Non che non sia bianca
Non che non danzi soave nell’aria
Non che non si posi senza rumore su ogni
traccia
Lei che tutto vede e niente riferisce,
candida solamente si finge
Parte IV - Neve di bianco, occhio sì stanco
Libera si
svegliò lentamente, riemergendo da un sonno privo di sogni con la testa pesante
e un po’ confusa. In breve recuperò le coordinate che riguardavano il suo
trovarsi nel bel mezzo di un bosco, rannicchiata in un sacco a pelo poggiato
sul terreno, le cui asperità erano un poco ammorbidite dallo strato di bianca
neve che lo copriva.
Ma poté
recuperare solo una parte di quelle coordinate, constatò con delusione.
Benché
tra tutte le sue ragionevoli ipotesi sul senso di quella situazione nessuna
comprendesse il ritorno improvviso e miracoloso della memoria, lei non poteva
fare a meno di sperarci, almeno un poco, inconfessabilmente.
Soprattutto
perché, ora che quello zaino contenente il suo passato dimenticato le era stato
sotto le dita e proprio all’ultimo era andato perduto, non aveva nessun’altra
speranza alla quale aggrapparsi, niente che le promettesse che in qualche
plausibile modo avrebbe potuto riavere indietro i suoi ricordi.
Si girò sulla schiena, muovendosi dentro al sacco a pelo con un
certo impaccio, dal momento che non aveva potuto rinunciare a dormire con
indosso ogni capo d’abbigliamento in suo possesso, a causa del freddo.
Una delle cose che ricordava molto bene, e che non avrebbe
dimenticato molto presto, era l’enorme difficoltà che aveva incontrato la sera
prima nell’addormentarsi nel bel mezzo di una foresta buia, sperduta chissà
dove su montagne che si trovavano da qualche parte nel mondo, ché più di così
non avrebbe saputo dire, con il freddo che aveva aspettato l’immobilità delle
membra per aggredire più forte, raffreddando pazientemente strato dopo strato i
vestiti. Alla fine per fortuna il suo corpo aveva potuto riscaldare l’interno
del suo giaciglio, che era diventato un prezioso guscio caldo; con quel sacco a
pelo, nonostante non fosse suo, aveva ormai stabilito un rapporto molto
stretto, per via del fatto che, con molta probabilità, doveva ad esso il
mancato assideramento.
Ma quando era caduta nel sonno, per esaustione
più che per altro, aveva ancora addosso quella sensazione di vulnerabilità,
esposta com’era in un ambiente sconosciuto e chiaramente adatto ad ogni sorta
di animale dotato di pelliccia e di buona resistenza al freddo, di una spiccata
abilità a procacciarsi cibo in quelle rigide condizioni o a cadere in letargo
in attesa di stagioni più miti, e non certo quindi ad un essere umano.
Né era valsa la presenza di Vento a rassicurarla. Egli aveva
passato la notte seduto sul suo zaino presso al fuoco, il sacco a pelo tenuto
aperto sulle spalle; un po’ rannicchiato nel tentativo di ridurre al minimo la
dispersione di calore, aveva fatto da sentinella, col fucile tenuto
verticalmente appoggiato al terreno, alla gamba e contro la spalla. Non aveva
quasi mai smesso di sfregarsi le mani guantate, e di
tenere il suo solito corvino sguardo imperscrutabile intento sul buio
d’intorno, appena rischiarato dalle ultime braci del fuoco che andava
spegnendosi di ora in ora.
Ora Libera, mentre fissava supina le fronde verde cupo degli
alberi, che costituivano un impenetrabile soffitto a nascondere il cielo –
diffidando così la plumbea luce dal rischiarare più di tanto la foresta -,
rammentò di essersi accordata con Vento la sera prima. Secondo tali accordi,
loro due dovevano dividersi a metà il turno di guardia notturno.
Nonostante lo scarso entusiasmo di Libera, Vento le aveva fatto
notare quanto Rosa e Caramello fossero chiaramente troppo provate per poter
loro affidare il compito con un minimo di fiducia.
‹‹ Ti paio forse meno stanca? ›› aveva
obbiettato lei, alzando un sopracciglio.
‹‹ No, certo, siamo tutti stanchi, credimi: la tua faccia non è da
meno delle nostre. ›› aveva replicato lui, come al
solito divertendosi con le sue stesse parole
‹‹ Tuttavia, conto sul fatto che la resistenza
e l’istinto di autoconservazione siano in te più potenti di qualsiasi
stanchezza. ››
‹‹ Grazie ›› era stato tutto ciò che gli
aveva risposto, restituendo ironia all’ironia.
Libera
volse la testa a guardare altri due sacchi a pelo ravvicinati. Rosa e Caramello
dormivano ancora, evidentemente, vicine e strette come le aveva viste la sera
prima. Ora ricordava che si era addormentata dopo aver fissato a lungo, con una
certa invidia e insieme una certa calma, le loro sagome vicine e il lieve
movimento prodotto dai loro respiri.
Voltò la
testa dall’altra parte, e vide qualche metro più in là l’altro compagno di
sventura, chino e intento a cercare di accendere il fuoco.
Vento non
l’aveva svegliata per chiederle di dargli il cambio al turno di sentinella,
realizzò infine.
Questo la
indispettì quasi subito, avendo l’impressione che quel gesto non fosse da
attribuirsi alla sua gentilezza, semmai ne possedeva una che si spingeva fino a
quel punto, ma piuttosto al desiderio di esibire la sua resistenza.
Ciò le diede
lo spunto per decidersi ad aprire la cerniera del sacco a pelo e ad alzarsi. Si
infilò gli scarponcini che aveva lasciato appoggiati lì accanto, si strinse di
più addosso il giaccone che portava e si alzò in piedi, marciando poi verso i
resti del fuoco.
Vento non
diede alcun segno di averla udita avvicinarsi, benché il rumore della neve
compattata dal suo peso ad ogni passo fosse chiaramente percettibile nel
silenzio che li circondava.
