Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
Segui la storia  |       
Autore: Tersy    17/05/2010    1 recensioni
Anno 2008. Sono trascorsi sette anni dall'attacco alle Torri gemelle. Ognuno ha ripreso la sua vita in modo più o meno normale, ma ne sono inevitabilmente rimasti segnati. Tre sconosciuti, tre esperienze differenti. Un solo destino.
Dedicata ai veri eroi
Disclaimer: il racconto è di pura fantasia e non è intenzione dell'autrice urtare la sensibilità dei lettori riguardo tematiche attuali e controverse (terrorismo, politica internazionale ecc).
Prima classificata al concorso "Fenomeni paranormali" indetto dal Writers Arena
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo I
Dietro di me, la gabbia


Fumo acre. La stanza è troppo piccola per contenerlo e sgattaiola fuori dalla finestra. Vetri in frantumi ovunque. Perché questo squarcio nel muro? Puzza di zolfo. Alte fiamme bloccano l’uscita . Inghiottono il nostro ossigeno. Che sta succedendo? Urla assordanti, non riesco a ragionare, non riesco ad impazzire. Posso aspettare di essere salvato. Sì, aspettiamo, dobbiamo restare calmi. No! Che state facendo? Non gettatevi!

« Peter?» una voce s’intromise nelle sue frequenze celebrali.

L’uomo si guardò intorno, strizzando le palpebre, quasi si fosse appena risvegliato da una notte travagliata. Entrambi i gomiti poggiavano sul tavolo lucido, mentre le dita, muovendosi in cerchio, massaggiavano la pelle del viso.

«Sei stanco? Abbiamo appena iniziato e dobbiamo finire questo piano marketing entro stasera. Altrimenti caput!» enfatizzò sbattendo un blocco di fogli dinanzi al collega.

« Niente Will, non preoccuparti. Sto bene, è solo un po’ di stress e insonnia...» si stiracchiò la schiena, allungando le braccia verso l’alto.

« Allora » disse afferrando e sfogliando pigramente il fascicolo.

« Chi è il cliente? »

« L’ “America West Airlines”. Ormai tutte le compagnie aeree hanno iniziato una pressante campagna pubblicitaria. Nessuno vuole più prendere l’aereo. Roba da matti, una follia di massa. » Uno strano silenzio fece la sua comparsa nell’ufficio.

« Cioè... Non che pensi che chi ha paura di prendere l’aereo sia folle, in fondo è vero che di questi tempi non si è mai sicuri di niente. Insomma... » tossì, recuperando un po’ di voce

« E poi i treni sono così comodi , no? Ed economici. Hai notato che i prezzi per un volo sono diventati esorbitanti? Insomma! Un povero lavoratore come fa...»

«Will! Per l’amor di dio, smettila! Non sono un bambino, puoi anche piantarla di trattarmi con i guanti di velluto. Ho paura di prendere l’aereo dopo l’attentato, ma questo non mi impedisce di pensare che sia una follia. E non c’è bisogno di sentirsi in imbarazzo ogni volta che si parla di aerei. Sono davvero frustranti tutte queste stupide smancerie, cazzo! Speravo che almeno tu non fossi come tutti quegli stronzi là fuori » indicò col braccio la finestra

« Con l’ipocrisia impressa sul volto, che mi salutano come se volessero darmi le condoglianze. Ma io non sono morto! » La sedia avvertì nettamente il suo sospiro pesante e liberatorio.

« Scusami, hai ragione.» Will si grattò dietro la nuca, palesemente a disagio.

« Okay, adesso torniamo a queste scartoffie. Credo che dovremmo puntare sul concetto di sicurezza, affidabilità. Qualche immagine di hostess formose e sorridenti con dello champagne e uno slogan d’effetto. Che ne dici? » cercò l’appoggio dell’amico, che però sembrava viaggiare su altri binari. Un paio di iridi perla che scrutavano un indefinito niente.

« Will? Che fai, adesso sei tu quello che non è più qui?»

« Ma no. Sto appunto pensando ad uno slogan...» Fece qualche passo allontanandosi dalla scrivania, con entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni grigio topo.

« Ecco, bravo. Fa’ il tuo mestiere. Io intanto vado a pranzo.» Afferrò il cappotto dall’attaccapanni e lo indossò in fretta.

« Non vieni con me? » domandò mentre una mano già reggeva la maniglia della porta. Will scosse il capo prima di negare apertamente.

« No, preferisco restare qui a lavorare ancora un po’.» tono serio e distaccato,accentuatamente grave. Peter scrollò le spalle per nulla sconvolto.

«Come vuoi. Ci vediamo più tardi. Ciao.» ondeggiò il palmo destro accennando un rapido saluto, prima di diventare una sagoma oltre la porta a vetri.

In quell’ufficio si respirava un’aria cattiva. Almeno era questo l’assillante pensiero dell’uomo, che volle tentare di liberarsi da questa oppressione, spalancando la finestra, da cui era possibile scorgere, in lontananza, Central Park. Posò entrambe le mani sul davanzale, facendosi scompigliare la cravatta dal nodo leggermente allentato. Gli orli della camicia erano scombussolati dalle raffiche che raggiungevano il cinquantesimo piano del grattacielo. C’era una pace primitiva lassù, distante anni luce dalle migliaia di strade strozzate dalle automobili e dai pedoni. Un silenzio parziale che portava ugualmente benessere e angoscia. Dipendeva dalla mente di chi l’avrebbe accolto. E la mente di Will era fin troppo fustigata per trovarne sollievo.

