davvero innamorarsi. Dovevo impedirlo. Andava fatto. Anche se i risultati non mi hanno dato ragione.”
Per
una qualche ragione, le parole che Edmund le aveva rivolto, l’avevano colpita.
“Potete ancora ritornare amici se-”
Lui
aveva sospirato e aveva sorriso, ma di un sorriso triste. “No.”
Poi
l’aveva visto andare via, senza darle possibilità di reazione, con una marea di
domande ancora insoddisfatte ma, almeno, con in più qualche risposta.
Rose
continuava a non capire appieno le sue motivazioni, ma il sapere che non aveva
inscenato tutta quella farsa solo perché era lei, era qualcosa che andava ben oltre le sue speranze. Da quando
la verità era salita a galla, aveva sempre creduto che il ragazzo non l’avesse
voluta tra i piedi perché era una Weasley. Ma si era sbagliata, non era mai
stato quello il problema.
Dopotutto,
non aveva capito poi molto di Edmund Theodore Nott.
“Ehi,
testimone! Balliamo?”
La
domanda la ridestò all’istante da ogni elucubrazione mentale. Rose alzò il capo
e non riuscì a dissimulare l’aria spaesata quando incrociò il viso allegro di
Fred Junior. Di fronte al suo mutismo, tuttavia, il cugino parve interpretare
in modo diverso quell’espressione.
“E
dai! Giuro che non ti pesterò i piedi!” Promise difatti, disegnando una croce
sul petto e roteando al contempo gli occhi.
A
quel punto non seppe evitare di ridacchiare, divertita. “Semmai mi preoccupo
del contrario. Non sono una brava ballerina, come sai.”
“Perfetto!”
Ancora una volta, Fred prese le sue parole con entusiasmo, in netto contrasto
con ciò che avrebbe dovuto essere. “Ho sempre desiderato farmi pestare i piedi
dalla testimone della sposa!”
Non
poté rifiutarsi, stavolta, e, sbuffando tanto per sottolineare il proprio
disinteresse per la danza, si alzò dalla sedia per prendere la mano che il
cugino le porgeva.
Fred
la condusse sulla pista, accanto al punto dove George faceva volteggiare Hermione
come una trottola, e una volta qui la strinse affettuosamente tra le braccia
per allestire un lento che mal si adattava alla canzone ma che almeno le
permetteva di rimanere in piedi senza fare figuracce.
“Allora.”
Iniziò una volta preso il loro ritmo. “Cosa mi racconti di te e Scorpius
Malfoy?”
La
domanda le rimase incastrata in gola, quasi fosse stato un bocconcino sceso
male.
Rose
tossì un paio di volte, divenne paonazza e sprofondò il viso nella giacca del
cugino. “C- Chi …?” Mormorò solo, in un sussurro, imbarazzatissima.
Fred
sogghignò. “Indovina?”
“Ah.
Hugo.” Nel momento stesso in cui il nome le era venuto fuori dalle labbra,
seppe di averci preso in pieno.
Strinse
i pugni, per istinto, e si chiese con quante persone avesse già parlato di lei
e-
“Se
te lo stai chiedendo, lo sappiamo solo io e James. Diciamo che glielo abbiamo
estorto con la forza. Qualcosa come lealtà tra Malandrini.” Fred scrollò le
spalle, soprapensiero, per poi puntare due dita sotto il mento della ragazza e
costringerla a guardarlo in viso. “Non essere dura con lui. Ci sta male per
questa storia.”
-Lo so.-
Avrebbe voluto rispondergli, ma si limitò ad abbassare il capo, di nuovo.
Adesso si sentiva tremendamente in colpa anche solo per aver pensato che Hugo
avesse potuto fare la spia.
Poi
un pensiero la colpì. “Aspetta. James lo sa? E non ha ancora spifferato niente
a nessuno?” Era sorpresa, anche piuttosto notevolmente.
“Ricordi?
Lealtà tra Malandrini.”
Ovviamente.
Scosse il capo e decise di lasciar perdere, concentrandosi solo sui suoi passi.
Stava andando anche piuttosto bene, quando sul meglio la canzone finì per
lasciare il posto ad una molto più movimentata.
Fred
comunque non sembrava intenzionato ad assecondare il ritmo della nuova melodia
e continuava a strascicare i piedi al passo con lei. Tuttavia l’arrivo di
qualcun altro, tra loro, gli impedì di concedersi il secondo ballo con la
cugina. Era Ron, venuto a reclamare l’attenzione della figlia.
