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Autore: ceciotta    21/05/2010    2 recensioni
Seconda classificata al concorso A CONTEST FOR FABER indetto da RoyxEd 4Ever. In un ospedale, l'incontro tra un infermiera e una bambina sfocerà in un'amicizia che cambierà le loro vite.
Genere: Generale, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando gli angeli sorridono

 

 

 

 

Riconciliazione e Addio

 

Ormai la sua routine quotidiana si era spezzata. Spesso all'inizio si dirigeva istintivamente verso pediatria, prima di ricordarsi che non poteva più andarla a trovare; i messaggi smisero di assillarla dopo qualche giorno, ma quella mancanza le fece solo del male: ormai anche Serena si era arresa all'evidenza, era ufficialmente una traditrice.

“Ti manca, vero?” chiese Dania, un giorno, mentre mettevano a posto delle cartelle.

“Non è tanto la mancanza, io posso sopravvivere a questo” replicò lei, mestamente. “Non hai idea di quanto mi senta in colpa”

“Ferri è stato davvero uno stronzo. Ci deve essere qualche scappatoia....”

“Non c'è, ci ho pensato per nottate intere” replicò lei. “Non sono brava in questo genere di cose. Quello che non capisce è che non sono io quella che ci rimette di più, ma Serena! Insomma, ero sua amica e l'ho abbandonata così, come una stronza... Forse sono una stronza per davvero. Forse dovrei andare da lei anche se Ferri vuole farmi licenziare”

“Sarebbe una follia”

“Lo so, e non voglio mettere a repentaglio la mia carriera. È per questo che mi sento una traditrice”

Laura continuava la sua vita come sempre, chiedendo ogni giorno ai suoi colleghi di pediatria come stesse Serena. Si trascinava al lavoro con l'intenzione di evitare il più possibile Ferri, ma spesso dimenticava che c'erano anche altre persone che non desiderava vedere: la famiglia di Serena, per esempio. I loro sguardi accusatori bastavano a riferirle come Serena avesse reagito all'abbandono, ma non provò mai a giustificarsi.

Continuò così per molto tempo. Ormai l'infermiere di turno aveva preso a darle informazioni su Serena senza che queste venissero chieste. Era a conoscenza di quando Serena era in ospedale per il ciclo di chemio e di quando invece era a casa; sapeva come si sentiva, come si comportava, come reagiva alle cure. Sapeva tutto questo, ma non la vedeva mai; semplicemente, la spiava.

Tra un paziente e l'altro, Laura proseguiva la sua vita in solitaria, ma sentiva, nel profondo del cuore, che una persona a cui teneva stava soffrendo.

 

Erano passati mesi, l'estate era sfociata nell'autunno, e ancora Laura e Ferri non si parlavano. Nonostante i tentativi di quest'ultimo, infatti, Laura era poco disposta a perdonare.

“Continuerai a tenermi il muso, Raggio di Sole?” chiese lui, con un sorrisetto.

“Se ne avrò voglia glielo terrò finché campo” replicò lei, bevendo il suo ennesimo caffè di quella giornata. “Pensa che tutto tornerà come prima? Beh, continui pure a sognare. Che gliene importa del suo rapporto con un'infermiera sciocca e piagnucolona, comunque?”

Ferri le sbarrò la strada con un braccio, prima che passasse. “Non ho mai detto di ritenerti sciocca e piagnucolona” disse serio.

Laura lo costrinse ad abbassare il braccio. “Beh, è quello che ha lasciato intendere” replicò lei. Prima che lui potesse rispondere, un'altra infermiera arrivò in fretta e furia: era Tina, di pediatria.

“Laura devi venire con me” disse, risoluta. Poi notò anche Ferri. “E lei non osi fare nulla” gli sibilò addosso. Afferrò la collega per un braccio e prese a trascinarla.

“Ehi! Ma che stai facendo?” esclamò la ragazza.

Fuori dal reparto, Tina si fermò e la guardò fermamente. “Quello che sto facendo non è etico e nemmeno professionale” disse. “Ma qui ci sono cose più importanti in gioco”

“Cos'è successo?” chiese Laura, preoccupata. “È Serena? Sta male?”

“No, sta benissimo, ma ha bisogno di te! Da quando non vai più a trovarla è ancora più triste di prima. Devi andare da lei!”

Laura guardò la porta di pediatria. “Tina, non posso entrare lì dentro” mormorò. “Ferri me la farà pagare...”

