Anime & Manga > Il mistero della pietra azzurra
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Autore: Puglio    20/04/2010    4 recensioni
Secondo volume della saga "I Signori dell'Universo" seguito della serie "Nadia: il mistero della pietra azzurra". Nadia, Jean e gli altri sono partiti alla ricerca del significato della pietra che Kurtag ha affidato alla ragazza prima di morire. Winston è impegnato a trovare Nadia, prima che l'Ordine riesca a raggiungerla. Lisa, Michael e Hunter non riescono a rassegnarsi all'idea che la loro amica è là fuori, da sola... e intanto, i misteriosi assalitori che avevano raggiunto Nadia al porto sono ancora a piede libero...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La mattina seguente, Jean si risvegliò molto più in forze. Divorò tutta la frutta che era stata lasciata in una ciotola davanti al suo letto, trovandola squisita; quindi uscì. Il sole si era appena levato e tutto il villaggio stava lentamente ritornando alla vita.

Si sedette sullo sgabello traballante davanti all'ingresso della capanna, dove il giorno prima si era lasciato con Atahualpa. Due bambinetti giocavano con una capra, proprio davanti ai suoi occhi. Jean li osservava in silenzio, divertito. Il più piccolo dei due cercava disperatamente di montarle in groppa, ma l'animale, per nulla d'accordo, scartava ogni volta, trotterellando via tra le grida eccitate dei due.

C'è qualcosa di sorprendente, in tutto questo, pensò.

Quella gente mancava praticamente di tutto: acqua corrente, vestiti adeguati. Non avevano alcun tipo di comodità. Eppure, in quella loro semplicità e miseria, custodivano il segreto di una felicità che lui credeva di non aver mai posseduto.

Era consapevole che ognuno di quei bambini che ora schiamazzavano allegri in mezzo al fango, sarebbe potuto morire da un giorno all'altro per una sciocchezza qualsiasi. Sarebbe bastata una ferita non adeguatamente curata, o un semplice raffreddore. Ma era proprio il modo in cui quelle persone accettavano la precarietà della loro esistenza, che li rendeva tanto straordinari ai suoi occhi. Vivevano come appesi alla vita, nell'innocente inconsapevolezza di ciò che il mondo fosse al di là di quelle montagne: nulla di spaventoso sembrava realmente in grado di raggiungerli, e toccarli. Erano come inviolabili, e sacri nella loro semplicità. O almeno era così che gli sembravano.

Tutto quello che fanno, è vivere.

Forse era quello il segreto. Nessuna domanda, nessuna risposta. Solo vivere. Chissà se lui ne sarebbe mai stato in grado.

«Ayuda, señor?»

Jean si riscosse. Una bambina gli si era avvicinata e lo guardava attraverso due occhi penetranti e vividi, porgendogli un attrezzo. Jean la fissò per un attimo, senza capire.

«Señor? Ayuda, señor?»

Era il suo arco. Giocando, si era rotto. Jean lo prese tra le mani, ancora stordito dai suoi pensieri. Non era nulla di grave: si era solo spezzata la corda. Con un movimento veloce, Jean fece un piccolo cappio e lo agganciò all'estremità libera dell'arco. Ora era leggermente più teso, ma funzionava.

«Gracias, señor, gracias».

Jean sorrise alla bambina, che già correva via inseguita da un bimbetto più piccolo. Li vide dileguarsi tra le capanne, svelti e agili come gatti: ma poco prima che sparissero entrambi, il bambino si voltò per un attimo, fissando Jean attraverso i suoi lucidi e profondi occhi neri, così scuri e densi che facevano male a guardarli, e sorrise. Jean alzò la mano, in segno di saluto; e il bambino fuggì via, ridacchiando.

«Sembra che tu ti sia fatto due nuovi amici».

Atahualpa si materializzò all'improvviso davanti all'ingresso della capanna. Posò a terra la sua bisaccia e si chinò sulle ginocchia, estraendo da essa una sacca di pelle che serviva da borraccia. Bevve alcuni sorsi, quindi la porse a Jean, che rifiutò cortesemente con un cenno del capo.

«Questa gente è incredibile» mormorò Jean. «Sembra che nulla possa sconvolgerli».

«Chi vive qui, conduce una vita molto dura» disse Atahualpa, fissando intensamente il profilo di Jean. «Ho visto madri accettare la perdita di un figlio senza versare una lacrima. Sono cose che ti segnano».

