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Autore: Daphne_Descends    13/05/2010    5 recensioni
Cassandra è una trovatella con un passato misterioso ed una rara abilità. Lei riesce a vedere. Mostri spaventosi che non appartengono al suo mondo.
Non sa nè perché, nè chi siano, non conosce altro che domande.
Fino a quando sembra che tutti inizino ad interessarsi al ciondolo di sua madre.
E così inizia il viaggio di Cassandra, alla scoperta della verità e di risposte che solo due misteriosi viaggiatori possono darle. Attraversando mari e paesi, in cerca dei colori mancanti per completare la tela della sua vita.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter 5: His eyes

 

 

«Rose, posso parlarti? E’ importante».
La donna smise di spazzare il pavimento e la scrutò.
Si era decisa: sarebbe partita il prima possibile. Dopo l’incidente della finestra non si era sentita sicura, avrebbe potuto capitare di nuovo e coinvolgere qualcun altro.
Doveva affrontare il viaggio, quello a cui si stava preparando da tempo, e, per farlo, avrebbe dovuto tagliare i ponti con il passato. Non c’era altro modo.
Per quel motivo, era giunto il momento di parlare con Rose.
«Va bene» le fece un cenno e si spostarono in cucina. Margareth era andata al mercato con Elisha e la stanza era vuota.
«Dunque?» domandò Rose, prendendo posto al tavolo di noce, imitata dalla ragazza.
Cassandra respirò profondamente, prima di cominciare «Ti sei sempre chiesta il motivo dei miei improvvisi viaggi ed io ho deciso di rivelartelo» fece una pausa: non era per niente semplice confessarle tutto.
Con una mano afferrò il ciondolo e glielo mostrò «Sai che questo mi è stato dato da mia madre. So che è importante, anche se non so il motivo. E’ per questo che ho iniziato a viaggiare: speravo di poter trovare delle informazioni. Non sul ciondolo in sé, ma sul mio passato. Sul perché io vedo cose che gli altri non vedono» sospirò «Devi capire che io non rimpiango affatto i miei anni passati qui con te, alla locanda. Davvero, sono stata felice. Sono felice» si sporse per stringerle una mano, con gli occhi lucidi.
«Tu per me sei come una madre, Rose. Ma devo andare».
Rose strinse gli occhi. Lo sapeva, se lo sentiva. «Non tornerai, vero?» mormorò con voce spezzata, mentre le lacrime si facevano strada sul suo volto.
«Non lo so» cercò di trattenere il tremito nella sua voce. Doveva essere forte, quella era la strada che aveva deciso di percorrere.
«S-sapevo che eri speciale, ma avrei voluto ta-tanto tenerti tutta per me» si coprì il volto con le mani e scoppiò a piangere, incapace di resistere oltre.
Cassandra la abbracciò, posando la guancia bagnata sulla sua spalla «Mi dispiace» mormorò tra le lacrime «Darei qualunque cosa perché sia tutto diverso, ma non posso».
«Lo so».
Passarono diverso tempo abbracciate, finché Rose non si scostò e asciugò il viso rosso.
«Basta piangere» forzò un sorriso «va bene, devi partire, ma non penserai davvero di poterti liberare così facilmente di me».
Cassandra ricambiò il sorriso, triste.
«Non importa quanto tempo ci metterai, se uno e vent’anni, ma tu dovrai tornare qui. Anche solo per salutare e dirmi che stai bene e sei felice. Mi basta sapere che, quando partirai, non sarà l’ultima volta che potrò vederti» le scostò una ciocca di capelli castani, guardandola con affetto «Promettimelo».
Almeno quello poteva farlo. Se Rose era disposta ad aspettare, lei sarebbe tornata. «Te lo prometto».
 