“Ferri non farà un bel niente! Tutti gli infermieri di pediatria sono d'accordo, e Dania sta convincendo quelli di oncologia! Voglio vedere che farà contro di noi. Sarà anche il cocco del primario, ma se crea un casino nemmeno lui ne sarà contento. E ci sono anche i genitori di Serena! Non sei sola, Laura”

Laura la guardò meravigliata. “Credo che tu mi abbia convinta” disse.

“Allora non facciamo aspettare Serena. Ha bisogno che qualcuno le cambi la flebo” la spronò Tina.

Laura non se lo fece ripetere due volte e, afferrata la sacca che lei le stava porgendo, superò la porta di pediatria, marciando a ritmo sostenuto.

Quando bussò sullo stipite della porta aperta, Serena alzò lo sguardo. A Laura fece impressione vedere quanto era cambiata: ormai completamente calva, aveva un colorito praticamente cadaverico ed così magra da far paura. Elena si illuminò e i genitori parvero sollevati.

“Ciao, piccolina” mormorò Laura, con un sorriso incerto.

“Pensavo che non volessi più venire” osservò Serena. Questa volta non c'era solo tristezza nei suoi occhi, c'era un sentimento che l'infermiera non vi aveva mai visto: c'era rabbia.

“Senti, Serena, so che sei arrabbiata con me... so che ti ho deluso, ma...” Laura si interruppe. “La verità è che non ho scuse. E mi dispiace”

Serena non cambiò espressione.

“So che non otterrò il tuo perdono così in fretta” disse Laura, poi si accorse che Ferri stava entrando nella stanza. “Spesso per ottenere perdono bisogna lottare a lungo, e certe volte ci si rende conto di essere andati troppo oltre anche per chiederlo” concluse rivolta al medico, che sospirò. “Aveva bisogno di qualcosa, dottore?” chiese.

Ferri tentò di dire qualcosa, ma fu repentinamente interrotto da Dania che si affacciava nella stanza.

“Salve!” esclamò allungando le vocali, con un sorriso enorme. “Dottore, le volevo dire che se osa cacciarla da questa stanza, io prendo il suo stetoscopio e so io dove glielo infilo. Non sto scherzando, glielo assicuro” continuò.

“Dania...”

“Oh, andiamo, se l'è davvero cercata questa volta” si lamentò lei. “Per favore, non ci costringa a fare delle cose che non vorremmo fare”

“Non ero venuto qui per cacciare nessuno, solo per controllare la mia paziente” sibilò lui a denti stretti.

“Molto bene, allora” disse lei, ma rimase lì a controllare la situazione.

Ferri sbuffò, controllando la cartella di Serena. “Allora? Come va oggi?” chiese.

“Come al solito, dottore” replicò lei.

“Io... dovevo cambiare la flebo” disse Laura, titubante.

“Guarda che non mordo. Puoi pure avvicinarti” disse Serena.

Laura evitò lo sguardo di Ferri e fece ciò che doveva fare.

“Allora Laura? Che novità ci racconti?” chiese Elena, nel tentativo di rompere il ghiaccio.

“Non è successo granché in questo periodo” disse lei. “Mia sorella è riuscita a farsi bocciare due volte nello stesso esame, ma ormai ci siamo abituati”

“Falle i complimenti da parte mia” disse Ferri.

“Ma che simpatico” borbottò Laura, guardandolo male. “E tu Serena? Non te la sei passata bene in questo periodo, vero?” chiese poi, costernata.

“Non sentirti sempre al centro dell'attenzione, non è solo per colpa tua se ho passato dei momenti schifosi” replicò lei. “Solo che... eri una delle poche persone di cui mi fidavo” mormorò abbassando la testa.

Ferri rimise a posto la cartella. “Bene, direi che tutto è nella norma. Penso che andrò”

“Sono stata davvero meschina ad abbandonarti” disse Laura, quando lui fu uscito. “Il fatto è che non pensavo che fossi davvero così affezionata a me. Credevo che te ne saresti fatta una ragione”

“Non è vero. Sapevi che non l'avrei fatto” la contraddisse lei.

“Allora diciamo che lo speravo”

Serena esitò, senza guardarla. “Immagino che... che a scala quaranta si giochi meglio in tre che in due. Se ti va di passare, dopo il tuo turno, Elena ha portato le carte” disse, senza alzare il volto.

 

“Mi dispiace” disse una voce accanto a lei, in un sussurro.