«Com'è possibile?»

«Qui non c'è posto per il lutto» commentò gravemente Atahualpa, riponendo la sacca per l'acqua. «Pensare alla morte, significa non pensare alla vita. Per ogni figlio che muore, due continuano a vivere: e il dovere di una madre, qui, è prendersi cura di chi ha la forza per sopravvivere, e di lasciare andare chi non l'ha. È duro da accettare, ma comprensibile».

Jean annuì. Anche quei bambini che ridevano felici, erano dei sopravvissuti.

«Comunque è vero» riprese Atahualpa. «Qui non è ancora arrivato quel tipo di infelicità che altrove in molti conoscono».

Jean si piegò in avanti, appoggiandosi con le braccia sulle ginocchia.

«Devo andare» disse. Atahualpa annuì.

«Sono tornato proprio per questo. Per accompagnarti».

Jean scosse il capo. «Io devo andare a cercare i miei amici» disse. «Non ho tempo per altre cose».

«Ma non li troverai, se prima non avrai trovato te stesso. E se anche dovessi trovarli, li perderai ancora».

«Non ho tempo per queste storie» sbuffò Jean. Atahualpa strinse gli occhi, fissando davanti a sé.

«Forse ti accorgerai che il tempo, a volte, è molto relativo» disse.

«Senta, cos'è che vuole da me, esattamente?» chiese Jean, alzandosi e fronteggiandolo con uno sguardo duro. «Le sono grato per avermi aiutato, ma lei da me si aspetta qualcosa che non sono in grado di darle. Si dev'essere fatto di me un'idea sbagliata, prendendomi per qualcuno che non sono».

«E non è la storia della tua vita, Jean? Essere quello che non sei?»

Lui tacque, sorpreso da quanto gli aveva appena detto. Avrebbe voluto rispondere, ma non trovava le parole per farlo.

«Se vuoi veramente salvare i tuoi amici, dovrai fidarti di me» disse il vecchio. «Non hai altra soluzione».

«Insomma, sono costretto a fare quello che vuole, non è così?»

«No» fece Atahualpa, scrollando le spalle. «Puoi sempre andartene, se è questo che vuoi. Quella è la strada. Nessuno ti fermerà».

Jean si volse a guardare il sentiero, che si avvolgeva lentamente lungo il fianco del monte. «Non ho la minima idea di dove ci troviamo» confessò. «Non saprei dove andare, da solo».

«Non è forse così per tutti?»

Atahualpa sospirò, lanciando a Jean uno sguardo divertito.

«Raccogli la tua roba» disse. «Abbiamo già perso anche troppo tempo».

Jean restò immobile a fissare Atahualpa, che già si incamminava lungo il sentiero.

«Allora, vieni?» gli gridò il vecchio. Jean raccolse la sua sacca e gli si incamminò dietro, accelerando il passo per raggiungerlo.

«Può almeno dirmi dove siamo diretti?» gli chiese. Il vecchio nicchiò.

«Presto lo scoprirai. Non devi avere fretta».

Jean si risolse a seguirlo senza fare altre domande. Non sapeva perché lo stesse facendo: una voce, dentro di sé, continuava a dirgli che quel vecchio era strano, e avrebbe fatto meglio a non fidarsi troppo di lui. Ma un'energia nascosta lo costringeva a seguirlo, come un richiamo a cui la parte più segreta del suo animo aveva risposto prontamente. Qualcosa gli diceva che seguire quel vecchio avrebbe significato rispondere a tutte quelle domande che da troppo tempo giacevano inevase nel suo cuore. E lui aveva un bisogno tremendo di risposte.

Man mano che procedevano, lasciandosi le ultime capanne alle spalle, il sentiero diventava sempre più impervio e scosceso. Non erano trascorsi che pochi minuti da quando avevano abbandonato il villaggio, ma Jean era già del tutto esausto. Per quanto cercasse di stare dietro ad Atahualpa, il vecchio era molto più a suo agio di lui nello scalare la ripida vetta del monte; Jean invece, ancora piuttosto debole, non faceva che fermarsi per riprendere fiato. Atahualpa, ogni tanto, si voltava per assicurarsi che il ragazzo lo seguisse: e allora, vedendolo arrancare, gli rivolgeva qualche rapido cenno col capo, perché non rimanesse troppo indietro. Ma tutto finiva lì. Nessuno diceva una sola parola, e camminavano immersi in un completo silenzio.

