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Autore: Nihal    21/03/2010    2 recensioni
Questa potrebbe essere la fine dei Cullen.
I Volturi sanno tutto, ormai. Loro hanno i loro mezzi per venire a conoscenza delle violazioni alle leggi che loro hanno stabilito e per far sì che i colpevoli non si sottraggano alle punizioni.

Prima classificata al contest 'Just OOC' indetto da tikei_chan
Genere: Dark, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aro, Carlisle Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 2


Carlisle attraversò silenziosamente il cortile e si avviò verso la porta di casa. Si sentiva pieno di energie; voleva solo fare un salto a salutare Esme per poi dirigersi all'ospedale, il luogo che lo aveva salvato dalla sua mostruosità e che gli permetteva di aiutare gli altri.
Sentì che c'era qualcosa che non andava già prima di entrare. Non udiva la presenza di nessun membro della famiglia e il suo olfatto sviluppato gli permetteva di percepire i rimasugli di un acre odore di bruciato. Istantaneamente gli balenò un’idea in testa, ma la scartò senza indugi. No, non può essere... pensò. Entrò cautamente, con deliberata lentezza, e si diresse verso la fonte dell'odore. Quello che vide nel salotto lo sconvolse. Per un attimo si bloccò a causa dell'assenza improvvisa dei pensieri.
Lo spettacolo che si trovava davanti era raccapricciante. Il dubbio che precedentemente l'aveva assalito riprese piede nella sua testa, che aveva iniziato a pulsare violentemente. Era la prima volta che provava una sensazione del genere e non riusciva a ritrovare la calma sufficiente per comprendere appieno ciò che era successo.
Tutti i mobili erano stati spostati in modo da lasciare un grande spazio nel centro della stanza. Proprio in quel punto una porzione non indifferente di pavimento era annerito e ricoperto da uno strato di quella che doveva essere cenere. Carlisle si piegò e, affondando la mano in quei residui, ne afferrò una manciata osservandola mentre scivolava tra le sue dita e si univa a quella rimasta per terra.
“Questo cosa significa?” Mormorò.
“Forse sono da qualche altra parte...”
In un attimo fece il giro di tutte le stanze, trovandole completamente vuote.
L'ultima era quella di Edward. Una speranza si accese nel suo cuore; magari... magari erano lì e quello era tutto uno scherzo, si disse. Seppur percepisse egli stesso la stupidità di quei pensieri, scelse la via della speranza. Quando cade la speranza, allora non c'è più alcun motivo per vivere, affermava suo padre. E lui voleva un motivo per vivere, non poteva smettere, non ce l'avrebbe fatta.
Aprì la porta con un'esasperata lentezza, pronto a vedere la sua famiglia riunita lì ad aspettarlo. La delusione nel vedere quella stanza vuota, disabitata, lo colpì talmente forte da costringerlo a sedersi.
“È assurdo, i vampiri non hanno bisogno di sedersi, io sto bene in piedi!” Affermò, senza logica alcuna, restando accasciato sulla sedia e stringendone convulsamente i bordi.
Era possibile che fossero tutti morti? Perché? Era fosse successo qualcosa a Forks? Per un istante si rammaricò di essere passato prima per casa, ma immediatamente dopo una nuova possibilità riaprì il suo animo alla speranza.
Magari la sua famiglia aveva lottato contro qualche vampiro capitato nel loro territorio e li avevano uccisi, per poi allontanarsi. Loro, però, non uccidevano se non era strettamente necessario. Forse avevano cominciato a farlo.
Forse mi hanno abbandonato perché io mi rifiuto di uccidere!, concluse sconvolto.
Quella teoria non reggeva, lo sapeva anche lui, ma non poteva lasciare che l'angoscia annebbiasse la sua mente. Lui desiderava con tutto il suo cuore che gli altri fossero ancora vivi, che Esme fosse ancora viva.
“Se volete che uccida lo farò!” Gridò disperato.
“Però tornate indietro, portate anche me con voi!”
La sua famiglia lo aveva abbandonato? Era possibile?
In quel momento l'occhio gli cadde su un diario rilegato in pelle, che era posato sulla scrivania. Da quando in qua Edward teneva un diario? E perché lo aveva lasciato così allo scoperto, senza premurarsi di nasconderlo?