Libera si
fermò accanto a lui e per qualche momento restò ad osservare, dall’alto della
sua modesta statura, gli sforzi del ragazzo per accendere il fuoco; al momento
stavano producendo scarsi risultati.
‹‹ Cosa stai facendo? ›› chiese lei,
giusto per ottenere una qualche reazione.
‹‹ Dammi la tua opinione ›› rispose sarcastico,
irritato.
‹‹ Voglio dire ›› precisò lei, trattenendo
l’esasperazione ‹‹
A che cosa ci serve un fuoco ora? Insomma, citando le tue parole di ieri sera… : ‘Faremmo meglio a fare in modo che nei prossimi
giorni la nostra principale fonte di riscaldamento sia il camminare.’››
Vento
emise un lieve sbuffo divertito tra le labbra.
‹‹ Lieto che le mie parole ti siano rimaste così impresse. ›› osservò, con una certa amara allegria. ‹‹ Comunque, ho
intenzione di fare un po’ di caffè e qualcosa da mangiare. Per camminare meglio
ci serve qualcosa nello stomaco. Potremmo considerarlo il nostro principale
pasto della giornata, magari. Ancora meglio se restasse l’unico. ››
Libera alzò gli occhi al cielo, che, dalla piccola radura sgombra
di alberi presso la quale si erano accampati, era ben visibile. Una serie di
nuvole bianco fumoso e grigio-sporco navigavano con pigra lentezza, non si
vedeva altro. Nonostante ciò, la luce del giorno sembrava troppo forte per
essere luce di alba.
‹‹ Ma che ora è? ›› chiese, colpita dal
pensiero di aver dormito più di quanto non avesse sperato di riuscire in quella
situazione.
‹‹ Non lo so. Mattina inoltrata. ››
rispose l’altro evasivamente, continuando ad avvicinare la sua espressione
concentrata e sempre più contrariata al mucchio di legna bagnata, carbone della
sera prima, corteccia secca e fazzoletti di carta: una combinazione la cui
combustione prima di scaturire sembrava voler fare diversi ripensamenti sulla
possibilità fisica di una sua comparsa.
‹‹ Fammi un favore. ›› disse ancora Vento
dopo qualche minuto ‹‹
Prendimi della carta dagli zaini di quelle due. ››
‹‹ Della carta ›› ripeté lei. ‹‹ Dai loro zaini. ›› puntualizzò, ancora più scetticamente.
‹‹ Esatto. ›› replicò lui in tutta
tranquillità.
Ma dal momento che lei non dava segno di avere intenzione di
muovere un passo, le lanciò un’occhiata, e sorrise appena, obliquamente.
‹‹ Avanti, garantisco io. Ovvero, mi prendo ogni responsabilità. ››
‹‹ Se questo bastasse a tranquillizzarmi… ›› commentò la ragazza, incrociando le braccia sul petto,
come a sottolineare la sua riluttanza ad eseguire la richiesta.
‹‹ Oh, avanti… ››
la blandì lui con pazienza, mentre armeggiava ancora con la legna e il resto ‹‹Hanno un sacco di carta in quegli zaini. C’è più carta
che altro. E visto che quello spazio poteva contenere cibo o altre cose ben più
utili, mi sembra ragionevole farne un uso più appropriato alla situazione in
cui ci troviamo. ››
‹‹ I libri son solo combustibile per te? ››
replicò di colpo lei, senza capire realmente perché lo stesse dicendo (e forse
anche pensando). Forse aveva il pensiero ancora rivolto al suo zaino, a quegli
scritti che potevano riportarle memoria, darle un passato. O forse aveva solo
voglia di litigare, criticare, sfogarsi in qualche modo.
Lui tornò
a fissarla, con sguardo serio e attento.
‹‹ Non mi pare che
abbiano le uniche stampe in circolazione, son tutte cose riacquistabili non
appena trovano una libreria. Se noi invece finiamo per non riuscire a
riscaldarci e a mangiare, qui ed ora, beh, non credo che dopo il game over ci sia data un’altra possibilità. In tutta franchezza, per quanto siano
importanti i loro libri e i loro esami, penso che anche loro sarebbero
bendisposte a valutarle come cose secondarie rispetto alla loro sopravvivenza,
se non altro perché il fatto che siano vive mi pare proprio una necessità
minima per poter leggere un libro e dare un esame…
Sono certo che anche loro arriverebbero alle stesse conclusioni dopo un’attenta
riflessione, ma per evitare tutte quelle discussioni che ci farebbero perdere
tempo, potremmo intanto pensare ad accendere il fuoco.››
Benché
quell’argomentare avesse un senso preciso, Libera ebbe l’impressione che il
ragazzo stesse tentando di distrarla con le parole mentre la studiava con lo
sguardo, che ora ignorava il “tentativo di fuoco” ed era fisso su di lei.
Avrebbe voluto voltargli le spalle, ma si limitò ad evitare accuratamente di
incrociare i suoi occhi, tenendo i propri rivolti altrove, da nessuna parte in
particolare.
‹‹ Bene, ottimi argomenti. In ogni caso chiederò il loro permesso prima… ›› insisté, ostinata.
‹‹ Sii ragionevole ›› riprovò lui, in tono
quasi lamentoso ‹‹
Quelle ne farebbero una tragedia, nemmeno stessimo mandando sul rogo le loro madri… ››
‹‹ Ascolta. ›› lo interruppe, con fare
pratico ‹‹ Ora
guardo se trovo dei fogli bianchi tra le loro cose, in caso contrario le
sveglierò, e potrai ripetere tutto il tuo discorso a loro, e vedremo. Nel
frattempo, comunque, continua a provare ad accendere quel maledetto fuoco senza
dover sacrificare niente, per favore. ››
Vento non
le rispose, ma con la coda dell’occhio lo vide riprendere a trafficare con il
‘combustibile potenziale’, mentre lei andava a frugare negli zaini delle
ragazze, sentendosi vagamente in colpa. Poco dopo fu di ritorno con alcuni
fogli bianchi strappati da quaderni di appunti e l’aria rassegnata e colpevole.
