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Autore: memi    04/02/2010    14 recensioni
Labbra.
Rose stentava a crederci, eppure stava accadendo davvero e quelle erano sul serio le labbra di Scorpius. Ma qualcosa non quadrava. Insomma, le labbra erano quelle di Malfoy, okay, ma il problema non era tanto questo quanto la percezione che in quel momento non si trovassero esattamente dove di dovere.
Sulle sue, ad essere precisi.
Il che, tecnicamente, poteva anche essere definito come un bacio: o no?
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Hugo Weasley, Lily Luna Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XX ~ The wedding

 

 

Nella mia fine

è il mio principio.

[Mary Stuart]

 

 

Victoire era semplicemente stupenda. Mentre la vedeva scendere la navata sostenuta dal braccio di un emozionato Bill Weasley, Rose non poteva fare a meno di sentirsi orgogliosa e fiera. Era certa che nessuna sarebbe stata mai tanto incantevole in un abito così ricco senza risultare eccessiva. In qualche modo, era la cugina a rendere meraviglioso il vestito e non il contrario. Persino il fiocco dietro le spalle, che Dominique aveva insistito con la madre affinché togliesse almeno quello, era perfetto nell’insieme.

 

Perciò era facile condividere i pensieri e i sentimenti di Teddy, impalato come un tonto a rimirare la sua ormai prossima consorte, con la bocca aperta e gli occhi sgranati. Per l’occasione aveva promesso ad una disperata Fleur di non mutare i capelli e gli occhi in continuazione, e di comune accordo aveva deciso per un caldo marrone chiaro i primi e di un tenue azzurro i secondi. Promessa che, se aggiunta allo smoking nero, quasi non lo faceva sembrare lo stesso ragazzo distratto e colorato di sempre, quanto un semplice innamorato che sta per prendere la decisione più importante della sua vita.

 

Rose non provò neppure ad immaginare cosa si provasse in simili situazioni. Come tutti i suoi cugini, aveva visto l’amore tra i due ragazzi sbocciare pian piano e tramutarsi poi in una vera storia d’amore. Aveva ascoltato le confessioni di Victoire e con James, ufficiale confessore di Teddy, si erano scambiati i rispettivi pareri.

Ora che la loro relazione si trovava ad una cruciale svolta, era quasi destabilizzante la consapevolezza di quanto naturale fosse quella conclusione.

In qualche modo aveva sempre pensato che Teddy e Victoire si appartenessero, ma vederli lì, dinanzi ai suoi occhi, mentre accettavano di amarsi per tutta la vita, era un’emozione troppo grande persino per una persona razionale come lei.

 

L’unico momento in cui aveva rischiato di rovinarsi la cerimonia, era stato durante la sua discesa della navata.

Victoire aveva voluto lei e Dominique come testimoni, mentre Teddy aveva chiesto di farlo, da parte sua, a James e ad Albus.

Dominique e James erano stati i primi a lanciarsi, a braccetto, tra una frecciatina e l’altra. Poi era stato il suo turno, con Al, e quando erano apparsi nel giardino ricolmo di persone aveva avvertito un vago terrore. Se avesse sbagliato? Se per colpa sua avesse rovinato il matrimonio di Victoire? Zia Fleur non l’avrebbe mai perdonata, non dopo tutta la fatica che aveva fatto per organizzare tutto e-

 

“Respira, Rosie. Andrà tutto bene.” L’aveva tranquillizzata serafico Albus, per poi sfoderare un sorriso splendente e mostrare un’invidiabile calma.

Come faceva a non essere nervoso? Rose aveva visto suo padre e sua madre, tra le prime file, e avvertito un groppo alla gola. Si sentiva così ridicola …

 

Ma poi il viso di Ron si era illuminato di un’emozione strana, che lo aveva fatto arrossire in zona orecchie, e Hermione le aveva sorriso, materna. Allora il respiro era ritornato regolare e i battiti non erano sembrati poi tanto impazziti, mentre Rose si accorgeva di riuscire persino a sorridere a sua volta. Davanti Teddy le aveva fatto l’occhiolino, James alzato un pollice e Dominique gli occhi al cielo – sapeva già cosa avrebbe voluto dirlo, che era paranoica e che sarebbe stata perfetta – mentre accanto Albus le dava affettuose pacche sul braccio.

 

Quando aveva raggiunto il suo posto, quello da testimone della sposa, l’ansia era ormai del tutto scemata, permettendole così di godere di ogni singolo istante che precedeva ed includeva l’arrivo della sposa.

Dominique aveva assunto la sua aria indifferente, ma Rose aveva intravisto delle lacrime durante il sì. Nonna Molly, invece, era stata incontenibile e, assieme a Fleur, si erano date ad un pianto sommesso. Andromeda Black, viceversa, era stata più discreta, ma Harry aveva dovuto offrirle un fazzoletto ad un certo punto.

 

Lo zio Bill si era dimostrato piuttosto ritroso al momento del bacio, ma non aveva opposto resistenze particolari. Louis aveva fischiato e un coro di applausi si era levato nell’ampio giardino della Tana quando Teddy aveva stretto Victoire con più foga del necessario. C’era stato anche qualche commento indelicato, che Rose aveva addossato senza fatica a Fred, l’unico ad aver fatto desistere i due novelli sposi dal saltarsi addosso seduta stante.