Questo avvalla la mia teoria, rifletté. Sono scappati in fretta, senza premurarsi di avvertirmi. E in quel momento un senso di ingiustizia lo pervase. Lui aveva dato la vita eterna a tutti loro affinché vivessero come una famiglia e stessero insieme, non perché lo lasciassero da parte andandosene.
Senza alcun rimorso aprì il diario. Dopotutto se era lì voleva dire che a nessuno importava se fosse stato letto oppure no.
In pochi minuti il contenuto di quelle pagine gli fu chiaro.
Lo credevano sciocco fino a quel punto?
Avrebbero potuto evitare di costruire una storia tanto artificiosa e abbandonarlo in un modo più onorevole, ovvero mettendolo al corrente della loro decisione.
Era tutto fin troppo chiaro: quella era una montatura, peraltro orchestrata in modo davvero maldestro.
Lui aveva voluto fare del bene salvando le loro vite quando erano in punto di morte e si era innamorato di una di quelle vite che aveva salvato.
Loro come lo ricambiavano? Con uno squallido teatrino, fingendosi morti.
Forse non aveva fatto una cosa buona, salvandoli. Forse era stato presuntuoso da parte sua credere di poter fare del bene; dopotutto lui era una creatura malvagia.
Poteva poi lui conoscere la divisione tra bene e male? Forse aveva compiuto un atto malvagio ed era stato ripagato attraverso un'azione altrettanto malvagia.
Ignorando il dolore che gli si stava insinuando nel petto, si alzò di scattò e gettò a terra il diario con un gesto stizzito.
Ecco cosa ci aveva guadagnato a tentare di rinnegare la sua natura. Si era negato il piacere del sangue umano e aveva tentato di stabilire dei legami con i suoi simili. Ovviamente quella era stata la cosa sbagliata da fare.
Lui era un medico, quindi queste cose avrebbe dovuto saperle fin dall'inizio. L'istinto non si reprime.
“Carlisle, da quanto tempo.”
Carlisle si voltò, per trovarsi davanti la figura di Demetri. Si era fatto prendere in modo tale dai suoi pensieri, da non essersi reso conto del suo arrivo.
“Cosa ci fai qui?” Ringhiò quasi.
Lui sorrise amabilmente: “Sai, ho pensato di venire a consolarti. Dopotutto non capita spesso che un clan sia sterminato.”
Non ci poteva credere. I Volturi si erano fatti davvero coinvolgere? Certo, aveva senso. Lui alla 'famiglia reale' non era mai andato a genio, quindi quale migliore occasione per tentare di farlo impazzire? Ancora non riusciva a capacitarsi del fatto che la sua famiglia lo avesse abbandonato così.
Una cosa era certa, non sopportava quello sguardo supponente che aveva messo su Demetri. Chi si credeva di essere?
“Smettila di sorridere! Non riuscirai a prendermi in giro in questo modo!” Gridò.
Demetri tentò di sembrare sbalordito e indignato: “Carlisle, capisco che tu debba elaborare il dolore, però calmati!”
“Smettila di usare quel tono. Io non ho nessun dolore da elaborare.” Affermò, mentre la rabbia, generata dall'istinto che aveva trattenuto per anni e anni, si accumulava.
Un'altra parola sbagliata e avrebbe inaugurato la sua nuova ira.
“Sei proprio un ingrato Carlisle. Io ero venuto solo per offrirti una posizione all'interno dei Volturi, in modo da non costringerti a diventare uno di quei ripugnanti vampiri solitari. Sai, quelli che vivono nei tuguri; tu, invece, mi rispondi in questo modo?”
“Adesso basta!”
Carlisle si gettò su di lui con tutte le forze che aveva, prendendolo per il collo.
Demetri cercò di allentare la stretta ferrea, senza riuscirci.
“Carlisle, cosa diavolo stai facendo?” Chiese.
“Ti uccido.” Rispose lui, calmo. Sembrava che l’ira di poco prima fosse svanita, al contrario della voglia di togliere la vita al vampiro che si trovava tra le mani.
Detto questo, con un sonoro crac fece ruotare la testa di Demetri di trecentosessanta gradi e la staccò dal corpo.
Gli ci volle poco per accendere un piccolo falò – la stanza di Edward era piena di libri che sicuramente non gli sarebbero più serviti – ed eliminare per sempre colui che poco prima si era preso gioco di lui.
Mentre gettava alle fiamme i suoi resti, non poté trattenere un sorriso: forse aveva capito perché era stato abbandonato. Si era sempre rifiutato di usare la violenza, di cibarsi del sangue degli umani... di fare tutte quelle cose che per la gente come loro erano assolutamente normali.
