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Autore: Jo_    10/03/2010    3 recensioni
Un artista può creare solo se ha una Musa a cui ispirarsi.
Genere: Introspettivo, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grazie a chi ha letto l'inizio e a chi ha aggiunto la storia alle seguite o alle preferite.

Ci vorrà del tempo, ma la storia prenderà forma, ad un certo punto, lo prometto.

 

 

6.

Guida come un folle.

Non c’è altra definizione più adatta.

Questi gingilli inglesi andranno pure veloci, ma non hanno l’autoradio.

O almeno, questo non ce l’ha.

Guida come un folle silenzioso.

Usciamo dalla città, alla mia sinistra iniziano a scorrere file ordinate di casette di mattoncini rossi.

Fa un effetto strano stare in auto così, sembra un mondo all’incontrario.

Svolta ad un incrocio semi nascosto dagli alberi.

Casa sua è niente più di una tenuta vittoriana immersa in un bosco fittissimo.

Parcheggia l’automobile sotto ad una tettoia di fianco alla “casa”.

“Scendi.”

Dentro, è ancora più incredibile.

L’ingresso monumentale porta al salone centrale attraverso due scalinate di marmo.

Tutto ciò è terribilmente inglese.

Un enorme cane nero mi assale.

“Sirius! Cuccia!”

Il cane si dirige diligentemente dal suo padrone e si sdraia ai suoi piedi.

“Figlio d’una cagna, che sei.”

Si abbassa per grattargli la pancia.

“Perché Sirius?”
”Perché ti importa? Dovresti imparare a fare meno domande, sai.”

“Perché è un nome strano.”

“E perché? Sirio è la stella più luminosa della costellazione del Cane. Mi sembrava adatto, per un randagio nero. Quando l’ho trovato a girovagare per il bosco era un cumulo di sangue rappreso e ossa rotte. Adesso è un bestione.”

“Quindi anche tu hai dei sentimenti.”

“Ripeto: troppe domande.”
”Non era una domanda, era una constatazione.”
”Era una constatazione interrogativa. Vieni, ti mostro la stanza.”
Il secondo piano della tenuta è composto da sole stanze dal letto, ciascuna con il proprio bagno.

Ne apre una.

“Prego, tutta tua.”
”Tu dove dormi?”
”In camera mia, dove devo dormire?”
”…no, credo di non aver capito.”
”Sai, non è difficile. Tu dormi qui, io dormo di là, in fondo al corridoio. Non c’è un granché  da capire- perfino per un continentale.”

Poso i bagagli a terra.

Esce dalla stanza e sento i suoi passi rimbombare sul pavimento di legno.

Mi guardo intorno.

C’è un letto a baldacchino, delle tende pesanti, uno scrittoio, un armadio intarsiato.

Non so perché, ma non mi sembra il suo stile.

In bagno ci sono anche gli asciugamani, sembra il Grand Hotel.

Senza dubbio un’ottima alternativa alla strada, considerando che non vedevo un letto da…49 ore, considerando il fuso orario.

La doccia è probabilmente l’esperienza più libidinosa della giornata.

Ho le ginocchia arrossate per il freddo.

Avvolto dall’asciugamano di spugna torno in camera e apro una delle borse.

Prendo una maglietta e un paio di mutande pulite.

Sollevo le pesanti coperte e mi metto a letto.

Spengo la luce e chiudo gli occhi.

Non capisco perché mi stia facendo dormire qui.

È un controsenso, no?

Non mi piace dormire da solo.

Si sa, il sonno della ragione genera mostri.

Questo luogo è inquietante.

Forse era meglio restare in giro fino al mattino e cercare un alloggio più adatto.

Non lo so cosa ci stia facendo qui.

Charles è un tipo davvero strano, potrebbe accadermi di tutto.

Ma non voglio restare qui.

Le tenebre sono abitate da fantasmi che voglio dimenticare.

Accendo di nuovo la luce ed esco dal letto.

Attraverso scalzo il corridoio, cercando di fare il minor rumore possibile.

Mi ritrovo davanti alla porta della sua camera.

Sopra, c’è inchiodata una targhetta con il numero 217. [1]

Che tipo simpatico.

Abbasso la maniglia.

La camera è buia, non si vede nulla al di fuori degli occhi lucidi del cane raggomitolato, con tutta probabilità, in fondo al letto.

Mi saluta con un guaito e si rimette a dormire.

Procedo a tentoni fino al bordo del letto. Inizio ad abituarmi al nero dominante.

Charles dorme sul lato sinistro, in posizione raccolta, fetale.

Mi distendo accanto a lui, sotto le coperte.