 

Il lancio del riso era stato a metà tra una pioggia incantata ed una tormenta. James, Fred, Hugo e Louis avevano dato del loro meglio per enfatizzare soprattutto la seconda. Ovviamente il peggio se l’era subito Teddy che, cavalleresco, si era stretto sulla neo moglie per proteggerla.

Poi erano arrivati i complimenti, i baci, gli abbracci, le pacche sulle spalle e le battutine sibilline, ed era stato tutto perfetto, come in quei film Babbani che di tanto in tanto Hermione faceva loro vedere.

 

 

~

 

 

“Che dici Miss Iceberg: pensi di concedere un ballo al più bello del reame?” James, che aveva appena lasciato la madre Ginny tra le braccia del padre, si fiondò al tavolo dove Rose e Dominique si erano appostate sfoderando quel suo insopportabilmente adorabile sorriso sibillino.

“E dove sarebbe?” Dominique alzò un sopracciglio, scettica. “Davanti a me vedo solo un monocellulare dalla dubbia razza.”

“Ah ha. Molto spiritosa, donna. Allora, balliamo o no?” Insistette lui tuttavia e alla fine, anche se non senza uno sbuffo spazientito, lei aveva accolto l’invito.

 

Ovviamente non aveva accettato la sua mano e si era diretta alla pista senza degnarlo di uno sguardo, ma James aveva trovato la cosa divertente e, con un sorriso, le era scodinzolato dietro.

A quel punto Rose era rimasta a guardarli per un lungo istante, ridacchiando di fronte all’evidente riluttanza di Dominique a lasciarsi andare, per poi saltellare con lo sguardo da una coppia all’altra di ballerini.

Albus aveva provato a schiodarla dalla sedia, ma senza alcun successo, tanto che alla fine si era visto costretto ad arrendersi. In quel momento stava volteggiando per tutta la pista con una sorridente Roxanne, dando letteralmente spettacolo. Sembrava davvero felice e lei, come ovvio, non poteva non risentirne positivamente di riflesso.

 

Spostò lo sguardo e intercettò i movimenti del tutto fuori ritmo di suo fratello con Lily. Ballavano in un modo così scoordinato, che sembrava stessero inscenando il ballo delle foche, più che altro. Ma quello era il loro modo di divertirsi e andava bene così, tutto sommato.

James e Dominique stavano continuando a pestarsi i piedi a vicenda. Zia Ginny rideva entusiasta tra le braccia di un goffissimo zio Harry, mentre sua madre tentava invano di convincere suo marito Ron a ballare, salvo poi venire trascinata da un radioso zio George. Nonna Molly continuava a disperare lo zio Charlie con le sue idee sul metter su famiglia.

 

Rose sorrise e, per distrarsi, bevve un sorso d’acqua.

Era contenta, come non aveva mai creduto possibile. Ed era contenta con Scorpius Hyperion Malfoy, l’ultima persona che avrebbe mai sospettato poter essere un giorno la causa della sua gioia. Scosse il capo al pensiero sciocco, mentre in automatico con la mano andava a recuperare qualcosa dal fondo della borsetta dannatamente pervinca. Una spilla, per l’esattezza. La tirò fuori guardinga, concedendosi un sorriso sognante solo quando riuscì a vederla.

Non riusciva ancora a crederci. Una spilla. Scorpius le aveva comprato una spilla.

 

“Chiudi gli occhi.” Le aveva detto, seduta – non senza un certo imbarazzo – sulle sue gambe, mentre erano sul treno che li avrebbe condotti per l’ultima volta via da Hogwarts.

Lei aveva obbedito e lui aveva iniziato a giocare con un lembo della sua maglia. “Aprili, adesso.” Aveva detto, alla fine.

Rose li aveva aperti e doveva aver assunto un’espressione davvero buffa alla vista di quella spilla dorata a forma di rosa, con lo stelo delicatamente artigliato dalle spire di un serpente, incurante delle spine, perché Scorpius aveva fatto un sorriso sghembo saturo di divertimento.

 

“Non ti piace?”

“N- No … cioè, sì, sì che mi piace! È solo che …” Aveva aggrottato la fronte, confusa, mentre cercava il suo viso. “Perché?”

Scorpius aveva scrollato le spalle, con indifferenza. “Così non mi dimenticherai.”

 

-Già, come se fosse possibile.- Rose scosse il capo, posando la spilla nella borsa e lasciandosi sopraffare da un sospiro. Cosa ne sarebbe stato di loro, adesso che non c’era Hogwarts a proteggerli? Non si riferiva solo a lei e a Scorpius, ma anche ad Albus, ad Ottavius, ad Edmund …

La vita si apriva davanti ai loro occhi più accecante che mai e lei ne era affascinata, sì, ma anche profondamente intimorita. Non era sicura che avrebbe imparato a vedere in tutto quel bagliore. Dietro di lei, c’era tutto ciò che aveva sempre conosciuto; davanti, invece, c’era l’ignoto.