« Mi dispiace... » un piccione, che volava ad alta quota, fu l’unico ascoltatore di quel sospiro nero.

Sette anni sono tanti. Possono trascorrere facilmente o possono pesare come singole gocce che piombano da un rubinetto guasto. In alcuni casi rappresentano il periodo più fertile e proficuo della propria vita o quello più maledetto e corrosivo. Quanti bambini nascono in questo arco di tempo? Quanti ne muoiono? Per molti, sono solo una misera percentuale, una frazione di esistenza. Invece sono una grossa porzione. Sette anni sono tanti. A volte troppi. Soprattutto se l’inesorabile scorrere accorcia i mesi che conducono alla mezza età, quando i momenti ancora a disposizione diventano sempre meno rispetto a quelli già bruciati. E cominci a fare un bilancio, a sorridere delle beffe e morderti le labbra per i rimorsi. Comprendi di star passando, ma non sai a che punto del percorso sei e, in particolare, come ci sei arrivato. Se ti hanno spinto o se le tue gambe hanno viaggiato da sole. Invecchi, in breve.

Peter pensava a tutte queste cose, mentre addentava un hot dog, comprato en passant sulla trentaduesima strada. Era irriconoscibile nella perenne folla che assilla i marciapiedi della Grande Mela, ma perché, poi, qualcuno avrebbe dovuto notarlo? Un impiegato come tanti, art director già da prima che nascesse la pubblicità. Icona del newyorkese medio che si lamenta dei tassisti, che gufa i Red Sox quando sono in cima alla classifica, che disprezza la sua città in proporzione al suo morboso attaccamento ad essa. Che canta l’inno nazionale per poi gridare: “God bless America!”

Appallottolò la carta argentata e la gettò nel cestino che trovò lungo il percorso. Avrebbe voluto fare lo stesso col suo recente passato. Accartocciarlo e fingere che non fosse mai accaduto nulla, che settembre fosse un mese qualunque, che due titanici edifici osservassero ancora la metropoli, proteggendola dall’alto delle bianche nubi.

Non era ancora riuscito a tornare lì. Quando era possibile, sviava il luogo prendendo un vicolo secondario e se non poteva farne a meno, prendeva un mezzo qualsiasi, uno affollato e si metteva al centro della vettura, di modo tale da non essere in grado di sbirciare oltre il finestrino. Non era mai riuscito a riappropriarsi del coraggio, a dire la verità. Odiava lavorare ancora in un grattacielo, odiava prendere l’ascensore, odiava il rumore dei motori di un aereo di linea. Odiava essere compatito per questo, ma era esattamente ciò che si meritava. E lo sapeva, e ne aveva paura. Un terrore viscerale. Si ripeteva che sarebbe migliorato, che lentamente si sarebbe ripreso dallo shock. Era solo una questione di tempo. Forse questa era l’unica cosa su cui aveva ragione. Cronos sarebbe venuto a bussare alla sua porta, ma non per una semplice visita di cortesia. L’attentato alle Torri Gemelle aveva lasciato molte più vittime di quelle che erano nei cimiteri. Ricordare, questa era lapide di chi restava.

Come un malessere lo colpì all’improvviso. Avvertì un risucchio a livello dello stomaco ed il respiro si fece più articolato, complesso da effettuare. Si accasciò con la schiena contro una parete, mentre con le mani stringeva il cappotto proprio sotto il diaframma.

Credeva che sarebbe svenuto di lì a poco e che non avrebbe avuto la forza di gridare per chiedere soccorso. Invece non perse i sensi. Li acquistò.

Una porta laccata in legno. È socchiusa. Non riesco a guardare con esattezza, ma posso sentire abbastanza bene ciò che viene detto.

Sembra un gruppo, una dozzina di persone. Dal timbro vocale, suppongo siano adulti maschi. Il loro linguaggio è piuttosto serioso, forse la riunione di un’azienda. Poggio il viso sullo spiffero e cerco di aguzzare la vista. C’è un lungo tavolo ovale, anch’esso dello stesso legno della porta.

Dei figuri in giacca e cravatta siedono attorno ad esso. C’è silenzio,eppure qualcuno si sta alzando proprio in questo momento.

«Miei cari, abbiamo faticato tanto per raggiungere questo obiettivo. Molti di noi non sono qui per festeggiare. Ma ora ci siamo, abbiamo tutto a nostra disposizione. Possiamo finalmente portare a termine la nostra missione. Accadrà presto, molto presto e l’umanità ce ne sarà grata. »

«Presto quanto? Non possiamo aspettare ancora per molto. »

« La data è stabilita da tempo. E non ho intenzione di mandare tutto a monte. A settembre, l’undici. »


Il passato è una lurida gabbia. Se ci entri, non potrai più uscirne.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni / Vai alla pagina dell'autore: Tersy