Dopo diverse ore trascorse in quel silenzio innaturale, persino il rumore sordo dei passi che si stampavano sulla roccia sembrava fastidiosamente forte. Jean ascoltava il vento fischiare tra le cime brulle dei monti, che svettavano alte e spruzzate di ghiaccio sopra le loro teste. Sotto di loro, più in basso, un cielo completamente azzurro si specchiava in un lago dalle acque cristalline, incastonato come una gemma tra le montagne. Tutt'intorno, non si vedeva che roccia e polvere: e la monotonia che avvolgeva quei luoghi era rotta solo da qualche rado cespuglio, che spuntava dal suolo come attraverso uno strappo in quella terra lacerata dal sole e dal vento.

Inaspettatamente, Atahualpa prese a canticchiare sommessamente una canzone; e Jean, ancora stretto da quel vuoto opprimente che lo circondava, levò gli occhi a fissarlo, sorpreso.

«Che canzone è?» gli chiese. Non che avesse una gran voglia di fare conversazione: quel silenzio in cui si erano calati gli piaceva. Era confortante, in un certo senso. Ma aveva bisogno di rallentare, e di recuperare un po' di energie.

Atahualpa si fermò per un istante, sollevando gli occhi a scrutare l’orizzonte.

«È solo una vecchia canzone della mia tribù» disse, prima di riprendere a camminare.

«E cosa dice?»

Il vecchio si arrestò, estraendo dalla bisaccia la sacca per l’acqua, che porse al ragazzo. Lui la prese, ringraziandolo.

«Ti interessa davvero?»

Jean lo fissò incuriosito, mandando giù un sorso d’acqua. «Beh, sì. Altrimenti, perché lo avrei chiesto?»

«E perché ti interessa?»

Jean rimase a guardarlo senza sapere cosa aggiungere. «Io... non ne ho idea» confessò.

«Se non ne hai idea allora non ti interessa. Non veramente».

«Se non vuole dirmelo...»

Atahualpa scosse la testa.

«Io non ho detto che non voglio dirtelo. Ho solo detto che se tu non possiedi una ragione valida per cui la cosa debba interessarti, allora vuol dire che non ti interessa, e non ha senso che ti risponda».

«D'accordo, lasciamo perdere» fece Jean, stizzito.

«Come vuoi» concluse Atahualpa.

Camminarono in un rinnovato silenzio per una buona mezz'ora. Tutto intorno a loro, il paesaggio aveva progressivamente mutato aspetto. Ormai la foresta non si vedeva più, nascosta dalle curve nodose delle montagne. Non c'era traccia di anima viva, né un qualche segno del passaggio dell'uomo: in quel vasto deserto di roccia e sale che li circondava, persino l'aria sembrava ansiosa di fuggirsene via. Jean si accorse che ormai faceva fatica a respirare. Aveva tenuto duro finché aveva potuto, ma ora cominciava a sentirsi davvero esausto.

«Non potremmo fermarci, almeno per un po’?» disse. «È tutta la mattina che camminiamo. Non ce la faccio più».

Atahualpa fece finta di nulla, continuando a risalire il sentiero e facendo cenno a Jean di seguirlo. Sbuffando, lui cercò di tenergli dietro. Ma il fastidio, dentro di lui, cresceva. Non aveva idea di dove quel tipo lo stesse portando. Di certo, non dai suoi amici. Ma si rendeva anche conto, e questa era la cosa che lo infastidiva di più, che da solo non avrebbe mai potuto uscire da quelle montagne, né tanto meno sperare di ritrovare le tracce dei suoi amici. Per quanto fosse un pensiero odioso, doveva andare avanti, e affidarsi a quell'uomo assurdo.

Man mano che risalivano lungo il crinale, il sentiero si faceva sempre più impervio. Talvolta, Jean metteva il piede su una roccia acuminata, che gli procurava un dolore intenso, o su un ciottolo, che scivolava via da sotto i piedi inaspettatamente, rischiando di farlo cadere. Le sue scarpe di cuoio non erano certo l'ideale per percorrere quel genere di sentieri. Ci mancava solo che cadesse spezzandosi una gamba, o peggio.