Quel momento segnava una svolta. Non si sarebbe mai più sentito mortificato nei piccoli attimi di cedimento, non avrebbe mai più messo a tacere la sua sete.
Un impeto di libertà lo avvolse con una dolcezza disarmante e si rese conto che finalmente aveva capito tutto. Aveva capito la vera essenza del bene. La morte di Demetri non era stata un male, perché aveva fatto bene a lui; era stata una cosa buona per lo stesso Demetri, perché da quel momento in poi non avrebbe potuto più soffrire.
Il bene e il male non erano opposti, come aveva sempre creduto. Non erano bianco e nero, ma piuttosto un'unione dei due colori. Erano entrambi grigi, vi era un’identità tra loro.
Sì assicurò che non fossero rimaste delle parti integre tra la cenere e poi aggirò con grazia quel punto del pavimento, in modo da poter uscire più agevolmente.
“Bene, direi che adesso inizia la mia nuova vita. Quella vera.” Affermò, rivolto a nessuno in particolare.
Per prima cosa avrebbe fatto uno spuntino. Era vero, si era appena nutrito, però quella brama che era rimasta sopita per oltre trecento anni aveva bisogno di essere saziata. In poco tempo si ritrovò nel centro della città. Si guardò intorno, circospetto. Non era stupido, sapeva di aver appena ucciso un membro importante dei Volturi e sapeva anche che quell'azione avrebbe portato a delle serie conseguenze.
Si chiese come mai Forks fosse così deserta, soprattutto in quell'ora del giorno. Soprattutto nel momento in cui voleva servirsi dei suoi concittadini.
Dopotutto, forse era meglio così. Non era il caso di aggredire qualcuno proprio lì. Avrebbe dovuto cercare un'altra città e magari attendere che facesse sera. Peccato che quella era l'unica cosa che in quel momento non voleva fare.
Si mise a ridere. Era così divertente.
Era riuscito a trattenersi per così tanto tempo e ora non poteva aspettare mezza giornata. Rideva così forte che non si accorse della figura che si era lentamente avvicinata a lui.
“Carlisle, ti vedo felice. Non è un po'... strano da parte tua?”
Carlisle si bloccò di colpo. Possibile che i Volturi fossero venuti a conoscenza così presto della morte di Demetri?
Si voltò lentamente, dopo aver abbandonato il sorriso.
“Aro, che dispiacere.” Disse, lasciando da parte la finta cortesia che una volta usava nei suoi confronti.
“Non capisco perché dovrebbe essere strano.” Continuò poi.
Si chiese vagamente il motivo per cui non si fosse portato dietro la scorta.
“Hai appena perso la tua famiglia, mi sembra singolare che uno come te ci rida sopra.”
Dovevano smetterla con quella storia.
Sicuramente non si sarebbe disperato a causa loro. Checché dicessero, lui lo aveva capito dall'inizio cos'era successo.
“Io non ho perso nessuno, puoi anche evitare di raccontarmi menzogne. Loro se ne sono andati e io ne ho preso atto. Smettila con questa presa in giro, per favore.”
Per un attimo Aro si stupì davvero.
Ma di cosa stava parlando?
“Carlisle, potrei toccarti?” Chiese lentamente.
Carlisle indietreggiò spontaneamente. Non capiva perché Aro volesse leggerli i pensieri. Lui non voleva che scoprisse così in fretta ciò che aveva fatto.
“No.”
Aro agitò la mano, infastidito.
“Suvvia, Carlisle. Tanto sai che in un modo o nell'altro lo farò lo stesso, vero?”
Carlisle si bloccò e considerò le alternative.
La scelta migliore che poteva fare era quella di far conoscere ad Aro la verità e, se le cose si fossero messe male, eliminarlo.
Una strana sensazione lo fece fremere. Aveva voglia di ucciderlo.
Più tardi, non ora, si disse.
“Bene, puoi entrare dentro tutti i miei pensieri, se la cosa ti rende felice. Prima che tu lo faccia, devo però informarti che ho ucciso Demetri.”
Tre sentimenti diversi iniziarono a scontrarsi dentro Aro.
Rabbia, felicità e scetticismo.
Rabbia perché l'ultimo membro della famiglia Cullen aveva eliminato un suo fido alleato.
Felicità perché aveva finalmente l'occasione di sbarazzarsi di lui.