“Che
vogliamo fare, figlioccio? Non credi che un povero vecchio meriti di ballare
almeno una canzone con la propria prole?”
Il
diciannovenne sorrise, smagliante. “Certo che sì, padrino. A te la dama.”
Disse, porgendole la mano di Rose e dileguandosi a cercare Lily.
Seppure
con una certa goffaggine, Ron aveva stretto la vita della sua primogenita e
aveva iniziato a muoversi ora a destra ora a sinistra, senza alcun senso del
ritmo. La cosa la fece ridere, divertita, e convincere a dare una mano al suo
imbranato paparino. Gli si allacciò al petto e, a fatica, seguì i suoi insoliti
passi.
“Pensavo
odiassi ballare, papà.”
“Infatti.
Anzi, mi sa tanto che tua madre mi ucciderà dopo.” Mormorò, talmente tanto
terrorizzato dalla prospettiva da strapparle un’altra risata, per poi
rispondere alla sua muta domanda. “Ma non potevo non ballare con la mia Rosie, no?”
“Sì,
papà.” Lo strinse forte, felice, rilassandosi nel suo caloroso abbraccio.
“Rose,
lo so che è una cosa tra fratelli … e beh, che dovrei farmi gli affari miei …
certo, se credi sei libera di non rispondermi! Anzi fai finta che non ti abbia
detto niente e-”
“Papà!”
Ron
si bloccò, ansimante e rosso per lo sforzo, sorridendo solo quando appurò che
Rose non era affatto arrabbiata con lui, al contrario appariva serena e
rilassata.
“Vuoi
sapere perché io e Hugo quasi non ci parliamo?”
Lui
arrossì ancora di più. “L’ho sempre detto che hai il cervello di tua madre!”
Rose
sghignazzò al commento, ma subito ritornò seria quando il pensiero cadde a
Scorpius e alla reazione glaciale avuta dal fratello dinanzi alla loro storia.
“Avete
litigato?” Azzardò Ron, cauto.
“No.”
Scosse il capo lei. “Abbiamo solo delle opinioni divergenti su una cosa, ecco.”
Non
era una bugia, più una mezza verità. Accettabile, per il momento. E comunque
non avrebbe potuto fare di meglio, pure volendo.
“D’accordo.
Ti dispiace se dirò a tua madre la stessa cosa, quando me lo chiederà?”
Rose
non fu sorpresa di sapere che la mamma c’entrava qualcosa in quel discorsetto,
ma lasciò perdere. “Okay.” Acconsentì piuttosto, per poi farsi cullare dalle
braccia lunghe e goffe di suo padre in un silenzio intercalato solo dalle noti
di una canzone particolarmente melensa.
~
“Non
hai fame, Eddie?”
Edmund
alzò il capo e, con lentezza, girò il collo di novanta gradi, verso sinistra.
Sua madre, seduta ad uno dei due capitavola, lo guardava con un sopracciglio
nero inarcato, negli occhi antracite una traccia di animata preoccupazione.
Aveva poggiato le posate sul piatto, delineando una v precisa, e aveva puntellato i gomiti sul ripieno di legno
d’acero, incrociando le dite per permettere al mento di potervi trovare
l’appoggio ideale.
Non
si era mai tolta l’abitudine di utilizzare quello pseudonimo nel rivolgersi a
lui. L’aveva coniato quando era ancora un bimbetto alto poco più di un metro,
con pochissimi amici e l’aria taciturna sempre stampata in viso. Diceva che gli
stava bene, ma in verità stava solo cercando di farlo sembrare più bambino di
quanto dimostrasse, senza mai riuscirci, ma senza mai smettere di provarci.
Sua
madre era così, dopotutto. Caparbia e anche un po’ prepotente quando
s’impuntava su qualcosa di particolare valore per lei. E ci teneva
all’esteriorità, a mostrare una parvenza di perfezione che suo marito si
accingeva ad assecondare, apaticamente, come tendeva a fare con ogni suo
capriccio.
D’altro
canto, non era novità per nessuno che Theodore Nott aveva amato sua moglie da
molto prima di poterla avere per sé.
