Too
much to say
Prologo
*
Non era possibile.
Stava perdendo il lume della ragione e lo sapeva: ma la colpa non era sua, era
di Sara.
Di quella ragazza magnifica con cui era stato il sabato precedente, e che non
sentiva da allora. Esattamente da una settimana.
E la cosa non era plausibile, nemmeno lontanamente concepibile anzi.
Perché mai non avrebbe dovuto richiamarlo? Quante volte lo aveva fatto lui,
dieci, venti?
No, di più, molte di più ma lei non aveva risposto: mai.
Quello che Federico provava in quel momento, mentre il professore parlava di
Platone, era rabbia. Ira pura per il fatto che si sentisse rifiutato, dopo che
era stato così bene, dopo che aveva scoperto di essere disposto a tutto per
lei: aveva riportato la moto nel garage da cui l’aveva rubata, e questo
perché lei, guardandolo con quegli occhioni da cucciolo capaci di disarmarlo
totalmente glielo aveva chiesto.
Senza pensarci su aveva acconsentito, sentendosi poi felice: contento e leggero
come non era mai stato. O almeno era andata così fino a quando non si era
accorto che lei lo ignorava volutamente.
Non rispondeva alle sue chiamate, si rifiutava di parlare quando chiedeva a
Luca di intercedere per lui, non aveva voluto vederlo. Passate poco più di
ventiquattro ore da quando erano stati assieme lei aveva cominciato a fingere
che non esistesse. E la cosa lo feriva terribilmente, riducendolo in uno stato
di confusione e delusione che si accavallavano, sostituendosi alternativamente.
A distrarlo fu il bigliettino che gli atterrò sul quaderno: era un foglietto
mal accartocciato, a quadretti; si voltò il minimo indispensabile per guardare
se fosse il caso di leggerlo o meno: vide Lorenzo dietro di lui ammiccargli,
facendogli segno di aprirlo e così fece.
“ Si può sapere che cazzo hai?”
Tipico di Lorenzo. Che avrebbe potuto rispondere? Ho preso il mio primo palo
dall’unica di cui mi sarebbe potuto dispiacere prenderlo e, ma no che
dico, dall’unica che avrebbe mai potuto darmelo!
No, Lori non avrebbe capito: per quanto fosse un suo amico non era
all’altezza di sentimenti contrastanti come quelli che adesso stava
provando.
Rispose invece con un’altra domanda, dopo aver dato un’occhiata
veloce all’orologio: mancavano venti minuti alla fine delle lezioni.
“ Mi dai uno strappo a casa di Luca?”
Stava per accartocciarlo quando aggiunse altre poche parole, per assicurarsi di
non ricevere un rifiuto:
“ Con la macchina di tua sorella ci mettiamo meno di un quarto
d’ora. E’ importante”
A quel punto ripiegò il foglio e lo lanciò all’indietro, riuscendo a
farlo cadere sul banco dell’amico.
Questi lo lesse velocemente e dopo averci pensato per qualche minuto annuì
verso Federico, comunicandogli il suo consenso.
Quando la campanella suonò entrambi scattarono veloci in piedi, già pronti e
uscirono dall’aula, correndo quasi alla macchina; affiancandolo Lorenzo
mormorò:
- Sai che non ho la patente vero? E che se ci beccano finiamo male-
Federico annuì distrattamente: non gli importava e se si fosse sentito in grado
di guidare non avrebbe certo chiesto aiuto ad altri.
Raggiunsero la casa in meno di un quarto d’ora, come aveva detto Fede e
quando l’auto si fermò nel vialetto rimasero entrambi immobili: Lorenzo
osservava l’amico, si era subito accorto che qualcosa non andava, e il
fatto che sembrava che in casa non ci fosse nessuno non lo sorprese.
Continuava a studiare le reazioni di Federico: l’agitarsi nervoso della
sua gamba, il modo in cui si mordeva il labbro, come si passasse in
continuazione il dito sotto il naso…
Lorenzo teneva in gran considerazione l’amico: era uno dei ragazzi più
popolari, quello più intelligente, portato per qualsiasi materia e sport, con
file interminabili di ammiratrici, ma da più di un mese si comportava in
maniera sospetta e da una settimana a quella parte addirittura non sembrava neanche
più lui.
Fece per dire qualcosa, chiedergli spiegazioni, ma l’altro non gliene
diede il tempo: con un salto veloce si portò fuori dalla macchina e iniziò ad
avvicinarsi alla casa. Bussò per quasi cinque minuti senza fermarsi ma non
ottenne risultati: prese a girare attorno alla casa, ed era al terzo giro
quando notò un movimento dietro la finestra al terzo piano. Si fermò di colpo,
concentrandosi su quel vetro, perché la finestra era quella della camera di
Sara.
Fece per tornare alla porta e ricominciare a bussare, ma poi cambiò idea e
cominciò a issarsi sull’albero alla sua sinistra: in pochi minuti riuscì
a raggiungere l’altezza del terzo piano, si fermò in ascolto e quando
sentì un rumore soffocato provenire dall’interno non si trattenne più.
Cominciò a battere con il pugno sul vetro e man mano che non arrivava risposta
aumentava il battito regolare, rendendolo sempre più forte e costante. Dopo non
molto sentì uno spostamento d’aria e si accorse che avevano aperto
leggermente la finestra: con un piccolo salto si ritrovò fuori la camera e
spingendo il vetro fece per entrare.
La stanza era sommersa nel buio e quando mosse un passo, quasi cadde perdendo
l’equilibrio per colpa di un qualcosa per terra: capì che era un
qualcuno, che era Sara, quando ne avvertì il respiro affannato. Si piegò
immediatamente sui talloni, mettendosi quasi in ginocchio: l’occhio
cominciava ad abituarsi a quella penombra e riuscì a distinguere meglio la
figura di lei, rannicchiata ai piedi del letto, con le ginocchia strette al petto
e il corpo squassato dai singhiozzi.
Non riusciva a vederle il viso, nascosto sulle ginocchia, ma anche solo vederla
tremare a quel modo, in maniera irrefrenabile e incontrollata, riuscì a
stringergli il cuore togliendogli il respiro.
Prese posto di fianco a lei, avvolgendola con un braccio, ma Sara si allontanò
continuando a piangere. Federico tornò ad avvicinarsi e con due dita le sollevò
il volto.
Si ritrovò a fissare lo sguardo in due occhioni celesti diventati quasi liquidi
tante le lacrime che contenevano. Se anche quell’acqua li rendeva ancora
più belli, allo stesso tempo le rigava il volto e bagnava i lunghi capelli
neri, riuscendo solo a far desiderare a Federico che sparisse al più presto.
- Cos’è successo?-
Lei scosse la testa in risposta, tentando di distogliere lo sguardo ma lui non
glielo permise, continuando a porgerle sempre la stessa domanda, fino a quando
Sara non prese un bel respiro, e cercando di controllare il tremore che la
agitava rispose balbettando:
- Sono incinta-
*
Rieccomi!!
Vi siete già stancati, vero?
No! Non scappate! xD Non è così la
storia... cioè non posso dire niente, veramente, ma vi assicuro che è diversa
da qualunque cosa possiate star pensando.
In fondo dovete pur tener conto che è ancora
solo il prologo ^^
Ad ogni modo un bacio a tutti e ....
... alla prossima!