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Autore: Kokky    17/03/2010    3 recensioni
Un mondo parallelo e antico, popolato da vampiri che si muovono nell'ombra e umani troppo ciechi sui nemici succhiasangue. L'esercito, i positivi e gli alchimisti sono gli unici che possono proteggere l'umanità da ciò che stanno bramando i vampiri...
Un'umana insicura. Due piccoli gemelli. Un vampiro infiltrato. Una squadra di soldati. Una signora gentile e un professore lunatico. Una bella vampira e il capo. Due Dannati. L'Imperatore e i suoi figli. Una dura vampira. E chi più ne ha più ne metta!
Di carne sul fuoco ce n'è abbastanza :)
Provare per credere!
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Positive Blood' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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93 – L’attuazione del piano

Una lettera arrivò alla cava all’inizio d’ottobre. Aveva impressa sulla chiusura un marchio rosso, una G elaborata che simboleggiava la famiglia Gray.
La missiva fu recapitata a Violet, che lesse con grande interesse le notizie scritte da Gabriel. Lei e Armelia sarebbero dovute partire verso Aiedail, pronte a rapire la figlia dell’Imperatore, Eve; in più dovevano portare con loro un altro vampiro, un aiuto nella missione.
Violet si rigirò fra le mani la lettera, pensando a chi avrebbe potuto scegliere... qualcuno della sua famiglia e qualcuno di non troppo giovane, per potersi fidare al cento per cento. Maximilian lo dovette escludere: portava il cognome Liddell, lo stesso di Armelia, ed era poco più che trentenne.
Adam non c’era più, fuggito da quella prigione insieme alla ragazza umana (Sofia, era quello il suo nome?), e quindi inutilizzabile. Peccato, con lui si sarebbe divertita di sicuro; era da molto che non stavano insieme, le mancava punzecchiarlo… anche se, effettivamente, aveva trovato un altro vampiro da stuzzicare.
La Dannata vagò un po’ nei corridoi che davano sulle stanze dei vampiri, ragionando fra sé e sé. Sapeva rimanere seria quando c’era un motivo importante per farlo, anche se preferiva basarsi sull’istinto – e non sulla ragione – in qualsiasi situazione.
Ascoltò con poca attenzione i discorsi dei suoi simili, che parlavano al di là delle porte chiuse.
Poco dopo, si fermò di fronte alla stanza di Maximilian, Hassan e altri due vampiri, poi sorrise soddisfatta. Hassan, l’amico di Max, avrebbe fatto al caso suo.
C’era la soddisfazione di non lasciare appagato il Dannato come causa principale, ma la bimba glissò quel pensiero.
Bussò alla porta, attendendo una risposta.

Maximilian la guardò cupamente, eppure non professò parola. Rimaneva immobile nel suo mutismo, irritato di non essere stato scelto.
Sapeva che era tutta una provocazione di Violet, era palese. Lei, d’altro canto, lo guardava con appagamento negli occhi – e crudeltà profonda mista a una dolcezza nel torturare ciò che le piaceva – tanto da renderlo nervoso.
«Hassan?», chiese lui. La sua voce ricordava l’oscurità di una gola profonda, una grotta nascosta alla luce del sole, gelida.
«Sì», rispose lei, squillante. Si mosse veloce verso di lui, senza grazia, e gli si sedette accanto.
Erano sul bordo della cava, sulla dura e fredda roccia bruna; il vento spirava leggero, troppo morbido per coprire le loro parole appena sussurrate. La luna, placida sopra i due, era una falce sottile e candida che illuminava fiocamente la terra... mancavano ancora molte ore all’alba.
«Non... non è troppo debole? Io andrei meglio, di sicuro», borbottò Maximilian, senza guardarla.
Violet, compiaciuta, gli mise una mano sulla spalla.
«Non c’è bisogno di marcare il territorio come un cane rabbioso», scherzò la bimba.