***


La sacca iniziava a pesarle e i raggi caldi del sole non facevano altro che stancarla maggiormente.
Era in viaggio da due giorni e si era fermata giusto per mangiare e dormire. I piedi le facevano male e si sentiva davvero spossata. Secondo i suoi calcoli, aveva davanti ancora una giornata di cammino; se non ci fossero stati intoppi, sarebbe giunta a Lanford prima che calasse il sole.
Sospirò affaticata: era quasi decisa a fare una breve pausa, magari all’ombra degli alberi che costeggiavano la strada. Ma proprio mentre iniziava a rallentare il passo, un rumore di zoccoli le giunse alle orecchie.
Si voltò curiosa, riparandosi gli occhi con una mano. Poco distante, un carretto, tirato da un cavallo fulvo, si stava avvicinando. Alla guida c’era un signore piuttosto anziano, con una spiga tra le labbra.
Sorridendo, Cassandra agitò un braccio, richiamando la sua attenzione.
L’uomo fermò il carro davanti a lei, scrutandola da sotto il cappello di paglia.
«Scusate, buon uomo» cominciò gentilmente «Posso chiedervi dove siete diretto?»
Con una mano grinzosa, si tolse la spiga di bocca «A est, al mercato di Lanford».
Spalancando gli occhi, si affrettò a domandargli «Sareste così gentile da accettare la mia compagnia, durante quest’ultima parte di viaggio?»
Lui la squadrò, poi si fece leggermente da parte «Vai a Lanford anche tu?»
Cassandra si affrettò a salire, contenta di poter riposare un po’ «Sì. Siete un mercante?»
Il vecchio annuì e spronò il cavallo «Da dove vieni?»
«Da Glenville».
«Ci sono stato recentemente, per la fiera di Primavera».
«Vi siete trovato bene?»
Lui sorrise, accentuando le rughe sul suo volto «Glenville è un bel posto».