-Basta Rose.- S’impedì di continuare. –Basta pensarci, adesso non servirebbe. È il matrimonio di Victoire e di Teddy, conta solo questo.-

 

Il pensiero la fece rilassare all’istante. Ma l’aver accennato ad Edmund non poté non provocare una reazione a catena, accendendo altri ricordi che di vecchio avevano ben poco. Trovava ancora assurdo ciò che le aveva detto, quando le si era avvicinato, poco prima di scendere dal treno.

Scorpius era andato a cambiarsi e lei ne aveva approfittato per controllare la situazione per l’ultima volta. Michael Grays le aveva sorriso appena quando l’aveva vista, ancora offeso con lei per la storia di Scorpius, ma non vi aveva badato ed era andata avanti. Edmund si era fatto trovare nella carrozza successiva, accanto all’entrata, già munito di jeans e maglietta scuri.

 

Nel scorgerlo, Rose aveva avvertito un magone e una vaga percezione di dovergli dire qualcosa. Tuttavia l’ansia aveva avuto il sopravvento e, dopo un paio di boccheggi vuoti, aveva deciso di lasciar perdere. Quindi era andata per la sua strada, come dal piano originario, ma nel superarlo era stata bloccata dal tono dimesso della sua voce.

“Mi dispiace.” Le aveva detto, ancora troppo freddo e distaccato da come sarebbe richiesto, però abbastanza sincero da destare la sua curiosità e convincerla a voltarsi verso di lui.

 

Edmund aveva l’aria impenetrabile di sempre, se solo non fosse stato per il velo ombroso sceso nei suoi occhi. La stessa che gli aveva visto distintamente alla festa, la sera prima, e che continuava a scorgergli ad intermittenza in quegli ultimi mesi. Rose non lo conosceva bene, eppure era sicura di non sbagliarsi nell’affermare che quello era il suo modo di dimostrare la propria sofferenza e forse proprio per questo non poteva fare a meno di sentirsi in colpa, almeno per una piccola parte.

 

“Non era contro di te, ma eri una minaccia per me. Sei l’unica di cui Scorpius avesse potuto davvero innamorarsi. Dovevo impedirlo. Andava fatto. Anche se i risultati non mi hanno dato ragione.”

Per una qualche ragione, le parole che Edmund le aveva rivolto, l’avevano colpita. “Potete ancora ritornare amici se-”

Lui aveva sospirato e aveva sorriso, ma di un sorriso triste. “No.”

Poi l’aveva visto andare via, senza darle possibilità di reazione, con una marea di domande ancora insoddisfatte ma, almeno, con in più qualche risposta.

 

Rose continuava a non capire appieno le sue motivazioni, ma il sapere che non aveva inscenato tutta quella farsa solo perché era lei, era qualcosa che andava ben oltre le sue speranze. Da quando la verità era salita a galla, aveva sempre creduto che il ragazzo non l’avesse voluta tra i piedi perché era una Weasley. Ma si era sbagliata, non era mai stato quello il problema.

Dopotutto, non aveva capito poi molto di Edmund Theodore Nott.

 

“Ehi, testimone! Balliamo?”

La domanda la ridestò all’istante da ogni elucubrazione mentale. Rose alzò il capo e non riuscì a dissimulare l’aria spaesata quando incrociò il viso allegro di Fred Junior. Di fronte al suo mutismo, tuttavia, il cugino parve interpretare in modo diverso quell’espressione.

“E dai! Giuro che non ti pesterò i piedi!” Promise difatti, disegnando una croce sul petto e roteando al contempo gli occhi.

 

A quel punto non seppe evitare di ridacchiare, divertita. “Semmai mi preoccupo del contrario. Non sono una brava ballerina, come sai.”

“Perfetto!” Ancora una volta, Fred prese le sue parole con entusiasmo, in netto contrasto con ciò che avrebbe dovuto essere. “Ho sempre desiderato farmi pestare i piedi dalla testimone della sposa!”

Non poté rifiutarsi, stavolta, e, sbuffando tanto per sottolineare il proprio disinteresse per la danza, si alzò dalla sedia per prendere la mano che il cugino le porgeva.

 

Fred la condusse sulla pista, accanto al punto dove George faceva volteggiare Hermione come una trottola, e una volta qui la strinse affettuosamente tra le braccia per allestire un lento che mal si adattava alla canzone ma che almeno le permetteva di rimanere in piedi senza fare figuracce.

“Allora.” Iniziò una volta preso il loro ritmo. “Cosa mi racconti di te e Scorpius Malfoy?”

La domanda le rimase incastrata in gola, quasi fosse stato un bocconcino sceso male.

 

Rose tossì un paio di volte, divenne paonazza e sprofondò il viso nella giacca del cugino. “C- Chi …?” Mormorò solo, in un sussurro, imbarazzatissima.

Fred sogghignò. “Indovina?”

“Ah. Hugo.” Nel momento stesso in cui il nome le era venuto fuori dalle labbra, seppe di averci preso in pieno.

 

Strinse i pugni, per istinto, e si chiese con quante persone avesse già parlato di lei e-

“Se te lo stai chiedendo, lo sappiamo solo io e James. Diciamo che glielo abbiamo estorto con la forza. Qualcosa come lealtà tra Malandrini.” Fred scrollò le spalle, soprapensiero, per poi puntare due dita sotto il mento della ragazza e costringerla a guardarlo in viso. “Non essere dura con lui. Ci sta male per questa storia.”