Qualche indaffarato minuto più tardi, finalmente il fuoco prese piede, con
molta riluttanza, nel mucchio.
Restando in silenzio, lei e Vento sistemarono vicino alle fiamme crepitanti
una piccola caffettiera e le gavette con il cibo, poi si sedettero accanto alla
calda fiamma, di tanto in tanto sporgendosi a muovere un po’ il tutto affinché
si riscaldasse uniformemente, e godendo del calore che si irradiava nel corpo.
Dopo qualche momento che fissava le lingue di fuoco e gettava
lunghe occhiate intorno al paesaggio bianco, verde, marrone e grigiastro della
foresta e della neve, Libera lo fissò sul viso di Vento, altrettanto immerso
nei suoi pensieri, apparentemente.
‹‹ Perché non mi hai svegliato per darti il cambio, stanotte? ›› chiese, con calma.
Accanto a quel piacevole fuoco, immersa nel suo calore
rinfrancante e con odore di caffè e di cibo che iniziava a riempirle le narici,
aveva ormai dimenticato l’animosità irritata che l’aveva colta prima, quando
aveva realizzato questo particolare.
Lui le rivolse una smorfia delle sue, simile a un sorrisetto. ‹‹ Non preoccuparti, potrai rifarti stanotte. Probabilmente
per allora avrò davvero bisogno di dormire… ››.
‹‹ Vuoi dire che, grazie al tuo inutile sforzo di stanotte, la
prossima notte dovrò passarla totalmente insonne io? ›› lo rimbeccò subito lei. Doveva aspettarselo.
‹‹ Dividila con le altre due. Personalmente credo sarebbe meglio
lasciar loro fare il turno di guardia insieme. Magari così c’è una pallida
possibilità che riescano a rimanere sveglie per la maggior parte del tempo. ›› scherzò, e si allungò a controllare lo stato del caffè.
Guardandolo, e notando le occhiaie piuttosto pronunciate che
rendevano ancora più inquieti e penetranti i suoi occhi scuri, lei si chiese
come avrebbe potuto affrontare una giornata di camminata dopo non aver nemmeno
dormito.
Lui le lanciò uno sguardo e sembrò intuirne i pensieri, perché
aggiunse ‹‹
Non che mi pesi tanto una notte insonne. Là alla baita ho dormito per la
maggior parte del tempo. Non c’era molto altro da fare. ››
Libera si trovò a trattenersi dal chiedere cosa era successo prima
di quello che lei riusciva a ricordare, prima di quando si era svegliata là
senza memoria. Ma aveva ormai la sgradevole sensazione che in ogni caso Vento
avrebbe trovato il modo di evitare di rispondere chiaramente a una domanda così
diretta. Forse, però, poteva ottenere qualche informazione aggiuntiva cercando
di affrontare la cosa indirettamente…
‹‹ Invece Mangiafuoco non sembrava dormire nel vero senso della
parola da diverso tempo. ›› osservò, in tono
calcolatamente distratto.
‹‹ Già. Lui aveva deciso di occuparsi di tutta la situazione come se
fosse unicamente sua la responsabilità. Pensi che quelle due si sveglieranno da
sole prima o poi, a proposito di dormite? ›› cambiò
repentinamente discorso, lanciando un’occhiata alle sagome ancora rannicchiate
nei loro sacchi a pelo.
‹‹ Lasciamole riposare un altro po’… dopotutto stanotte dovranno
fare il loro turno anche loro. ›› disse Libera,
sospirando pesantemente.
Poi un pensiero sgradevole la colse, e chiese ‹‹ Pensi che quei… quelle creature gialle che abbiamo visto ieri… che potrebbero attaccarci di notte? ››
Lui le lanciò uno sguardo profondo, ma breve, per poi spostarlo
sulla foresta.
‹‹ No, non credo che dovremmo preoccuparci di loro. In un bosco così
ci saranno molti altri animali, però,
che potrebbero essere attratti, se non proprio da noi, dalle nostre
provviste. Leoni di montagna, orsi… ››
‹‹ Questo sarà meglio non dirlo alle altre, forse. ››
‹‹ Sono d’accordo. ›› annuì Vento.
Il
ragazzo tolse la caraffa dal fuoco e versò in due gavette vuote, porgendone poi
una a lei.
‹‹ Tieni il tuo caffè, Libera. ›› disse,
con tono un po’ autoironicamente cameratesco.
Mentre sorseggiavano l’amara bevanda in silenzio, lei rifletté di
nuovo sul suo nome. Ci aveva pensato molto anche la sera prima, ed era giunta a
una conclusione.
Si posò la tazza in grembo, assumendo una posa piuttosto grave.
‹‹ Ascolta. ›› disse ‹‹
Il nome che mi hai dato… insomma, penso che al
momento abbia un contenuto troppo importante perché io possa portarlo a cuor
leggero. Forse un giorno ne avrò veramente bisogno, più bisogno di ora. Magari
allora mi chiamerò Libera. Ma adesso prenderò un altro nome. ››
Detto ciò alzò lo sguardo su Vento, che la fissava attentamente, e
che dopo qualche istante si limitò a fare un cenno d’assenso. Poi, come
ripensandoci, lui aggiunse ‹‹Penso che sia una cosa
appropriata. E’ bene che tu te ne sia accorta ora. ››
Seguì un momento di silenzio, che di nuovo ruppe lei ‹‹Dovremo
camminare molto, probabilmente.›› disse, lo sguardo
concentrato sui pensieri e abbassato sui suoi scarponi.
‹‹ Abbiamo un solo fucile e qualche idea della direzione.›› proseguì ‹‹ Quel che ci serve
davvero, però, è di mantenerci protesi e sicuri verso il fatto che usciremo da
questa situazione sani e salvi. Per questo io…. io mi
chiamerò Speranza. ››
Vento non trovò nulla da ribattere, ed entrambi continuarono a
bere in silenzio il loro caffè.
Poco dopo, mentre il ragazzo toglieva dal fuoco le gavette col
cibo ormai caldo, Speranza si alzò e andò a svegliare Rosa e Caramello.