«A che altezza ci troviamo, su per giù?» domandò Jean, lasciando che il suo sguardo si spingesse timorosamente fino al fondo dell’abisso che li fiancheggiava sulla loro destra.

«Molto in alto» rispose semplicemente Atahualpa. A quella risposta, Jean scrollò le spalle.

«Ma che razza di risposta è?» fece, innervosito dalla stanchezza e dalla tensione che gli procurava la vicinanza di quel precipizio. «Non potrebbe sforzarsi di rispondere in maniera più comprensibile, una volta tanto?»

«Non va bene?» disse Atahualpa. «Allora vediamo... è alto a sufficienza perché tu ti faccia molto male se cadi. Pensi sia meglio?»

«Oh, sì. Illuminante, davvero».

Atahualpa allargò le braccia. «Eppure sono convinto di averti detto tutto ciò che davvero dovrebbe interessarti, non pensi? Un metro, due, duecento, duemila... cosa conta? Che differenza fa? Ciò che devi sapere è: se cado, cosa succede?»

Jean lo ascoltava in silenzio. La follia di quell’uomo rasentava una qualche forma di genialità che però continuava a risultargli del tutto oscura. Per quanto lo riguardava, Atahualpa riusciva soltanto a indispettirlo. Sembrava che volesse continuamente metterlo alla prova, con quelle sue frasi sconclusionate.

«Ebbene» continuò Atahualpa «se cadi da qui, muori».

«Già» commentò ironico Jean, guardando in basso. «Chissà perché, ma non c’ero arrivato».

Il vecchio sospirò. «Voi giovani mi incuriosite. Quando dovete fare qualcosa, vi concentrate su quello che non conta niente, mentre vi lasciate sfuggire quello che è veramente importante» sospirò. «Mi chiedo come mai».

«Questo è un discorso senza senso» osservò seccamente Jean, che cominciava ad averne fin sopra i capelli dell'atteggiamento del vecchio. «Esattamente come le sue risposte».

«Prendi la domanda che mi hai appena fatto» riprese Atahualpa, come se niente fosse. «Perché avevi bisogno di sapere quanto è alto il monte? A che ti serviva? Ti è utile in questo momento? Non stai facendo una ricerca geografica, o sbaglio?»

«No, era una semplice curiosità».

«Curiosità!» sbuffò Atahualpa. «Se riesci a essere curioso a quest’altezza, vuol dire che non sei abbastanza attento a dove metti i piedi. Quindi non fare altre domande sciocche, e ti basti sapere quello che serve: il monte è alto e se cadi muori».

Al diavolo!

Camminarono ancora a lungo. Il sole, ormai basso all’orizzonte, li raggiungeva con i suoi raggi stanchi e obliqui, che spargevano tutt'intorno un colore morbido e caldo. Jean si guardò intorno, meravigliato: improvvisamente, era come se tutto intorno a loro si fosse acceso del colore del fuoco; persino i loro volti sembravano ardere e le loro ombre, come quelle di due giganti, si allungavano all'infinito sulle pareti di roccia bruna.

Jean lanciò un occhiata torva alle spalle di Atahualpa. Aveva le gambe doloranti e non si sentiva più i piedi. Si portò una mano alla schiena: avvertiva un dolore sordo e continuo, che lo raggiungeva a ondate, succhiandogli ogni energia residua. Si chiese per quanto tempo ancora avrebbero dovuto camminare.

«Ci fermiamo qui» esclamò all'improvviso Atahualpa, scrutando il cielo. «Qui va bene».

Jean trasse un sospiro di sollievo. Posarono le loro cose in una rientranza conica, sormontata da uno sperone di roccia che forniva anche un certo riparo dalle intemperie. In quel punto il sentiero era abbastanza grande perché potessero sdraiarsi comodamente, senza rischiare di cadere di sotto. In poche mosse, Atahualpa raccolse degli sterpi e dei rami secchi e accese un fuoco, così velocemente che Jean non se ne rese nemmeno conto.

«Ehi!» esclamò meravigliato. «Ma come ha fatto?»

Atahualpa lo fissò stranito. Quindi gli mostrò una piccola scatolina che prese a scuotere, facendola risuonare.

«Mai sentito parlare dei fiammiferi?» ironizzò. Jean si sentì un perfetto idiota. Quel vecchio aveva la capacità di annichilirlo.

«Tu resta qui» gli fece Atahualpa. «Io torno in un attimo».