-Lo so.- Avrebbe voluto rispondergli, ma si limitò ad abbassare il capo, di nuovo. Adesso si sentiva tremendamente in colpa anche solo per aver pensato che Hugo avesse potuto fare la spia.

 

Poi un pensiero la colpì. “Aspetta. James lo sa? E non ha ancora spifferato niente a nessuno?” Era sorpresa, anche piuttosto notevolmente.

“Ricordi? Lealtà tra Malandrini.”

 

Ovviamente. Scosse il capo e decise di lasciar perdere, concentrandosi solo sui suoi passi. Stava andando anche piuttosto bene, quando sul meglio la canzone finì per lasciare il posto ad una molto più movimentata.

Fred comunque non sembrava intenzionato ad assecondare il ritmo della nuova melodia e continuava a strascicare i piedi al passo con lei. Tuttavia l’arrivo di qualcun altro, tra loro, gli impedì di concedersi il secondo ballo con la cugina. Era Ron, venuto a reclamare l’attenzione della figlia.

“Che vogliamo fare, figlioccio? Non credi che un povero vecchio meriti di ballare almeno una canzone con la propria prole?”

 

Il diciannovenne sorrise, smagliante. “Certo che sì, padrino. A te la dama.” Disse, porgendole la mano di Rose e dileguandosi a cercare Lily.

Seppure con una certa goffaggine, Ron aveva stretto la vita della sua primogenita e aveva iniziato a muoversi ora a destra ora a sinistra, senza alcun senso del ritmo. La cosa la fece ridere, divertita, e convincere a dare una mano al suo imbranato paparino. Gli si allacciò al petto e, a fatica, seguì i suoi insoliti passi.

 

“Pensavo odiassi ballare, papà.”

“Infatti. Anzi, mi sa tanto che tua madre mi ucciderà dopo.” Mormorò, talmente tanto terrorizzato dalla prospettiva da strapparle un’altra risata, per poi rispondere alla sua muta domanda. “Ma non potevo non ballare con la mia Rosie, no?”

“Sì, papà.” Lo strinse forte, felice, rilassandosi nel suo caloroso abbraccio.

 

“Rose, lo so che è una cosa tra fratelli … e beh, che dovrei farmi gli affari miei … certo, se credi sei libera di non rispondermi! Anzi fai finta che non ti abbia detto niente e-”

“Papà!”

Ron si bloccò, ansimante e rosso per lo sforzo, sorridendo solo quando appurò che Rose non era affatto arrabbiata con lui, al contrario appariva serena e rilassata.

 

“Vuoi sapere perché io e Hugo quasi non ci parliamo?”

Lui arrossì ancora di più. “L’ho sempre detto che hai il cervello di tua madre!”

Rose sghignazzò al commento, ma subito ritornò seria quando il pensiero cadde a Scorpius e alla reazione glaciale avuta dal fratello dinanzi alla loro storia.

 

“Avete litigato?” Azzardò Ron, cauto.

“No.” Scosse il capo lei. “Abbiamo solo delle opinioni divergenti su una cosa, ecco.”

Non era una bugia, più una mezza verità. Accettabile, per il momento. E comunque non avrebbe potuto fare di meglio, pure volendo.

“D’accordo. Ti dispiace se dirò a tua madre la stessa cosa, quando me lo chiederà?”

Rose non fu sorpresa di sapere che la mamma c’entrava qualcosa in quel discorsetto, ma lasciò perdere. “Okay.” Acconsentì piuttosto, per poi farsi cullare dalle braccia lunghe e goffe di suo padre in un silenzio intercalato solo dalle noti di una canzone particolarmente melensa.

 

 

~

 

 

“Non hai fame, Eddie?”

Edmund alzò il capo e, con lentezza, girò il collo di novanta gradi, verso sinistra. Sua madre, seduta ad uno dei due capitavola, lo guardava con un sopracciglio nero inarcato, negli occhi antracite una traccia di animata preoccupazione. Aveva poggiato le posate sul piatto, delineando una v precisa, e aveva puntellato i gomiti sul ripieno di legno d’acero, incrociando le dite per permettere al mento di potervi trovare l’appoggio ideale.

 

Non si era mai tolta l’abitudine di utilizzare quello pseudonimo nel rivolgersi a lui. L’aveva coniato quando era ancora un bimbetto alto poco più di un metro, con pochissimi amici e l’aria taciturna sempre stampata in viso. Diceva che gli stava bene, ma in verità stava solo cercando di farlo sembrare più bambino di quanto dimostrasse, senza mai riuscirci, ma senza mai smettere di provarci.

 

Sua madre era così, dopotutto. Caparbia e anche un po’ prepotente quando s’impuntava su qualcosa di particolare valore per lei. E ci teneva all’esteriorità, a mostrare una parvenza di perfezione che suo marito si accingeva ad assecondare, apaticamente, come tendeva a fare con ogni suo capriccio.

D’altro canto, non era novità per nessuno che Theodore Nott aveva amato sua moglie da molto prima di poterla avere per sé.

 

Era stata una corte discreta, quasi invisibile, che non aveva mai trovato manifestazioni plateali nel suo incedere lento. Pansy stessa non aveva saputo niente per anni e forse non l’avrebbe mai capito, se solo non fosse stata in grado di leggere tra le righe di un complimento sottile, quasi inavvertibile. Ma da quel momento, cadere al fascino ombroso di un Nott era stato quasi automatico per lei.

