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Autore: Sonza    28/07/2005    5 recensioni
Che cosa ho fatto? Che cosa ho fatto io, con queste mani? Non essendone minimamente conscio ho commesso il crimine più grande della mia vita, per il quale non esiste alcuna pena sufficiente che io possa scontare. Probabilmente fu così 500 anni fa…. …ma ora sento una voce…di chi è? Una voce che non ho mai sentito ma che mi pare di conoscere, dolce, ma allo stesso tempo decisa e dura. Vedo una persona, una ragazza. Capelli biondi, splendono come il sole…e i suoi occhi, i suoi occhi …oh, no, non mi dite che…
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sha Gojio, Genjo Sanzo Hoshi, Gokugakuji, Kogaiji, Kanzeon Bosatsu, Cho Hakkai, Son Goku, Lirin, Yaone
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Shunrei Sanzo

Shunrei Sanzo

Di Sonza

Capitolo 3

 

 

Goku si svegliò di scatto

 

Davanti a i suoi occhi si sciolsero il sonno e gli incubi e si ricompose tutto ciò che era realtà. Con sollievo e dolore allo stesso tempo. Incubi tanto brutti, che non poteva e ne voleva ricordare, ma nonostante ciò vividi, che lasciavano una vera sensazione di sconforto nel copro e nell'anima del giovane demone.

Si era probabilmente addormentato dopo ore di dormiveglia semiincoscente, incapace di riflettere razionalmente sui fatti accaduti, solo le lacrime, unico segno di vita che emanavano i suoi occhi, ora di un pallido colore che ricordava vagamente l’oro, che continuavano a sgorgare senza fine. Lui era morto e quegli stessi occhi, ciechi di pianto e di dolore non l'avrebbero rivisto mai più.

Quell'unica frase gli rimbombava nella testa, "mai più", per quanto avesse voluto non pensarci, era ormai troppo debole per comandare la propria mente a distrarsi da quel pensiero. E come non pensarci del resto? Lui era tutto, la luce del sole, la vita. La sua vita, e ora come poteva andare avanti? non vedeva futuro in quella condizione, in cui ogni attimo è un agonia di disperazione e l'attesa di qualcosa che deve avvenire e che non arriverà mai, rivederlo, rivedere quel volto ancora una volta, per sempre.

 

In preda a questi pensieri Goku voleva fuggire, rifugiarsi da qualche parte, anche se sapeva che non esisteva luogo in terra capace di nasconderlo, perchè ciò avrebbe significato nascondersi da se stesso. Si sentiva piccolo e solo, in confronto all'enorme peso che gli gravava sulle spalle e sul cuore, né la vista di Gojyo e Hakkai poteva consolarlo, se non farlo sentire ancor più solo, di fronte a quei due, così composti, e, rispetto a lui, così insensibili a ciò che era accaduto, mentre lui aveva pianto e urlato, e nessuno dei due poteva aiutarlo e capirlo, nessuno avrebbe mai capito.

 

Il sonno che venne dopo, illusoriamente una pausa da quel dolore così grande, non fece altro che amplificarlo. Non voleva ricordare cosa avesse sognato, e quell'antica barriera probabilmente lo proteggeva da pensieri tanto brutti, ma le sensazioni erano in lui ancora vive. Sanzo vivo, Sanzo che dopo moriva, e lui, come ora nella realtà non se ne ricordava, e in più non se ne curava neppure, lui che aveva perso il controllo, lui che era un'altra persona, lui che era diventato una macchina di morte seguendo inesorabilmente la sua vera natura, rimaneva indifferente davanti a quel mare di sangue. Ed era tutta colpa sua.

Al risveglio, sollievo perchè era di nuovo nella realtà e niente poteva andare peggio, ma sconfortato dal fatto che non tutto era incubo, ma ciò che temeva fosse vero lo era, sentiva solitudine freddo e paura. Ma paura da chi? Paura di se stesso.

Non sapeva come ne perchè ma era così, forse per il fatto che lui sentiva che ricordare gli ultimi attimi di vita di Sanzo era obbligatorio per lui, ma molto doloroso, come qualcosa che lui avrebbe dovuto fare nonostante il dolore. E invece non sapeva nulla, era come se fosse fuggito anche da questo. Certo, Hakkai gliel'aveva raccontato, ma non era la stessa cosa. Perchè proprio lui doveva non avere visto niente?

 

Ma ora, ragionando sui fatti sentiti raccontare qualcosa non gli tornava affatto: se anche lui avesse sconfitto il demone d'evocazione dopo che questi avesse ucciso Sanzo, allora dopo come avevano fatto Gojyo e Hakkai a fermarlo? E perchè, di questo, Hakkai non ne aveva fatto parola? Certo, forse era così perchè gli stava raccontando di Sanzo in quel momento _ le lacrime ricominciarono a fluire dagli occhi di Goku al pensiero _ e gliel'avrebbe riferito dopo. Però anche Hakkai era strano, non sapeva cosa avesse, però c'era qualcosa in lui di diverso dal solito. E la reazione di Gojyo, così titubante?

 

Meglio non pensarci. Meglio non pensare a niente, fuggire da questi ricordi. Piuttosto passare per codardo, piuttosto lasciare le cose come stanno. E inoltre, che importanza poteva avere. che cosa importava chi l'aveva fermato, che cosa importavano tutti gli altri fatti del mondo. Al diavolo tutto, pensò con rabbia e tristezza e con parole di cui solo il pensiero gli aumentavano ulteriormente le lacrime.

 

 Ma inevitabilmente i pensieri si affollavano nella sua mente. E ora gli tornava in mente la notte di pochi giorni fa, la notte di sogni e di promesse.

 

Con quanta ingenuità aveva promesso a se stesso di fare di tutto per aiutare Sanzo, con quanta stupidità pensava di riuscirci veramente, mentre ora... ma non voleva neanche finire la frase.

 

Illuso, era solo un illuso. Per quanto ancora voleva scappare da quella realtà, per quanto pensava di resistere così? Per tutta la vita? Per altri cinquecento anni?

 

Dimenticare, l'unica cosa che sentiva l'aveva fatto andare avanti nella sua prigionia era stato dimenticare tutto. Aveva dimenticato qualcosa di terribile del suo passato, ne era certo, e in lui vi era il desiderio di ricordare, ma allo stesso tempo di seppellire in fondo al suo cuore cose che gli avrebbero arrecato ulteriore dolore, e che nonostante ciò lo distruggevano lentamente dall’interno senza che lui potesse farci nulla. Ma dimenticare tutto questo era impossibile, e ciò sarebbe inevitabilmente significato dimenticare Sanzo

e sentiva, che dimenticarlo, sarebbe stato come perdere se stesso.

 

Del resto anche la sua mancanza avrebbe causato ciò che più temeva, dopo la scomparsa di quel sole: impazzire, diventare un'altra persona, cancellare dal mondo se stesso, Son Goku, per rinascere in un mostro, nell'incarnazione di ciò che da sempre aveva temuto di essere in realtà, nella creatura che corrispondeva al nome di Seiten Taisei. Ma non stava forse già impazzendo in quel momento, non gli sembrava già di essere un'altra persona?

 

Era come un'anima persa nel buio e nel freddo, irrazionale, che l'istinto guidava a cercare una sola cosa, che sapeva che era l'unica che l'avrebbe tratta in salvo: la luce.

Ma questa volta, la luce lui non riusciva a trovarla.

 

 

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In quel momento l’oggetto dei suoi pensieri non solo esisteva, contrariamente a ciò che pensava tristemente, ma era abbastanza in forma da essere di cattivo umore, perfino nel paradiso supremo, che sovrastava solenne quel piccolo mondo terrestre.

“ Dannata Bosatsu, con chi crede di avere a che fare quella?? Ci vedremo presto… al diavolo lei e tutti quanti!!”

Inutile dire che la vista della dea, e il suo atteggiamento lo innervosivano sempre, così presa da sé e con il senso più che giustificato di onnipotenza sulle vite degli altri. Ma stavolta c’era di più: nella fretta di fare una spettacolare uscita di scena si era dimenticata, senza volere, o forse anche volutamente, rifletteva Sanzo con rabbia, di dargli una nuova gold card. Perché proprio quella mattina, aveva lasciato la sua ad Hakkai per pagare il conto, il quale, scommetteva, aveva speso praticamente tutto in quell’inutile abbondanza di cibo comprata, ma che del resto era l’unico di cui si poteva fidare, dato che, tra gli altri due compagni, l’uno avrebbe speso tutto in cibo, l’altro in gioco d’azzardo, donne, sigarette e alcolici. Non avrebbe trovato molto al suo ritorno, ma a sistemare quella faccenda avrebbe pensato dopo, e non gliel’avrebbe certo fatta passare liscia. Scommetteva che neanche nel paradiso la vita non sarebbe stata gratuita.

 

Così camminava per le strade di quella città che gli appariva sempre più assurda, anche perché aveva notato che alcune persone, specie quelle avanti negli anni, lo guardavano in modo strano, come pensando di riconoscere qualcuno, per poi andarsene ignorandolo del tutto. Riusciva a intuire più o meno di cosa si trattasse, e che avesse a che fare con lo strano nome con cui tutti gli dèi finora incontrati lo chiamavano, ma tuttavia quella situazione stava diventando sempre più insopportabile. Senza contare che ora avrebbe anche dovuto cercare un posto dove stare. Non conosceva bene il Regno Celeste, e ad essere sinceri non aveva idea se esistesse o meno la notte lì, dato che non vedeva alcun sole, e la luce pareva risplendere da ogni dove. Ma di una cosa era certo: fosse o non fosse il paradiso, non avrebbe mai passato sette giorni in strada come uno straccione, in un angolo, o peggio ancora a camminare a vuoto proprio come stava facendo ora. Doveva trovare un posto dove fermarsi, una locanda forse, se da quelle parti ne esistevano. A che scopo allestirne una, se gli unici abitanti di quell’inferno di eterna monotonia erano dèi e quindi fissi in quel luogo, non di passaggio insomma, com’era lui?

Ma poteva anche essere che vi fossero anche altre persone proprio come lui, anche se francamente dubitava che altri avessero avuto il grande onore di essere tormentati, nella vita e nella morte da una dea infernale, dell’amore e della misericordia, che di misericordioso aveva solo la nomina.