Laura alzò il volto dal paziente a cui aveva cambiato il catetere. Ferri la guardava dalla soglia.

“Vede? Non è così difficile dirlo” osservò lei, gelida.

“Non chiedermi di ripeterlo una seconda volta, perché non lo farò”

“Lo so, sono già fortunata ad averle sentite, quelle parole. Immagino che lei non chieda scusa molto spesso”

“Ti ringrazio per non aver detto a Serena che l'unico responsabile di questa situazione sono io” disse lui.

“Lei è una tua paziente, deve fidarsi di te” replicò Laura. “E comunque io avevo la possibilità di ignorarti e non l'ho fatto. Ho avuto paura” Non si accorse nemmeno di avergli dato del tu.

“Comunque, quando mi avrai perdonato, se mai lo farai, beh, sai dove trovarmi” disse mestamente Ferri.

Laura uscì dalla stanza insieme a lui. “Ma ti senti? Non è che mi hai rovesciato addosso un'aranciata o hai rigato la mia macchina per sbaglio: mi hai minacciato di farmi allontanare, quando sai che cosa avrebbe significato per la mia carriera. Credimi, dottore, spero davvero che stessi solo bluffando”

“Non l'avrei fatto, se è questo che temi” spiegò lui.

“E allora sei stato doppiamente meschino” mormorò Laura, allontanandosi.

 

I giorni seguenti Laura li passò cercando di ricostruire il rapporto con Serena. La ragazzina era ancora arrabbiata, com'era ovvio, ma sembrava aver davvero bisogno di lei.

“Credo di essere troppo stanca per portare rancore in questi giorni” mormorò Serena. Tossì. “Mi sento davvero debole”

“Allora, con Ferri?” chiese Elena cominciando a dare le carte.

“Diciamo che le poche speranze che avevo di dichiararmi con lui sono sfumate quando ho scoperto che è un perfetto bastardo” disse Laura, accarezzando la guancia di Serena. Non si stupì di trovarla un po' calda.

“Perché, che è successo?” chiese Serena, accigliata.

“Oh, in realtà nulla di importante. Solo delle divergenze in ambito lavorativo. Il fatto è che... lui riesce a farmi sentire ancor più inadeguata di quanto non mi senta già” ammise Laura. Prese le sue carte e le mise a posto, subito imitata dalle altre due.

“Possiamo fare qualcosa per aiutarti a fargliela pagare?” chiese Serena, alla seconda mano. “Conosco un paio di trucchetti che ho usato contro i miei compagni di scuola e che sono davvero...” Serena non finì la frase e le carte le scivolarono di mano, sparpagliandosi sul letto.

“Serena, ti senti bene?” chiese preoccupata Laura.

Serena guardò le carte con espressione stupita e indispettita. “I-io non lo so” mormorò. “Non riesco a tenerle in mano...” mormorò, sconvolta, cercando di afferrarne una, ma la sua presa era troppo debole. Tremava tutta.

Laura si sforzò di mantenere la calma, almeno esternamente. “Non agitarti, forse non è nulla” disse, ma non credeva alle sue stesse parole. “Vado a chiamare Ferri” aggiunse alzandosi. Serena si sporse dal lettino e vomitò. “Vado a chiamarlo in fretta”

“Laura, cosa...” cominciò Elena, spaventata.

Lei si diresse fuori dalla porta, ma la ragazza la seguì.

“Laura, che le sta succedendo?” chiese, mentre lei avvisava un'altra infermiera di controllare Serena.

Laura si fermò a guardare Elena. “Non lo so, ma tu devi restare con lei, è chiaro?” le intimò. “Cerca di farla stare tranquilla”

Una volta fuori dalla portata del suo sguardo, Laura affrettò ulteriormente il passo, fin quasi a correre.

Quando individuò Ferri, praticamente gli balzò addosso. “Devi venire con me! Per favore, Serena sta male!” esclamò, afferrandosi al suo braccio.

Ferri, che a quanto pareva stava parlando col primario, divenne subito serio. “Cos'ha?” chiese mentre ripercorrevano la strada insieme.

“Stava tenendo in mano delle carte da gioco e le ha fatte cadere. Non riusciva proprio a reggerle, era troppo debole, poi ha vomitato...”

Ferri entrò nella stanza come un fulmine. “Serena, cosa ti senti?” chiese alla ragazzina, che se ne stava sdraiata con aria sofferente.