Jean lo lasciò allontanare ben volentieri; quindi si sedette, cercando di rilassarsi. Si sfilò le scarpe e controllò preoccupato i piedi. Come temeva, li trovò pieni di vesciche. Sarebbe stata dura rimettersi in cammino, in quelle condizioni.

Esausto, si sdraiò, mettendosi a fissare il panorama e cercando di scacciare le preoccupazioni almeno per un momento. Davanti a lui si ergeva un massiccio montuoso completamente innevato, dal profilo irregolare e scosceso. Più in basso, tra gli stretti crepacci, si apriva un abisso costellato da guglie di roccia, che si protendevano verso il cielo come tante colonne di un’immensa cattedrale.

Completamente solo, Jean ammirava quello spettacolo sorprendente. Era facile, in un luogo come quello, perdere il senso della propria centralità: e fu così che, dimentico di tutto, Jean si ritrovò a fissare l’orizzonte senza parole, finché non si sentì tanto piccolo e insignificante che sentì che avrebbe anche potuto dissolversi da un momento all'altro, senza che nulla di lui andasse perso. Un senso di stupore e di meraviglia lo colse: non era che una piccola, infinitesima parte di un universo grandissimo che solo in quel momento gli si rivelava, sopraffacendo i suoi sensi; e quella consapevolezza precisa, quel sentirsi parte di qualcosa di così grande, lo riempiva fino a spezzare gli argini della sua anima, procurandogli una gioia inattesa e irrazionale. E per un istante fu come se l'eternità del mondo si riversasse, improvvisa e violenta, nel suo cuore.

Atahualpa tardava. Incuriosito, Jean si infilò le scarpe e si mise dolorosamente sui suoi passi. Appena ebbe voltato l’angolo, tuttavia, notò che il sentiero si biforcava: da una parte si inerpicava ripido su per il crinale, mentre dall’altra continuava a salire dolcemente, per poi perdersi nel buio. Jean scelse di percorrere la parte più semplice: ma dopo alcuni metri, non vedendo comparire Atahualpa all’orizzonte, si fermò, tormentato dal dolore ai piedi e timoroso del buio che avanzava lungo il sentiero. Fece per tornare indietro, e fu allora che gli apparve: su una cresta di roccia a poca distanza da dove si trovava, Jean vide Atahualpa in piedi, che guardava verso il cielo. All'improvviso, il vecchio sporse un braccio: e una splendida aquila apparve alta nel cielo, un punto solitario contro il sole all'orizzonte. Jean ne fissava la lenta discesa come ipnotizzato: e dopo ampie volute, la vide andare a posarsi delicatamente e con estrema eleganza sul braccio del vecchio. Atahualpa raccolse qualcosa dal becco dell'animale, che infilò nella bisaccia. Quindi avvicinò il viso alla testa bianca dell'aquila, che lo becchettò delicatamente sulle gote. Il vecchio rise e lasciò che l'animale volasse via, di nuovo libero.

Jean ritornò pensieroso all’accampamento, pensando che fosse meglio evitare di parlare di quanto aveva visto. Chissà perché, ma aveva l’impressione che ciò a cui aveva involontariamente assistito fosse una cosa intima, su cui non aveva il diritto di indagare.

Atahualpa giunse di lì a poco, lanciando a Jean un sorriso raggiante. «Cibo» disse, mostrandogli il corpo di una specie di topo, che estrasse dalla bisaccia. Jean lo fissò incredulo.

«Dovremmo mangiare quello?» chiese disgustato. «Ma non è un topo?»

«Un toporagno, per l’esattezza. Molto saporito. Poche ossa e carne tenera, una vera delizia. Assomiglia al coniglio».

«Davvero?»

«Se ti sforzi di crederci, sì» rise Atahualpa. E Jean non poté fare a meno di ridere con lui.

Cenarono in silenzio, e Jean mangiò di gusto. Non era poi così male, doveva ammettere. Dopo che ebbero terminato il pasto, Atahualpa raccolse le ossa rimaste e le bruciò, non prima però di averle riunite legandole insieme con un laccio di lana colorato. Jean restò a fissare il volto concentrato del vecchio, che risplendeva come trasfigurato dalla luce calda del fuoco, mentre mormorava alcune parole inudibili.

«Perché lo ha fatto?» gli chiese, quando ebbe terminato. Il vecchio sollevò gli occhi a guardarlo.