***
‹‹ Bene, “squadra”. Se abbiamo preso tutto possiamo anche partire. ›› disse Vento, senza
grande entusiasmo, e rivolse uno sguardo alle ragazze.
Speranza
stava aiutando Caramello a sistemare le cinghie che le legavano lo zaino al
busto.
Rosa, che
si stava accomodando l’orlo dei guanti da sci sotto le maniche del giubbotto,
gli rivolse un’occhiata truce. Evidentemente era ancora piuttosto arrabbiata
per via di quella carta bianca da appunti che avevano usato per accendere il
fuoco, nonostante non avesse spinto la sua protesta fino al punto di rifiutare
di mangiare il cibo e bere il caffè che quella carta aveva contribuito a
riscaldare.
Speranza gli si avvicinò. ‹‹ Qual è esattamente la direzione? ››
chiese.
La sera prima aveva appreso che le Tute stesse avevano loro
dispensato qualche indicazione su come raggiungere un qualche centro abitato, e
che le indicazioni corrispondevano a quanto appariva su una delle cartine che
quelli della baita avevano loro consentito di portarsi dietro.
Quando Speranza aveva chiesto perché dunque gli uomini e le donne
della baita non si servissero anch’essi di quella strada per andarsene, Rosa
aveva spiegato che quello che loro cercavano non era una strada per andare
tutti via dalla baita, dal momento che sapevano bene che fuori ad aspettarli
c’erano le Tute in agguato, bensì un percorso relativamente sicuro attraverso
il quale qualcuno potesse andare a chiamare soccorsi, o in cui gli assediati
avrebbero potuto, oltre che camminare, anche trovare rifugi naturali per
difendersi in caso di scontro diretto con le Tute. Inoltre c’erano altre
difficoltà, come il fatto che le vie che conoscevano erano molto lunghe e
tortuose, e condurre per esse tutto il nutrito gruppo che stava nella baita
sarebbe stata un’impresa non da poco.
‹‹ Ma quindi, in un certo senso la spedizione che dovrebbe chiamare
i soccorsi, nei loro piani, saremmo noi? ›› aveva
chiesto Speranza, piuttosto confusa.
‹‹ In un certo senso… ››
aveva detto Rosa, ma scuotendo il capo ‹‹ Però penso
che loro fossero abbastanza convinti del fatto che non avremmo mai superato le
Tute indenni. In effetti… ci sono diversi punti che
non mi sono chiari. È evidente che le Tute devono averci considerato innocui
perché hanno intenzione di assalire la baita ben prima del tempo che ci
occorrerà per raggiungere qualcuno a cui chiedere aiuto. ››
‹‹ Oddio… ››
aveva mormorato angosciosamente Caramello.
‹‹ Ma forse sottovalutano la capacità di resistenza di quelli che
sono rimasti alla baita. ›› si era affrettata ad
aggiungere Rosa ‹‹
Se riescono a resistere finché noi non troviamo soccorso allora…
››
‹‹ Va bene, adesso concentriamoci sui turni di guardia…
›› aveva interrotto Vento a quel punto, proprio prima
che Speranza iniziasse a condividere con gli altri le sue congetture sul perché
e percome si fosse creata quell’assurda situazione, su chi potessero essere le
Tute e così via…
«Dobbiamo seguire il corso di questa sorta di fiume» le stava
rispondendo ora Vento «Almeno fintanto che non arriviamo in vista della valle.
A quel punto dovremo cercare una strada che scende e orientarci a vista verso
il paese più vicino. ››
‹‹ Hanno detto quanta strada sarà? In chilometri, all’incirca…? ›› chiese ancora
Speranza.
‹‹ No. Non hanno voluto dirlo. Dicevano che dipende da troppi
fattori e da quanta neve incontreremo in certi punti, e quanto ci metteremo a
trovare un buon punto per scendere nella valle, dal nostro ritmo di marcia… e roba del genere. ››
‹‹ Perché avrebbero dovuto dirci la strada e non il tempo che ci
occorrerà per percorrerla? Non si riesce a evincere dalla cartina? ›› insisté Speranza, mentre camminavano seguendo il piccolo
letto di fiume riempito di neve e senza acqua, che probabilmente giaceva
ghiacciata sotto lo strato di neve.
Ad ogni curva ed ansa che compariva da dietro la cortina di alberi
del bosco, lei sentiva l’ansia strisciarle alla gola, aspettandosi da un
momento all’altro di rivedere quei bizzarri e inquietanti animali dal pelo
giallo comparire davanti a loro, come il giorno prima. Benché, invece, ogni
ansa si rivelasse poi solo piena di neve e di niente, lei non riusciva a
impedire che l’immagine del giorno prima le saltasse davanti agli occhi
ossessivamente, facendola sussultare al minimo intravedere una sfumatura gialla
sulla neve, prodotta da qualche ago d’abete o di pino giallo caduto dal ramo, o
anche dalla sua immaginazione ormai.
‹‹ Vuoi davvero sapere con esattezza la distanza? ›› replicò Vento, lanciandole uno sguardo ambiguo.
‹‹ In effetti, sulla cartina non sono segnati che posti lontani per
scendere a valle. Io spero di trovarne di più vicini al punto dove arriveremo
noi. Non possiamo rischiare di perderci nella foresta e quindi è meglio che
seguiamo i punti di riferimento più chiari, come questo torrentello.
Affronteremo il problema della discesa a valle quando sarà il momento. ›› spiegò tuttavia il ragazzo.
E quello sguardo era sparito repentinamente
dai suoi occhi, che erano tornati a concentrarsi su dove doveva posare i piedi.
***
Dopo tanto camminare, era certo naturale che ogni passo diventasse
più pesante e che ci si sentisse le gambe devastate. Ma ciò che dava più noia era
il continuo biancore della neve, che abbacinava lo sguardo e inebetiva i sensi,
col suo avvolgere ogni cosa, attutendo i suoni e cancellando gli odori. Il suo
aspetto più fastidioso in assoluto però era il modo in cui i piedi vi
affondavano, per fortuna non troppo in profondità la maggior parte delle volte,
rendendoli impacciati e poco agili come burattini impegnati ad avanzare nella
farina coi loro arti legnosi – perché irrigiditi dal freddo e gradualmente
dalla fatica nel loro caso.