Scetticismo perché non credeva che il pacifico Carlisle sarebbe potuto arrivare a compiere un atto del genere.
Ovviamente nessuna di queste sensazioni trapelò all'esterno.
“Ora vedremo se ciò che dici è vero.” Annunciò in tono neutro.
Non aggiunse che voleva anche sapere perché Carlisle credeva che la sua famiglia fosse ancora viva.
Quest'ultimo bloccò Aro.
“Prima, però, dimmi perché sei qui.”
“Perché stiamo cercando di risolvere la situazione creata da Jasper, ovvio. Adesso potremmo procedere?” Chiese, con una punta di impazienza.
Carlisle si limitò ad annuire, pensando che non sarebbe mai riuscito ad ottenere la verità da lui.
Si consolò con il fatto che probabilmente dopo lo avrebbe ucciso. O avrebbe ucciso qualcuno altro. Non faceva differenza per lui, l'unica cosa che voleva era provare di nuovo quella sensazione.
In quel momento si sentiva solo svuotato, anche se percepiva ancora vagamente l'eccitazione di poco prima, quella che aveva provato nel mettere fine alla vita di Demetri.
Quando Aro lo sfiorò, provò anche lui quell'eccitazione, insieme a tutte le altre sensazioni provate da Carlisle.
Si scostò, leggermente stupito.
Quindi Carlisle non credeva che la sua famiglia fosse stata uccisa, ma credeva che lo avesse abbandonato. Oltretutto aveva davvero ucciso Demetri.
Scosse la testa, sconsolato.
“Carlisle, hai appena tradito la mia fiducia.”
“Ah, davvero?” Domandò lui, sarcastico.
“Sì. Io credevo che tu fossi un vampiro migliore, invece hai ucciso Demetri senza motivo. Per questo dovrai essere punito, lo sai?”
Sorrise. Non poté davvero trattenersi; finalmente avrebbe messo fine a quella seccatura che per anni erano stati i Cullen.
“Se tu pensi che mi faccia punire senza reagire, allora non meriti il posto che hai nella nostra gerarchia. Non ho intenzione di lasciare che qualcuno ponga termine alla mia vita adesso che l'ho appena iniziata.” Disse.
“Ah, ma io non ho la minima intenzione di ucciderti. Piuttosto vorrei chiederti gentilmente di unirti alla nostra guardia. A giudicare dal sangue freddo con cui hai tolto di mezzo Demetri, deduco che per te non ci sarà problema a diventare uno degli addetti al mantenimento della giustizia.
Aro pose enfasi soprattutto sull'ultima parola.
Non voleva ucciderlo; non per il momento, perlomeno. Evidentemente Carlisle stava impazzendo e lui avrebbe trovato estremamente interessante seguire lo sviluppo delle fasi che stava velocemente attraversando.
Sembrava procedere a periodi alterni. Vi erano momenti in cui era più calmo e altri in cui sembrava fremere di una forza improvvisa, glielo si leggeva anche nelle espressioni facciali.
Carlisle sembrò riflettere seriamente sulla risposta. Aveva intuito che il suo compito sarebbe stato quello di uccidere i criminali e la cosa lo aveva eccitato più di quanto non volesse ammettere.
La sua insofferenza per Aro, però, era un incentivo più che sufficiente a fargli prendere in considerazione l'idea di toglierlo di mezzo seduta stante e non accettare la proposta.
Dopotutto non c'era nessuno lì, avrebbe potuto benissimo liberarsi di lui e poi cercare una fonte di sangue. Il desiderio lo stava corrodendo. Inoltre c'era un'altra cosa che voleva fare...
“Se io decidessi di non accettare, cosa succederebbe?”
“Ti farei uccidere. Dopotutto è quello che tu hai appena fatto con uno dei nostri. Abbiamo bisogno di un risarcimento, sia esso la tua collaborazione o la tua vita.”
Carlisle non perse tempo a rispondere.
“Verrò. Ad una condizione, però.”
Aro corrugò la fronte: “Non penso che questa sia la circostanza adatta per fare accordi...”
Prima che potesse continuare, Carlisle gli afferrò un braccio, nel chiaro intento di mostrargli la sua idea.
“Allora?”
Contrariamente ad ogni aspettativa, Aro annuì senza protestare.
“Direi che si può fare, Carlisle. Però come posso avere la garanzia che tornerai, una volta che avrai messo in atto ciò che pensi di fare?” Chiese, andando diritto al nocciolo della questione.