Maximilian avrebbe voluto fare qualcosa per lei – perché non era più l’unico al mondo, non era più il bambino inviso dal paese – e allo stesso tempo avrebbe voluto cancellarle il sorriso dal volto. Avrebbe voluto avere la forza di piegarla sotto sé, ma non aveva più il coraggio che pochi anni prima lo aveva spinto alla vendetta (all’omicidio). Adesso si sentiva un’inutile pedina nel grande piano dei vampiri e lei, Violet, era troppo in alto per essere raggiunta, se non con un salto pericoloso e al di fuori delle regole gerarchiche della loro società.
L’aveva già fatto, era vero, ma non era possibile sapere come lei si sarebbe comportata subito dopo: Violet era imprevedibile.
Non si era aspettato di essere messo da parte così presto.
«Non lo sto facendo. Non ho proprietà da marcare», ribatté Max, voltandosi verso di lei. La bimba aveva un’espressione quasi innocente, in quell’istante in cui aveva assorbito le sue parole, stupita di non aver colto nel segno e Maximilian se ne rallegrò. La vide vagare con lo sguardo, solo per qualche secondo, per poi tornare a guardarlo con baldanza.
«E quindi non sei maledettamente geloso di Hassan? Mi deludi, signor portafortuna», disse Violet ironicamente, sistemandosi i capelli smossi dal vento. Non c’era freddo quella notte, non per loro.
«Forse».
Violet sbuffò, non contenta di non aver ottenuto una dichiarazione piangente su quanto era necessario che lui partisse per la missione, e lo sbirciò con la coda dell’occhio. Fremeva d’invidia, Maximilian, era facile da intuire, eppure non lo avrebbe mai ammesso.
Voleva seguirla nella missione. E non poteva dirlo ad alta voce, non poteva chinarsi di fronte al nemico-amico, a lei; Violet ne rise.
Maximilian la fissò in silenzio, aspettando una sua mossa.
Ma sì, alla fine Violet era soddisfatta di quelle parole non dette – che mai nessuno avrebbe ascoltato, nemmeno il vento – e, con uno scatto repentino, lo sollevò da terra e lo trascinò nel volo del salto.
Maximilian non disse nulla neanche allora, s’aggrappò al vestito di Violet e la osservò ridere, mentre precipitavano verso il fondo. Non notò il soffice sorriso che le nacque sul volto, poco dopo, quando risalirono veloci verso la vetta, pronti a rituffarsi; non vide che la sua schiena e bramò di abbracciarla, famelico. Ma resistette nella sua cupa ira, diviso dal desiderio di starle accanto e disintegrarla con le proprie mani.
Passarono la notte in quel modo, rincorrendosi nell’ombra fitta, fra rancore e nostalgia... nel silenzio assoluto, vuoto dei loro respiri e dei loro affanni.
Attesero la luce del sole, senza amarsi, senza odiarsi, ormai svuotati da ogni cosa. Si tennero la mano finché non arrivò la stella a folgorarli con i suoi raggi caldi, poi si salutarono con un rapido e tacito sguardo, non aggiungendo alcun gesto superfluo.
Si allontanarono, mentre nei loro cuori germogliava il seme della voglia. Niente avrebbe fermato quella spinta ad avanzare: Maximilian e Violet si ripromisero di incontrarsi sul campo di battaglia, pronti a fare scintille.
Così sarebbe stato.


Le truppe del S.S.E.V., quella mattina di fine ottobre, non si aspettavano niente di tutto quello che stava per accadere, anzi, presagivano una giornata come le altre. Immaginavano la quiete delle proprie tende piantate nel terreno morbido, assaporavano con noia blanda le ore di allenamento, i momenti di calma piatta e la sbobba che gli sarebbe toccata a pranzo... non avevano nemmeno il sentore di cosa sarebbe avvenuto quella notte.
Il campo era avvolto da un aria di autocompiacimento e sottile leggerezza. Era l’alba e i soldati, coricati sulle loro brandine, s’imponevano di svegliarsi, ma non c’era fretta, né gioia o dolore. Regnava il soffice fischio del vento, che ululava morbidamente fra l’accampamento, scuotendo con dolcezza i panni appesi al di fuori delle tende.