Faceva rabbia, a lungo andare, il modo in cui quella neve
apparisse allo sguardo perfettamente e ugualmente affidabile in ogni suo punto;
così, in certi momenti e in certe zone irregolari del terreno, ci si trovava a
sprofondare del tutto, senza preavviso, fino al ginocchio, perdendo
regolarmente l’equilibrio e rischiando di piantarsi anche con la faccia nella
neve, schiacciati dal peso dello zaino che faceva ottimamente le veci di una
zavorra utile per affondare un po’ di più. Invece si cadeva raramente del
tutto, giacché l’infida neve, che assorbiva piede e metà gamba in sé con fare
ipocritamente accogliente, fasciava anche strettamente. In tal modo, tutto ciò
che si aveva era un disequilibrio in avanti, un malriuscito tentativo di
forzare dolorosamente un piegamento del ginocchio dalla parte sbagliata.
La neve, tuttavia, conserva molte altre proprietà. Come quella di
infilarsi in ogni possibile minima fessura inimmaginabile riesca a trovare tra
gli abiti, tendendo a colmare scarponi e infradiciare calzini, senza rivelarsi immediatamente
come farebbe un sasso o della sabbia, ma prendendosi il suo tempo per bagnare
subdolamente ogni tessuto e inumidire la pelle in modo ottimale per il futuro
formarsi di geloni e sgradevoli inizi
di vesciche.
Insomma, Speranza, che all’inizio aveva ammirato quel paesaggio
invernale, iniziava a pensare che in esso ci fosse indubbiamente qualcosa di
perversamente sbagliato: la neve.
Di tanto in tanto incrociavano le piccole tracce di qualche
animale del bosco, che erano però talvolta difficili da distinguere rispetto ai
buchi formati da piccoli cumuletti di neve che
cadevano dai rami degli alberi. Vedere continuamente tracce, piuttosto che
esseri viventi in carne e ossa, iniziava a mettere addosso una certa malinconia
e vaga ansia. Inizialmente Speranza temeva che avrebbero potuto imbattersi
nelle tracce di quelle strane creature dal manto giallo, ma poi si era
rammentata del fatto che esse, grazie alla loro grande coda a strascico,
cancellavano le orme che lasciavano dietro di sé eccellentemente. Forse
tuttavia potevano imbattersi nei segni di uno strascico, e in quel caso non ci
sarebbero stati dubbi su chi avesse lasciato una simile sorta di impronte.
Cercava di non figurarsi quale sarebbe stata l’orrorifica
e ansiosa reazione di Rosa e Caramello nel caso si fosse loro dovuto spiegare
allora dell’esistenza di quelle creature, e magari persino descriverle. Eppure
forse le avevano già viste, dal momento che, quando lei alla baita aveva
accennato al “canto”, avevano avuto quella reazione spropositata.
Sebbene procedessero in silenzio, Speranza era accompagnata e anzi
quasi perseguitata da molti pensieri, e soprattutto da molti interrogativi
senza risposta, che la rendevano ancora più nervosa di quanto già non si
sentisse. Si sforzava evidentemente di non produrre nemmeno un solo lamento in
parole, benchè molti dovessero salirle alle labbra
spontanei, e si limitava a lanciare piccoli strilli pacati di spaventata
sorpresa ogni volta che affondava nella neve fino alla coscia o che scivolava
su una radice d’albero nascosta dallo strato nevoso. Ciò non contribuiva certo
a tranquillizzare i nervi spossati di Speranza, ma se non altro gli urletti cessarono quando Caramello si avvezzò a inciampare
e affondare spesso.
In quanto a Vento, lui procedeva davanti a tutti, come se si fosse
improvvisato guida ufficiale, lo zaino e il fucile in spalla e i passi
pazienti, che non esitavano, anche se dovevano essere provati dalla fatica.
Sembrava spinto avanti da un cocciuto senso del dovere, nemmeno quello fosse il
suo ultimo compito, la sua ultima occasione di dimostrarsi valido a qualcosa;
ma la sua espressione rimaneva colma di cinica indifferenza. Era avvolto dalla
sua solita aura di imperturbabile calma, come se in fondo procedesse senza
aspettarsi di arrivare da nessuna parte, e con ciò sembrava come uno di quei
tanti alberi che li circondavano, silenti ma non confondibili con materia
morta, irrigiditi e immobili nel freddo intenso, eppure dall’aria
imperscrutabilmente vigile.
Quando qualche soffio di aria gelida spirava insistente, essi
ondeggiavano un poco, le loro chiome si muovevano insieme, seppure ognuna col
suo ritmo, facendoli sembrare una collettività di individui che cantavano tutti
la medesima nenia, muovendosi non per il vento ma con esso, corali. Si alzava
allora nell’aria un rumore particolare, che cangiava di intensità senza che si
potesse più dire se era la forza del vento o la posizione nello spazio
dell’ascoltatore o il diverso ritmo di ognuno a provocare la varianza di
sfumature, un rumore antico e sovrano come quello dell’oceano, suoni che forse
possono incantare, ma che cantano anche, inevitabilmente, qualcosa che gli
umani sembrano non poter comprendere mai, per quanto vi provino e aspirino a
interpretare e capire. Con l’aria di chi non ha bisogno di studiare codici
appositi per rendersi incomprensibile e intraducibile, cantavano e mormoravano
nella brezza suoni più antichi di ogni essere umano, e su altri livelli
rispetto alla portata della sua comprensione.