Ciò nonostante, a distanza di anni, Theodore e Pansy rimanevano le stesse persone antitetiche di un tempo, che nessuno avrebbe azzardato associare, figurarsi immaginare sposati.

 

Edmund scivolò con un battito di palpebre da quei pensieri per concentrarsi sul viso apprensivo della madre.

“Stavo solo pensando.” Le rispose, ritornando a fissare il suo piatto e provando ad ingollare una fetta di carne succulenta.

Non aveva fame, ma odiava vederla preoccuparsi per lui, soprattutto quando non ce n’era affatto bisogno. Non più del solito, perlomeno.

 

La sentì sospirare e poté quasi figurarsela mentre intrappolava una ciocca di capelli nerissimi, in uno studiato caschetto, dietro un orecchio. Perfetta come sempre, anche per pranzare con il proprio figlio.

“Theodore non sa cosa si è perso.” Commentò all’improvviso, all’apparenza con superficialità, toccando però in realtà corde affusolate come capillari. “Ma sono sicura che non sia colpa sua. Probabilmente avrà avuto qualche problema al lavoro.”

“Già. Forse.” Annuì lapidario Edmund, senza particolare entusiasmo nella voce, lasciandosi sfuggire un sospiro solo quando lo sguardo gli ricadde verso destra, al posto inesorabilmente vuoto.

 

Suo padre aveva già saputo di lui e Scorpius? Cosa ne avrebbe pensato? Lo avrebbe deluso?

-Ovviamente.- Si rispose, stringendo le labbra in una linea finissima. –Non potrebbe essere altrimenti. Non sono neppure in grado di tenermi quei pochi amici che abbia mai avuto.-

Il pensiero, più che rammaricarlo, lo rese ancora più duro e severo con se stesso.

 

Ormai l’appetito era andato del tutto perduto, senza possibilità di revoca, e fu una fortuna sfacciata che fosse arrivato il momento del dolce. Edmund spiluccò qualcosa, più per far felice sua madre che per reale languore, e accennò ad un sorriso rassicurante ogni qual volta gli occhi della donna ricadevano su di lui, il che succedeva ad intervalli regolari. Quando il pranzo giunse al termine, comunque, fu contento di poter scivolare da quello sguardo inquieto per rifugiarsi nella biblioteca di famiglia.

 

Non aveva effettivamente alcun desiderio di leggere, però era un posto sicuro quando voleva starsene per conto suo. Aprì il primo libro a caso, gettando occhiate fugaci alle immagini che si alternavano tra le pagine, e sbuffò spazientito quando non trovò particolare stimolo a continuare. Abbandonò il libro sullo scrittoio antico lì di fianco e si sedette con un sospiro sulla poltrona zafferano.

A breve sarebbe arrivato a fargli visita Ottavius, come preannunciato. Con ogni probabilità, si sentiva in colpa perché lui, a sua differenza, aveva fatto pace col cugino. In quegli ultimi tempi Edmund si era tenuto a distanza anche dal ragazzo per permettere, almeno a lui, di riappacificarsi con Scorpius.

 

Alla fine c’era riuscito, ma Ottavius sembrava essersi intestardito nel volersi addossare la responsabilità dell’accaduto. Sapeva essere sconvenientemente ingenuo, alle volte. Come quando si ostinava a farli ricongiungere, senza capire che era tardi … che era troppo tardi, per lui.

 

Chiuse gli occhi e li riaprì solo quando il rumore esterno del campanello s’insinuò nel silenzio surreale del posto. Controllò l’orologio. Ottavius era piuttosto in anticipo sull’orario dato.

Ciò nondimeno, si alzò dalla poltrona ed uscì dalla biblioteca, diretto all’ingresso per accogliere il suo amico.

Ma non era lui. Era una lei, alta e stupenda. Capelli neri, lunghi e lucente, fisico asciutto, slanciato, e due occhi di un assurdo marrone caramellato.

“Madison.”

Lei gli sorrise, appena. “Ciao, fratellino.”

 

 

~

 

 

Era a dir poco sorprendente il modo in cui il cielo – una distesa infinita di un turchese intenso – sapeva mutare e trasformarsi con tanta semplicità dinanzi ai suoi occhi abbacinati. C’era il sole, un disco dorato croccante e luminoso; c’erano gli uccelli, adunatisi in stormi regolari e precisi; e c’era l’azzurro, così brillante da rimanerne travolti. Poi, l’attimo dopo, per una magia antica quanto la vita o forse persino di più, il sole aveva pigramente iniziato la sua calata, verso occidente, e di tutto quel celeste non era rimasto che un caldo indaco, sapientemente screziato da dolci pennellate ora arancia, ora viola, ora rosa.

Uno spettacolo così particolare che era difficile dubitare della sua bellezza. Nessuna mano di nessun pittore, neppure il più esperto, sarebbe mai stato in grado di riproporre una visione del genere. Perlomeno non senza sbavature piccole sì, ma percettibili come il respiro del vento sul viso.