 
Passarono il resto del viaggio chiacchierando amabilmente. Il vecchio mercante sembrava un tipo burbero, ma una volta acceso il suo entusiasmo fu facile mantenere una buona conversazione.
Pranzarono insieme, dividendo il cibo e i racconti, e a metà pomeriggio giunsero finalmente in vista di Lanford.
Dopo essersi registrati all’ingresso della cittadina, Cassandra salutò sorridente l’anziano uomo, promettendogli un saluto prima di ripartire.
Nonostante le sue ridotte dimensioni, Lanford era sempre stato un luogo affollato e anche in quel periodo non era da meno.
Cassandra si avventurò tra le strade gremite e costeggiate da bancarelle di qualsiasi tipo, lanciando occhiate curiose qua e là, alla ricerca di una locanda tranquilla dove passare la notte.
Soltanto dopo esser scampata alle diverse fragranze di saponi che un mercante insisteva a farle provare, si accorse di essere seguita.
Non era la solita presenza gelida che la colmava di terrore, era decisamente un essere umano.
Cautamente si fermò ad una bancarella più affollata delle altre e si guardò indietro, mischiandosi alle comari che rimbambivano di ordinazioni il povero venditore.
Lo distinse subito: era un uomo ben robusto, con un cappello a larga tesa ed un mantello da viaggio marrone; sulla mascella squadrata si intravedeva un lieve accenno di barba scura e il naso aquilino torreggiava sulla bocca sottile. Nel complesso non sembrava un tipo molto raccomandabile.
Leggermente inquieta, riprese il suo giro cercando allo stesso tempo di seminare il suo inseguitore, senza mostrargli di essersene accorta.
Perché?” si chiese morsicandosi un labbro; cosa poteva volere quell’uomo da una forestiera come lei? Probabilmente pensava di poter guadagnare denaro con un minimo sforzo. Non doveva sembrare una gran minaccia, minuta com’era.
Ma un’altra parte di lei non credeva che fosse solo il furto l’obiettivo che stava perseguendo.
Affrettò il passo, mischiandosi alla folla e girando in una grande via a destra, lì cominciò a correre, per quanto le era possibile, schivando la gente; si voltò per guardare sopra la spalla e distinse chiaramente la figura dell’uomo che girava nella strada e aumentava il passo, senza staccarle gli occhi di dosso.
Fu allora che, sbadata, andò addosso a qualcuno. La forza d’urto la spinse indietro, ma due mani calde la presero per le braccia, evitando di farla cadere a terra.
Ansimando, alzò il volto. E incontrò lo sguardo più intenso che avesse mai visto.
Spalancò gli occhi, mentre il ragazzo davanti a lei faceva lo stesso, ma si permise solo un attimo di smarrimento, prima di lanciare un’altra occhiata spaventata alle sue spalle, dove l’uomo l’aveva quasi raggiunta. Allora cercò di staccarsi dalla presa del ragazzo, ma lui era concentrato su altro per prestarle attenzione.
I suoi occhi blu si incupirono e finalmente si decise a riportarli su di lei.
«Dove stavi correndo?»
Cassandra cercò ancora di sgusciare via, tenendo d’occhio l’uomo che si era fermato davanti alla bancarella più vicina, fingendosi interessato alla mercanzia.
«Devo andare!» esclamò concitata.
«Stai scappando».
«Oh, ma che intuito» borbottò ironica, continuando a dimenandosi.
Lui alzò un sopracciglio corvino e la squadrò con una smorfia «Codarda» sibilò poi.
A quella parola Cassandra si immobilizzò e lo fulminò con gli occhi azzurri «Scusate?!» soffiò irata «Rimangiatevi quello che avete detto!»
Lui ghignò e, senza una parola, tenendo salda la presa su un braccio, la trascinò verso l’uomo.
Cassandra tentò di tirarsi indietro, confusa e spaventata «Cosa state facendo? Lasciatemi andare!»
La ignorò, finché non si trovarono a un paio di metri di distanza dal suo inseguitore, che li sfidò con lo sguardo.
«Avete qualche problema con la signorina?» gli chiese il ragazzo, con un’espressione fredda sul bel volto.
L’altro la guardò di sfuggita, soffermandosi troppo a lungo sulle sue curve femminili e provocando un rossore imbarazzato sulle guance di Cassandra. Poi riportò la sua attenzione sul ragazzo che la teneva per un braccio e scoprì i denti storti in un ghigno deplorevole.
«Nessun problema» rispose con voce untuosa.
Lui sorrise gelidamente «Allora vi consiglio di allontanarvi».
L’uomo ghignò ancora e, senza aggiungere altro, se ne andò.
Solo quando fu ben lontano, Cassandra si rese conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento e lo rilasciò sollevata.
«Vi ringrazio» mormorò, improvvisamente timorosa «E mi dispiace per come vi ho trattato».
Lui si limitò a scrollare le spalle con una smorfia e lasciarle il braccio, improvvisamente diventato troppo freddo e vuoto senza la sua mano.
«Vedi di stare più attenta, la prossima volta» la rimproverò, voltandosi, intenzionato ad andarsene.
Ma una voce allegra bloccò entrambi.
«Thomas! Dove ti eri-signorina Cassandra! Che incantevole sorpresa!»
Il capo biondo del signor Henry si fece largo fino a trovarsi davanti a loro. Sorridendo, l’uomo fece un elegante baciamano a Cassandra, che arrossì imbarazzata, ma allo stesso tempo lieta di averlo incontrato.
«Ti lascio solo un istante e subito trovi qualche donzella di cui approfittare!» esclamò melodrammatico Henry, procurandosi un’occhiataccia silenziosa da parte del moro.
«Oh, no, signor Henry!» si affrettò ad intervenire la ragazza, spiegando il malinteso «Il signor Thomas mi ha soltanto aiutato in una situazione spiacevole!»
Henry sembrò divertito «Il signor Thomas?» chiese divertito, alzando le sopracciglia bionde per poi scoppiare a ridere «Da quanto tempo nessuno ti chiamava così, Tom?»
Lui fece schioccare la lingua e iniziò ad andarsene, bloccato però da un braccio dell’uomo.
«Eh, no! Non te ne andrai proprio adesso che abbiamo incontrato la signorina Cassandra, per di più così vicini all’orario di cena, vero? Ditemi» disse poi, rivolgendosi alla ragazza «dove alloggiate?»
Lei arricciò la bocca «Ecco, non ho ancora trovato una locanda in cui passare la notte».
«Magnifico!» esclamò Henry, guadagnandosi un’occhiata confusa e una chiaramente contrariata «Alloggerete nella nostra, così potremo cenare insieme!»
Senza voler sentire proteste, le fece strada fino alla loro locanda.
 