Tentare in fondo non costava nulla, e iniziava anche a stancarsi e a riconoscere i luoghi dove passava. Ciò purtroppo non significava che iniziava a ricordare qualcosa della vita precedente che supponeva di avere vissuto lì, e che in quel momento gli sarebbe tornato molto utile, peraltro, ma che stava girando in tondo, e si era perso. Non che prima sapesse esattamente dov’era, quindi la situazione non era cambiata poi molto.

 

Si avviò verso una casa, nel cui giardino, che dava alla strada, vi era un uomo non più giovane seduto in una sedia a leggere il giornale. Almeno quello esisteva anche lì, il problema di ingannare il tempo, secondo Kanzeon utile a riflettere su quella scelta “tanto difficile”,  era risolto.

- Scusi se la disturbo, avrei bisogno di un’informazione - iniziò Sanzo.

L’uomo alzò lo sguardo verso di lui – Mi dica pure – gli rispose -…Ehi…! Aspetti un momento… - disse poi guardandolo meglio – Io l’ho già vista…Ma voi siete…Avevano detto…- disse confusamente.

- Cosa? – chiese seccamente Sanzo, e quello ricredendosi subito e preoccupato per il tono di voce del suo interlocutore rinunciò a fare qualsiasi altra indagine – No mi scusi, devo averla scambiata per un’altra persona. Mi stava dicendo? -

- Sto cercando una locanda, mi saprebbe indicare la più vicina? - domandò il biondo.

- Una locanda??- ripeté stupito il dio – Voi non dovete essere di qui, vero, forse un dio cresciuto nel mondo terrestre. – gli rispose - Di locande non ce ne sono qui, questo non è certo un luogo di passaggio per la gente. Ma forse potrete trovare qualche locale. Non sono altro che locande con altri nomi, in realtà, e la differenza sta che non sono visitati da stranieri bensì da dèi desiderosi di sfuggire alla monotonia quotidiana, quindi se ce ne sono dovrebbero essere da quella parte, se non mi sbaglio.- il dio indicò una via davanti a loro.

- La ringrazio.- si sforzò di dire Sanzo “e prega per te che non ti sbagli, vecchio!” aggiunse mentalmente.

Con questo era davvero certo che quella gente lo stava scambiando per un’altra persona “Il prossimo che mi capita a tiro che dice di avermi già visto lo uccido!”. Se sperava di passare inosservato e di confondersi come un dio qualunque grazie al chakra, cosa confermata da quel dio, si sbagliava di grosso. Tra gli sguardi sempre più insistenti di vecchi dèi si diresse velocemente verso la direzione indicata.

 

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Sanzo non sapeva di essere osservato, non immaginava per lo meno di esserlo così tanto da qualcuno.

- Davvero divertente…. Tu che ne dici, Jiroshin? –

Kanzeon sedeva nel solito posto intenta alla contemplazione di una vita altrui. Ma stavolta non stava guardando sulla terra.

Dopo una rapida occhiata infatti, essendosi accertata della critica situazione nella locanda ma per nulla preoccupata e neppure sentendosi misericordiosa, si era dedicata all’osservazione di un bello spettacolo, interpretato da chi dei quattro era stato da sempre per lei il protagonista preferito.

- Se lo dite voi, Kanzeon Bosatsu – gli rispose il vecchio, che trovava ciò divertente neppure come il peggior spettacolo di terza categoria.

- Andiamo, Jiroshin, ci vuole un po’ di spirito nella vita. E molta buona volontà per procurarsi ciò che è la sola cosa che qui manca. – aggiunse annoiata.

- …Cambiando discorso…- la interruppe questi - Ho portato ciò che voi mi avevate chiesto. –

- Perfetto. Ottimo lavoro –

- Però… non so cosa voi abbiate in mente, ma con tutto ciò mi dovete spiegare a cosa vi serve una fornitura di saké per una settimana! –

- Che domande, mio caro, serve a berlo, no? –

- Si, ma di che utilità è per i vostri piani?-

- Tutto ha un utilità, dalla più importante alla più misera. E questo ha l’importante compito di dissetarmi durante uno splendido spettacolo. Sta cominciando proprio ora, se vuoi puoi rimanere a guardare anche tu, che ne dici? -

- Meglio di no, mia signora. Inoltre…vi ho portato anche questa –

Jiroshin porse un plico di fogli a Kanzeon, che lo prese e lo lesse velocemente.

- Perfetto – disse poi arrivata al secondo foglio – Scelgo questo. -

- Ma…Kanzeon Bosatsu, siete appena alla seconda pagina, non volete dare un’occhiata agli altri? –

- Sarebbe solo un’inutile perdita di tempo, dal momento che ho già trovato ciò che cercavo. Non prendertela, Jiroshin la tua ricerca era perfetta, ma la nostra è una lotta contro il tempo, non c’è tempo per le cose inutili e dilettevoli – concluse lei

- Una lotta contro il tempo, dite? – rispose Jiroshin stupito all’idea che un dio dalla vita eterna dicesse una cosa simile, specialmente una che fino a pochi secondi prima diceva di voler assistere ad uno spettacolo.

- E allora…quanto tempo abbiamo ancora? – chiese non volendo aggiungere nulla sull’assurdità della frase della padrona.

- Ancora sette giorni – rispose questa enigmatica.

 

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Lontano da li, nel Tengiku.

Kogaiji socchiuse gli occhi e gli bastò una sola occhiata a ciò che lo circondava per rendersi conto che, ancora una volta, era sfuggito al funesto destino. Riconobbe la sua stanza, buia, illuminata solo da una pallida luce di una lampada, fuori dalla finestra il buio, solo qualche lampo illuminava di tanto in tanto la stanza mentre lo scroscio della pioggia rompeva quel silenzio angoscioso: doveva essere mezzanotte, o l’una. Accanto al letto, sedeva Yaone con lo sguardo fisso nel vuoto, gli occhi arrossati: non si era ancora accorta che si era svegliato, e al buio riusciva a scorgerle sul volto una stanca preoccupazione.

 

- Ya…Yaone. _

La demone spalancò gli occhi ambrati e si riscosse subito dal torpore in cui era caduta – Principe Kogaiji! Vi siete svegliato! – esclamò con gioia e sollievo, ancora incredula, e quasi commossa. – Eravamo tutti così in pensiero, e per un attimo ho temuto il peggio. Come vi sentite? – chiese poi.

- Bene, direi. – mentì lui. Aveva un terribile mal di testa e dolore in tutto il corpo. Ma sinceramente quella volta aveva pensato di morire davvero e si era stupito al suo risveglio di essersi ritrovato in camera sua: tutto sommato gli sarebbe potuta andare peggio. Inoltre non gli sembrava il caso di preoccupare ulteriormente la demone. Con grande sforzo si tirò su a sedere, risvegliando anche il dolore per le costole rotte.

- Non sforzatevi troppo, principe, potrebbero riaprirsi le vostre ferite! – esclamò Yaone cercando di bloccarlo protendendo un braccio verso di lui per fermarlo.

 

- Ti ho detto che sto bene, non hai da preoccuparti. – la risposta suonò più secca di quanto egli stesso avesse voluto.

 

- Scusatemi – Yaone si ritirò subito – Dal momento in cui avete ordinato a me e alla signorina Lirin di andarcene, ci siamo preoccupate molto per la vostra sorte, certo, eravamo sicure della vostra vittoria, ma quello era stato davvero uno scontro difficile, e il fatto che ci aveste mandate via non poteva che significare che dopo lo sarebbe stato ancor di più. Quando ho sentito entrare qualcuno al castello non potevate immaginare quanto ero sollevata…ma quando vi ho visto in quelle condizioni, io…- si interruppe portandosi le mani al volto nel tentativo di frenare le lacrime che gli ritornavano agli occhi nell’evocare quei ricordi – Ma ora è tutto finito – concluse ricacciandole dentro e imponendosi di sorridere –  E l’importante è che voi vi siate svegliato e siate fuori pericolo. -

 

Nella mente di Kogaiji, ritornarono subito alla mente tutti i fatti del pomeriggio, e le ultime scene in cui era ancora cosciente gli apparvero davanti agli occhi. Goku che si trasformava, la loro angoscia e altrettanto orrore nel volto degli stessi suoi compagni. Goku che lo colpiva, Goku vicinissimo a lui, tanto vicino da poterne vedere l’espressione vuota, affamata di sangue e distruzione, di divertimento totale, di sfida, a lui, incapace di tenergli testa allo stadio normale e impotente davanti alla potenza spaventosa della sua forma demoniaca nonostante l’ausilio di un altro demone e l’aiuto avuto (umiliantemente) da quello scienziato pazzo. Strinse i pugni con rabbia fino a lasciarsi i segni degli artigli sui palmi delle mani. Perché avevano perso anche quella volta, possibile che non riuscissero mai a finire quella questione? Aveva dato il massimo, tutto per vincere, aveva perfino rischiato la vita, convinto che non sarebbe mai fuggito, e che piuttosto avrebbe preferito rimanere ucciso. Ma non poteva che essere andata così, probabilmente lui aveva perso conoscenza e non doveva essersi poi svegliato, dato che non ricordava nulla di più. E, non per sminuire l’amico, ma Dokugakuji, per forza fisica e per le precarie condizioni non sarebbe mai riuscito a sconfiggerli tutti da soli, specialmente quella furia di Goku. Continuava comunque a sembrargli strano di essersi salvato ancora una volta, chissà come. Era come se davvero tutto ciò non avesse ne avrebbe avuto mai fine, neppure con la sua stessa morte, e ciò lo condannava a un eterno scontro con quelle quattro persone, che così sprezzantemente continuavano quel viaggio, senza la minima preoccupazione, avendo ucciso da soli una cifra di dèi probabilmente pari a quella dell’esercito della sua matrigna.

 

Yaone si rese conto di avere destato in Kogaiji ricordi dolorosi, e ritenne non fosse il caso di aggiungere altro su quell’argomento, né di chiedergli come fosse andato il combattimento nei dettagli. Che importanza avrebbe avuto? L’esito finale lo conosceva già.