Lei gli spiegò tutti i sintomi, con voce flebile, poi riprese a tossire.

“Hai già chiamato i vostri genitori?” chiese Ferri, rivolto a Elena, che annuì, pallida, quindi si rivolse un'altra volta a Serena. “Ora non agitarti, faremo degli esami per vedere che cosa ti sta succedendo, ma tu devi essere forte, va bene?” disse.

“Ho paura” mormorò lei.

“Lo so, ma prima di fasciarci la testa dobbiamo essere sicuri di ciò che hai”

 

Come prima di venire a conoscenza del tumore, l'attesa per i risultati fu straziante e di nuovo alcuni avrebbero voluto che non arrivassero mai.

Laura scorse da lontano Ferri e la pediatra che discutevano. La loro espressione sconvolta diceva tutto, ma Laura cercò di convincersi che non significava niente, che forse stavano parlando di una cosa che non riguardava assolutamente il loro lavoro.

D'un tratto Ferri voltò le spalle alla collega e se ne andò in fretta.

“Paolo!” lo richiamò la pediatra, ma lui non l'ascoltò.

Quella fuga, perché di altro non poteva trattarsi, spaventò Laura che rimase a guardare la scena mentre Ferri quasi correva via, scontrando un'infermiera che per poco non lasciò cadere le siringhe ipodermiche che stava portando.

Laura lo raggiunse nello spogliatoio maschile ed esitò ad entrare, ma un rumore di qualcosa che cadeva la convinse che era la cosa giusta. Una panca era rovesciata e Ferri era immobile al centro della stanza, il respiro spezzato. D'un tratto imprecò, e un'altra panca fece la stessa fine della prima.

“Dottore...” mormorò lei, sconvolta.

Ferri sollevò lo sguardo e la vide. “Non dovresti essere qui” disse. Un appendiabiti innocente si ritrovò sdraiato.

“Cos'è successo? Per favore non faccia così...” supplicò lei, spaventata. “È Serena?”

Ferri parve perdere le forze e si sedette con la testa fra le mani. “Il tumore non è regredito” replicò lapidario. “Ci sono metastasi sparse in tutto il corpo, è per questo che sta sempre peggio”

Laura boccheggiò e sentì subito le lacrime inondarle gli occhi. “Quindi non... non è servito a nulla?” farfugliò.

Ferri alzò la testa verso di lei, di scatto, furibondo. “Lo sai anche tu! Quella bambina è spacciata, non c'è nulla, nulla, che possiamo fare!”

Laura resistette all'impulso di mettersi a piangere. “Parlarmi così non cambierà la realtà” gli fece notare.

“Che devo dire a quei genitori? O a lei?” sibilò.

“Non lo so... forse la verità”

“Ma che ne sai tu!” sbottò lui, alzandosi a fronteggiarla. “Tu sei solo un'infermiera, non è compito vostro dare notizie del genere! Voi non fate altro che correre da un paziente all'altro, non dovete dire a dei genitori che presto, molto presto perderanno la loro adorata figlia!” le gridò in faccia.

Laura lo guardò per qualche istante allibita poi lui barcollò sotto la forza del suo schiaffo. “Sì, sono un'infermiera e ne sono orgogliosa, hai capito?” lo aggredì. “Sempre meglio di essere un bastardo come te! Ma ti senti quando parli? Ti lamenti perché devi dire a quella bambina che morirà! Stai demolendo lo spogliatoio solo perché devi dare una notizia terribile...” La sua voce si incrinò e allora si ritrovò a gridare. “E Serena che dovrebbe fare? È lei che sta morendo, non tu! Possibile che nella tua meschinità non te ne renda conto? La tua vita continuerà anche dopo averle detto tutto ciò che c'è da dirle, la sua no! Lei che dovrebbe fare? Dare fuoco all'ospedale? Già, peccato che non ne abbia le forze, nemmeno riesce a tenere in mano le carte!” Singhiozzò. “Non capisci quanto sei egoista? Anch'io non so che fare in questo momento, ma mentre tu continui a pensare che devo dirle? io penso come faccio a farla stare meglio? Che posso fare per aiutarla?” Lo guardò con disgusto. “Tu mi piacevi... mi piaci ancora, lo sa Dio quanto vorrei prenderti in questo momento e spogliarti qui, ma davvero non capisco come io possa continuare a desiderarti dopo tutto quello che mi hai fatto! Ma tranquillo: sono solo una stupida infermiera troppo sentimentale, non mi aspetto che tu capisca”

Ferri aveva seguito la sua filippica allibito, senza riuscire ad intervenire, ma alle ultime frasi sembrò completamente spiazzato.