In realtà, da quello che aveva potuto vedere fino a quel momento, si era reso conto che Carlisle sarebbe ritornato, se non altro per il posto che gli era stato promesso e che, sebbene non lo desse a vedere, bramava.
“Puoi mettermi dietro uno dei tuoi leccapiedi, se ci tieni; l'importante è che non mi intralci.”
Aro annuì.
In quel modo avrebbe preso due piccioni con una fava.
Tentò di dissuaderlo debolmente, in modo da non rendere totalmente esplicito il suo piano.
“D'accordo. Comunque sei sicuro di non voler lasciar perdere? Venendo da noi potrai averne quanto ne vuoi.”
“No, voglio il suo.”

***



L'attesa dell'aereo era snervante, soprattutto per il neonato impulso di Carlisle. Era diviso tra il desiderio di squarciare la gola all'umano più vicino e quello di togliere di mezzo l'accompagnatore che Aro gli aveva affibbiato.
“Dove stiamo andando Carlisle?” Chiese, in un misero tentativo di fare conversazione.
Carlisle si sistemò un po' meglio sulla panchina – come se lui avesse bisogno di starsene lì, su una stupida panca – e rispose: “Non sono affari tuoi, direi.”
Non si prese neanche la briga di chiedergli il nome, visto che non gliene importava niente.
Gli lanciò solo uno sguardo veloce, il primo da quando Aro glielo aveva messo alle costole.
Non doveva essere stato un granché come umano, visto che non era il massimo neanche tra i vampiri.
Sembrava proprio fragile e, inoltre, anche gli occhi avevano una sfumatura arancione più che rossa. Certo che gli standard dei Volturi stanno calando, pensò.
“Hai ragione.” Concluse lui.
Anche il viaggio sull'aereo passò in totale silenzio. L'unico momento in cui Carlisle aprì bocca, fu per invitare l'hostess ad andare avanti, visto che quello che ciò che l'aereo offriva da mangiare non rientrava esattamente nella loro dieta.
“Vuole che vada a controllare se c'è qualcosa di diverso?” Si informò lei. Dopotutto i clienti in prima classe dovevano essere trattati con un occhio di riguardo, soprattutto se avevano un aspetto piacente come quello dei due uomini seduti lì.
“No, può andare.” Affermarono all'unisono.
L'hostess se ne andò, inconscia del fatto che si era appena salvata la vita.
Carlisle non l'aveva azzannata per un unico motivo: non voleva guastarsi il palato con quel sangue di seconda scelta.
L'aereo atterrò sotto il sole estivo di Phoenix. Carlisle e il suo accompagnatore si coprirono in volto con il cappuccio della felpa e infilarono le mani in tasca, in modo da arrivare inosservati all'auto con i finestrini oscurati che avevano noleggiato per l'occasione e che era stata parcheggiata là vicino.
Non fu difficile arrivare davanti a casa sua, non che lei si fosse mai preoccupata di nascondere l'indirizzo dell'abitazione dei suoi cari a chicchessia.
Che sconsiderata... si ritrovò a considerare Carlisle.
Si rivolse alla sua scorta mentre usciva dalla macchina: “Tu aspettami qui.”
“Bene.” Fu la sua unica risposta.
Non si prese neanche il disturbo di suonare, ma aprì direttamente la porta che nessuno si era premurato di chiudere.
Il rumore di una voce che parlava a telefono, gli indicò la stanza dove si trovava Bella e gli fece presumere che fosse sola in casa.
“No, non preoccuparti, mettici tutto il tempo che vuoi a fare la spesa, però quando torni cucino io, d’accordo?”
Sospirò e riattaccò. Sua madre si preoccupava troppo.
Lo spavento che la colpì nel vedere Carlisle dietro di sé la fece urlare.
“Carlisle, cosa ci fai qui, è successo qualcosa?” Chiese preoccupata, pensando subito al peggio.
Da quando Edward l’aveva abbandonata, il timore che un qualche infausto evento avesse potuto dividerli continuava a sfiorarle la mente.
“No, nulla di particolare.” Rispose lui, sorridendo.
Faceva quasi ridere l'espressione di Bella. Lei non sapeva ancora che Edward l'aveva davvero lasciata sola. Di nuovo.
Neanche lei aveva avuto l’onore di fuggire con loro.
Ancora una volta si disse che stava facendo la cosa giusta; anche qui, il male si fondeva con il bene. Faceva una cosa buona per lui e anche per lei.