 

- Anche Dokugakuji si è ripreso bene – disse invece la demone, come se avesse intuito che presto Kogaiji gli avrebbe fatto quella domanda – Ha davvero una grande resistenza: era molto ferito, ma è riuscito a trasportarvi fino a qui ugualmente, e ha resistito nonostante gli abbia somministrato le cure in ritardo per le condizioni in cui era – si interruppe un secondo – Vedete, non per mia negligenza, ma avrei ritenuto Ni Jyeni più qualificato e quindi più adatto di me a curarvi, come ben sapete le sue ricerche hanno portato a grandi scoperte anche nel campo della medicina. Ma Dokugakuji mi ha pregato che fossi io stessa a medicarvi, perciò mi sono occupata di lui solo due ore dopo. -

“Dokugakuji…ha detto questo?” Dunque era stato lui a salvarlo. Era a lui che doveva tutto questo. D'altronde però non lo si poteva certo biasimare, chiunque avrebbe salvato una vita senza pensarci troppo o chiedere il parere al diretto interessato, dato che in quel caso egli non avrebbe neanche potuto rispondergli. Però lui voleva vivere. E dunque perché sacrificarsi in questo modo solo per una semplice preferenza? Che sospettasse qualcosa dell’accordo segreto?

 

- Due ore dopo... – sussurrò il demone dopo qualche istante.

- Ma non preoccupatevi per lui – lo rassicurò ancora Yaone – ora sta bene anche se praticamente non ha chiuso occhio. Mi ha raccontato più o meno cos’è successo, certo, non scendendo nei dettagli. E ogni volta che lasciavo voi per andare a vedere come stava lo trovavo sveglio, perfino abbastanza in forma da fare dello spirito.- sorrise - Si riprenderà molto presto, direi che tra due o tre giorni al massimo sarà in perfetta forma –

Kogaiji non riuscì a non stupirsi della forza fisica e della resistenza dell’amico. Non gli faceva certo onore essere stato da meno di un suo subordinato, tanto da non aver avuto scampo se non grazie a lui. Ma poi pensò a Yaone, tutta la notte sveglia a curare due feriti ai due lati opposti del castello e preoccupata per le sorti dell’uno o dell’altro “Neanche lei deve aver chiuso occhio un solo istante.” Nonostante la scarsa illuminazione Kogaiji riusciva a distinguere perfettamente cerchi profondi che le segnavano gli occhi, uniti a lacrime seccatesi sulle guance. Conosceva bene la demone, ed era nella sua indole prendersi cura degli altri, anche non in casi di emergenza come quello, a scapito di se stessa. Ne provò una grande tenerezza.

Le persone a lui care, Dokugakuji, Yaone…

 

- E Lirin? - chiese improvvisamente.

- La principessa è nelle sue stanze a riposare, penso – rispose brevemente lei – So che è di mia competenza occuparmene, ma non ho potuto vederla dal vostro arrivo, e non ho idea di cosa stia facendo ora. – disse senza menzionare il fatto che Dokugakuji l’avesse praticamente fatta rinchiudere nella sua stanza – Perché devo stare chiusa qui dentro?!  Insomma, si può sapere che ti salta in mente, piccola Yaone?? Io voglio rivedere il mio fratellone! – aveva detto la ragazzina – Per favore signorina, ritiratevi in camera vostra, e non uscite fino a quando non verrò io a dirvelo. Fatelo per me, ve ne prego! – aveva implorato cercando però di nascondere l’agitazione –  E sia! – aveva risposto Lirin –  Ma a patto che quando uscirò mi porterai subito lui. -  - Certo, state tranquilla. – Aveva risposto la ragazza con un sorriso, chiudendo la porta e correndo in direzione del corridoio.

 

- Non vede l’ora di rivedervi, era molto in ansia anche lei, sapete? –riprese la demone.

- Immagino. – disse Kogaiji ripesando al volto allegro della sorella, che per un attimo riuscì a farlo sorridere.

- Se volete, la avviso che vi siete svegliato… – disse Yaone notando il lieve cambiamento di espressione del principe e cogliendo l’occasione di tirargli su il morale.

- No, non farlo. – rispose Kogaiji stupendo la ragazza, che già si era alzata aspettandosi una risposta positiva – non è mia intenzione farla stare in pensiero, ma ho bisogno di stare per un po’ da solo, cerca di comprendermi.

- Comprendo benissimo, principe, e farò come mi chiederete – sorrise la ragazza, e fece per andarsene, ma in quel momento sentì dei passi e delle voci che si dirigevano verso quella stanza.

- Avanti, Dokugakuji, muoviamoci, vuoi rivederlo anche tu il mio fratellone, no?-

- Aspetta, Lirin, potrebbe stare ancora dormendo, è meglio non disturbarlo…e non tirare, mi fai male! –

Kogaiji e Yaone si guardarono con aria interrogativa, mentre nella mente del primo cominciava a farsi strada un brutto presentimento

“Addio solitudine” pensò con un sospiro.

- Yaone… Kogaiji, ti sei ripreso! -

- Fratellone, ma allora eri sveglio! Ecco, io lo dicevo, Dokugakuji, e tu non mi volevi credere! E in quanto a te, piccola Yaone – disse puntandole un dito – Perché non mi hai avvisato, e mi hai tenuto chiusa li dentro ancora per tutto quel tempo?? – domandò la ragazzina infuriata tra gli sguardi attoniti dei presenti. – Aspetto delle spiegazioni! -

- Beh, ecco…il principe si è svegliato da pochi minuti, io sarei venuta a chiamarla, se lei non mi avesse preceduta…- iniziò lei non sapendo che dire.

- Ah, dunque è così che stanno le cose – disse Lirin pensierosa – Bene! – esclamò poi con un sorriso – Allora ti credo, piccola Yaone, e dato che ora sono qui, ti perdono. –

“Se l’è bevuta” pensarono Kogaiji e Yaone con un sospiro di sollievo.

- E poi sono tanto contenta di rivederti tutto intero.-

Kogaiji sorrise – anch’io, Lirin. – lei, cogliendolo di sorpresa gli si buttò letteralmente addosso incurante delle sue ferite e iniziò a stritolarlo con un forte abbraccio.

- Dokugakuji, non avresti dovuto alzarti dal letto. – disse Yaone contemplando la scena – non è passato neanche un giorno dal combattimento. -

- Lo so, ma vedi, Lirin ha insistito così tanto, e mi ha letteralmente trascinato qui – rispose cercando una vaga giustifica, e accennando alla ragazzina, che se ben poco si curava delle condizioni fisiche del fratello ancor meno delle sue – Ma non ti preoccupare, sto bene, altrimenti non riuscirei a reggermi in piedi ora. – Una sola occhiata al principe, ora avvinghiato alla terribile sorellina era bastata per capire che ricordava perfettamente tutto quello che era successo e che Yaone gli aveva riferito il resto, forse un attimo prima che loro entrassero nella stanza. Chissà cosa aveva pensato, chissà se l’aveva maledetto per essersi comportato in un modo del genere davanti al nemico. E se non ci fossero state Lirin e Yaone in quella stanza, chissà cosa gli avrebbe detto. Vagamente lo sapeva già. Ma che importava in fondo. Si era ripreso, e prima o poi tutto si sarebbe rimesso a posto.

- Se lo dici tu…- terminò la demone, ma girandosi verso Kogaiji aggiunse: - Voi però non dovete muovervi per nessuna ragione al mondo. Le vostre ferite sono molto più gravi, e sarete fuori pericolo solo se eviterete gli sforzi per almeno una settimana – raccomandò, perentoria.

- E va bene. – la assecondò Kogaiji.

- E adesso che me ne ricordò, signorina Lirin, sono quasi le due di notte, dovete assolutamente tornare a dormire – Riprese Yaone in vena di rimproveri – e anche tu, Dokugakuji, non hai chiuso occhio e in quelle condizioni è necessario che ti riposi. -

- Eddai, Yaone, è tutto il pomeriggio che sto chiusa in camera mia. – si lamentò lei senza staccarsi dalla sua preda.

- Ed è tutta la notte che non so che cosa abbiate fatto e se abbiate dormito abbastanza. Adesso vi prego di andare in camera vostra, di riposare e di lasciar riposare anche vostro fratello, domani potrete ritornare a trovarlo e parlargli con tutta calma. –

- Uff, e va bene. – disse lei allontanandosi. Notte fratellone, notte Yaone. – disse Lirin prima di andarsene, seguita poco dopo da Dokugakuji.

 

Dopo che se ne furono andati la pace ritornò nella stanza, ma ormai la situazione angosciosa di poco prima se ne era completamente andata.

- Ti ringrazio, Yaone, davvero. Per tutto quello che hai fatto oggi. – disse poi Kogaiji alludendo anche al salvataggio da Lirin, e riflettendo come la giovane alchimista nonostante la giovane età sembrasse una perfetta madre - Ma meglio che vada anche tu. – disse poi.

- Non se ne parla nemmeno, principe! Devo rimanere qui nel caso dovesse succedere qualcosa. E non sono solo io a dirlo. – rispose la ragazza alludendo al consiglio di Dokugakuji.

-Obbedisci! – le ordinò lui. – Tu non hai meno bisogno di riposo in questo momento. – aggiunse poi con tono più calmo.

- Ne siete sicuro? – domandò incerta Yaone.

- Certo. Non preoccuparti – disse poi con un sorriso per convincerla ancor di più – Saprò badare a me stesso, se non all’esterno almeno nel mio castello. - non voleva dire in realtà che non accettava la sua protezione ancora per molto.

- Già, avete ragione – convenne lei non del tutto convinta. – Ma vi ripeto di non muovervi per nessuna ragione. Almeno fino a domattina. – raccomandò ancora una volta la demone. – Ho capito, ho capito. – rispose lui.

 

Salutò la ragazza e aspettò di non udire più i suoi passi. Poi contò mentalmente dieci minuti, il tempo che tutti avessero ripreso sonno. “Scusami, Yaone, ma questa volta non posso proprio darti ascolto”. Si tirò su sui gomiti con grande sforzo e si mise a sedere, poi, radunando tutte le sue forze si alzò in piedi. Riuscì a uscire dalla stanza abbastanza facilmente appoggiandosi contro il muro e camminando con fatica, ma dentro di se tentava di spronarsi ad andare avanti ripercorrendo mentalmente tutta la strada che avrebbe dovuto fare e che neanche in stato di delirio avrebbe mai dimenticato “In fondo al corridoio, giro a destra, scendo e…

- Principe Kogaiji, che cosa state facendo qui? -

Kogaiji si fermò di scatto. La voce risuonava nel corridoio vuoto e prese alla sprovvista il demone: non era un richiamo preoccupato di Yaone, e neppure un’esclamazione di Dokugakuji e Lirin, che non gli avrebbero mai dato del lei, ma aveva il tono sinistro e familiare di una presenza da lui odiata.