Era
stata una corte discreta, quasi invisibile, che non aveva mai trovato
manifestazioni plateali nel suo incedere lento. Pansy stessa non aveva saputo
niente per anni e forse non l’avrebbe mai capito, se solo non fosse stata in
grado di leggere tra le righe di un complimento sottile, quasi inavvertibile.
Ma da quel momento, cadere al fascino ombroso di un Nott era stato quasi
automatico per lei.
Ciò
nonostante, a distanza di anni, Theodore e Pansy rimanevano le stesse persone
antitetiche di un tempo, che nessuno avrebbe azzardato associare, figurarsi
immaginare sposati.
Edmund
scivolò con un battito di palpebre da quei pensieri per concentrarsi sul viso
apprensivo della madre.
“Stavo
solo pensando.” Le rispose, ritornando a fissare il suo piatto e provando ad
ingollare una fetta di carne succulenta.
Non
aveva fame, ma odiava vederla preoccuparsi per lui, soprattutto quando non ce
n’era affatto bisogno. Non più del solito, perlomeno.
La
sentì sospirare e poté quasi figurarsela mentre intrappolava una ciocca di
capelli nerissimi, in uno studiato caschetto, dietro un orecchio. Perfetta come
sempre, anche per pranzare con il proprio figlio.
“Theodore
non sa cosa si è perso.” Commentò all’improvviso, all’apparenza con
superficialità, toccando però in realtà corde affusolate come capillari. “Ma
sono sicura che non sia colpa sua. Probabilmente avrà avuto qualche problema al
lavoro.”
“Già.
Forse.” Annuì lapidario Edmund, senza particolare entusiasmo nella voce,
lasciandosi sfuggire un sospiro solo quando lo sguardo gli ricadde verso
destra, al posto inesorabilmente vuoto.
Suo
padre aveva già saputo di lui e Scorpius? Cosa ne avrebbe pensato? Lo avrebbe
deluso?
-Ovviamente.- Si
rispose, stringendo le labbra in una linea finissima. –Non potrebbe essere altrimenti. Non sono neppure in grado di tenermi
quei pochi amici che abbia mai avuto.-
Il
pensiero, più che rammaricarlo, lo rese ancora più duro e severo con se stesso.
Ormai
l’appetito era andato del tutto perduto, senza possibilità di revoca, e fu una
fortuna sfacciata che fosse arrivato il momento del dolce. Edmund spiluccò
qualcosa, più per far felice sua madre che per reale languore, e accennò ad un
sorriso rassicurante ogni qual volta gli occhi della donna ricadevano su di
lui, il che succedeva ad intervalli regolari. Quando il pranzo giunse al
termine, comunque, fu contento di poter scivolare da quello sguardo inquieto
per rifugiarsi nella biblioteca di famiglia.
Non
aveva effettivamente alcun desiderio di leggere, però era un posto sicuro
quando voleva starsene per conto suo. Aprì il primo libro a caso, gettando
occhiate fugaci alle immagini che si alternavano tra le pagine, e sbuffò
spazientito quando non trovò particolare stimolo a continuare. Abbandonò il
libro sullo scrittoio antico lì di fianco e si sedette con un sospiro sulla
poltrona zafferano.
A
breve sarebbe arrivato a fargli visita Ottavius, come preannunciato. Con ogni
probabilità, si sentiva in colpa perché lui, a sua differenza, aveva fatto pace
col cugino. In quegli ultimi tempi Edmund si era tenuto a distanza anche dal
ragazzo per permettere, almeno a lui, di riappacificarsi con Scorpius.
Alla
fine c’era riuscito, ma Ottavius sembrava essersi intestardito nel volersi
addossare la responsabilità dell’accaduto. Sapeva essere sconvenientemente
ingenuo, alle volte. Come quando si ostinava a farli ricongiungere, senza
capire che era tardi … che era troppo
tardi, per lui.
Chiuse
gli occhi e li riaprì solo quando il rumore esterno del campanello s’insinuò
nel silenzio surreale del posto. Controllò l’orologio. Ottavius era piuttosto
in anticipo sull’orario dato.
Ciò
nondimeno, si alzò dalla poltrona ed uscì dalla biblioteca, diretto
all’ingresso per accogliere il suo amico.
Ma
non era lui. Era una lei, alta e
stupenda. Capelli neri, lunghi e lucente, fisico asciutto, slanciato, e due
occhi di un assurdo marrone caramellato.
“Madison.”