***

 
Nonostante apprezzasse la cucina di Margareth, quella era la zuppa migliore che avesse mai mangiato: densa e saporita al punto giusto.
Mandò giù un altro cucchiaio, sempre più contenta di aver avuto quella fortuna inaspettata.
«E’ strano sentire di una donna che viaggia da sola».
Cassandra alzò gli occhi verso Henry, che la stava fissando curiosamente, tenendo il cucchiaio sopra il piatto.
«Non è pericoloso?»
La ragazza accennò un sorriso «Basta sapere evitare i guai».
L’uomo ricambiò il sorriso, mentre Cassandra arrossiva leggermente sotto lo sguardo penetrante che le aveva lanciato Thomas.
«Oggi mi sono distratta» spiegò imbarazzata.
«Capita a tutti, ogni tanto» la tranquillizzò il biondo «E’ già abbastanza stupefacente che una ragazza come voi abbia viaggiato molto e in sicurezza».
«Vi ringrazio» disse lei gentilmente, riprendendo a mangiare.
Una volta terminata la zuppa, una cameriera portò via i loro piatti.
Cassandra si guardò attorno: era una locanda molto pulita ed efficiente, come quella di Rose. Avevano diverse camere libere e si era potuta rinfrescare prima della cena. Dopo tutto quel camminare e correre ne aveva avuto decisamente bisogno.
«Posso chiedervi il motivo che vi spinge a viaggiare?» le chiese Henry, guardandola fisso con i suoi occhi azzurri.
Cassandra si morse una guancia: non era convinta di volerglielo rivelare. Non dopo gli ultimi avvenimenti, non dopo l’improvviso interesse che in molti nutrivano per il suo ciondolo.
Non le era di certo sfuggita l’occhiata che lo stesso Henry aveva lanciato al medaglione, quando glielo aveva mostrato. Addirittura Thomas l’aveva studiato attentamente.
C’era qualcosa intorno al suo pendente, ne era sicura. Ed era per quello che aveva iniziato a viaggiare.
Non sapeva se poteva fidarsi di loro, però qualcosa le diceva di farlo. Che se glielo avessero voluto sottrarre, probabilmente ci sarebbero già riusciti.
«E’ per via del mio ciondolo» iniziò, fissando lo sguardo sulle venature del tavolo di legno. Anche senza guardare, sapeva di avere tutta la loro attenzione.
«Me l’ha lasciato mia madre prima di morire e io voglio sapere da dove viene e chi l’ha realizzato».
«Come mai? Mi sembra un interesse alquanto strano» disse Henry curioso, aggrottando le sopracciglia bionde.
Lei esitò, ma ormai aveva iniziato, tanto valeva dire tutto.
Aprì bocca e rispose, prima di rischiare un ripensamento «Non si apre» alzò lo sguardo e lo puntò sull’uomo davanti a lei «Dentro c’è qualcosa, lo so, ma deve essersi rotta la cerniera o altro, perché per quanti sforzi faccia rimane chiuso».
Era frustrante.
L’unico oggetto che la legava a sua madre, che poteva contenere qualcosa di importante, era inaccessibile.
«Così ho deciso di rintracciare chi l’ha fabbricato e farmelo aprire».
Henry la studiò attentamente, perforandola con gli occhi chiari «Forse si aprirà quand’è il momento giusto, non ci avete pensato?»
Cassandra si fece scappare una risatina di scherno «Il momento giusto?» ripeté «E’ da quattordici anni che aspetto “il momento giusto”!» sbatté un pugno sul tavolo, ignorando le rapide occhiate che le lanciava la gente intorno.
«Continuerete a viaggiare, quindi?» le chiese Henry pacatamente. La stava studiando attentamente e per la prima volta si accorse di quanto fosse ben delineato il suo volto.
La mascella era forte e squadrata, gli zigomi pronunciati e il naso ben dritto. Aveva un bel viso, quasi aristocratico, ma erano le sue labbra ad essere una tentazione, troppo forte per poterla ignorare.
Aveva visto come sorrideva alle donne, come le guardava, quasi denudandole con quello sguardo profondo. E Cassandra sapeva per certo che non si limitava a farlo con gli occhi.
Probabilmente, se le avesse lanciato una di quelle occhiate, neanche lei sarebbe riuscita a resistere. Si sarebbe lasciata andare, dimenticando tutto quanto.
Eppure, per quanto fosse bello, c’era qualcosa di sbagliato. Non era lui quello giusto. Sarebbe stata solo un’illusione, breve ed effimera.
«Continuerò a viaggiare» gli rispose, sospirando.
Lui sorrise e quello che disse poi la lasciò di stucco «Perché non vi unite a noi?»