- Non dovreste essere in piedi in quelle condizioni, lo sapete bene anche voi. -

- Ancora tu, Ni Jyeni – rispose all’uomo – Vattene, lasciami stare.-

- Siete ancora arrabbiato? Non con me, spero, principe. – disse con tono ingenuo e con falsa riverenza.

- Ti ho detto di andartene, la tua faccia è l’ultima cosa che voglio vedere al mondo in questo momento! -

- Oh, non dite così, principe, in questo modo non posso non esserne profondamente addolorato. – rispose lui fingendo il pianto perfino con l’inseparabile coniglio di peluche.

- Finiscila con queste stupidaggini! Non sarai venuto fin qui seguendomi solo per dirmi tutto questo.-

- Certo che no, e a dire il vero non vi stavo affatto seguendo. Un povero dipendente dopo ore di duro lavoro si meriterà pure una pausa! Stavo giusto tornando al laboratorio per riprendere il mio lavoro.-

Kogaiji trovò strano che dovesse lavorare anche a certe ore, ma dopotutto da una persona come la sua matrigna ci si sarebbe potuti aspettare di tutto, e inoltre le condizioni dei suoi subordinati, in ispecie quello che aveva davanti era l’ultimo dei suoi pensieri.

- Si, principe, lavoro troppo, e mi prodigo in ogni modo di agevolare la vostra missione. E lo faccio per sua eccellenza Gyokumen Koshu, ma anche per voi. Ma ditemi, piuttosto come vi sentite, ora? Avete bisogno di qualche altra medicina? Ne ho molte in laboratorio che farebbero proprio al caso vostro. – domandò sempre con quel tono di scherno.

- Taci, non accetterò mai più niente da te! -

- Perché dite così? Vi riferite forse alla vostra sconfitta di oggi. Quindi è questo il motivo per qui siete di pessimo umore. Ma non dovreste esserlo solo per un simile motivo. Dopotutto non è la prima volta che assaggiate l’amaro boccone della sconfitta. – insinuò Ni Jyeni innocentemente, e con un ghigno sapendo di averlo provocato nel peggiore dei modi.

- Non prenderti gioco di me!- gli gridò Kogaiji con rabbia – Sai bene che ciò che è accaduto è anche responsabilità tua. Ciò che mi avete dato, non è stato sufficiente al completamento della missione. –

- Spiacente di dovervi contraddire, ma vi sbagliate. La potenza era perfetta, e più che sufficiente se impiegata correttamente. Ammetto che ciò che gli mancava era un facile controllo, ma come vi avevo già detto era solo un prototipo, vi ho avvisato e voi avete accettato ugualmente.-

- Mi stai forse dando dell’incapace?? Ci hai esposti tutti a un rischio enorme, chiunque conoscendone le conseguenze avrebbe ritenuto che usarlo sarebbe stata una follia…-

- Ma vi ripeto che voi sareste riuscito a controllarlo, con un po’ più di attenzione. La vostra forza è rinomata fra demoni e umani e la vostra fama diffusa in tutto il Togenkyo. E non vi immaginate quanto sia strano vedere il sommo principe Kogaiji, figlio di Gyumao, grande leader dei demoni, nonché mio sopraelevato reggersi a stento in piedi strisciando contro le pareti come un ubriaco o peggio ancora. E tutto questo per cosa lo state facendo? Dove state andando di così importante dal dover disobbedire a quella povera ragazza preoccupata a morte per voi. Ma certo, da vostra madre. Niente riesce a fermarvi dall’andare da lei in qualsiasi condizione vi troviate. Oh, che storia commovente, quante madri vorrebbero avere un figlio come voi. -

- Piantala subito! Invece di ciarlare inutilmente tornatene in quel tuo buco di laboratorio e sparisci dalla mia vista!! - – Ai suoi ordini, sommo principe Kogaiji – lo canzonò con riverenza prima di sparire nel buio del castello, nel quale ancora risuonava la tetra risata dell’uomo.

Kogaiji riprese la sua strada, per nulla demotivato, ma con rabbia e odio crescente. Doveva andare, doveva andare subito, ricordare lo scopo importante e principale per lui della missione, che quel pomeriggio aveva dimenticato, pensando solo a se stesso e alla sua futile vendetta. Ma quello era il suo scopo, da sempre, fin dall’inizio della missione. E ricordarselo, pensava, sarebbe servito a ridargli la forza, necessaria per riuscire a concluderla. Sarebbe stato più forte di qualsiasi cosa, oggetto, medicinale o pozione che gli avessero dato.

 

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Aveva girato ovunque, incontrato numerosi locali in ore di ricerche, ma già vedendo il primo capì che ciò che cercava non l’avrebbe mai trovato, fin da quando aveva scorto la tetra lavagnetta dai colori variopinti che recava scritti in bella grafia i prezzi di vitto e alloggio. Proprio come sospettava, non era affatto diverso dal mondo terrestre, e anzi pareva proprio che tutto fosse più caro ancora. Non aveva mai visto dei prezzi simili, neppure in un hotel a cinque stelle, e pensare che quelle in confronto erano solo baracche. Gli dèi dovevano proprio essere dei ricconi, pensò, ma d’altra parte, in un’eternità è facile diventarlo.

E ora che avrebbe fatto? Continuare a camminare? A che scopo, ormai? Fermarsi? E dove?

 

Era quasi sicuro che sarebbe andata a finire così, tanto valeva non allontanarsi dalla piazza del mercato. In quel momento gli sarebbe bastata perfino una panchina, un pretesto qualunque per fermarsi da qualche parte. Già, perché mentre continuava nella sua ricerca impossibile, la gente aveva cominciato a diminuire, e quegli stessi locali erano stati chiusi. Ora nella strada regnava il silenzio assoluto, e lui, l’unico passante si sentiva ancor più osservato, dalle finestre, da dietro le persiane, dalle innumerevoli case che vi si affacciavano. Decise così di cambiare strada, lì di certo non avrebbe trovato più nulla. C’era giusto un vicolo stretto e nascosto che metteva in comunicazione la strada dove lui si trovava con una seconda strada. Decise di passare di lì, magari da quella strada sarebbe riuscito almeno a ritornare in piazza. Dopotutto perfino i proverbi dicevano così.

Ma la tranquillità e il silenzio che lo circondavano fu interrotto improvvisamente da un urlo proveniente proprio dalla direzione che lui intendeva seguire.

 

- Che cosa volete da me? Lasciatemi andare, ve ne prego!! - urlò una voce.

- Non vorrai andartene così, bellezza, abbiamo un conto in sospeso da stamattina, ricordi? – gli rispose un ragazzo.

- Aiutatemi, qualcuno mi aiuti!! –

- Urlare non ti servirà a nulla, nessuno ti ascolterà o verrà a salvarti stavolta. Nemmeno tuo fratello. - intervenne il secondo dio acidamente.

- Tenetela ferma così. Se farai la brava non ti torceremo un capello. - disse un terzo ragazzo mentre altri due la prendevano per le braccia mentre lei si divincolava tentava inutilmente di liberarsi.

“Il paradiso non è così tranquillo come dicono” penso Sanzo per nulla scoraggiato dal prendere quella strada e svoltando nel vicolo. Non sarebbe certo stata una aggressione a fermarlo.

 

Erano cinque ragazzi divini, due ai lati e uno che gli dava la schiena. Di fronte a questo, tenuta stretta da altri due del gruppo, una ragazza castana rassegnata ormai al peggio.

Gli dèi si accorsero subito della presenza di un intruso – Ehi, biondina, che vuoi da noi? Ti consiglio di sparire, se non vuoi che ti diamo una ripassata. -

Sanzo non si scompose alle provocazioni – Non è mia abitudine prendere ordini dagli altri, specie da mocciosi come voi. Se voglio passare di qui è solo affar mio e non sarete voi a impedirmelo. Come io non sono venuto qui per impedire ciò che voi volete fare.  – e guardando la ragazza aggiunse – In cinque contro quella femmina? Mi fate davvero pena. Non vale la pena di sprecare troppo tempo con voi. - disse facendo per andarsene – Come hai osato, tu? Ti faremo vedere, quanto ti facciamo pena. Ragazzi, attaccate!

I due con le mani libere gli furono subito dietro – Stolti dèi, vi pentirete di esservi messi sulla mia strada! – disse prima di girarsi ad affrontarli. Se non altro, pensò, ora aveva l’occasione di fare ciò che aveva voluto fare fin da quando era arrivato li: sistemare per bene un cospicuo gruppetto di dèi.

Con due rapidi colpi li mise fuori gioco, e un secondo dopo erano per terra, accanto agli altri tre ancora inermi, lividi e doloranti.

- Maledetto!! Lasciate perdere la ragazza, attacchiamolo!! – ordinò ancora una volta il capo della banda, ma in tre non ebbero sorte migliore e ben presto si trovarono di fianco ai compagni stesi a terra. “Quanto odio le persone insistenti”.

- Troppo deboli. Ed eravate in cinque contro solo una biondina, dopotutto. -

 

Stava per rimettersi sulla sua strada, quando sentì una voce alle sue spalle – Vi ringrazio, voi…mi avete salvata.-

Rimase piuttosto sorpreso di trovarla ancora lì, pensandola fuggita da qualche parte – Non devi ringraziarmi. L’ho fatto solo perché ero di pessimo umore. – rispose lui secco. In effetti con tutte quelle che aveva passato con gli dèi, aveva proprio bisogno di sfogare un po’ il proprio nervosismo - Non ha alcuna importanza, per qualsiasi motivo l’abbiate fatto, ora sono salva, e vi sono davvero riconoscente. - rispose lei, per nulla demoralizzata.

- Scusami, ma vado piuttosto di fretta. – disse lui, che della sua gratitudine o di quella di chiunque nella sua vita avesse salvato per quei sentimentali dei suoi compagni non gli importava proprio niente.

Ma fu fermato ancora una volta dalla ragazza – Aspetta, non andartene così. Ehi, ma io ti ho già visto – disse poi aggrottando la fronte pensierosa – …ma dove? – rifletté ancora qualche istante, mentre Sanzo, in preda a un attacco nervoso e obbligato a rinunciare al suo proposito di ucciderla si domandava con chi potesse averlo scambiato, dato che probabilmente quando lui viveva lì non era ancora nata. Che in realtà non fosse la ragazza che appariva ma una vecchia decrepita? Assurdo, quel mondo gli riservava più sorprese del previsto.