Emette un grugnito di dissenso.

Lo cingo con un braccio. Ha la carne tiepida, dorme senza niente addosso.

Porta dei boxer di cotone- molto macho.

Gli carezzo l’addome- ha il ventre gonfio per il troppo alcool, ma non è grasso.

Poso le labbra sulla sua nuca- ancora versi di disappunto.

Sfioro l’elastico di cotone, mi avventuro al di sotto.

Mentre lo sto toccando, Charles si sveglia di soprassalto.

Mi strappa via il braccio, mi tira una gomitata in piena pancia.

Sirius si sveglia e si allontana il più possibile da noi.

Mi assale, come una furia nera. Inizia a colpirmi come un cane rabbioso.

Mi ritrovo schiacciato sotto al suo peso, con le braccia bloccate.

Avvicina il suo volto al mio e mi scruta con gli occhi vivi di fantasmi.

Inizio a tremare, ho paura di quello che potrebbe farmi.

Non ho mai visto uno sguardo così.

Sta ansimando.

Mi stringe una mano al collo, come se volesse strangolarmi.

Si avvicina ancora di più- potrebbe strapparmi via un labbro o baciarmi, da qui.

“Non ci provare mai più, hai capito? Non ci provare mai più.”

Annuisco, sfiorandolo quasi.

Si alza di colpo e va in bagno.

Lo sento colpire le mattonelle che si frantumano al suolo, mentre mi si gonfiano gli occhi come non accadeva da tempo.

 

7.

Quando mi risveglio al mattino, il letto è vuoto, le tende spalancate.

È la sua camera, e si vede.

L’arredamento è minimo.

Tende di velluto, rosse.

Letto senza testiera, né baldacchino. Lenzuola, rosse.

Pavimento, nero e lucido.

Un solo comodino, dalla sua parte. Sopra c’è una sveglia, una di quelle con i campanelli, una confezione di aspirine, un tomo gigante di cui non riesco a leggere il titolo, da qui.

Mi sposto sul suo lato, e mi sembra di attraversare un campo elettromagnetico.

Proust, la Recherche. 

Sì, è decisamente un pazzo.

Sopra al letto c’è un enorme specchio.

Mi alzo in piedi, a fatica, e mi do una guardata.

Ho due segnacci violacei all’altezza del collo, una macchia nera su uno zigomo e, sotto la maglietta, una bozza all’altezza del fianco.

Tutto sommato, sono ancora intero.

Faccio per scendere, qualcosa mi lecca i piedi.

Accarezzo la testa del grosso cane, e lui si allontana per andare a scodinzolare davanti alla porta.

Insomma, mi tocca seguirlo, ancora dolorante.

Appena apro la porta Sirius corre giù per le scale e mi conduce, per un dedalo di corridoi, fino ad una stanza che scopro essere la cucina.

Charles è seduto al tavolo con una tazza fumante in una mano e un libretto nell’altra.

Alza lo sguardo quando mi vede arrivare, e lo riabbassa repentinamente.

Sirius corre dal suo padrone per farsi grattare la testa.

Figlio d’una cagna.

In the pot c’è del tea già pronto anche per te.”

Sobbalzo debolmente; parlando, mi sorprende.

“Non so dove sono le tazze e lo zucchero.”

“Le tazze sono dentro lo sportello sopra la tua testa; lo zucchero, nella madia. Fai come se fossi a casa mia.” mi risponde, senza staccare gli occhi dal libro.

Mi verso un’abbondante tazza di tea, e mi siedo sopra al tavolino davanti a lui, con le gambe a penzoloni.

Posa un braccio e il mento sopra al mio ginocchio, con la tazza ancora in mano.

“Scusa.”

I suoi occhi grigi hanno dentro tutto il cielo d’Inghilterra.

“Non ti preoccupare. Sono abituato ad essere trattato come una puttana.”

“Non è mia intenzione, trattarti come una puttana.”

“Cosa c’è nel tuo tea? Ha un odore strano.”

“Un giorno finirò le risposte ironiche da darti, sai? Ma, se vuoi ritenerla una fortuna, quel giorno è ancora lontano. È gin, comunque. Serve per farmi iniziare bene la giornata.”
”Finirai per ammazzarti da solo, sai?”
”Cose che capitano. Almeno conosco il mio assassino.”

“Che cosa atroce hai detto.”

“No, affatto. È che voi continentali non avete il senso dello humor.”

“Sì che ce l’abbiamo, solo che si chiama spleen.”

“Lo spleen e lo humor non sono la stessa cosa.”

“Si invece. Cosa vuol dire spleen in inglese?”