“Allora perché sei venuto? Non hai neanche telefonato prima!” La voce salì di un'ottava a causa della preoccupazione.
“Sono venuto per darti una notizia...” Annunciò, scegliendo le parole con cura.
Lei lo guardò con occhi sgranati, senza interromperlo.
“... vedi, Edward e tutto il resto della mia, anzi della nostra famiglia… perché anche tu ne fai parte, vero Bella?” Chiese con occhi spiritati.
Bella indietreggiò spaventata ed urtò uno spigolo del tavolo che si trovava dietro di lei.
“Carlisle, mi stai facendo paura. Non puoi dirmi che c'è?”
Il vampiro tornò normale.
“Scusami. Stavo dicendo... Edward e tutti gli altri se ne sono andati, capisci? Ci hanno lasciati qui, sia me che te.”
Bella fece un risolino nervoso.
“Carlisle, non scherzare. Edward non farebbe mai una cosa del genere. Mai. Lui mi ha promesso che non mi avrebbe più lasciata sola.”
Continuò a ridere nervosamente, nel tentativo di nascondere l'ansia. Non capiva perché Carlisle volesse farla spaventare in quel modo.
“Bella, io non sto scherzando.” Dichiarò con un'espressione talmente seria che Bella non poté fare altro che cedere. E gli credette.
Non si premurò neanche di asciugare le lacrime che avevano iniziato a solcare copiose il suo viso.
Prima di parlare nuovamente si diresse barcollando verso il divano, perché non poteva svenire proprio in quel momento.
Innanzitutto doveva capire il motivo.
“Carlisle... perché? Perché l'hanno fatto? Perché ci hanno lasciato, perché mi ha lasciato?”
Domandò sconvolta.
Eppure l'ultima volta che l'aveva visto sembrava così tranquillo, non poteva essere cambiato così in fretta...
“Carlisle, rispondimi!”
Carlisle alzò lo sguardo che aveva precedentemente posato sulla sua gola.
Edward aveva ragione, il suo sangue sembrava davvero buono.
“Perché io e te siamo diversi da loro, Bella.”
Lei scosse la testa, confusa. Iniziava davvero a non seguire Carlisle. Le sembrava troppo strano. Certamente lui doveva essere sconvolto quanto lei, però sembrava piuttosto... distratto?
Cercò di riportare la sua attenzione su di lei: “Perciò cosa facciamo?”
Lui sorrise.
“Tu non devi preoccuparti di questo Bella.” Sostenne, con il tono di un padre amorevole che tentava di consolare la figlia.
“Come faccio a non preoccuparmi?” Ringhiò lei in risposta.
Carlisle continuava a sorridere.
“Non devi preoccuparti perché io ho già la soluzione.”
“Se hai già la soluzione, perché sei venuto fin qui?”
C'era davvero qualcosa di strano. Bella iniziò a chiedersi se quello fosse davvero Carlisle, perché sembrava tutto fuorché lui.
“Perché per attuare la mia soluzione tu sei centrale. Ho trovato un modo per non farti soffrire.”
Non aggiunse che quello era anche il modo per assaggiare il suo sangue e vedere se Edward avesse davvero ragione. Chissà se era davvero così sublime come diceva.
A quel punto Bella non resistette più e si alzò, cercando di non mostrare la sua paura e, nel frattempo, allontanandosi lentamente da lì.
“Che modo?”
“Mettendo fine alla tua vita.” Dichiarò semplicemente.
A nulla valsero le urla di Bella, che cadde a terra dissanguata prima di riuscire ad arrivare alla porta.
Gli occhi di Carlisle splendettero di un rosso cupo e lui si asciugò le labbra con il dorso della mano.
“Sì, dopotutto Edward aveva ragione. Beh, Bella...” disse, rivolgendosi al cadavere, “... addio.”
Con il senso di eccitazione non ancora svanito, si tirò il cappuccio sul volto e uscì sotto il sole.
“Possiamo andare.” Asserì, aprendo la portiera del passeggero.
Prima si era sbagliato: era da quel momento che aveva inizio la sua nuova vita.



Ed ecco anche l’ultima parte della storia!^^

Batuffolo: grazie per i complimenti, sono contenta che la reputi originale!^^
Purtroppo in questa storia ho fatto morire un po’ tutti, ma si sa… se non sono catastrofica non sono contenta!xD


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