“E ora rimetti tutto a posto! Guai a te se vengo a sapere che l'hai fatto fare ad un infermiere, capito?” concluse Laura.

“Ma...”

“Rimetti in ordine!” strillò lei. Si diresse all'uscita, ma all'ultimo si voltò. “Ah, e quando andrai a dirlo ai genitori, vedi di usare un po' più di tatto di quanto hai fatto con me. Credo che lo apprezzerebbero” disse. “Ci sarò anch'io, ma non per tenere la manina a te”

 

“Terminale? Ma che sta dicendo?!” sbottò il signor Landi.

Laura osservava la scena da lontano, in attesa di entrare da Serena. Ferri aveva appena usato l'ultima parola che un genitore vorrebbe sentirsi dire.

“Mi dispiace...”

“Ma dovete avere qualche idea!” singhiozzò la madre di Serena. “Ci deve essere qualche possibilità!”

“Abbiamo fatto il poss...” Ferri non riuscì a concludere la frase.

Laura vide il pugno partire, ma era troppo lontana per intervenire e guardò Ferri cadere contro il muro.

“Signore! Signore, per favore!” Betta cercò di calmare Landi, che si era avvicinato pericolosamente all'oncologo.

Ferri era rimasto a terra, sconvolto, con una mano a tamponare il sangue che gli usciva dal naso.

Se non fosse accaduto in una situazione così drammatica, Laura si sarebbe quasi divertita, ma in quel caso gli servì solo a capire quanto quell'uomo fosse disperato. Con la gola stretta in una morsa, si avvicinò a Ferri e lo aiutò ad alzarsi.

“Forse è meglio se lo porti via” le suggerì Betta, preoccupata.

Lei annuì e prese a trascinare via Ferri.

“Wow, hai affrontato un incontro di boxe?” chiese mestamente Dania, mentre Laura faceva sedere l'oncologo sul divano, nella saletta.

“E chi lo sapeva che il signor Landi aveva un destro micidiale?” fece lui.

“Fammi vedere” sbuffò l'infermiera, sedendosi accanto a lui.

Laura era rimasta in piedi. Quando Ferri si voltò verso di lei, fu per dirle l'ultima cosa che si aspettava.

“Va' da lei” la spronò. “Non ne ha mai avuto così bisogno”

Laura annuì e se ne andò senza una parola.

Fu tremendo avvicinarsi alla stanza e vedere Elena che ne usciva singhiozzando, segno che la notizia era già stata data.

“Oh, Elena...” mormorò, ma lei scosse la testa, facendole segno di entrare.

Quando fu dentro, comunque, Serena stava già piangendo abbracciata ai suoi genitori. Lei attese: la consolazione da parte di un'amica poteva aspettare.

 

L'unica cosa da fare, a qual punto, era evitare che Serena soffrisse troppo. Ma se questo era vagamente possibile sul piano fisico, dal punto di vista psicologico era impraticabile. Serena aveva dodici anni, non aveva mai avuto un ragazzo e i suoi sogni per il futuro erano stati smantellati in blocco. E, tutto sommato, oltre all'età adulta quell'odiosa malattia aveva rubato anche l'infanzia. Laura ricordava com'era avere dodici anni: a quell'età lei era spensierata, giocava ancora con le bambole e da grande voleva diventare astronauta, modella, campionessa di salto in lungo. Tutte cose che non si erano mai avverate, ma lei aveva avuto la possibilità di farle accadere, aveva avuto un chance. Ma Serena? Lei aveva avuto poche occasioni di sognare, ora non avrebbe avuto alcuna speranza di avverare almeno uno dei suoi desideri.

Laura si sedette sui gradini di fronte all'ospedale, un bicchiere di caffè in mano. Il suo turno stava per cominciare, ma prima voleva godersi l'aria ormai invernale sul suo volto, l'aiutava a ragionare.

Qualcuno si sedette accanto a lei. “Fa un po' freddo per starsene seduti qui” disse una voce maschile.