Cassandra spalancò gli occhi, ma non fu lei a rispondere.
«Cosa?!»
Si era quasi dimenticata di lui.
Era talmente silenzioso che era difficile accorgersi della sua presenza.
Sarebbe stato capace di raggiungere chiunque alle spalle, senza che quello se ne rendesse conto.
Non sarebbe stato difficile scambiarlo per un’ombra, se non fosse stato per la sua pelle chiara. Creava uno strano contrasto con i suoi capelli scuri, neri come l’ala di un corvo. Scendevano a ricoprirgli la nuca e la fronte, mascherando appena quelle due pozze blu.
Non aveva mai visto degli occhi di un colore simile. Con un solo rapido sguardo poteva inchiodarla dov’era e svuotarle la mente.
Henry avrebbe potuto farle fare qualsiasi cosa con un solo tocco, un solo attimo di intimità.
Ma a Thomas sarebbe bastata una breve e misera occhiata.
Se avesse incrociato i suoi occhi blu e lui le avesse ordinato di fare qualcosa, lei avrebbe obbedito senza esitare, senza nemmeno pensare.
Perché lui incantava, senza nemmeno volerlo. Avrebbe potuto obbligare chiunque.
E in quel momento il suo sguardo era fisso su Henry, che lo ricambiava tranquillo, con un accenno di sorriso.
«Perché no?» riprese l’uomo, voltandosi verso Cassandra «Sareste più sicura a viaggiare in compagnia e sarebbe anche meno pesante».
«Henry» lo ammonì Thomas, quasi sibilando.
Ma Henry lo zittì con un cenno della mano, concentrato sul volto della ragazza «Cosa ne pensate, voi?»
Lei esitò, lanciando una breve occhiata al moro per poi riportare la sua attenzione sull’uomo «Non voglio arrecarvi disturbo» rispose intimidita «Posso continuare a viaggiare da sola, come ho sempre fatto. Non è un problema, per niente».
Henry si accigliò e scosse il capo con disapprovazione «Non siate testarda, signorina Cassandra. State rendendo tutto più difficile».
«No» si intromise Thomas «Sta ragionando, a differenza di te» strinse i denti, irritato, e si sporse verso il compagno di viaggio «Come pensi che potremmo occuparci di lei? Sarebbe solo un impiccio».
Cassandra si accigliò. Non aveva intenzione di andare con loro, ma non poteva sopportare nemmeno che si parlasse in quei termini di lei.
«Thomas» lo riprese Henry «non essere maleducato. Se la signorina Cassandra vuole unirsi a noi, sarà bene accetta. E tu non le procurerai alcun disagio».
Il ragazzo serrò ancora di più i denti «Lo sai che non ne uscirà nulla di buono» sibilò, prima di alzarsi di scatto e allontanarsi.
Cassandra strinse le labbra e aggrottò la fronte. Che razza di comportamento.
«Scusatelo» disse Henry, scrollando appena il capo «E’ piuttosto introverso e fatica a socializzare. La vostra scelta non dovrebbe essere influenzata da lui» le sorrise con calore «Vi consiglio di accettare la mia proposta, forse voi non ne siete a conoscenza, ma negli ultimi tempi è diventato ancora più pericoloso per una donna, girovagare da sola. Potreste trovare molti malintenzionati sulla strada e non lo dico per spaventarvi, perché si tratta della pura e semplice verità».
La ragazza si morse un labbro, indecisa. Se il signor Henry aveva ragione, allora sarebbe stato meglio accettare la sua offerta.
«Avete detto che state cercando il fabbricante del vostro ciondolo, ma non avete avuto molto successo fino ad ora» continuò, senza aspettare una risposta. Poi i suoi occhi brillarono improvvisamente «Siete mai stata a Maitland?»
Cassandra scosse il capo, intuendo dove volesse arrivare.
«Potreste venirci con noi. Se non avete avuto successo qui nel continente, forse troverete qualcosa a Maitland».
Riflettendoci, era un’idea abbastanza buona. Henry aveva pienamente ragione.
«Però non voglio disturbarvi» mormorò, iniziando ad accettare l’idea. Se non fosse stato per Thomas.
Come se avesse potuto leggerle nella mente, l’uomo sorrise «Se la vostra decisione dipende da Thomas, dovreste accettare. Lui se ne farà una ragione».
Eppure non voleva viaggiare sentendo i suoi occhi blu trafiggerle l’anima.
«Non lo so. Posso darvi una risposta domani?»
Il biondo allargò il sorriso «Ma certo!»
Cassandra non poté fare a meno di ricambiare, prima di alzarsi e congedarsi per la notte.
 