Daniel si alzò poco dopo il sorgere del sole, quando il cielo non è ancora invaso dai suoi raggi prepotenti, ma è già rischiarato dalla luce. Uscì dalla propria tenda con lentezza e si stiracchiò la schiena, poi si osservò intorno: erano stanziati vicino al Grande Lago, a poche miglia da Alesia, ma dalla sponda opposta rispetto alla capitale.
Lì, in piena pianura e con quella fonte d’acqua, l’erba cresceva forte e rigogliosa; alberi costeggiavano l’accampamento, piante dal fusto robusto e la chioma folta. Daniel rammentava la propria patria: una lastra di ghiaccio con qualche pino nelle zone più calde, una terra in cui era difficile vivere o anche solo sopravvivere.
Si era arruolato perché fare il militare gli dava un salario sicuro, era lo stato a pagarlo e non doveva dipendere dalle intemperie del tempo; eppure era proprio quel lavoro ad averlo allontanato dalla sua casa.
Daniel era un tipo bonario e riflessivo, da un amore profondo per le sue radici. Ricordava la sua infanzia passata a correre nella neve, a scivolare con lo slittino nei giorni di vacanza; ricordava quando l’aveva incontrata, la sua donna dal cappotto rosso e il sorriso dolce.
Certo, Daniel non si limitava a questo: amava la tensione prima della battaglia, la concentrazione mista all’adrenalina che aveva quando combatteva, gli piaceva difendere il proprio popolo dai vampiri... ed era anche per sete di gloria che era partito verso Aiedail, l’Impero.
L’orgoglio lo aveva spinto ad andare, l’amore lo aveva trattenuto nel partire, ma infine aveva fatto una scelta.
Ora se ne pentiva, durante la notte, quando i sogni di lei lo tormentavano e le radure innevate dei Paesi del Nord lo attiravano a sé; però all’epoca, giovinetto, aveva ceduto alla brama di successo.
«Muriel», sussurrò, vagando nel campo ormai pieno di voci. I soldati si preparavano ad iniziare la giornata.
Daniel era maturato col tempo e a colpi di battaglie: la baldanza si era affievolita con le morti dei compagni, la voglia di diventare un eroe era passata in secondo piano, il suo amore lontano, alimentato solo da parole e lettere, era divenuto più profondo. Per questo desiderava, adesso, di tornare a casa e di riabbracciare Muriel.
Non c’erano soddisfazioni in ciò che facevano: i vampiri si erano organizzati bene, lui e la sua squadra avevano fallito alla Villa e... non c’era peggiore sconfitta che vedere gli altri soccombere attorno a te. Daniel aveva il timore che sarebbe accaduto proprio quello. I positivi erano considerati dispersi, sicuramente tenuti prigionieri dai vampiri... non c’era molta speranza di riuscita.
Se gli rimaneva poco tempo da vivere, preferiva tornare ad amare la sua donna, a rivedere per un’ultima volta la sua casa, le assi di legno del soffitto, il caminetto acceso; la neve fuori, distinguibile dalla finestra appannata, e il sole che faceva brillare i fiocchi ghiacciati sul suolo.
Daniel era realista su quella situazione: era una pazzia andare a morire per qualcosa di già perso, un mondo ormai in rovina. Ma non poteva cedere al suo orgoglio di militare – non poteva divenire un disertore.
Proprio per tutto ciò, mentre guardava il lago lì vicino, piatto e quieto come uno specchio di spesso vetro, decise di rimanere vivo per poter tornare a casa. Qualunque cosa sarebbe successa, Daniel avrebbe raggiunto la sua Muriel.
Si mosse verso la zona mensa, affamato e desideroso di ricevere la razione, e si mise in fila, aspettando con tranquillità il suo turno.
No, davvero, non c’era nessuno che poteva presagire ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.

Un urlo di terrore squarciò l’aria.
Il grido si propagò lì intorno, testimone della loro colpa. Si affievolì poco dopo, forse per il bisogno di respirare o forse soffocato da una mano candida e gelida.
La cittadina, situata vicino ad Alesia, era piena di quelle grida smorte e di oscurità. La luce alchemica era stata spenta, il cielo era coperto da nubi plumbee e ora si soffocava nel buio.