Lei
gli sorrise, appena. “Ciao, fratellino.”
~
Era
a dir poco sorprendente il modo in cui il cielo – una distesa infinita di un
turchese intenso – sapeva mutare e trasformarsi con tanta semplicità dinanzi ai
suoi occhi abbacinati. C’era il sole, un disco dorato croccante e luminoso;
c’erano gli uccelli, adunatisi in stormi regolari e precisi; e c’era l’azzurro,
così brillante da rimanerne travolti. Poi, l’attimo dopo, per una magia antica
quanto la vita o forse persino di più, il sole aveva pigramente iniziato la sua
calata, verso occidente, e di tutto quel celeste non era rimasto che un caldo
indaco, sapientemente screziato da dolci pennellate ora arancia, ora viola, ora
rosa.
Uno
spettacolo così particolare che era difficile dubitare della sua bellezza.
Nessuna mano di nessun pittore, neppure il più esperto, sarebbe mai stato in grado
di riproporre una visione del genere. Perlomeno non senza sbavature piccole sì,
ma percettibili come il respiro del vento sul viso.
Scorpius
ne era pienamente cosciente mentre, in piedi davanti all’enorme finestra della
sua camera, si pregustava il lento predominio della notte. Aveva sempre
immaginato l’esistenza di un arcaico diverbio tra il giorno e la notte su chi
dovesse riempire la volta celeste. Da bambino, aveva pensato che aurora e
tramonto fossero in realtà il frutto degli scontri tra i due contendenti e che,
quando si incontravano di petto, provocassero dei giochi di colore che
spiegavano l’esistenza di tante morbide sfumature.
Adesso
che ne sapeva la natura scientifica, non poteva però negare che una simile
concezione era decisamente più interessante e fonte di attrattiva.
In
quelle contemplazioni dal retrogusto dell’ignoto, Scorpius trovò automatico
accomunarvi alcuni dei tratti che avevano sancito la sua vita, in quell’ultimo
periodo.
Prima
di innamorarsi di Rose, era stato come la notte più buia. Aveva vissuto nella
certezza che niente fosse nemmeno paragonabile alla rassicurante presenza
dell’ombra che sapeva riempire il suo mondo. Non aveva cercato altro, sicuro
che nulla potesse valergli la pena e dargli qualcosa in più di quanto già posseduto.
Poi
si era scontrato contro di lei e da quell’incontro erano sgorgati mille altri
colori. Colori che neppure sapeva di avere, in tutto quel nero. Ma Rose era
come il giorno e, incrociandola, aveva ottenuto da sé più sfumature del dovuto,
e aveva capito, in un flash fotografico, che il suo mondo era soltanto un
posticino tranquillo, al sicuro, che però gli precludeva il resto.
La
cosa più bizzarra, in tutta quella storia, era il modo in cui era iniziata. Da
una semplice, banalissima fotografia. Una fotografia che non aveva niente della
dinamicità magica, bensì si concretizzava su un’unica immagina, statica e
fissa.
Allora
veniva da chiederselo e da sorridere, quando poi la domanda non trovava
risposta soddisfacente: come poteva una fotografia tanto arretrata
tecnologicamente, comportare un simile travolgimento?
Scorpius
ripensò alle prime parole che aveva detto a Rose, quando lei aveva ingenuamente
creduto che volesse abusare in quel
senso di lei. All’epoca le aveva detto che non era il suo tipo, che non aveva
alcun desiderio di fare sesso con lei e che non si sarebbe mai perdonato se
l’avesse privata in un simile modo della sua illibatezza.
Alla
luce di quanto accaduto e dei suoi sentimenti, si sentiva di ribadire solo
l’ultima cosa.
Non
ne avevano ancora mai parlato – era ancora troppo presto per lei, glielo
leggeva negli occhi senza il bisogno di chiederglielo – tuttavia, almeno per
quanto lo riguardava, la desiderava con e più vivacità di quanto avesse mai
desiderato nessuna. Eppure era così maledettamente innamorato di lei, da avere
paura di sciupare tutto per quella sua voglia carnale. Non voleva ferirla e per
questo non osava chiederle di più, gli bastava averla vicino e sapere che era
sua, almeno metafisicamente.
Paziente
ed irriconoscibile in quel suo nuovissimo ruolo, attendeva che Rose si sentisse
pronta e che lo capisse da sola, per farsi trovare lì al momento in cui lei
avesse voluto.