***

 
Odiava quegli incubi. E il sudore freddo che le imperlava la pelle.
Si passò una mano tra i capelli lunghi e sospirò. Da quanto tempo duravano? Troppi anni per poterli contare.
Posò i piedi sul pavimento e si alzò, facendo scricchiolare le assi di legno. Aveva bisogno di aria, di uscire da quella stanza troppo soffocante.
La pesante porta si aprì con un cigolio e lei diede un’occhiata al corridoio buio, tendendo le orecchie per cogliere ogni minimo rumore. Si sentivano solo i cigolii dei letti e il russare, lieve o forte, degli avventori.
Abbastanza sicura di non essere scoperta da nessuno, soprattutto in veste da notte, si avventurò all’esterno della sua stanza, giù per le scale, verso la grande sala della locanda.
I gradini gemettero appena, ma lei non ci diede peso, continuando la sua discesa.
Le gambe le tremavano ancora e il cuore batteva forte, procurandole un fastidioso ronzio nelle orecchie.
Si fermò ai piedi della scalinata e, quando i suoi occhi si adattarono all’oscurità, entrò nella sala.
Ma mosse appena pochi passi, prima di fermarsi di nuovo. Perché non era la sola ad aver approfittato della tranquillità notturna per schiarirsi i pensieri.
Seduto su una sedia, Thomas la fissava con i suoi occhi blu. Probabilmente si era accorto di lei ancora prima che scendesse le scale.
Lo vide rilassare la postura, come se si fosse assicurato che non ci fosse stata nessuna minaccia, e voltare il capo.
Cassandra sentì il suo cuore palpitare e una strana stretta allo stomaco. Non si sentiva molto sicura; certo, il buio celava il suo volto arrossato e il suo abbigliamento discinto, ma faceva lo stesso con lui. E non sapere dove lui si trovasse esattamente, la rendeva inquieta.
Inspirò profondamente e a piccoli passi si diresse verso la sedia più vicina, cercando nel frattempo di non urtare nulla.
Si sedette con un lieve sospiro e incrociò le braccia sul tavolo, appoggiandoci sopra il capo e chiudendo gli occhi.
La sua pelle era fredda e appiccicosa, avrebbe dovuto indossare qualcosa sulla leggera camicia da notte.
«Sei rumorosa».
Il relativo silenzio fu rotto dalla voce di Thomas, che, inaspettata, la fece sussultare.
Alzò la testa, cercando di metterlo a fuoco. Riusciva ad intravederlo appena, nascosto nella zona più buia della stanza.
«Scusate» si limitò a sussurrare, ricevendo in risposta soltanto un verso stizzito.
Dal piano superiore provenne un lieve russare e il silenzio calò di nuovo.
Cassandra approfittò dell’oscurità per osservare il ragazzo come non aveva mai osato fare prima di allora, sicura che lui non se ne sarebbe accorto.
Il buio mascherava i suoi lineamenti, ma non la sua figura: era alto e dal fisico asciutto. Sembrava abituato ai lunghi viaggi e a maneggiare delle armi. Assomigliava quasi ad uno di quei cavalieri che, raramente, chiedevano ospitalità alla locanda di Rose per una notte.
Quel pomeriggio l’aveva afferrata saldamente, quando gli aveva sbattuto contro. Doveva essere abbastanza forte e sicuramente aveva affrontato uomini peggiori del suo inseguitore.
Era sfuggente e non gli piaceva stare in mezzo alla gente, di quello ne era sicura. Come era sicura che fosse terribilmente testardo.
«Hai finito di fissarmi?»
Cassandra spalancò gli occhi azzurri, stupita che lui se ne fosse accorto, e arrossì.
«Scusate» mormorò imbarazzata.
A quello seguì nuovamente un attimo silenzio, rotto solo da alcuni scricchiolii.
«Sei irritante. Non credo di riuscire a sopportarti, se mi dai un’altra volta del “voi”».
Cassandra non disse nulla, troppo stupita che lui le parlasse di sua spontanea volontà.
«Ti conviene decidere in fretta» la sua voce inespressiva sembrava più vicina, ma non l’aveva sentito alzarsi. Nessun rumore.
«Non basare le tue scelte sui voleri di qualcun altro» le passò alle spalle con un unico fruscio, per poi dirigersi verso le scale e sparire alla sua vista.
Cassandra sbatté gli occhi. Le aveva forse detto che avrebbe accettato la sua eventuale presenza nel loro viaggio?
Si rialzò lentamente, facendo frusciare la camicia leggera. Le gambe si mossero da sole, alla volta della sua stanza, fermandosi solo per ammirare la luna crescente, che gettava la sua luce lattea all’interno della stanza, dritta su di lei.
Le piaceva osservare la luna: riusciva sempre a calmarsi, qualsiasi pensiero la stesse torturando. Quella notte, poi, era incredibilmente bella.
Alzò una mano, portandola all’altezza degli occhi. Era quasi perlacea e le ricordò le leggende che venivano spesso raccontate. Si diceva che immergersi in un lago sotto la luna piena aiutasse a conquistare la propria anima gemella.
Era il genere di storie che amava Elisha.
Sospirò.
Chissà se stavano tutti bene, a Glenville.
Abbassò lo sguardo, afferrando stretto il suo ciondolo, e si voltò.
Non c’era nessuno, probabilmente Thomas era già tornato nella sua stanza, eppure si sentiva osservata.
Non sentiva il solito gelo e nemmeno il disagio che le aveva provocato quell’uomo nel pomeriggio. Era una sensazione piacevole e calda. Uno sguardo la accarezzava, sfiorando la sua pelle scoperta, scivolando lungo le sue curve, lungo le pieghe della veste bianca, calmando il suo cuore agitato e il suo animo tormentato.