Speranza pensò che il suo stesso nome, e in particolare il
significato d’esso, sarebbero risultati parimenti sconosciuti e insignificanti
per quelle fronde, alla foresta tutta, e ugualmente insignificante sarebbe
stato agli occhi di ciò che li circondava se loro quattro, ma anche quelli
della baita e le Tute, fossero sopravvissuti o meno, se avessero continuato a
vagare all’infinito sperduti o fossero riusciti a superare la morsa del gelo e
la trappola della mancanza di orientamento per tornare tra i più facili confini
dell’urbanità. A quella foresta non importava che lei avesse o meno la sua
memoria, e non poteva sospettarla di avergliela portata via, immagazzinata e
nascosta all’interno di quei tronchi, sparsala nei singoli aghi e rami delle
sue maestose chiome, dispersa in particelle ognuna delle quali da sola non era
più memoria. Una foresta simile non aveva bisogno di prendere altra memoria,
aveva la sua, troppo antica e profonda perché una memoria di un solo essere
umano potesse valere qualcosa a confronto. Tuttavia, se loro non fossero riusciti
alla fine ad uscire da essa, e fossero rimasti lì perduti, non sarebbero in un
certo senso diventati parte della sua memoria? Una parte molto piccola e forse
insignificante, ma pur sempre una parte…
Si riscosse dai suoi pensieri piuttosto bruscamente. Si erano
fermati.
Rosa si era avvicinata a Caramello con l’aria volenterosamente
generosa afflitta da un senso di impotenza, mentre l’altra sembrava sul punto
di scoppiare a piangere. Speranza si avvicinò a loro di qualche passo, ma poi
si fermò, capendo: non poteva fare niente, come Rosa. Per quanto Caramello si
sentisse stanca, perduta, spaventata e afflitta, loro dovevano continuare a
camminare e trovare da soli la loro salvezza, o almeno provarci.
Vento si era fermato più avanti, non accorgendosi immediatamente
del loro stallo, e sembrava limitarsi ad aspettare.
Rosa alzò una mano sulla spalla di Caramello, accarezzandogliela
piano per infonderle conforto e coraggio, e Speranza si ritrovò a lanciare
un’occhiata piena di insensato risentimento agli alberi, alla neve e a tutto
quello che le capitava sotto agli occhi, come se cercasse qualcuno da
incolpare.
‹‹ Che succede? ›› chiese Vento, con tono
pratico.
E Speranza concentrò immediatamente su di lui la frustrazione
dell’impotenza. Prima che potesse dire qualcosa di poco amichevole, tuttavia,
fu preceduta da Rosa.
‹‹ Possiamo fermarci per un po’? ››
Era una domanda retorica, ma Vento sembrò non capirlo o non
volerlo capire perché rispose ‹‹Non abbiamo fatto molta strada, non saranno passate
nemmeno due ore da quando siamo partiti. Sarebbe molto meglio proseguire. ››
‹‹ Ma tanto vale fermarsi un poco adesso e fare più strada
complessivamente, piuttosto che strafare e dovere poi fermarsi molto più a
lungo, no? ›› disse subito Speranza, accorgendosi
solo dopo aver parlato del tono aggressivo che aveva usato.
Vento le rivolse uno sguardo incupito, che la stupì e la fece
rabbrividire. Forse anche Rosa era stata zittita da quello sguardo, perché non
aggiunse niente, e calò un silenzio teso, prima che Vento dicesse,
lentamente ‹‹
Bene. Allora facciamo questa pausa breve. ››
Tutti e quattro si appressarono agli alberi a margine del
torrentello coperto di neve, dove deposero gli zaini.
Caramello si sedette immediatamente a terra, senza nemmeno
aspettare che Rosa trovasse nello zaino un telo che usavano per non appoggiarsi
direttamente sulla neve, che nonostante il materiale impermeabile dei loro
abiti da montagna trovava sempre con incredibile perizia il modo di inumidire e
raffreddare.
Vento guardò Rosa rovistare nello zaino e mormorò ‹‹ Magari evitiamo di accamparci visto che è una pausa
breve ›› poi si allontanò dalle altre a passi lenti,
per fermarsi a qualche metro da loro, e mettersi ad osservare in silenzio quel
tanto di lontananza che la strada aperta dal letto del torrente tra gli alberi
permetteva di vedere.
Speranza realizzò che se non si fosse allontanato avrebbe finito
per rivolgergli qualcuna delle parole acidamente risentite che le si erano
accumulate in bocca alla vista della sua insensibilità. Era chiaro che
Caramello soffriva quella situazione e la fatica fisica più degli altri, e sul
suo viso si leggeva limpidamente una profonda stanchezza. Nonostante ciò non si
era lamentata ad alta voce nemmeno una volta. Quindi Vento avrebbe potuto dimostrarsi
anche un po’ più comprensivo.
‹‹ Avrai i piedi freddi. ›› stava dicendo
Rosa gentilmente a Caramello ‹‹ Prova a tirarli fuori dalle scarpe e a massaggiarli un
po’, potrebbe aiutare. ››
Caramello annuì sempre in silenzio e seguì il consiglio, con movimenti
lenti e affaticati, mentre Rosa estraeva dallo zaino un termos col caffè caldo
avanzato dalla mattina, e ne versava nel tappo di plastica un po’ per
Caramello.
Anche Speranza distolse il suo sguardo risentito da Vento, e si sedette
vicino alle altre due, approfittando della pausa per riposarsi. Non si era resa
conto di quanto quella relativamente breve ma faticosa camminata l’avesse
stancata, finché non si sedette e sentì il corpo rilassarsi dolorosamente.
Dopo aver bevuto Rosa le passò il termos, e lei ringraziò.
Qualche altro minuto di silenzio più tardi, Caramello sussultò ed
emise una specie di colpo di tosse, come se il caffè che stava sorseggiando le
fosse andato di traverso. Ma quando si portò una mano arrossita dal freddo a
coprirsi il volto e le sue spalle presero a sussultare ritmicamente, Speranza
comprese che non era più riuscita a trattenersi dal piangere.
Rosa le si appressò, le passò un braccio attorno alle spalle e
disse ‹‹ Non è niente. È la stanchezza e questo
maledetto freddo… bevi il caffè con calma, ti farà
sentire meglio e ti scalderà, e ti sentirai meno stanca…
stai tranquilla. Dovremo camminare ancora, ma man mano ti abituerai. Non siamo
tanto abituate agli sforzi fisici, è naturale, di solito stiamo quasi sempre
sedute a studiare ›› e guardò Speranza, come se lo
stesse spiegando a lei, ma poi la ragazza capì che cercava solo appoggio per le
sue motivazioni tranquillizzanti.