C’era l’incertezza della notte a far aumentare i battiti, la certezza di qualcosa nella fitta coltre oscura, un qualcuno che si muoveva con velocità sovraumana; c’era l’odore del sangue a far impazzire il cuore.
La gente correva per le strade, cercando un riparo, un portone aperto o un giaciglio nascosto; ma le porte erano sbarrate, i loro stessi compaesani gli negavano l’asilo, per poter vivere almeno loro fino all’indomani.
Le strade erano percorse da lampi di paura – le persone rimaste fuori si acquattavano al muro, cercando di non respirare e non pensare, perché se no sarebbe stato peggio, molto peggio, e allora non gli rimaneva che sperare in qualcosa, in una luce, in un salvatore... mentre altri, più coraggiosi e temerari, tentavano di trovare un’arma, anche solo una sbarra di metallo o un pezzo di legno abbastanza resistente.
La piazza principale era vuota. Il vento continuava a soffiare – era dalla mattina che non smetteva – sempre più forte e incessante; era l’unico rumore che i vivi sentivano, oltre i loro respiri affannati. Non vedevano, il buio li rendeva vulnerabili, ma l’adrenalina era a mille e non avevano voglia di morire.
I loro cacciatori, d’altronde, riuscivano a scorgere nella notte, vedevano le loro povere prede, smaniose nella fuga o nella ricerca di un nascondiglio; non era un problema giocare con quelle persone, anzi diventava tutto più divertente.
Una bimba corse in mezzo alla piazza. Era scappata dalla propria casa, dove sua madre era stata massacrata dai vampiri – però lei non aveva guardato, no, si era messa le manine sugli occhi ed era scappata via piangendo –, e ora vagava da sola. Vagabondava senza una meta, con l’obbiettivo di scappare il più lontano possibile, anche se dentro di sé avrebbe voluto abbracciare la mamma, e avanzò ancora un po’ in direzione di una stradina laterale.
«Ehi, bimba, cosa ci fai tutta qui sola soletta?», le chiese una voce. La piccola alzò la testa e sorrise.
«Mi sono persa, signore», spiegò.
L’uomo si chinò verso di lei e fu in quel momento che la luna, non più coperta dalle nuvole, lo illuminò in volto. Aveva gli occhi scarlatti e i capelli mossi che ricordavano il sangue denso; la sua bocca era irta di denti affilati e sogghignava.
La bimba sbarrò gli occhi e chiese pietà, ma Cain non ne ebbe nemmeno un po’.
Da un’altra parte della città, un uomo sessantenne fece la sua stessa fine. E così molti altri.
La notte si coprì di sangue, la luna fu oscurata da quel livido vischioso e denso e le grida si spensero dopo un poco.
Rimasero le persone rintanate nelle case, eppure anche per loro sarebbe arrivata l’ora della morte. Gli mancava poco, istanti, secondi rubati ad altri che intanto spiravano; minuti forse, ma essa sarebbe giunta lo stesso, inesorabile.
*










Salve!
Volevo scusarmi per il ritardo, ma ho avuto un blocco serio dell'ispirazione e della voglia, perciò è stato difficile continuare. Per fortuna eccomi di nuovo qua ♥ a postare e a incasinare PB xD.
Avevo detto che avrei scritto di nuovo sui soldati, e quindi ecco Daniel. Purtroppo ora sono divisi e dovrò trattarli uno ad uno (beh, così posso approfondirli meglio! Su Daniel non avevo mai parlato così tanto, è stato piacevole e gratificante)... mentre il primo pezzo è la conclusione dello scorso capitolo e un collegamento con il rapimento di Eve, che sta per attuarsi. Invece la scena finale è il "massacro" progettato da Cain alla riunione dei vampiri :)
Ringrazio chi ha recensito: la mia dolcissima Clouddy, l'esagitata Gà xD, l'acuta Liv-Liv e la cara Silvia. Vi ringrazio dal profondo del cuore *-*
Spero di tornare al più presto, di non aver fatto altri errori o refusi di battitura o robe del genere, anzi, spero che sia un capitolo perfetto almeno nella forma e... arrivederci, .
   
 
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