Era bello.
Chiuse gli occhi per un istante, lasciando che le sue labbra si stendessero in un sorriso.
Era da tempo che non si sentiva così bene.
Lo stridio di una civetta la riscosse, costringendola a riemergere da quell’attimo di pace. Diede un ultimo sguardo alla luna e si ritirò nella sua stanza, lasciando il buio dietro di sé.

 

 

 

 
 

Colpo di scena: capitolo molto più lungo del solito! Il fatto è che ho deciso di postare tutto quello che avevo già scritto, per continuare man mano, e piuttosto che interromperlo prima di arrivare alla locanda ho deciso di prolungarlo.
Come avete potuto leggere succedono un sacco di cose: la partenza di Cassandra, l’incontro con Henry e Thomas, un piccolo dialogo con quest’ultimo e qualcuno che la fissa. Chi è che la fissa? Mah, non ve lo dico! Fate pure le vostre congetture!
 
Ringrazio di cuore chi ha commentato.

Hareth: Grazie! Sono contenta che ti interessi la storia e spero continuerai a seguirla! Sono stata davvero contenta di leggere la tua recensione!
Ghen: Non preoccuparti, quello che conta è che alla fine tu l’abbia letto! Gli occhi di Thomas in questo capitolo sono ancora più belli! Sinceramente, nonostante il suo carattere, sono diventata una sua fan! XD Per quanto riguarda il sogno di Cassie, quello è il genere di incubo che fa la notte e la finestra aperta è un mistero che non posso svelare (anche perché io stessa ho il dubbio su chi sia stato! XD) Questo capitolo è decisamente più lungo e almeno i misteri che riguardano Cassandra iniziano a svelarsi pian piano.
 
Grazie a tutti coloro che hanno letto,
Ghen e Targul per averla aggiunta tra le Preferite e Calliroe, erato1984 e Hareth per averla inserita tra le Seguite.
 
Sarei contenta di sapere cosa ne pensate e se volete lasciarmi una recensione ve ne sono grata! Ma l’importante è che continui a piacervi!

Alla prossima!

   
 
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