 

Scorpius ne era pienamente cosciente mentre, in piedi davanti all’enorme finestra della sua camera, si pregustava il lento predominio della notte. Aveva sempre immaginato l’esistenza di un arcaico diverbio tra il giorno e la notte su chi dovesse riempire la volta celeste. Da bambino, aveva pensato che aurora e tramonto fossero in realtà il frutto degli scontri tra i due contendenti e che, quando si incontravano di petto, provocassero dei giochi di colore che spiegavano l’esistenza di tante morbide sfumature.

Adesso che ne sapeva la natura scientifica, non poteva però negare che una simile concezione era decisamente più interessante e fonte di attrattiva.

 

In quelle contemplazioni dal retrogusto dell’ignoto, Scorpius trovò automatico accomunarvi alcuni dei tratti che avevano sancito la sua vita, in quell’ultimo periodo.

Prima di innamorarsi di Rose, era stato come la notte più buia. Aveva vissuto nella certezza che niente fosse nemmeno paragonabile alla rassicurante presenza dell’ombra che sapeva riempire il suo mondo. Non aveva cercato altro, sicuro che nulla potesse valergli la pena e dargli qualcosa in più di quanto già posseduto.

Poi si era scontrato contro di lei e da quell’incontro erano sgorgati mille altri colori. Colori che neppure sapeva di avere, in tutto quel nero. Ma Rose era come il giorno e, incrociandola, aveva ottenuto da sé più sfumature del dovuto, e aveva capito, in un flash fotografico, che il suo mondo era soltanto un posticino tranquillo, al sicuro, che però gli precludeva il resto.

 

La cosa più bizzarra, in tutta quella storia, era il modo in cui era iniziata. Da una semplice, banalissima fotografia. Una fotografia che non aveva niente della dinamicità magica, bensì si concretizzava su un’unica immagina, statica e fissa.

Allora veniva da chiederselo e da sorridere, quando poi la domanda non trovava risposta soddisfacente: come poteva una fotografia tanto arretrata tecnologicamente, comportare un simile travolgimento?

 

Scorpius ripensò alle prime parole che aveva detto a Rose, quando lei aveva ingenuamente creduto che volesse abusare in quel senso di lei. All’epoca le aveva detto che non era il suo tipo, che non aveva alcun desiderio di fare sesso con lei e che non si sarebbe mai perdonato se l’avesse privata in un simile modo della sua illibatezza.

Alla luce di quanto accaduto e dei suoi sentimenti, si sentiva di ribadire solo l’ultima cosa.

 

Non ne avevano ancora mai parlato – era ancora troppo presto per lei, glielo leggeva negli occhi senza il bisogno di chiederglielo – tuttavia, almeno per quanto lo riguardava, la desiderava con e più vivacità di quanto avesse mai desiderato nessuna. Eppure era così maledettamente innamorato di lei, da avere paura di sciupare tutto per quella sua voglia carnale. Non voleva ferirla e per questo non osava chiederle di più, gli bastava averla vicino e sapere che era sua, almeno metafisicamente.

Paziente ed irriconoscibile in quel suo nuovissimo ruolo, attendeva che Rose si sentisse pronta e che lo capisse da sola, per farsi trovare lì al momento in cui lei avesse voluto.

 

Era ancora così … surreale, sì, il modo in cui aveva saputo tramutarsi da rivale perfetta a ragazza ideale.

Scorpius stentava a crederci, tutt’ora.

Non aveva neppure mai sospettato di poter provare, un giorno, un simile sentimento per una persona estranea al suo cerchio di amicizie; per di più se quella persona era Rose Sophie Weasley.

 

Nondimeno il suo cerchio aveva subito un radicale cambiamento in quegli ultimi tempi, quasi impossibile da credere.

Scorpius aveva scardinato i vecchi legami, ripudiato il suo più caro amico, per farvi entrare lei e la sua strampalata famiglia.

In quel gruppo singolare, non poteva mancare l’unica persona in grado di capirlo perfettamente. Albus Severus Potter. Il ragazzo che, in un solo colpo, si era innamorata di lei e aveva pestato lui.

 

Sorrise nel ricordare quel giorno, nonostante la stilettata al petto nel ritrovare il dolore.

Era stato scioccante ma naturale carpire il suo stesso sentimento negli occhi verdi di Albus. Talmente lampante che si era stupito di non averlo notato prima. Aveva letto la sua sofferenza per quell’amore impossibile, non corrisposto, e si era sentito angosciato per le sorti di quel vero Grifondoro.

 

Ma Albus aveva saputo uscirne, alla fine. In qualche modo, chissà come. Si era dimostrato molto più forte di quanto lasciava intendere.

Anche i loro rapporti, lentamente, erano ritornati sereni come quelli di un tempo. Anzi, a giudicare dalla loro ultima conversazione, forse erano persino migliorati. Era stato un sentore, di sicuro per entrambe, che avevano provato quando, sul treno, si erano scontrati nella porta del bagno.

Scorpius che ne usciva cambiato; Albus che ne entrava per fare lo stesso.

 

Si erano guardati per un lungo istante, in silenzio, poi il moro aveva sorriso, con semplicità.

“Adesso che stai con mia cugina, non dovrò chiamarti cognato, vero Serpeverde?”

Lui aveva ghignato, divertito. “No. Penso di no. Non sono neppure sicuro che sia la parola giusta, Grifondoro.”