- Ma certo! – esclamò illuminandosi – Il mercato! – aggiunse a un Sanzo sempre più confuso – Ma si, si siamo scontrati questa mattina – gli ricordò lei, e nella mente del biondo tornò in mente l’immagine della ragazza inginocchiata a terra che raccoglieva la frutta che era caduta a terra scusandosi ripetutamente, catalogata dalla sua mente come inutile a parte la scoperta del luogo in cui si trovasse – Guardate un po’ che coincidenza. Il regno celeste è proprio piccolo, non trovate?- -come quello terrestre, d’altra parte -mormorò più a se stesso che alla ragazza.

 

- Sentite – disse la ragazza dopo qualche attimo di silenzio – Per quello che avete fatto non potrò mai ringraziarvi abbastanza, ora quelle persone non mi cercheranno più per un po’ di tempo, e non posso proprio salutarvi ora come se niente fosse. Dite, vi andrebbe di venire a casa mia? Mi avete detto che avete molta fretta ma sarà solo questione di minuti - azzardò a quell’uomo dallo sguardo freddo, aspettandosi un diniego. Ma questi, con sua stessa sorpresa disse incurante – Perché no. –. Se non altro avrebbe risolto il problema di dove stare, e cosa fare per i prossimi venti minuti.

- Benissimo! – esclamò la ragazza soddisfatta – Allora mi segua, cinque minuti e saremo arrivati.-

Quei cinque minuti passarono lenti, tra il silenzio ostinato dell’uno e il timore di fare una domanda qualsiasi dell’altra – Voi siete nuovo di qui, vero? – improvvisò poi, stanca di quella tensione, dimenticando quel timore – Vero – rispose lui pensieroso - Non vi ho mai visto da queste parti, e qui si conoscono tutti, dovendo condividere una vita eterna nello stesso posto. E sbaglio o non siete neppure un dio? –

Sanzo stavolta si girò verso di lei e scrutò la sua espressione in una muta domanda “ E tu come diavolo fai a saperlo, ragazzina?” – L’ho immaginato quando vi siete rivolto ai miei aggressori con un “stolti dèi”. – rispose lei intuendo la sua domanda. - Un dio non l’avrebbe mai detto. Penso. – aggiunse – Certo, il chakra che voi avete sulla fronte trae in inganno…- continuò lei, ma non vedendo alcuna reazione ai suoi sforzi di intraprendere una conversazione da parte del suo interlocutore si tenne dal chiedergli per quale motivo l’avesse comunque. Aveva ormai capito che quello che aveva di fianco non era il tipo da parlare spontaneamente di sé, ne peraltro di parlare in generale: la sua espressione parlava chiaro “non seccarmi o ti uccido”. Ma non era una di quelle persone che avrebbe quindi reputato noiosa con il mutismo che ora esibiva, e anzi suscitava in lei interesse e curiosità crescente, lui, un essere non divino venuto da chissà dove. E inoltre, anche se per caso ne avesse avuta l’intenzione, pensò, non avrebbe mai potuto ucciderla.

- Eccoci qui, siamo arrivati – disse finalmente indicando una delle case a schiera con un giardino antistante che dava sulla strada. – Prego, entri pure disse aprendo la porta di casa – Mio padre deve essere in casa a quest’ora. Sarà felice di conoscervi, e chissà cosa dirà quando gli avrò raccontato tutto! –

Entrarono nel salotto ben arredato, con divani, poltrone e tappeti a terra color pastello. Sembrava proprio che il tema principale rimanesse sempre quello. Non si sarebbe stupito affatto a vedere ora un albero in miniatura di ciliegio in fiore.

- Padre, sono a casa.- disse poi la ragazza entrando in cucina.

- Mizuko, sei tornata! Ero molto in pensiero, tu, sola a quest’ora di notte. - Notte? Quella era la notte? Sanzo guardò fuori dalla finestra, dalla quale penetrava una grande luce, che faceva pensare che fosse mattino inoltrato. Che razza di Regno! E non era finita. Sembrava che l’intera stanza mobilio compreso emanasse una strana luce. Dunque il dubbio che aveva all’inizio era fondato, in un certo senso. Dopotutto la notte esisteva. Era il buio che sembrava non ci fosse.

 

- E chi hai portato? – continuò il dio.

- Ecco qui – mostrò la ragazza - Questa persona è…è…-

 

Si interruppe un attimo imbarazzata

– Mi scusi!! Mi scusi veramente tanto, che sbadata che sono!! – disse arrossendo e inchinandosi più volte – Con tutto quello che vi ho detto sulla strada non mi sono neppure presentata, e neanche vi ho chiesto qual è il vostro nome!! Ma rimedio subito. Mi chiamo Mizuko, l’avrai capito, e questo è mio padre, il signor Akiyama – disse indicandolo sotto lo sguardo di rimprovero del padre, la cui figlia ora portava a casa dei perfetti sconosciuti, di cui neppure lei sapeva il nome – Mi scusi davvero tanto, mi è passato proprio di mente! – esclamò ancora.

- D nulla – Disse un Sanzo un po’ stranito.

- Bene, adesso ci siamo presentati. – Interruppe il padre cortesemente – e ora possiamo sapere chi è lei? -

Sanzo esitò qualche istante

– Koryu - disse infine.

 

- Koryu, eh? Un nome inusuale da queste parti. Molto piacere, signor Koryu-

- Il piacere è tutto mio – mentì lui cortesemente, pentendosi di aver seguito la ragazza. Forse dopotutto sarebbe stato meglio girare a vuoto in città che trovarsi in quella situazione.

- Vedete, padre, non rimproveratemi, ma non è uno sconosciuto qualunque. Questo pomeriggio sono stata ancora aggredita, ma sono riuscita a sfuggire per miracolo – ecco spiegata la fretta della ragazza di quel momento – e nella fuga mi sono scontrata con questa persona. E mentre stanotte tornavo a casa mi hanno trovata e isolata in un vicolo nascosto. Chiedevo aiuto, ma mi rassegnavo al fatto che nessuno sarebbe arrivato. Neppure Junichi – disse con un velo di tristezza – Però poi è arrivato il signor Koryu, e gli ha dato una bella lezione. Avreste dovuto vedere, padre! E che coincidenza, poi! –

- Dunque voi avete salvato mia figlia. Ve ne sono molto grato, e vi devo molto: è un po’ di tempo che quella banda l’ha presa di mira, eventi del genere purtroppo sono all’ordine del giorno. Ma se è come dice Mizuko per un po’ si guarderanno bene dall’infastidirla, e tutto questo grazie a voi. Mizuko, hai fatto molto bene a portare questa persona qui. – disse ricredendosi – Almeno potremo offrirle qualcosa; è il minimo che possiamo fare. –

- In realtà sono qui solo di passaggio. Non si scomodi inutilmente. – rispose lui ansioso di lasciare una volta per tutte quella casa.

- Sciocchezze, vado subito a prenderle qualcosa, Mizuko, tu intanto rimani qui e fai compagnia all’ospite.-

- Si – disse lei felice di potergli chiedere ancora, ma demoralizzata al pensiero che le sue domande non avrebbero comunque avuto da lui risposta.

 

- Dunque, lei mi stava dicendo che non è un dio e neppure ha mai vissuto qui. –riflettè lei – Ma allora come mai lei si trova qui? E chi è lei in realtà? – chiese poi.

Sanzo la guardò per qualche istante. Era solo una giovane dea, se vogliamo, innocua e che no gli avrebbe potuto nuocere in nessun modo. E la balla del signor Koryu francamente gli era bastata.

- Sono un essere umano, e il motivo per il quale mi trovo qui è piuttosto lungo da spiegare. Ti basti sapere che rimarrò qui per altri sette giorni. Dopodichè tutto si deciderà in base alla strada che sceglierò di percorrere.- rispose. Innocua o no non aveva certo voglia di spiegarli tutto dall’inizio, e tantomeno gli sarebbe servito a qualcosa.

- Capisco – disse lei pensierosa – comunque è davvero incredibile. Voglio dire, io non ho mai incontrato esseri umani, e trovarmene uno davanti, così…è strano, ecco.-

- Io invece ne ho incontrati parecchi della tua specie, nel mondo terrestre. Non c’è niente di incredibile in tutto ciò, umani e dèi non sono molto diversi, perlomeno nell’aspetto. -

- Già – convenì lei – Però se è un essere umano e deve stare qui per sette giorni, dove ha intenzione di stare per tutto questo tempo? – domandò lei curiosa.

- Non ho ancora una sistemazione – ammise – Quando ti ho trovata assieme a quella banda la stavo proprio cercando. –

- Ora capisco tutta quella fretta, e mi dispiace di averle rubato tempo prezioso. Sette giorni sono davvero pochi. - disse lei. Ma poi assunse un’espressione corrucciata, e rifletté per qualche istante – Ci sono! Ho trovato il modo per farmi perdonare per la perdita di tempo e ringraziarvi per quello che avete fatto. – esclamò raggiante – Signor Koryu, se lei è d’accordo possiamo ospitarla da noi per la sua permanenza qui.-

Lui la guardò con aria stupita dalla sua proposta quasi le stesse chiedendo se era sicura di quello che stava dicendo – In città sono tutte chiuse, data l’ora, e non avrà molta fortuna nella sua ricerca. Fino a domani, ovviamente, ma non può passare la notte all’aperto. E poi non si preoccupi. – aggiunse - Qui abbiamo spazio a volontà e una camera che usiamo per gli ospiti. Devo solo chiederlo a mio padre, ma sono sicura che dirà di si, dopo quello che gli ho raccontato. Non lo da molto a vedere, lui è fatto così, ma è rimasto molto impressionato. Vado da lui, aspetti solo un secondo. – disse prima di sparire correndo dalla cucina.

 

Rimasto solo aveva finalmente l’occasione sperata di andarsene di lì senza soffermarsi su troppe spiegazioni. Ma dati gli ultimi sviluppi forse non sarebbe stata la scelta giusta. Forse aveva davvero trovato la soluzione ai suoi problemi.

 

- Rieccoci qua! Siamo tornati. – disse Mizuko con un sorriso che stava a significare “ha detto di si”.