“Sai cosa mi fa più arrabbiare?” chiese lei. “Ieri è stato ricoverato qui un uomo ferito gravemente in una sparatoria con la polizia, un assassino. A quanto mi hanno detto, quando è arrivato qua lo davano già per spacciato, eppure sono riusciti a salvarlo. Sai, quello ha ucciso due persone innocenti, più un poliziotto, e se l'è cavata... Perché allora noi non siamo riusciti a salvare quella bambina?” Si rigirò il bicchiere fra le mani. “So che la vita è così, ma... Ma non riesco a capirla”

“Quello se l'è cavata, è vero. Ma credi che la sua vita continuerà? Forse passerà il resto della sua vita in carcere”

“Tanto gli dimezzano la pena, se se ne sta buono” replicò lei.

“Accidenti, quando sei triste fai di tutto per restare così, Raggio di Sole” replicò Ferri. “Quello che sto cercando di dirti è che non sempre la morte è la peggior soluzione, a volte la cosa peggiore è vivere. Non so se quell'uomo si pentirà mai di ciò che ha fatto, ma certe azioni ci perseguiteranno sempre; spero che per lui sarà così. La verità è che non scegliamo noi che salvare. Non so cosa sia, se Dio, il destino, il caso... Sta di fatto che noi dobbiamo aiutare tutti, brave o cattive persone che siano, e continuare a farlo, anche se ci sembra che gli innocenti muoiano in quantità maggiori”

Laura gli sorrise appena, poi si rialzò. “Andiamo a contribuire alla salvezza di qualche vita” disse.

 

Continuò ad andare a trovare Serena in tutti i momenti liberi. Sempre più spesso, e con sollievo, vi trovava i genitori e la sorella a farle compagnia. Vi rimaneva solo se invitata, riteneva che quegli ultimi momenti con Serena fossero sacri per loro. Eppure, non sembravano ritenerla un elemento estraneo, quasi anche lei facesse parte della famiglia.

Serena era l'ombra della ragazzina che aveva visto la prima volta, ora respirava sempre peggio ed era così magra da far spavento.

Non riusciva più a tenere in mano un libro, quindi chiedeva ad altri di leggere per lei l'ultimo volume di Harry Potter.

“Voglio assolutamente finirlo” le aveva detto una volta, con gli occhi pieni di lacrime. “Almeno questo me lo deve concedere...”

Una sera che i suoi genitori non poterono stare con lei, fu Laura ad offrirsi per passare la notte insieme alla bambina. Le stava leggendo qualche capitolo del libro, quando lei decise di parlare.

“Tu... credi che ci sia davvero qualcosa... dopo?” chiese con voce sofferta.

Laura richiuse il libro, tenendovi il segno, incerta su cosa dire. “Non ne ho idea” mormorò. “Non so se credere davvero nell'esistenza di Dio o di qualche entità superiore... La verità è che non ci penso spesso”

“Ma... se esiste... credi che andrò all'inferno?” chiese poi mentre le lacrime cominciavano a scorrere sul suo volto scarno.

“Serena, perché mai dovresti andare all'inferno?” chiese Laura, stupita, posando il libro sul comodino.

Lei prese a singhiozzare. “Perché... perché non vado in chiesa da quando ho fatto la Comunione” disse. “Perché non prego mai alla sera... perché piango... perché mi sono vendicata dei miei compagni che mi prendevano in giro e non so perdonarli... perché mento sempre... a Catechismo le suore ci dicevano che chi dice le bugie va all'inferno, e io ne dico in continuazione!”

Laura si sedette sul letto e, attenta a non intralciare la flebo e i vari tubi, la prese tra le braccia. “No, no, non dire questo” mormorò, cullandola. Ripensò a Serena che mentiva per non dare una preoccupazione ai genitori, che subiva in silenzio le angherie dei suoi compagni per proteggere la sua famiglia dalla crudeltà del mondo. “Tu non andrai all'inferno, te lo garantisco. Se Dio esiste, non lo permetterà”

“Ho paura” gemette Serena. “Ho tanta paura...” Tra i singhiozzi e i colpi di tosse, non sembrava respirare.

“Lo so... ho paura anch'io...” Laura si accorse di stare piangendo. “Ma ora calmati, respira...”

Poi, dal nulla, un ricordo si formò nella sua mente, di una domenica di autunno in cui suo padre aveva messo nello stereo un cd che a lei non piaceva. Era piccola all'epoca, forse sette anni, ma ora gli tornava alla mente come se fosse il giorno prima. La canzone l'aveva colpita come un fulmine.

Quei versi uscirono tra le sue labbra da soli, con la sua voce tremante: “...Dio di misericordia il tuo bel paradiso l'hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso...”