‹‹ Già, è logico… ››
disse Speranza, cogliendo volentieri lo spunto
‹‹ Ma poi camminando ci
si abitua alla fatica, ci vuole un certo allenamento. Domani
faremo già meno fatica e potremo camminare di più. ››
collaborò, con sollievo.
‹‹ Mi dispiace ›› balbettò Caramello, tra
i singhiozzi.
‹‹ Dispiace a me a dire la verità ›› disse
Speranza.
Le due ragazze le rivolsero uno sguardo interrogativo.
‹‹ Beh… anch’io sono molto stanca… ma non avevo il coraggio di chiedere una pausa, e
ora sono qui che approfitto del fatto che tu ti sia fermata per riposarmi anch’io… Accidenti, un altro paio di passi e sarei crollata
dritta nella neve e forse non avreste nemmeno sentito niente. ››
Le sembrò di avere detto una cosa completamente stupida, ma poi
vide le due ragazze sorriderle pallidamente. Anzi, Rosa dopo un momento emise
addirittura una risatina, e fu il turno di Speranza di guardarla confusa.
‹‹ Scusa… per un attimo mi è venuta alla
mente l’immagine di te con la faccia nella neve… ››
Speranza si impedì di trovarla una malignità, perché in fondo
anche questo fece sorridere Caramello di nuovo.
Anche per sorridere o ridere ci vuole un certo allenamento, pensò
all’improvviso, senza capire perché, e guardò Vento ancora in piedi, lontano da
loro, che voltava le spalle in silente e immobile contemplazione di chissà
cosa.
Dopo qualche momento, quando Caramello si era calmata e le sue
guance pallide avevano ripreso un po’ di colore, sia per il caffè che per le
lacrime probabilmente, Speranza si alzò, cercando di ignorare il forte
desiderio del suo corpo di rimanere più a lungo nella posizione più riposante
possibile, e si appressò a Vento.
Il ragazzo non diede alcun segno di averla sentita avvicinarsi,
nemmeno quando lei si fermò di fianco a lui.
Si chiese se fosse arrabbiato per il fatto che avevano chiesto di
fare una pausa. E da quando si sentiva così responsabile della loro
sopravvivenza? Più che altro sembrava infastidito che gli avessero interrotto
la marcia. O forse, e questo sembrava addirgli molto di più, aveva fretta di
uscire al più presto da quella situazione per non trovarsi costretto ancora a
lungo in loro compagnia.
Eppure, non era stato proprio lui che si era preso la briga di
confrontarsi prima con Mangiafuoco e gli altri e poi con le Tute allo scopo di
recuperare lei, e lui che si era premurato di procurarsi il necessario per
affrontare con loro il cammino fino a un qualche paese abitato? Certamente
avrebbe potuto essere molto più egoista di così; che cosa poteva spingerlo
invece a occuparsi e preoccuparsi e impegnarsi così anche per loro, nonostante
i suoi modi così ruvidi?
Non sembrava che provasse nessun tipo di affetto per nessuna di
loro, anche se talvolta l’ombra di una confidenza appariva negli scambi di
parole e gesti, ma una confidenza pur sempre distante e disinteressata. Quando
quella notte era rimasto sveglio tante ore solo a fare da guardia al loro
sonno, che cosa poteva averlo trattenuto dall’andarsene per conto suo,
lasciandole lì ad arrangiarsi? Forse un minimo di etica che gli impediva di
essere in fondo totalmente indifferente a riguardo delle loro vite…, ma che altro?
‹‹ Perché lo fai? ›› chiese in un sussurro
Speranza, senza guardarlo.
Dov’era finita la volontà di fargli una bella ramanzina per il suo
comportamento nei confronti di Caramello? si chiese tra sé e sé, quasi
immediatamente dopo aver parlato.
‹‹ Fare cosa…? ››
disse piano l’altro, e il suo tono e la sua espressione la spiazzarono
completamente.
Sembrava calmo e disponibile, come fino a quel momento non era mai
stato. Come se di colpo avesse lasciato cadere ogni difesa e ora fosse più
disposto che mai a confrontarsi apertamente e tranquillamente. ‘Chiedimi
qualsiasi cosa, stavolta ti risponderò e basta’ sembrava dire, come un pacato
invito quasi triste.
Non era affatto preparata a quell’atteggiamento ora. Per questo
spazzò in fretta via dalla sua testa, almeno per il momento, i pensieri quasi
inconsci che la tormentavano di domande, e li sostituì prontamente con qualcosa
di più pratico e semplice, come spaventata.
‹‹ Intendo… con Caramello…
E’ chiaro che è terrorizzata e molto stanca e nonostante questo ce la sta
mettendo tutta quindi… ››.
La voce le morì in gola.
Vento le aveva rivolto un sorriso leggero e appena amaramente
divertito, come se avesse capito benissimo che non stava dicendo quello che
aveva realmente pensato di dire, e glielo stesse rinfacciando, ma con
rassegnata sconfitta; pareva aspettarselo da lei, e non serbarle rancore
nonostante tutto. Nonostante tutto cosa? Perché mai avrebbe dovuto serbarle
rancore? Non era semmai il contrario, in base a quello che lei sapeva?
Mentre cercava di venire a capo di quell’ingarbuglio di raziocinio
che incespicava in invisibili inciampi di insensate sensazioni istintive, vide
lo sguardo di Vento tornare distratto e lontano, e scostarsi da lei per tornare
a fissare il paesaggio.
‹‹ Sì… ›› disse
lentamente ‹‹ Hai ragione. Ma non è proprio il caso
di essere indulgenti verso ogni capriccio, o non arriveremo mai…
comunque, visto che dev’essere una situazione molto
stressante e difficile per lei, immagino che sia comprensibile…
allora, mi dispiace. So che non è a te che devo dirlo. ››
aggiunse infine, e tornò a guardarla, come chiedendole seriamente se ora andava
meglio.