“Meglio così, mi sono tolto un peso di dosso.” Albus aveva sghignazzato, entrando nel bagno al posto suo, ma prima di chiudersi la porta alle spalle si era voltato ad osservarlo con cipiglio esageratamente serio. “Per la storia dell’altra volta, io-”

 

“Lascia perdere.” Aveva stroncato il discorso sul nascere Scorpius, scacciando l’aria e le scuse che già la riempivano. “Il passato è passato, giusto?”

L’altro era rimasto dapprima interdetto, poi si era lasciato andare ad un sorriso liberatorio. “Giusto.” Aveva confermato, alzando il pollice, per poi richiudersi nella cabina.

Era stato stranamente facile ritrovarlo. Quasi non si fossero mai presi a pugni, in quel corridoio. E Scorpius aveva capito all’istante che sarebbe stato diverso, senza Albus dalla loro parte.

 

Stava ancora rimuginando su simili pensieri quando la porta si aprì con un colpo secco e, senza bussare, Ottavius fece il suo trionfale ingresso.

“Grandi novità, cugino!” Esordì, sfregandosi le mani con aria sibillina.

Scorpius sospirò, voltandosi verso di lui senza particolare entusiasmo. Non era certo una novità che il ragazzo trovasse interessante parecchie cose. Era ormai avvezzo a quel genere di cose e, perciò, non riusciva ad incuriosirsi per quella premessa.

 

Ma per una volta, le notizie che portava Ottavius erano davvero speciali.

“Sono andato a casa di Edmund prima, e sai chi c’era? No, non puoi saperlo. Ebbene, tieniti forte: Madison!”

“Madison?” Ripeté con voce strascicata l’altro, adesso chiaramente perplesso.

 

Che ci faceva Madison lì? Era ritornata per restare? Quando era arrivata?

In un sol fiato, Ottavius rispose a tutti i suoi muti quesiti. “È tornata oggi stesso, pare che non se ne andrà a lungo. Ma ci pensi?! Madison è ritornata! Non è strano?”

-Sì, è strano.- Scorpius sospirò, assorto, e il pensiero scivolò in un secondo sulla spilla che aveva regalato a Rose. Distrattamente si chiese se avesse già scoperto il segreto che si celava al suo interno. Se avesse già trovato il meccanismo per rispolverare il messaggio che aveva lasciato per lei e che, bizzarramente, si scontrava alla perfezione con lo stato attuale dei fatti. –Nella fine, il principio.-

 

 

~

 

 

Il giorno stava ormai per finire, portandosi dietro anche la scia delle ultime risate. In via sommaria, Albus poteva dire che la sua numerosa famiglia aveva dato fondo a parecchi alcol e che la musica non si era mai fermata con tutti quei ballerini sempre in pista. Ovviamente suo fratello e Fred erano stati le anime dello spettacolo, invitando a ballare e a bere chiunque capitasse loro a tiro. Ad un certo punto avevano persino improvvisato un ballo a tre con nonna Molly, tra risate divertite e lacrime di gioia.

 

In quel momento i più erano crollati sulle sedie, stanchi morti, e solo pochi continuavano a battere i piedi. Louis era sprofondato in un sonno rumoroso, con la faccia riversa sul tavolo. Hugo e James avevano circuito la sposa, che veleggiava come una farfalla sulla pista improvvisata. Poco lontano Lily e Roxanne si esibivano in un duetto alquanto buffo da vedere, che faceva mantenere i restanti cugini e i vari genitori sulle sedie a ridere e a scherzare.

 

“Ehi Al, la finisci quella?”

Sentendosi chiamare, il ragazzo si voltò giusto il tempo per vedere Teddy capitombolare a terra, dopo essere inciampato tra i suoi stessi piedi, e rialzarsi l’istante successivo quasi fosse stata ordinaria amministrazione. Albus scosse il capo, sghignazzando. Era un caso disperato, disperato …!

“No, prendila pure.” Rispose tuttavia, porgendogli il piatto con la torta ancora intatta che neppure si era accorto di avere davanti al naso.

 

Teddy sorrise, entusiasta, tuffandosi nella porzione con una tale foga come se non mangiasse da secoli.

“Allora.” Proruppe all’improvviso, tra una forchettata e l’altra. “Come va? Mi sembra che tu stia meglio.”

Albus annuì, sorridendo. “Sì, va meglio.” Confermò, ritornando col pensiero ai baci di Alicia e al modo in cui riusciva incredibilmente a farlo sentire sereno, rilassato.

 

Il giovane Lupin per tutta risposta si concesse un lungo attimo per scrutare ogni indizio che il suo viso lasciasse trapelare, poi, non notandone nessuno di rilevante importanza, decise di rinunciare. La cosa, però, non lo fece deprimere, al contrario. Era sollevato adesso, gli sembrava di essersi tolto un peso amaro dal petto, perché di certo non gli faceva piacere vedere il ragazzo soffrire a quel modo.

“Meglio così.” Scrollò le spalle, con finta indifferenza. “Sai, detto tra noi, eri diventato un musone.”

“Già, già!” Rise divertito Albus, anche lui decisamente più sollevato rispetto alla loro ultima conversazione. “A proposito, per allora-”

 

“Bah, non ci pensare! L’importante è che tu stia bene adesso, no?” Teddy gli fece l’occhiolino, complice e sincero, come sempre, e l’altro pensò seriamente che il mondo dovesse girare al contrario.