Era
ancora così … surreale, sì, il modo
in cui aveva saputo tramutarsi da rivale perfetta a ragazza ideale.
Scorpius
stentava a crederci, tutt’ora.
Non
aveva neppure mai sospettato di poter provare, un giorno, un simile sentimento
per una persona estranea al suo cerchio di amicizie; per di più se quella
persona era Rose Sophie Weasley.
Nondimeno
il suo cerchio aveva subito un radicale cambiamento in quegli ultimi tempi,
quasi impossibile da credere.
Scorpius
aveva scardinato i vecchi legami, ripudiato il suo più caro amico, per farvi
entrare lei e la sua strampalata famiglia.
In
quel gruppo singolare, non poteva mancare l’unica persona in grado di capirlo
perfettamente. Albus Severus Potter. Il ragazzo che, in un solo colpo, si era
innamorata di lei e aveva pestato lui.
Sorrise
nel ricordare quel giorno, nonostante la stilettata al petto nel ritrovare il
dolore.
Era
stato scioccante ma naturale carpire il suo stesso sentimento negli occhi verdi
di Albus. Talmente lampante che si era stupito di non averlo notato prima. Aveva
letto la sua sofferenza per quell’amore impossibile, non corrisposto, e si era
sentito angosciato per le sorti di quel vero Grifondoro.
Ma
Albus aveva saputo uscirne, alla fine. In qualche modo, chissà come. Si era
dimostrato molto più forte di quanto lasciava intendere.
Anche
i loro rapporti, lentamente, erano ritornati sereni come quelli di un tempo.
Anzi, a giudicare dalla loro ultima conversazione, forse erano persino
migliorati. Era stato un sentore, di sicuro per entrambe, che avevano provato
quando, sul treno, si erano scontrati nella porta del bagno.
Scorpius
che ne usciva cambiato; Albus che ne entrava per fare lo stesso.
Si
erano guardati per un lungo istante, in silenzio, poi il moro aveva sorriso,
con semplicità.
“Adesso
che stai con mia cugina, non dovrò chiamarti cognato, vero Serpeverde?”
Lui
aveva ghignato, divertito. “No. Penso di no. Non sono neppure sicuro che sia la
parola giusta, Grifondoro.”
“Meglio
così, mi sono tolto un peso di dosso.” Albus aveva sghignazzato, entrando nel
bagno al posto suo, ma prima di chiudersi la porta alle spalle si era voltato
ad osservarlo con cipiglio esageratamente serio. “Per la storia dell’altra
volta, io-”
“Lascia
perdere.” Aveva stroncato il discorso sul nascere Scorpius, scacciando l’aria e
le scuse che già la riempivano. “Il passato è passato, giusto?”
L’altro
era rimasto dapprima interdetto, poi si era lasciato andare ad un sorriso
liberatorio. “Giusto.” Aveva confermato, alzando il pollice, per poi
richiudersi nella cabina.
Era
stato stranamente facile ritrovarlo. Quasi non si fossero mai presi a pugni, in
quel corridoio. E Scorpius aveva capito all’istante che sarebbe stato diverso,
senza Albus dalla loro parte.
Stava
ancora rimuginando su simili pensieri quando la porta si aprì con un colpo
secco e, senza bussare, Ottavius fece il suo trionfale ingresso.
“Grandi
novità, cugino!” Esordì, sfregandosi le mani con aria sibillina.
Scorpius
sospirò, voltandosi verso di lui senza particolare entusiasmo. Non era certo
una novità che il ragazzo trovasse interessante parecchie cose. Era ormai
avvezzo a quel genere di cose e, perciò, non riusciva ad incuriosirsi per
quella premessa.
Ma
per una volta, le notizie che portava Ottavius erano davvero speciali.
“Sono
andato a casa di Edmund prima, e sai chi c’era? No, non puoi saperlo. Ebbene,
tieniti forte: Madison!”
“Madison?”
Ripeté con voce strascicata l’altro, adesso chiaramente perplesso.
Che
ci faceva Madison lì? Era ritornata per restare? Quando era arrivata?
In
un sol fiato, Ottavius rispose a tutti i suoi muti quesiti. “È tornata oggi
stesso, pare che non se ne andrà a lungo. Ma ci pensi?! Madison è ritornata!
Non è strano?”