- Ho saputo della sua situazione, signor Koryu, Mizuko mi ha raccontato tutto. Sarò lieto di poterla ospitare per sdebitarmi di tutto ciò che ha fatto per noi. - annunciò il padre della ragazza – Mizuko, su, porta il nostro ospite nella sua stanza, che aspetti? – aggiunse poi – Subito. – rispose lei conducendolo fuori dalla cucina, senza nemmeno dargli il tempo di ringraziare, lungo un corridoio.

 

– Che hai detto a tuo padre – le domandò Sanzo – Potete stare tranquillo, non ho raccontato nulla di particolare. O almeno non ho detto niente sul fatto che voi siete umano. Credevo fosse la cosa migliore. Anche se probabilmente non mi avrebbe creduto, pensando che tutte queste cosa provenissero dalla fantasia di una ragazzina come me. – Sanzo dovette riconoscere che quella ragazzina non era proprio un oca come poteva sembrare, se non altro aveva un cervello. Nonostante l’età che dimostrasse, a quanto aveva sentito, fosse proprio la sua.

Arrivarono a davanti a tre porte: lei si diresse verso quella più in fondo e l’aprì – Ecco, questa sarà la sua stanza. E’ da un po’ che rimane inutilizzata, ma almeno tornerà utile stavolta.

 

Sanzo si guardò attorno. L’arredamento della stanza era piuttosto semplice, un letto, un comodino, una scrivania con dei fiori (rametti di ciliegio), un armadio, un tappeto steso a terra, alle pareti una vecchia tappezzeria. La camera era illuminata da una finestra riparata da tende in tinta con l’arredamento, e sul soffitto non vi erano lampade, ulteriore prova che nel regno celeste non esisteva la notte. Una stanza come tante, ma, pensava, troppo accogliente per la funzione assegnatagli. Emanava del calore, come di vissuto. Li dentro non c’erano stati solo ospiti per una notte o due.

 

- Questa non è sempre stata una stanza per gli ospiti. O sbaglio? – domandò a Mizuko.

La sua espressione, poco prima allegra e sorridente si rabbuiò in una maschera malinconica. Abbassò lo sguardo e si sedette sul letto – E’ come dite voi. – confermò lei – Questa stanza era appartenuta a mio fratello…- - Junichi?- - Si, si chiamava proprio così. Era una brava persona, e aveva cinque anni più di me. Spesso mi difendeva, anche quando non ce ne era bisogno. Mi piaceva molto parlare con lui, e aveva un carattere e una forza d’animo che ammiravo. Questo prima di due anni fa. –

- Che cosa gli è successo? - chiese Sanzo.

- Anche questa è una storia molto lunga, e se avrete la pazienza di ascoltarla ve la racconterò. Un tempo non vivevo solo con mio padre, e questa casa non era vuota come appare ora. Oltre a Junichi con noi viveva mia madre: era una donna impegnata nella politica del Regno Celeste, e aveva un nome perfino tra i più potenti. Di solito chi ha posizioni di questo tipo non si fa molti scrupoli e non pensa ad altro che arricchirsi di denaro e potere, anche a costo del sacrificio di altre persone: ce n’erano molti di dèi propensi verso a questa filosofia di vita, davvero tanti. Ma lei non era così, lei aiutava chiunque poteva, anche a scapito di se stessa e della sua reputazione, e in particolare era impegnata in una sorta di campagna contro gli antichi pregiudizi verso le persone diverse. Mezzi demoni, mezzi dèi, eretici… e la cosa più particolare era che non lo faceva in silenzio, come tanti che avrebbero avuto queste idee avrebbero timorosamente fatto, ma con forme particolari di protesta pubblica: molta gente la ammirava per questo e alcuni cambiarono il proprio modo di pensare e dovettero ricredersi su molti aspetti.

Però una fama del genere non poteva che risultare minacciosa verso i capi maggiori, che avevano sempre avuto il controllo su tutto, in questo Regno. Se da una parte la gente l’ammirava, dall’altra le persone di spicco cominciarono a detestarla. Iniziarono le minacce, gli avvertimenti a lasciare la sua causa, ma lei non diede loro alcun peso. Fino al giorno di quattro anni fa, in cui decisero di farla tacere per sempre.- si interruppe per una breve pausa temendo di cadere nella commozione, anche se già la sua voce aveva cominciato a tremare – voi sapete bene a cosa mi riferisco, immagino.-

- Spedire gli dèi sulla terra con una falsa accusa facendoli reincarnare in esseri umani e quindi mortali; il resto viene da sé, nel tempo. E’ noto questo metodo, conosciuto perfino nel mondo terrestre per la sua efficacia. – ne da anime nell’agglomerato, ne tantomeno da reincarnati senza alcuna memoria del passato avrebbero infatti potuto nuocere molto a coloro che li avevano condannati a tale destino.

- Quel giorno soffrimmo molto e piangemmo a lungo. Ma non potevamo farci ormai niente, e lentamente mi rassegnai al fatto che non l’avremmo più rivista. Ma non fu così per Junichi. Per lui fu un brutto colpo e anche dopo parecchi mesi non riuscì a farsene una ragione. Ripresosi un poco ha ripreso in mano la causa interrotta di nostra madre, e non fu da meno di lei. Ne seguì il destino. Fino alla fine.- concluse chiudendo gli occhi tristemente – Sono passati ormai due anni, e abbiamo ripreso la vita di tutti i giorni. Mio padre mi ha severamente vietato di prendere qualsiasi iniziativa come fece mio fratello, proibizione comprensibile, chiunque l’avrebbe fatto. Ma ciò non mi ha risparmiata del tutto dai guai, come avete visto stamattina e oggi pomeriggio. Persone che non credono negli ideali della mia famiglia, finiscono per sfogare il loro antico risentimento su di noi, non che voglia fare la vittima o altro. La vita continua, dopotutto. –

 

- Hai passato tutto questo per persone ritenute strane o diverse, perché dunque ospitare uno di loro senza alcun rancore. -

- Non potrei mai avere rancore per una persona che conosco da un solo giorno. E che ciò che lei ha fatto non ha fatto altro che giovarmi. -

- Non ho fatto molto in realtà, o almeno non abbastanza da guadagnarmi tutte queste attenzioni. Non l’hai fatto solo per questo, vero?-

- Infatti. E devo dirvi che vi siete avvicinato molto al secondo motivo per il quale vi ho accolto. Provo rancore, questo è vero, ma non verso di voi, o qualunque altra creatura differente da un dio. Verso chi ha distrutto la mia famiglia per un motivo insensato che nascondeva il terrore più profondo della presa di potere di una nuova figura più carismatica e popolare e la loro conseguente perdita. E questa, in un certo senso è la mia vendetta silenziosa. – abbozzò un lieve sorriso e continuò con decisione – Non ho intenzione di dedicarmici o di fare la fine di mia madre e Junichi. Ma porterò avanti le loro idee, almeno dentro di me, perché sono ideali di famiglia, ci ho sempre convissuto e credo in loro. – si fermò e aggiunse – Immagino che potrà capire. Dopotutto anche lei avrà ricevuto degli insegnamenti che non può contraddire, signor Koryu.- disse infine. Poi, riprendendo l’espressione di poco prima, come se nulla fosse successo – Beh, adesso devo proprio andare, è piuttosto tardi, e anche lei sarà stanco. Buonanotte, signor Koryu - disse uscendo e lasciando il ragazzo ai suoi pensieri, dèi, esseri diversi, mezzi demoni, esseri eretici. La scelta che avrebbe dovuto fare. Il tutto accompagnato da quell’ultima inconsapevolmente ironica affermazione con quell’antico appellativo che parecchi ricordi ora gli riportava alla mente.

 

 

 

- Esco, signor Koryu. – disse Mizuko al ragazzo davanti a lei intento a leggere il giornale del giorno prima trovato poco prima sul tavolino davanti al divano. Aveva un’espressione cupa e nervosa dovute alla nottataccia trascorsa per la luce abbagliante da cui non vi era riparo, che gli aveva fatto rimpiangere l’ultima notte sulla terra, da lui reputata allora troppo luminosa ma almeno degna di tale nome, e dovuta anche alla prolungata astinenza dal fumo. –  Viene con me? –

- Dove vai? – le rispose lui senza alzare gli occhi – Devo fare qualche commissione. Poi, ecco…avevo intenzione di andare da mia madre e mio fratello. -

Stavolta Sanzo alzò lo sguardo vagamente incuriosito – Non mi fraintenda, non voglio andare nel suo mondo a trovarli, sarebbe impossibile, oltretutto. – precisò lei  con un sorriso vagamente imbarazzato. Poi riprendendo un tono serio  - C’è una specie di santuario, molto lontano dal palazzo imperiale. Vi sono delle lapidi, in ricordo di chi, come mia madre e Junichi ha subito un trattamento particolare. Non è un cimitero, e ovviamente non ci sono le spoglie di questi dèi. E’ un luogo dove queste persone vengono ricordate, e gli si augura una vita non certo lunga ma felice. Ci vado da tre anni più o meno, dal momento in cui mi sono ripresa dalla scomparsa di mia madre. -

- Capisco – disse Sanzo posando il giornale sul tavolino e alzandosi lentamente dal divano del salotto – Allora andiamo. – rispose, con la speranza di trovare sulla via il giornale di quel giorno e con quella meno fondata di trovare un buon tabaccaio.

 

- La strada non è molto lunga, per mia fortuna – disse Mizuko carica di sacchetti della spesa dirigendosi per le varie strade nuovamente affollate e sempre più intricate – Altrimenti non so proprio come farei a girare per la città con questo peso. - aggiunse sorridendo. Prima di andare al santuario si erano diretti al mercato, lo stesso in cui era avvenuto il loro primo incontro, o meglio il loro scontro. Rivedere la piazza con alberi di ciliegi in fiore di quegli attimi di caos mentale, e che era apparsa solo poco prima molto più nitida era stato strano. Sembrava fosse passata un’eternità da quando si era svegliato in una di quelle panchine, tanto da non ricordarsi con sufficiente sicurezza su quale di esse si fosse svegliato.

 

- Come mai mi hai portato con te? – disse lui improvvisamente, seccato di non aver trovato tutto ciò che cercava. – Sarebbe stato più logico portare con te tuo padre. -

- Lui non viene al santuario.- disse semplicemente lei – Non ha mai voluto rievocare il dolore della perdita dei suoi cari. Mia madre era tutto per lui. Si è sempre rifiutato di venire con me, e già da molto tempo ho rinunciato a chiedergli di accompagnarmi. - si interruppe – Per quanto riguarda lei, volevo farle vedere la città, anche se il mercato l’avrà sicuramente già visto. - a Sanzo non sembrò il caso di contestare che in realtà di ciò che aveva visto il giorno prima si ricordava poco e niente. Avrebbe accennato al suo risveglio sulla panchina e quindi a quella storia assurda in cui si era immischiato.