Possibile che nessuno volesse farsi chiedere scusa da lui?! Mah. Eppure lui desiderava poterle fare!

 

“Teddy! Al! Venite anche voi!” Dalla pista la voce di Victoire che li incitava ad alzarsi e a raggiungerla cancellò ogni traccia seria del discorso che stavano facendo, convincendoli con una sola occhiata ad accodarsi al capannello di persone che, intanto, James e Hugo si accingevano a recuperare.

“Andiamo anche noi, Rosie!” Fred, seduto di fianco alla ragazza, la prese letteralmente tra le braccia e, incurante delle sue proteste, la costrinse a ritornare in pista.

 

“Fred, solo perché mio padre è anche il tuo padrino, non significa che tu puoi fare tutto ciò che vuoi con me!” Lo ammonì subito Rose, corrucciata.

Come sempre, lui anziché prenderla sul serio, scoppiò in una risata sfrontata. “E dai Rose, non fare la guastafeste! E poi sei uno spasso quando balli!”

“Fred!”

 

Ma il ragazzo non la stava già più a sentire, perché la musica riempiva il giardino e le chiacchiere in frammentavano gli intercalari sonori. Sbuffò, ma l’attimo dopo stava già ridacchiando e ballando a sua volta tra Victoire e Dominique. Anche tutti gli altri Weasley si erano adunati e lo zio George aveva decretato che era necessario un dj, alias egli stesso, affiancato da Ron e da Harry, nonostante le occhiate esasperate delle rispettive mogli.

Solo indistintamente Rose rifletté che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno spensierato, prima di tuffarsi nella vita vera e nei problemi che ne sarebbero venuti. Eppure adesso non aveva paura, vuoi per il clima allegro, vuoi per la presenza tanto ravvicinata di tutta la sua famiglia. E poi c’era Scorpius accanto a lei, perciò, a parte dirlo a suo padre, il resto sarebbe stato per forza una barzelletta.

 

 

~

 

 

Non è la mera fotografia che mi interessa.

Quel che voglio è catturare quel minuto,

parte della realtà.

[Henri Cartier-Bresson]

 

 

The End

 

 

 

[Countdown: 112.935 Pages: 157]

 

 

 

 

 

N/A

Non mi sembra vero, ancora stento a credere di aver messo per davvero la parola “fine” a questa storia. Devo dire che scriverla mi è piaciuto tantissimo e lo devo soprattutto a Rose, che in più di un’occasione ha rispecchiato i miei veri sentimenti. Credo che tutto sommato, ci sia un po’ di Rose in ognuno di noi, una ragazza forte, sensibile e meravigliosa che aspetta solo di venire allo scoperto.

Questi venti capitoli hanno racchiuso un mondo sospeso tra l’adolescenza e i problemi del divenir grande, e spero di essere riuscita ad esprimere bene e a dovere tutto ciò che d’importante c’era da chiarire. E poi, diciamocelo, Rose e Scorpius sono stupendi in tutte le versioni. E Edmund … ecco, lui è uno di quei personaggi OC che credo mi porterò sempre nel cuore, sì. Mi piacerebbe solo sapere se quest’ultimo capitolo vi ha dato una visione più ampia di lui, dei suoi ultimi atteggiamenti, della sua essenza. Credo che la parte del pasto con la madre sia d’importanza estrema per meglio avere un’idea dell’Edmund Theodore Nott di questi venti capitoli.

Ottavius, ovviamente, è sempre quel ragazzone adorabile e maledettamente ingenuo di sempre, ma vabbè, ci piace così, no? ^.-

Avevo già iniziato da tempo la stesura di un sequel, ma ci sto ancora lavorando e con la mancanza d’ispirazione attuale, non aspettatevi grandi progressi. Però farò di tutto per portare avanti il progetto, perché ci tengo e perché credo che siano ancora molti i personaggi a cui devo dare maggior rilievo.

Detto questo, vorrei ringraziarvi, come e più di sempre. Tutti voi, anche solo leggendo questa storia, siete stati a dir poco essenziali per me. Mi avete supportato, mi avete capita e, perché no, anche consigliata talvolta. E io vi ringrazio, grazie grazie grazie di cuore, per il vostro immancabile sostegno. E grazie soprattutto a chi non si è mai stancato di recensire, esprimendo così il proprio parere e dandomi in tal modo la possibilità di perfezionarmi, laddove era necessario. E grazie per essermi stati vicini, per aver condiviso con me questa storia, nel bene e nel male. Grazie. Davvero, grazie.

Spero che quest’ultimo capitolo – non ci crederò nemmeno quando potrò mettere il flag su “conclusa?”, “sì” – sia stato degno delle vostre aspettative, spero di non avervi delusi, spero così tante cose che non so neanche io bene cosa sperare.

Oh, la citazione iniziale del capitolo … io la amo. È stupenda. Stupenda!

Bene, adesso vado, prima che mi metta a sciorinare tutto quello che vorrei dirvi, anche se poco inerente alla storia. XD

Grazie ancora a tutti, siete stati meravigliosi, come sempre.

Alla prossima!

Baci.

memi J

 

  
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