“Beh, milza. Quindi?”

“Quindi. Cosa fa la milza?”
”Un male cane quando corri?”

“Anche. Ma, soprattutto, secerne umori. Chiaro, no? Umori, humor. È la stessa cosa.”

“Che c’entra. Se io ho un cane e il cane ha le pulci, non significa necessariamente che anche io abbia le pulci. Non funziona così.”

Una donna con dei tacchi vertiginosi e un mini abito nero entra di corsa in cucina.

Ha le gambe sottilissime.

“Buongiorno, tesoro. Dove vai di bello?”

“Buongiorno, carogna. A scopare con qualcuno che non vada dietro a dei culetti bianchi. Dove sono le mie calze?”

“In frigo, dove le hai lasciate.”

Mi passa davanti sfrecciando.

“Perché in frigo?”

“Così non si smagliano.”

Si siede e si infila le autoreggenti davanti a noi.

Non indossa biancheria intima.

“Vado, ci si vede.”

“Non mangiare troppo sperma, che ti ingrassa.”
”Potrei rivolgerti lo stesso invito.”
”Ciao, tesoro.”

“Ciao, carogna.”

La donna esce così com’è entrata.

“…qui è quella?”

Quella è Constance, mia moglie. Adorabile, vero?”

“Quindi sei davvero sposato!”

“Un matrimonio di puro amore, non si vede?”

“Anche la moglie di Oscar Wilde si chiamava Constance.”

“E mia madre è irlandese. Pensa te.”

“Ma…dov’è stata finora?”
”Nella stanza accanto alla tua. Se ci avessi dormito te ne saresti accorto.”

Posa la tazza ormai vuota e mi prende in mano un piede.

Qua dentro è talmente caldo che sono ancora in mutande e maglietta.

“Guarda, hai il secondo dito più lungo del primo.”
”Si, lo so.”
”Allora non sei Lucifero, sei Venere. Hai anche i suoi stessi capelli.”

“Io li porto più corti.”

“Sei anche maschio, se è per questo.”

“Una volta l’ho vista, la Venere di Botticelli.”

“Oh, bello. E com’è?”
”Grassa.”

“Supponevo. Le donne italiane sono tutte grasse.”

“No, non è vero. Solo quelle dipinte lo sono. Sai che la donna rappresentata era l’amante di Giuliano De’ Medici? Doveva amarla molto, per volerla come dea della bellezza.”

“Magari era solo molto accondiscendente a letto.”

Rifletto un istante.

“Perché l’hai sposata, se non la ami?”

Inizia a solleticarmi sotto la pianta del piede. Cerco di trattenere le risate.

“Lascia stare, non è interessante, come storia. Imparerai a fare le domande giuste, prima o poi.”

“Cosa leggi?”
”…ecco, per l’appunto. Manon Lescaut, comunque. Conosci?”

“No, mai letto.”
”Male. Ti piacerebbe. Ti si addice perfettamente.”[2]

“Certo che sei strano, eh.”

“Era una domanda o una constatazione?”

“Una constatazione-“ “fai progressi allora” “ Stanotte stavi per uccidermi, e adesso mi tratti come un semidio.”
”So che c’è una domanda sottintesa, in tutto questo.”

“Perché?”

“Perché sei prevedibile.”

“No, intendo dire perché mi tratti così.”

Il suo sguardo si rabbuia e abbassa la fronte sulle mie ginocchia.

Non riesco a resistere dall’accarezzargli i capelli.

“Charlie.”
”Si.”
”Tu non sai come mi chiamo.”
”No, infatti.”

“Non vuoi saperlo?”
”No.”

“Perché?”

“Perché gli uomini chiamano per nome solo le cose che appartengono loro. Tu mi appartieni?”

“Beh…”

“Appunto.”

Gli sollevo la testa e ci guardiamo ancora negli occhi.

“C’è una domanda che devo ancora farti. È da un giorno intero che me la tengo dentro.”

“Spara.”

“Posso baciarti?”

 

 

 

 

 

 


[1] 217 è il numero della camera “stregata” in Shining, di Stephen King. Nell’omonimo film, il numero diventa 237. In questo senso, Charlie tiene fede al suo nomignolo di Messia dell’Incubo, così come King è il Re del Brivido.

[2] La protagonista del romanzo è una donna scaltra che non si fa problemi nel tradire l’amato pur di vivere in condizioni più agiate. Ironia a go-go, insomma. Tra l’altro, ho appena scoperto che viene citato anche nel Ritratto di Dorian Gray, mentre Dorian è in attesa di Lord Wotton. Quando si dice i casi della vita.



  
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