You don’t dream in Cyo
Al di la degli spessi vetri della stazione spaziale si poteva vedere in tuta la sua magnificenza il pianeta Polyphemus e tutte le sue lune tra tutti quei satelliti, a 4,4 anni luce dalla Terra, Alpha Centauri A illuminava quella che presto sarebbe diventata casa mia.
Presto il mio sguardo si fece più vicino fino a notare il mio riflesso nel vetro, vi ci appoggiai una mano ,distogliendo lo sguardo per non vedere, per non ricordare ciò che era successo, anche se dimenticare una cosa del genere è impossibile. Con la mano destra mi sfiorai il volto, anche attraverso la stoffa dei guanti potevo sentire la fitta trama della cicatrice che copriva la metà destra del mio viso e buona parte del corpo.
Sospirai.
I medici continuavano a dire che dovevo considerare l’essere ancora vivo e con ustioni solo di secondo grado sul volto un miracolo, io ho sempre pensato che sarebbe stato meglio morire la con la Professoressa Sherman, o per lo meno al posto suo.
Lizzy per me era stata un’ amica, una madre, una sorella, La mia amante e presto sarebbe dovuta diventare mia moglie, nonostante dieci anni di differenza ci amavamo, ci amavamo alla follia, o forse amavamo solo la passione che entrambi mettevamo nella nostra ricerca, effettivamente il nostro rapporto non era mai stato molto fisico.
Ricordo ancora le serate in cui al posto di fare l’amore lei mi obbligava a studiare la lingua Na’Vi, il territorio , le piante, ogni singola cosa di Pandora perché sosteneva che non sarebbe mai partita senza di me e che dovevo prepararmi.
Poi l’esplosione ha cancellato tutto.
Dubito sia stato un incidente, Elizabeth era una delle persone più ordinate che io conoscessi, la sua era quasi una mania, per questo sono certo che non sia stata lei a lasciare sul macchinario le provette che una volte rovesciate hanno dato il via alla combustione, cosa assurda tra l’altro, eravamo zoologi non avevamo nessun materiale infiammabile o potenzialmente tale in laboratorio, solo un infinità di animali o campioni di tessuti: ossa, pellicce e qualche esemplare imbalsamato o sotto formalina.
Quel giorno sarei tornato da un viaggio di due giorni, avevamo in progetto di uscire a festeggiare, c’era finalmente stata data la possibilità di venire su Pandora, avevamo vinto il concorso stracciando gli altri team di ricercatori.
Mi ero fatto tutto un film mentale sul mio ritorno, lei che mi veniva incontro sorridente con i suoi capelli rossi aggrovigliati in una crocchia e tenuti fermi da qualche biro , con un espressione felice che le rimarcava leggermente le rughe che cominciavano a far notare quanto fosse più grande di me, rendendola, se possibile, ancora più bella, nel suo camice bianco leggermente sgualcito.
Ricordo che già un ora prima di tornare scalpitavo all’idea di riaverla tra le mie braccia, eppure tutto quello che vidi davanti alla porta di casa fu l’inferno.
La gente si accalcava gridando e guardando curiosa cosa accadeva mentre la squadra antincendio era già all’opera, leggermente ostacolata dalla folla di curiosi.
Mi guardai attorno freneticamente cercando Lizzy , doveva per forza essere fuori, il mio cervello non contemplava nemmeno l’idea che lei potesse essere ancora dentro quell’inferno, certezze distrutte dal suo grido di dolore.
Senza pensarci mi fiondai nelle fiamme riuscendo a sorpassare i pompieri. Non ebbi nemmeno il tempo di arrivare alla porta, l’esplosione distrusse la casa, il laboratorio, e due case vicine.
La fiammata che produsse uccise 3 vigili del fuoco e sfigurò me, con mio sommo dispiacere. Se solo mi fosse stato possibile sarei morto la, con lei e i nostri campioni rari.
Non fu così. Appena dimesso dall’ospedale, non ebbi nemmeno il tempo di suicidarmi, fui spedito sullo shuttle per partire alla volta di Pandora, non certo per le ricerche, i malati o i deformi non sono molto accettati dalla società attuale… non che lo siano mai stati, come si sa il potere è ai più forti storpi e malati ero messi ai margini come capro espiatorio in caso qualche predatore avesse fame.
Ho dormito per cinque dannati anni, e mi sento da scifo quasi non avessi dormito affatto.
Torno a guardare la stanza dove eravamo stati ammassati neanche fossimo bestiame. Decise di sedersi, dopo cinque anni in cella criogenica aveva ancora le gambe molli, non avrebbero retto ancora molto il suo peso… non che fosse molto al momento, tra disperazione ospedale e crio-sonno devo aver perso almeno una decina di chili.
Cinque anni a dormire e non l’ho mai sognata. Anche se lo so che nel Crio-sonno non si può sognare, la cosa mi fa male.
Attorno a me gli altri passeggeri della stazione spaziale si scrutavano l’un l’altro curiosi, cercando di indovinare i rispettivi passati e giudicandosi a vicenda.
Una figura attirò la mia attenzione, seduta su una sedia, in disparte. Se ne stava li, ignorando tutti, infagottata in una tuta leggermente grande per lei e per un istante mi ricorda Lizzy. La vidi tirare fuori da una tasca un flacone di medicine, lo fissò per qualche secondo, e pensai che , forse, lei era la persona migliore accanto a cui sedersi, probabilmente mi avrebbe ignorato come faceva con tutti senza fare domande o senza cercare di ricordarsi il perché gli sembrava di aver visto la mia foto sul giornale.
Camminai un po’ incerto verso di lei, la pelle della gamba destra tirava fastidiosamente.
“ Posso sedermi?” chiesi tranquillo notando a malapena gli occhi azzurri della ragazza sotto il cappuccio della felpa.
Dall’alto dei miei ventisei anni ipotizzai che avesse si e no otto anni meno di me, ma potevo sbagliarmi, d’altronde le apparenze ingannano, Elizabeth ne era la prova vivente.
Mi ridestai dai miei pensieri quando vidi la ragazza annuire e tornare a guardare davanti a se, come avevo immaginato non mi aveva preso nemmeno in considerazione. Mi sentii un po’ deluso, forse speravo in una chiacchierata, tanto per avere un minimo di familiarità in un posto sconosciuto a miliardi di kilometri di distanza da quella che un tempo chiamavo casa.
In ogni caso valeva la pena di fare un tentativo, nonostante l’incidente ero rimasto un tipo socievole, soprattutto se la persona davanti a me (o in quel caso di fianco ) mi ignorava categoricamente.
Ero un caso patologico odiavo stare al centro dell’attenzione eppure cercavo il contatto con le persone in maniera quasi morbosa.
Mi sedetti e tesi una man verso di lei “Joshua Mayer” mi presentai sperando almeno in una risposta.
+-+-+-+-+-+-+-+Spero che il mio capitolo sia stato all'altezza delle tue aspettative e che non ci siano troppi errori, è tardi e la mia beta rider è una settimana hce non si fa sentireT_T si accettano volentieri commenti.
Oel ngati kameie tsmuke si tsmukan (io vi vedo sorelle e fratelli)