Laura continuò a cantare, poi riprese da capo, finché non sentì che il respiro di Serena si stava regolarizzando, aveva smesso di piangere.

Allora pensò che quelle parole erano vere e benedì chi le aveva incise nella sua mente. Se un aldilà esisteva, bisognava averla fatta davvero grossa per non potervi accedere. Forse anche l'assassino ricoverato qualche piano sopra ne aveva diritto, lei non era nessuno per giudicare, ma di certo non ne poteva restare fuori una bambina che l'inferno l'aveva conosciuto in vita.

Serena ora respirava meglio. Laura la tenne stretta a sé, trasmettendogli tutto l'amore che provava. Si addormentarono insieme, strette in quel lettino.

 

In seguito, Laura pensò che in fondo il cancro, nell'ultima fase della sua vita, fu benevolo con Serena. Il tracollo fu veloce, più di quanto tutti si aspettassero, e loro fecero in modo che la sua sofferenza fisica fosse minima. Lei soffrì comunque, era inutile negarlo, ma non durò a lungo. Lavorando in ospedale, Laura sapeva quanto avrebbe potuto essere peggiore.

Dopo quella notte, Serena le era parsa meno disperata, forse rassegnata all'inevitabile. Comunque, sembrava voler assaporare ogni doloroso attimo che passava con le persone a cui voleva bene, in special modo con i genitori e la sorella. Attaccata alla maschera per l'ossigeno, parlava poco, perché le costava una fatica tremenda, ma a volte basta uno sguardo per dire ciò che in parole richiederebbe ore di tempo.

Poi, un giorno, la stanza di Serena era piuttosto affollata: oltre alla famiglia e a Laura erano presenti anche Ferri e quelli che si occupavano di Serena. Era ovvio anche per lei che mancava ormai poco. Forse fu per quello che espresse un ultimo desiderio.

“...Laura...” la chiamò. Lei si avvicinò, pronta a tutto, anche a rubare una stella per lei, ma la richiesta fu molto più semplice. “...Vorrei... puoi farmi di nuovo le unghie?... non l'abbiamo più fatto...”

Laura trattenne un singhiozzo e istintivamente si voltò per un attimo verso Ferri, che annuì. “Sì. Penso di poterlo fare” mormorò allora, mentre Dania, che guardava dalla soglia, nascondeva le lacrime. Laura tirò fuori tutto il necessario e fece il possibile. Il risultato non fu certo eccezionale, ma considerata la situazione sapeva di non poter fare di meglio, non con le mani che le tremavano per l'emozione. Aveva la sensazione che Serena fosse fatta di porcellana, aveva paura di poterla rompere da un momento all'altro.

Quando ebbe finito di metterle lo smalto, si asciugò una lacrima. “Se non altro questa volta non ho rovesciato il flacone” osservò.

“Direi che sei migliorata” ammise Dania, con voce rotta.

Serena le sorrise, per quanto poteva.

“Ora, immagino che vorrai stare un po' da sola con la tua famiglia” mormorò Laura, scacciando un'altra lacrima.

Serena aveva gli occhi estremamente lucidi. “Sì” disse. “...mi piacerebbe...”

Laura si alzò, ma una piccola mano la trattenne debolmente e lei si bloccò subito, temendo di farle del male.

“Ti voglio bene...” La voce di Serena fu a malapena udibile.

Laura respirò a fondo per non scoppiare definitivamente in lacrime di fronte a lei. “Ti voglio bene anch'io” disse, posandole un bacio sulla guancia.

Entrambe seppero con tremenda certezza che non si sarebbero più viste in quel mondo pieno di dolore.

Laura si lasciò andare solo quando fu nel corridoio, abbastanza lontana da non essere sentita.

 

Ferri la ritrovò in uno sgabuzzino, dove alla fine del turno si era rifugiata a consumare tutte le sue lacrime, e si sedette accanto a lei, circondandole le spalle con un braccio.

“Allora è finita?” chiese lei.

“Sì, è finita”

Laura singhiozzò e si appoggiò al suo petto. Tutto sommato, era felice di non essere stata presente quando avevano dichiarato il decesso.

Ferri la abbracciò. “Credimi, so come ti senti” mormorò. “Ci sono passato anch'io una volta. Quando si è all'inizio, è difficile non lasciarsi coinvolgere”

“Il che significa che diventerò abbastanza cinica da non lasciarmi toccare da queste situazioni?”