-Sì, è strano.-
Scorpius sospirò, assorto, e il pensiero scivolò in un secondo sulla spilla che
aveva regalato a Rose. Distrattamente si chiese se avesse già scoperto il
segreto che si celava al suo interno. Se avesse già trovato il meccanismo per
rispolverare il messaggio che aveva lasciato per lei e che, bizzarramente, si
scontrava alla perfezione con lo stato attuale dei fatti. –Nella fine, il principio.-
~
Il
giorno stava ormai per finire, portandosi dietro anche la scia delle ultime
risate. In via sommaria, Albus poteva dire che la sua numerosa famiglia aveva
dato fondo a parecchi alcol e che la musica non si era mai fermata con tutti
quei ballerini sempre in pista. Ovviamente suo fratello e Fred erano stati le anime
dello spettacolo, invitando a ballare e a bere chiunque capitasse loro a tiro.
Ad un certo punto avevano persino improvvisato un ballo a tre con nonna Molly,
tra risate divertite e lacrime di gioia.
In
quel momento i più erano crollati sulle sedie, stanchi morti, e solo pochi
continuavano a battere i piedi. Louis era sprofondato in un sonno rumoroso, con
la faccia riversa sul tavolo. Hugo e James avevano circuito la sposa, che
veleggiava come una farfalla sulla pista improvvisata. Poco lontano Lily e Roxanne
si esibivano in un duetto alquanto buffo da vedere, che faceva mantenere i
restanti cugini e i vari genitori sulle sedie a ridere e a scherzare.
“Ehi
Al, la finisci quella?”
Sentendosi
chiamare, il ragazzo si voltò giusto il tempo per vedere Teddy capitombolare a
terra, dopo essere inciampato tra i suoi stessi piedi, e rialzarsi l’istante
successivo quasi fosse stata ordinaria amministrazione. Albus scosse il capo,
sghignazzando. Era un caso disperato, disperato
…!
“No,
prendila pure.” Rispose tuttavia, porgendogli il piatto con la torta ancora
intatta che neppure si era accorto di avere davanti al naso.
Teddy
sorrise, entusiasta, tuffandosi nella porzione con una tale foga come se non
mangiasse da secoli.
“Allora.”
Proruppe all’improvviso, tra una forchettata e l’altra. “Come va? Mi sembra che
tu stia meglio.”
Albus
annuì, sorridendo. “Sì, va meglio.” Confermò, ritornando col pensiero ai baci
di Alicia e al modo in cui riusciva incredibilmente a farlo sentire sereno,
rilassato.
Il
giovane Lupin per tutta risposta si concesse un lungo attimo per scrutare ogni
indizio che il suo viso lasciasse trapelare, poi, non notandone nessuno di
rilevante importanza, decise di rinunciare. La cosa, però, non lo fece
deprimere, al contrario. Era sollevato adesso, gli sembrava di essersi tolto un
peso amaro dal petto, perché di certo non gli faceva piacere vedere il ragazzo
soffrire a quel modo.
“Meglio
così.” Scrollò le spalle, con finta indifferenza. “Sai, detto tra noi, eri
diventato un musone.”
“Già,
già!” Rise divertito Albus, anche lui decisamente più sollevato rispetto alla
loro ultima conversazione. “A proposito, per allora-”
“Bah,
non ci pensare! L’importante è che tu stia bene adesso, no?” Teddy gli fece
l’occhiolino, complice e sincero, come sempre, e l’altro pensò seriamente che
il mondo dovesse girare al contrario.
Possibile
che nessuno volesse farsi chiedere scusa da lui?! Mah. Eppure lui desiderava poterle fare!
“Teddy!
Al! Venite anche voi!” Dalla pista la voce di Victoire che li incitava ad
alzarsi e a raggiungerla cancellò ogni traccia seria del discorso che stavano
facendo, convincendoli con una sola occhiata ad accodarsi al capannello di
persone che, intanto, James e Hugo si accingevano a recuperare.
“Andiamo
anche noi, Rosie!” Fred, seduto di fianco alla ragazza, la prese letteralmente
tra le braccia e, incurante delle sue proteste, la costrinse a ritornare in
pista.
“Fred,
solo perché mio padre è anche il tuo padrino, non significa che tu puoi fare tutto
ciò che vuoi con me!” Lo ammonì
subito Rose, corrucciata.