- Inoltre ho sempre odiato andarci sola. Ho sempre dovuto farlo però. Immaginerà anche lei che mi è impossibile portare gli amici in un posto del genere. – aggiunse.

 

Arrivarono davanti ad un edificio dall’architettura molto particolare all’interno di un grande cancello di ferro battuto – Questo è il santuario di cui le ho parlato – disse Mizuko – Entriamo. E’ tutto all’interno di questo edificio. –

Si trovarono in un ampio locale dal soffitto molto alto, illuminato da una luce vagamente rossastra a causa delle pareti carmine e del pavimento di ugual colore, che penetrava dalle varie finestre con sfumature rosa, e che dava l’impressione del tepore. Pareva davvero un posto singolare, in cui perfino la regola dell’assenza delle ombre faceva un’eccezione.

Più in la stava ciò di cui Mizuko gli aveva parlato, lapidi di pietra biancastra in fila spiccavano nella luce tetra di quel luogo. Lei si avvicinò a loro, percorrendo le varie file di innumerevoli lastre di pietra seguita a ruota da Sanzo, e i loro passi rimbombavano nell’enorme edificio. Durante la strada il biondo soffermava distrattamente lo sguardo su di esse leggendo nomi e iscrizioni riportate su di esse, piene di significato per molte persone ma prive di qualsiasi importanza per lui, come del resto quello stesso luogo, che sebbene imponente non sembrava proprio volesse dirgli nulla o trasmettergli alcuna emozione. Ruri, Kyoko, Kaori, Rin Rei, Fumiko… finalmente Mizuko si fermò davanti a due lapidi, Shizue Akiyama, Junichi Akiyama – li hanno messi vicini – Spiegò lei posando dei fiori – Almeno qui lo sono ancora. E io mi sento vicina a loro. Può sembrare strano, ma è così – Si sedette davanti ad esse, chiuse gli occhi e non disse più nulla.

 

Sanzo la osservò in silenzio senza dire una parola. Poteva trovare assurdo pregare come in un cimitero non per la morte ma per la vita di persone care. Ma non era la stessa cosa anche nel mondo terrestre, quando una persona in lacrime davanti a una lapide non pensava che probabilmente quell’anima, da qualche altra parte nel mondo continuava a esistere? La sorte di ognuno era quella. Tutti, da morti non avrebbero fatto altro che rinascere, vivere e morire all’infinito, e questo sarebbe dovuto essere anche il suo destino. E, pensava, quello di una vita troncata davanti ai suoi occhi dieci anni prima.

L’immagine vivida del sorriso del maestro ricomparve davanti agli occhi di Sanzo. Non si era mai seriamente fermato a pensare a quella possibilità. Che fosse rinato e che proprio in quel momento stesse vivendo una vita totalmente diversa? Se così era il suo dolore, di Mizuko e di tutti gli altri non era causato dalla sparizione totale della persona, ma dal fatto che la si era persa chissà dove, consapevoli che essa non conservava alcun ricordo di loro e che nella loro vita non la si sarebbe rivista mai più. Era perché rivoleva quella persona vicina? O per suo semplice egoismo e non preoccupandosi realmente per essa, e non più per se stesso? Quello era sempre stato l’insegnamento che aveva ricevuto, ricordato e ripetuto tante volte la notte prima, dopo la frase ironicamente pronunciata da Mizuko, e a darle i tocco perfetto quel “signor Koryu”, un suo vago tentativo di non apparire più di quanto non lo facesse già in quel luogo a causa della sua nomina. Vivi per te stesso. E l’aveva fatto realmente, per tutto quel tempo. Ma la sua vita fino ad ora non era stata altro che una fuga da un tormento indelebile, una colpa da egli stesso attribuita. Non essere stato forte, non abbastanza per proteggere ciò che per lui esisteva al mondo di più prezioso. Una fuga infinita, senza sosta, senza riposo, attenuata dalla vita, e dai suoi problemi, viva più che mai nei giorni inattivi. Nei giorni di pioggia. Quindi i rimproveri a se stesso di essere stato capace di fronteggiare una situazione difficile, e ulteriori rimproveri di non essere ancora capace tuttora di farsene una ragione, e di essere nello spirito forse anche più debole di quanto non lo fosse stato prima, una debolezza compensata dalla durezza e dalla freddezza che da sempre aveva opposto alla vita.

 

Era questo ciò che voleva dire vivere per se stessi? E che cosa avrebbe fatto, se come la ragazza che aveva ora di fronte avesse trovato anche lui una lapide con su iscritto quel nome tanto rifuggito e sostituito sempre da un secco “il mio maestro”? sarebbe stato li per lungo tempo o piuttosto non se ne sarebbe andato cercando di dimenticare quel luogo e non tornandoci mai più con la paura di affrontare un passato che non si riusciva ad accettare, proprio come il padre di Mizuko. Dunque sarebbe stato quello il suo destino?

Doveva andarsene, doveva andarsene subito da lì. Mizuko si rialzò, riprese silenziosamente i sacchi in mano, e con un – Andiamo – si diresse fuori dall’edificio. Per tutta la strada di ritorno nessuno proferì parola, ognuno immerso nei propri pensieri non del tutto differenti per argomento e stati d’animo. Ma mentre nella mente della giovane Mizuko presto svanirono come neve al sole, per far posto alle cose di cui si sarebbe dovuta occupare subito, il pranzo di quel giorno, le faccende domestiche, il tirar su di morale quel padre di cattivo umore, quei pensieri non abbandonarono quella di Sanzo, ogni ora che passava più accentuati. Era come ritornato ad uno di quei giorni vissuti nel suo mondo, con la pioggia che scrosciava monotonamente dalla finestra, ignorando che sulla terra si stesse scatenando davvero un violentissimo temporale. Ma qui c’era il sole, o meglio una luce di cui non si capiva la provenienza, giorno e notte. La sua condizione si era dunque tanto aggravata? Che la domanda di Kanzeon, allora apparsa come retorica, non dovesse non precludere un’altra strada che forse era l’unica da lui percorribile.

 

Quella fu una lunga settimana

 

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Kanzeon Bosatsu sbirciava con un binocolo seduta comodamente sul suo trono. Lo posò in grembo e sorrise soddisfatta.

- Interessante. – sussurrò - E molto divertente. -

- Kanzeon Bosatsu, non capisco proprio cosa ci possiate trovare di interessante e divertente in tutto questo. Ma dico, vi rendete conto di cosa sta succedendo?! Genjo Sanzo sta riconsiderando la sua scelta! E’ da cinque giorni in quello stato, ne manca solo uno alla scadenza e voi trovate la cosa divertente?? – Jiroshin, dopo aver procurato alla padrona ciò che gli serviva, aveva finalmente ricevuto una spiegazione da lei su ciò che essa voleva fare, e ora che ne era consapevole si domandava come potesse lei essere tanto rilassata quando i suoi piani stavano andando a rotoli.

- Calmati, Jiroshin, agitarsi non serve proprio a nulla.- rispose ella tranquillamente con la stessa espressione. – Konzen sta agendo esattamente come avevo previsto. Se non era uno stupido o un uomo che non riflette una volta nella sua vita sull’essenza della vita stessa neppure in punto di morte avrebbe fatto senza dubbio ciò che ora sta facendo.-

- Senz’altro. –  gli rispose Jiroshin un po’ dubbioso - Però ammirare il fatto che non sia una persona del genere non ci serve a nulla, ora, è come ammettere che la strada che dovrebbe percorrere è proprio quella. – disse con enfasi, per cercare di fare capire alla dea criticità della situazione in cui si trovavano

- E chi dice, che in realtà non potrebbe essere per lui quella più giusta? – contestò Kanzeon con stupore di Jiroshin, da sempre abituato a frasi apparentemente strampalate ma piene di significati nascosti, ma che in quest’ultima non ne trovava nemmeno uno – Chi ci dice che la strada giusta da seguire è una sola e che tutte le altre sono sbagliate. Non sono forse tutte le strade a loro modo ugualmente giuste e sbagliate? –

- Capisco ciò che volete dire, Kanzeon Bosatsu. – disse Jiroshin dopo qualche secondo non essendo però così tanto convinto - Ma con questo state dicendo che accettate che Sanzo scelga la strada della morte?-

- Certo che no, Jiroshin, non ho certo fatto tutto questo per poi sentirmi dire una risposta del genere. - gli rispose lei come se la cosa fosse ovvia.

- E allora? Volete forse obbligarlo a rispettare i vostri piani? – domandò Jiroshin stupito.

- Non ho nessuna intenzione di farlo. E non guardarmi con quella faccia di rimprovero. – disse lei cogliendo nel servo quel tono particolare. E rivolgendo lo sguardo in lontananza continuò - Sarà lui a decidere del suo futuro. E sono sicura della risposta finale. Al cento per cento. - abbassò il capo con un altro sogghigno – Lui non morirà, non è nel suo stile sparire così. Ma vivrà e riapparirà davanti ai suoi compagni. Non se ne andrà senza aver detto nulla, qualsiasi cosa essa sia, un semplice saluto o un insulto in piena regola. E questo vale per tutti. Specialmente per il ragazzino dagli occhi dorati. – concluse ambigua.

- Però…manca solo un giorno alla scadenza. – gli ricordò il servo - Ne siete proprio sicura?- gli chiese non ancora del tutto convinto.

- In un giorno possono succedere molte cose… - gli rispose lei -… e non me ne voglio perdere neanche una – . Quindi riprese il binocolo e continuò ad osservare divertita mentre il suo servo si dirigeva altrove interpretando felicemente  quell’ultima frase come un intimazione a sparire da lì.

- Jiroshin – disse infine con disappunto di quest’ultimo – intanto che ci sei portami un altro bicchiere di quel buon saké. Voglio proprio godermi l’ultimo atto. -

- Come desiderate. – rispose lui, da giorni divenuto un improvvisato barista a tempo pieno.