«Per ringraziarlo. Lui ha dato la sua vita perché potessimo nutrirci. Il nostro dovere era rendere omaggio alle sue spoglie e donargli una preghiera di ringraziamento».

«E crede che a lui possa servire?» domandò Jean. Nella sua domanda non c’era alcun intento canzonatorio e Atahualpa lo capì, tanto che gli sorrise.

«A lui forse no, ma serve a noi, per ricordarci che non saremmo nulla se non avessimo intorno a noi questo mondo e gli esseri che lo abitano. Sono due cose da cui dipendiamo totalmente, anche se spesso facciamo finta di dimenticarcelo. Ringraziare ogni tanto non può farci che bene, non credi?»

Jean sorrise e annuì. «Penso che abbia ragione» disse.

Atahualpa estrasse una pipa e la riempì di tabacco. Quindi la accese, e il suo volto, per un istante, scomparve avvolto in una nuvola di fumo denso. Prese a fumare a boccate ampie e lente: e intanto fissava Jean con curiosità, stringendo gli occhi sottili e brillanti. Il fuoco del falò si riverberava sulla sua pelle scottata dal sole, gettando ombre tutt'intorno.

«Sai?» disse, meditabondo «Sei un ragazzo interessante. Non molti avrebbero capito quello che ho fatto, prima. E non molti avrebbero avuto la delicatezza di non domandare riguardo a ciò che tu hai visto questo pomeriggio».

Jean arrossì violentemente. «Mi scusi, io...»

«Non c'è bisogno!» rise il vecchio. «Ma apprezzo il tuo gesto. E la tua delicatezza».

Lo fissò con uno sguardo divertito, il volto ampio avvolto da una spirale di fumo grigio e denso.

«Ciò che hai visto ti ha stupito?» domandò. Jean annuì.

«Sembrava che conoscesse molto bene quell'aquila».

Atahualpa sorrise debolmente.

«Devi sapere che quell'aquila è un mio vecchio amico, qualcuno che da molti anni mi accompagna quando ripercorro questa strada. Ogni anno siamo sempre più vecchi, lui ed io, ma continuiamo ad incontrarci. Già, continuiamo a incontrarci...»

Jean vide passare una strana luce negli occhi di Atahualpa. Era come se, improvvisamente, il volto del vecchio avesse preso a riflettere tutto il peso del mondo. E si intenerì, al pensiero di quanto quell'uomo, all'apparenza tanto forte, fosse in realtà un uomo semplicemente solo.

«Lei viene quassù tutti gli anni?» azzardò.

«Tutti gli anni, sì» rispose tranquillo Atahualpa. «Questo è un luogo sacro, un luogo che la mia tribù ha consacrato migliaia di anni fa. Devo venire qui, ogni anno, a rendere omaggio agli antenati e a consultare il libro dei sogni».

«E cosa sarebbe?»

Atahualpa sospirò. «Una nostra leggenda racconta che gli dei discesero fin qui dalle stelle; ma arrivati sulla Terra, videro con sgomento che nulla in essa esisteva. Non era che un immenso spazio vuoto, un caos. Tristi e spaventati, essi cercarono rifugio per la notte e si addormentarono su questi monti. E nel sonno, sognarono che si trovavano sulla Terra e che camminavano sopra di essa; e mentre camminavano, tutto intorno a loro sorgevano cose che non avevano mai visto prima e ad ognuna di esse loro presero a dare un nome. E tutto ciò che trovavano e nominavano cominciava magicamente ad esistere e a vivere e così riempirono la terra di suoni, di canti e di vita. Perché devi sapere che tutto questo lo facevano cantando».

Atahualpa fece una pausa, aspirando una nuova boccata di fumo, che esalò con estrema lentezza, come se volesse gustarne fino all'ultimo il sapore.

«Al loro risveglio, la terra era fiorita di tutte le cose meravigliose che avevano sognato e cantato ed essi presero a vivere in essa e ad amarla. E fu allora che crearono l’uomo e gli insegnarono il mistero dei sogni e dei nomi. Ma poiché videro che ne abusava, glielo tolsero e lo posero nelle mani di pochi di loro, che sceglievano personalmente durante il sonno. Da allora, essi presero a visitare nel sogno i futuri possessori del dono, indicando loro i segreti di quell’arte misteriosa. Coloro che ricevevano la chiamata dovevano recarsi qui, sulla sommità di questo monte sacro, per completare un rito. Se fossero ridiscesi, sarebbero diventati stregoni. Altrimenti, sarebbero morti nel tentativo di diventarlo. Ogni stregone deve quindi tornare qui una volta ogni anno, e consultare il libro del destino, il libro dei sogni attraverso cui ci parlano gli dei».