Come
sempre, lui anziché prenderla sul serio, scoppiò in una risata sfrontata. “E
dai Rose, non fare la guastafeste! E poi sei uno spasso quando balli!”
“Fred!”
Ma
il ragazzo non la stava già più a sentire, perché la musica riempiva il
giardino e le chiacchiere in frammentavano gli intercalari sonori. Sbuffò, ma
l’attimo dopo stava già ridacchiando e ballando a sua volta tra Victoire e
Dominique. Anche tutti gli altri Weasley si erano adunati e lo zio George aveva
decretato che era necessario un dj, alias egli stesso, affiancato da Ron e da
Harry, nonostante le occhiate esasperate delle rispettive mogli.
Solo
indistintamente Rose rifletté che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno
spensierato, prima di tuffarsi nella vita vera e nei problemi che ne sarebbero
venuti. Eppure adesso non aveva paura, vuoi per il clima allegro, vuoi per la
presenza tanto ravvicinata di tutta la sua famiglia. E poi c’era Scorpius
accanto a lei, perciò, a parte dirlo a suo padre, il resto sarebbe stato per forza una barzelletta.
~
Non è la mera fotografia
che mi interessa.
Quel che voglio è
catturare quel minuto,
parte della realtà.
[Henri
Cartier-Bresson]
The End
[Countdown:
112.935 – Pages: 157]
N/A
Non mi sembra vero,
ancora stento a credere di aver messo per
davvero la parola “fine” a questa storia. Devo dire che scriverla mi è
piaciuto tantissimo e lo devo soprattutto a Rose, che in più di un’occasione ha
rispecchiato i miei veri sentimenti. Credo che tutto sommato, ci sia un po’ di
Rose in ognuno di noi, una ragazza forte, sensibile e meravigliosa che aspetta
solo di venire allo scoperto.
Questi venti capitoli
hanno racchiuso un mondo sospeso tra l’adolescenza e i problemi del divenir
grande, e spero di essere riuscita ad esprimere bene e a dovere tutto ciò che
d’importante c’era da chiarire. E poi, diciamocelo, Rose e Scorpius sono
stupendi in tutte le versioni. E Edmund … ecco, lui è uno di quei personaggi OC
che credo mi porterò sempre nel cuore, sì. Mi piacerebbe solo sapere se
quest’ultimo capitolo vi ha dato una visione più ampia di lui, dei suoi ultimi
atteggiamenti, della sua essenza. Credo che la parte del pasto con la madre sia
d’importanza estrema per meglio avere un’idea dell’Edmund Theodore Nott di
questi venti capitoli.
Ottavius, ovviamente, è
sempre quel ragazzone adorabile e maledettamente ingenuo di sempre, ma vabbè,
ci piace così, no? ^.-
Avevo già iniziato da
tempo la stesura di un sequel, ma ci sto ancora lavorando e con la mancanza
d’ispirazione attuale, non aspettatevi grandi progressi. Però farò di tutto per
portare avanti il progetto, perché ci tengo e perché credo che siano ancora
molti i personaggi a cui devo dare maggior rilievo.
Detto questo, vorrei
ringraziarvi, come e più di sempre. Tutti voi, anche solo leggendo questa
storia, siete stati a dir poco essenziali per me. Mi avete supportato, mi avete
capita e, perché no, anche consigliata talvolta. E io vi ringrazio, grazie grazie grazie di cuore, per il
vostro immancabile sostegno. E grazie soprattutto a chi non si è mai stancato
di recensire, esprimendo così il proprio parere e dandomi in tal modo la
possibilità di perfezionarmi, laddove era necessario. E grazie per essermi
stati vicini, per aver condiviso con me questa storia, nel bene e nel male. Grazie. Davvero, grazie.
Spero che quest’ultimo
capitolo – non ci crederò nemmeno quando potrò mettere il flag su “conclusa?”,
“sì” – sia stato degno delle vostre aspettative, spero di non avervi delusi,
spero così tante cose che non so neanche io bene cosa sperare.
Oh, la citazione iniziale
del capitolo … io la amo. È stupenda. Stupenda!
Bene, adesso vado, prima
che mi metta a sciorinare tutto quello che vorrei dirvi, anche se poco inerente
alla storia. XD
Grazie ancora a tutti,
siete stati meravigliosi, come sempre.
Alla prossima!
Baci.
memi J