 

 

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Giù nel mondo terrestre la situazione non era altrettanto calma e rilassata. Mentre Goku rimaneva immerso nelle sue sempre più cupe riflessioni, e non più sollevato di quanto lo fosse stato sei giorni prima, Hakkai e Gojyo, da tempo rassegnatisi allo stato di depressione del giovane demone, che ritenevano fosse meglio lasciare in pace, radunati da tempo nella stessa stanza erano intenti a contemplare le meraviglie di quello che sembrava essere a tutti gli effetti la nemesi di Noè.

- Dannata pioggia.- imprecò Gojyo ad alta voce – Sei giorni che piove e tuona e sei notti che mi sveglio per questi maledetti fulmini! Ormai sento perfino nel sonno lo scrosciare della pioggia! -

- Incredibile, non trovi? - gli rispose Hakkai assorto - Mai vista una cosa simile. -

- Incredibile dici? Terrificante, vuoi dire! Giorni e giorni bloccati qui dentro!- contestò Gojyo disperato, e ripeté come in trance la cantilena ormai di tutti i giorni - Niente birra, niente saké, perfino niente sigarette. E quel che è peggio a parte la vecchia locandiera bisbetica niente donne!! Peggio di così! -

- Dovrai abituatici. – gli rispose Hakkai divertito – Si narra che il diluvio universale durò parecchie settimane, e ci vollero ben quaranta giorni prima che il suolo si fosse asciugato abbastanza da poter mettere piede a terra.- aggiunse con il solito indice alzato e l’espressione sorridente.

- Non sei affatto divertente, Hakkai! . E qualcun altro oltre a me non apprezzerebbe molto queste insulse eresie occidentali!-

 

Dopo un po’ calò il silenzio: entrambi si sedettero e stettero per un po’ a osservare il lento cadere della pioggia al buio illuminati solo di tanto in tanto da qualche fulmine.

 

- Ci stai ancora pensando? – chiese Gojyo d’un tratto.

- Non potrei dirti di no. – gli rispose Hakkai senza distogliere lo sguardo dalle gocce di pioggia che scivolavano lungo il vetro della finestra. Durante quei giorni, rimasti bloccati per tutto il tempo, era come se il tempo stesso si fosse fermato in una sorta di limbo. Riusciva difficile trovare qualcosa da fare per distrarsi da quei pensieri che insistentemente prevaricavano sugli altri, fosse anche, come diceva Gojyo, una semplice fumata. Sembrava di essere fuori dal mondo. Proprio come in quella famosa arca.

 

- E’ ancora tutto così surreale, neanche dopo sei giorni riesco a credere che tutto questo sia successo davvero. Che sia finita in quel modo, che quella predizione assurda sia risultata vera. Che non lo rivedremo mai più. –

 

Gojyo provava esattamente la stessa cosa. Inutile illudersi di dimenticare con brevi pause e battute come quelle di poco fa. Dopo pochi istanti erano ancora lì, intenti  a fissare la pioggia, incapaci di pensare ad altro che a quel pomeriggio. Sanzo odiava tanto la pioggia. Almeno, gli veniva da pensare, a quest’ora non avrebbero dovuto stare a sopportare il suo malumore, con questo finimondo. Ma non gli sembrò affatto il caso di pronunciare quella frase ne tantomeno di pensarla. Quella presenza insostituibile mancava anche a lui, anche se era difficile ammetterlo perfino a se stesso. I litigi, gli scontri, perfino le harisenate, le urla e le successive imprecazioni. Anche se tutto ciò ripensandoci non aveva alcun senso, e lo faceva sentiva come uno di quegli incalliti sentimentalisti. Però era così, non lo poteva negare. E fin da quando erano risaliti sulla jeep, dopo quella tragica vittoria, vedendo il posto di fianco ad Hakkai lugubremente vuoto aveva immaginato che sarebbe stato così.

 

– Quegli attimi, non potrò mai dimenticarli, e per un po’ non riuscirò a pensare ad altro. – continuò Hakkai parlando non solo a Gojyo ma anche a se stesso - Ma questo vale anche per te, vero?- disse ora rivolgendosi solo a lui e guardandolo negli occhi.

- Purtroppo si. Una lotta del genere e con un esito oggettivamente vittorioso. Viene da chiedersi chi sia stato realmente fra noi ad avere vinto. E dire che solo noi abbiamo avuto la gran fortuna di rimanere coscienti e di conservare qualche ricordo di quel pomeriggio.- concluse il mezzo demone ironicamente.

 

Hakkai abbassò lo sguardo - Forse è meglio così.- rispose poi.

 

- Fino a quando hai intenzione di tenerglielo nascosto. - domandò Gojyo insistendo su quell’argomento.  Anche Goku gli mancava. Già, proprio così. Da quando gli avevano detto quella verità seppur distorta era come caduto in uno stato catatonico. Non parlava, non mangiava, non cercava nessuno e poche volte lo aveva visto addormentato. Se ne stava sempre li, chiuso in quell’ostinato silenzio, seduto sopra al letto, le braccia che cingevano le ginocchia a fissare la pioggia che altrettanto ostinatamente cadeva. Proprio come cinque giorni fa l’avevano lasciato.

 

- Ancora non lo so. – gli rispose Hakkai incerto - Ma ora non è il momento adatto per dirglielo. -

- Non sarà mai il momento adatto, Hakkai, ma peggiorerà di giorno in giorno, più tardi glielo diciamo, più male gli faremo.- Si domandava perfino perché stesse dicendo quelle parole. Era come se fossero rimasti solo loro due in quel lugubre gioco deciso dal destino, e francamente l’idea non gli piaceva affatto. Avrebbe voluto prenderlo uno di quei giorni riscuoterlo, urlargli una volta per tutte “e va bene, è morto, ma tu sei ancora qui e la vita continua, dannazione!”. Ma sapeva che non era così facile, e che era ingiusto pretendere che dimenticasse come nulla fosse, in quel modo sarebbe stato lui ad avere torto. E poi se anche lo avesse fatto a che sarebbe servito? Sembrava avesse tagliato ogni contatto con il mondo esterno, concentrato in chissà che, e l’unica risposta che gli avrebbe dato sarebbe stata un’occhiata vuota, priva di ogni espressività. Sentiva che sarebbe impazzito, prima o poi, come in una di quelle frivole commedie in cui tutti o muoiono o perdono la testa. O che lo fosse già?

- Lo so benissimo – rispose Hakkai - Ma cosa vuoi che facciamo? Non certo andare in camera sua e dirgli tutto.-

- E invece è proprio quello che dovremmo fare.- ribatté Gojyo alzando la voce.

- E allora diglielo tu!- gridò Hakkai esasperato zittendo immediatamente il compagno rimasto sorpreso da una reazione simile - Diglielo tu, che non hai avuto neppure il coraggio di riferirgli una mezza verità! -

Gojyo ora era furente - Pensi che non riuscirei a farlo?! - replicò guardandolo con sguardo infuocato.

- No. – rispose Hakkai un po’ più contenuto ma non meno risentito - Penso solo che sarebbe inutile biasimare me dato che se avessi dovuto dirglielo tu probabilmente non saprebbe nemmeno che Sanzo è morto.-

- Ma bene! E’ questo che pensi, dunque! Allora sai cosa ti dico? Ora che lo sa, e che è in quello stato, andremo a dirgli che quelle che gli hai detto dopo, con tanta enfasi erano tutte balle e che in realtà è stato lui ad uccidere Sanzo! E che cosa vuoi che ti dica, dopo? “Bene, Hakkai, i miei complimenti, davvero bravo, stupenda recitazione,” oppure “avete fatto bene ad essere stati sinceri con me, e a dirmi che sono stato io ad ammazzarlo con l’espressione di totale godimento e non l’ho fatto a pezzi e dilaniato solo perché lui mi ha fermato prima urlandomi come ultime parole “stupida scimmia”! E’ questo che volevi che succedesse?!  E’ questo?!! -

 

Un tuono fendette l’aria, più violento di tutti gli altri venuti prima, e interruppe il loro litigio facendoli voltare simultaneamente verso la finestra e sprofondare per qualche secondo la stanza nell’assoluto silenzio.

 

Il debole scricchiolio della porta fino a poco prima socchiusa risuonò nel silenzio creatosi, e fece sussultare entrambi, che come prima si girarono  di scatto dalla parte opposta.

Dietro alla porta sostava un’ombra irriconoscibile dal buio. Un altro fulmine illuminò la notte rivelandone l’identità, gli occhi sbarrati, pieni di orrore, paura e disperazione.

Hakkai e Gojyo rimasero in silenzio. Non c’era più niente da dire, ormai, tutto era già stato detto.

 

La pioggia continuava a cadere incessantemente…

 

FINE TERZO CAPITOLO

Dopo una lunga, lunghissima pausa, rieccomi qui a scrivere questa fanfic. Scommetto che non vi aspettavate di trovarvi il terzo capitolo, magari pensando che l’avessi abbandonata. Non l’ho mai fatto, ma diciamo che mi sono dedicata a una lunga pausa, che però ha avuto i suoi buoni motivi. Ho avuto ( e ho tuttora) un po’ di problemi con il computer e non starò spiegarveli ora, fatto sta che ho perso tutto ciò che avevo scritto e non ho potuto riscriverlo per un bel po’, fino a quando non mi ritornasse indietro per lo meno funzionante. E immaginatevi voi riscrivere quindici pagine daccapo! Ma finalmente, dopo più di tre mesi ce l’ho fatta: è un po’ un capitolo intermezzo della storia, lo ammetto, ma era un passaggio obbligato. Nel prossimo capito verremo al dunque, e spero di non farvi aspettare ancora così tanto, ma per ora non posso promettere nulla. Non ho molto da dire, oltre a tutto ciò, quindi lascio la parola a voi. Fatemi sapere che cosa ne pensate, per recensione o e-mail. L’indirizzo è sempre lo stesso del primo capitolo: soniagorla@msn.com . A chiunque ne avessi dato un altro avviso di cancellarlo. Esiste ancora come indirizzo ma per i soliti problemi non potrei leggerne la posta.

Ringrazio infine chi ha commentato, e cioè Miku, sempre la prima a leggere, Kakashi, Hisoka, Kairi84, Ruki  e Sakura87, ma ovviamente anche tutti gli altri che leggono senza recensire, con la speranza che stavolta lascino un commento, nel bene o nel male. Se sarete in tanti a commentare vi prometto che ce la metterò tutta, altrimenti…penso proprio che dovrò ritirarmi del tutto! Con questo vi saluto e auguro a tutte buone vacanze!

 

 

 

9.16        28/07/05

 

  
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