«Quindi» chiese Jean «anche se si riceveva la chiamata, non era sicuro che si potesse diventare stregoni?»

«No. Solo chi, giunto sul monte, riceveva la visita del proprio spirito guida, poteva diventarlo. Ma chi non incontrava lo spirito, perché per qualche ragione si era mostrato indegno, sarebbe impazzito e non avrebbe mai ritrovato la strada del ritorno. Ancora oggi, noi crediamo che qui si aggirino gli spiriti di coloro che si sono smarriti e che sono divenuti i guardiani della città proibita, la città sacra di Tiahuanaco».

Improvvisamente, un velo di tristezza calò sul volto del vecchio, che si zittì. Jean se ne accorse e provò una stretta al cuore.

«Ma ormai sono rimasto solo io» riprese stancamente Atahualpa. «E presto raggiungerò anche io i miei padri».

«Sa quando le ho chiesto di dirmi della canzone?» disse Jean all'improvviso. Atahualpa annuì, senza alzare gli occhi.

«Volevo sapere quello che diceva, perché mi sembrava una canzone molto triste. Mi chiedevo quale fosse il suo significato. Volevo capirlo, per sapere cosa può spingere qualcuno a scrivere una musica così malinconica».

Atahualpa sospirò, lanciando a Jean uno sguardo penetrante. «Questa è una motivazione molto buona» disse, «perciò ti dirò cosa significa».

E con voce sottile, Atahualpa prese a recitare alcuni versi:


Non importa che come pietre preziose

lo stesso filo ci unisca,

non importa che noi ci troviamo uniti

come gemme della stessa collana

amico mio, mio veramente amico,

per un volere più grande ci amiamo

e come te anche io so

che solo una volta si vive

e che un giorno ce ne andremo.

Solo per conoscerci siamo venuti

Solo in prestito abbiamo avuto la Terra.

Jean ascoltò in silenzio e per molto tempo dopo che Atahualpa ebbe finito di cantare, non commentò nulla. Quindi, all’improvviso «è molto triste, davvero» disse.

«Sì» annuì il vecchio. E prese a pulire e riporre la pipa con gesti lenti e accurati.

«Mi ricorda una vecchia amica» sospirò Jean. Teneva lo sguardo fisso sul fuoco, come se fosse perso in chissà quali ricordi. E nel vederlo così assorto, Atahualpa sorrise teneramente.

«Se è così, un grande amore vi unisce» disse. «L’amore più grande».

Jean abbassò lo sguardo, giocherellando con il colletto della propria camicia.

Forse un tempo, pensò. Ora non più.

«Però» riprese a dire Jean «mi sembra incompleta».

«Dici?» fece Atahualpa.

«Sì... è come se mancasse una redenzione, alla fine».

Atahualpa sorrise, socchiudendo gli occhi. Quindi spostò lo sguardo sul cielo, dove brillavano le stelle, a milioni.

«Perché non è ancora stata scritta» disse. Jean lo guardò e vide che ora lui lo fissava intensamente.

«Su, dormiamo» fece poi, il vecchio. «Domani ci attende ancora molta strada».

Mentre fissava le stelle, sdraiato accanto al fuoco, Jean pensava ancora al significato di quella canzone.

Per un volere più grande, ci amiamo.

Forse era quella la risposta che cercava. Anche se ancora non riusciva a capire a quale, delle tante domande che lo assillavano, potesse rispondere.

Ma forse, anche per questo aveva una risposta. Gliel'avevano insegnata quei bambini, al villaggio. Si trattava di vivere, semplicemente.

Per un volere più grande, ci amiamo...

Se era così, bastava aspettare, lasciando echeggiare la risposta nel proprio cuore finché la vita non si fosse manifestata. Non aveva fretta, avrebbe aspettato. Se quella fosse stata la risposta, allora lui l'avrebbe aspettata finché era necessario, finché non si fossero trovati a rispondere insieme alla vita.

E così, ebbro di una nuova speranza, si addormentò.

  
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