“No, sarà il tuo modo di reagire a cambiare: continuerai a soffrirci, ma troverai il modo di distaccarti almeno a lavoro. Non credere che per me questi mesi siano stati una passeggiata... Anch'io soffro quando non riesco a salvare un paziente, ma cerco di farlo quando sono a casa, la sera... Semplicemente perché so che altrimenti crollerei” Ferri deglutì. “Io cerco solo di proteggere me e i miei pazienti. È per questo che sono stato così stronzo con te: volevo solo evitare che tu commettessi i miei stessi errori. Qui dentro, quasi ogni medico, chirurgo, infermiere si è affezionato troppo ad un paziente: c'è una Serena nella vita di tutti noi. Solo, tu non mi sembravi pronta, tutto qui. E invece la eri...”

“Tornando indietro lo rifarei” ammise Laura, asciugandosi il volto. “Rifarei ogni sbaglio. È vero, sto soffrendo come un cane, ma se è servito in qualche modo ad aiutarla... Se è servito per farla sentire meno sola... Beh, allora ne è valsa la pena. L'ingiustizia della vita si è accanita su di lei davvero in modo crudele. Aveva diritto ad avere un'amica, qualcuno che le volesse bene al di fuori della famiglia”

Ferri la strinse più forte. “Sai, non abbiamo più parlato di quello che mi hai detto nello spogliatoio” osservò dopo un po'. “Ora non è proprio il momento, ma prima o poi dovremmo affrontare l'argomento”

Laura rimase tra le sue braccia ancora per un po'. Non sapeva cosa le avrebbe riservato la vita, non sapeva cosa sarebbe successo con Ferri, se nel suo futuro ci sarebbero state persone che l'avrebbero cambiata come aveva fatto Serena. Ma ora sapeva che, finché avesse avuto possibilità, non doveva smettere di lottare per conquistare ciò che voleva, perché non poteva sapere quando la vita avrebbe continuato a sorriderle. Per il ricordo di Serena, doveva combattere fino all'ultimo.

 

Quella notte, Laura sognò.

Tutto era luminoso, di un bianco abbacinante. Laura non riusciva a distinguere molto bene ciò che aveva attorno, però le pareva di scorgere, al limite del suo campo visivo, una folta schiera di figure dalla forma umana, ma con enormi ali.

Una figuretta camminava verso di loro, ma neanche di lei si riuscivano a scorgere i tratti, eppure Laura sapeva chi fosse. La seguì con lo sguardo finché non li ebbe raggiunti. La figuretta si voltò un attimo a guardarla e mormorò un 'grazie', poi tornò verso la strana platea.

E allora gli angeli sorrisero.

 

 

Fine

 

 

Spazio autrice:

 

Non so se vi è piaciuto, se vi ho fatto piangere, ma personalmente io ho pianto mentre scrivevo le ultime pagine (tra l'altro ero sul treno, spero che non mi abbia visto nessuno...).

È stato difficile scrivere questa storia, innanzitutto perché di medici e ospedali non ne so molto, poi perché c'era di mezzo una bambina e portare avanti la storia sapendo come andava a finire non è stata una passeggiata.

Eppure, appena ho visto quella citazione mi è quasi subito venuto in mente questo racconto e non ho potuto tirarmi indietro, quindi ho preso a scriverlo e l'ho portato avanti fino alla fine.

All'inizio doveva trattarsi di poche pagine, ma come spesso mi succede la mia immaginazione ha preso il sopravvento e ho cominciato ad aggiungere particolari su particolari (finché non mi sono fatta odiare dalla mia giudice, che ringrazio per la bella valutazione). In pratica è nato e cresciuto quasi da solo.

Se volete lasciare un commento, sapete cosa fare, ringrazio comunque tutti quelli che l'hanno letta, dal primo all'ultimo.

 

Ringrazio anche RoyxEd 4Ever, che ha indetto questo bellissimo contest; mia sorella, ormai specializzanda in Anestesia e Rianimazione, e mia zia infermiera che sono state così gentili da darmi qualche dritta di ambito ospedaliero, in modo che io non scrivessi troppe castronerie (qualcuna mi sarà di certo scappata). E ovviamente il resto della mia famiglia.

 

Alla prossima!

 

Ceciotta

 

 

 

Dio di misericordia il tuo bel paradiso

l'hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso

(Preghiera in Gennaio, Fabrizio de André).

 Una delle più belle canzoni che abbia mai sentito.

 

   
 
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