‹‹ Anche lei l’ha detto… che le dispiace.
Sono certa che si rende conto della gravità della situazione e che si stia impegnando… e si sente già abbastanza in colpa da sola per
averci rallentato. Per inciso, anch’io ero stanca, e fermarmi un po’ mi ha
fatto bene. ››
‹‹ D’accordo. Quando vi sentirete meglio ripartiremo…
›› disse lui.
Nonostante il suo sguardo lontano, capì che l’aveva ascoltata
attentamente.
‹‹ Hum, e da quando sei tu il
capo-spedizione? ›› gli chiese.
Vento le rivolse una smorfia-sorriso quasi divertita.
‹‹ Ovvio, perché io porto il fucile. ››
disse, scherzando ‹‹ Oh, e perché me lo sono
guadagnato dopo la veglia di stanotte. ›› aggiunse,
con un luccichio astuto dello sguardo al di sopra delle occhiaie.
‹‹ Certo. ›› ribatté lei,
ironicamente ‹‹
Erano proprio queste le regole che tu hai deciso senza consultarci. ››
‹‹ Bè, sai, non sono mai stato un fautore
della democrazia. ››
‹‹ Non l’avrei mai detto. ›› commentò
sempre ironica Speranza.
‹‹ A proposito, domattina ci sarà una lotta ai vertici del potere
perché sarete in tre ad avere
diritto di comando in seguito ai turni di guardia di stanotte. ›› notò Vento, e le ammiccò.
Speranza se ne stupì, impreparata, rendendosi conto che
effettivamente il loro scambio di battute era diventato confidenzialmente
scherzoso nell’arco di pochi minuti; strano, considerando che non si
conoscevano che da due o tre giorni.
Vento parve interpretare immediatamente il suo stato d’animo,
perché un’ombra gli oscurò l’espressione quasi divertita, appesantendo
l’atmosfera percettibilmente.
Come due persone che troppe esperienze negative hanno portato
lontano e reso nemiche, che rincontrandosi si ritrovano senza accorgersene a
scherzare come ai vecchi tempi, e poi ritornano bruscamente ad accusare il peso
di tutto ciò che è successo tra loro e tutto il tempo passato.
Di nuovo Vento distolse lo sguardo e gli ritornò l’espressione lontana
e vagamente triste.
‹‹ Hai detto che sei stanca… sarà meglio
che riposi anche tu prima che ripartiamo. ›› disse
solo, con tono distaccato.
Speranza lo interpretò come un congedo. Si limitò ad annuire, e
tornò vicino alle altre due ragazze, lasciando Vento a contemplare in solitaria
il paesaggio, come se vi leggesse chissà cosa.
***
Anche se forse nessuno di loro vi avrebbe scommesso sopra qualche
cosa, dopo quella pausa riuscirono a camminare ancora per un paio d’ore, finché
non occorse un’altra pausa. E stavolta fu Vento a proporla, cosa che sembrò
fargli guadagnare un po’ di perdono da parte di Rosa e di Speranza per il suo
comportamento di prima verso Caramello.
Quest’ultima alla fine aveva preso il ritmo, e sembrava
gradualmente meno provata, nonostante aumentassero i chilometri innevati che si
lasciavano alle spalle, passo dopo passo.
Fu così che, tra camminate e pause e pasti frugali a base di pezzi
di pane e formaggio e di acqua e caffè, trascorsero le ore che li separavano
dal tardo pomeriggio, quando la luce del giorno, che non era comunque mai stata
molto intensa, prese a calare rapidamente nel tramonto grigio e fumoso
dell’inverno. Iniziarono allora a prestare maggiore attenzione selettiva al
paesaggio che li circondava, studiando il terreno e la posizione delle maestose
strutture arboree rispetto al letto del torrente, in cerca di una buona zona
dove passare la notte, fin quando non venne assunto allo scopo uno spazio tra
gli alberi, dove il terreno non era eccessivamente pendente nel suo digradare
dal fitto del bosco verso il torrente innevato.
Dopo aver riposato per qualche momento, iniziarono ad occuparsi
delle loro preparazioni per la notte, lavorando in silenzio, come se si fossero
ormai abituati a quella routine, o come se ancora si credessero pienamente
quando dicevano a sé stessi che non era altro che una specie di avventura
quella, che tutto ciò che dovevano fare era svolgere efficientemente le cose e
stare in campana, e il resto sarebbe andato bene, fino a una conclusione in
lieto fine di quel viaggio.
Speranza, che non si sentiva affatto ottimista, e che in diversi
momenti durante la giornata si era aggrappata al significato del suo nome come
se potesse contare realmente solo su quello, si chiedeva se la differenza tra
lei e gli altri non fosse la memoria. Forse loro ricordavano cose e persone,
luoghi e situazioni alle quali volevano tornare, dei quali sentivano la
mancanza, e questo dava loro forza e determinazione.
Mentre lei, lei camminava alla cieca.
Tutto ciò che aveva era uno zaino con degli indizi, chissà dove;
nient’altro, nessun’altro all’infuori di quegli improvvisati compagni di
avventura. Come se il destino, dopo aver fatto tabula rasa della sua mente, si
divertisse a metterle davanti qualche briciola dicendole ‘ecco qua, questo è
tutto ciò che hai a disposizione, nient’altro, prendere o lasciare, e vedi un
po’ che puoi farci con questi’, e ora si passasse il tempo a guardare che cosa
riusciva a combinare.
D’accordo, in fondo non si sentiva una persona che crede nel
destino o in qualcosa del genere. Ma ogni tanto accettare quella piccola auto
illusione le dava almeno l’opportunità di avere un qualcosa-qualcuno a cui dare
la colpa di quello che le stava accadendo, qualcuno a cui indirizzare recriminazioni
e maledizioni e quant’altro e al quale promettere un bel pugno – almeno – se
mai si fossero trovati a faccia a faccia. In certi momenti di sconforto e senso
d’impotenza e vulnerabilità, ecco, se non altro poteva pregustare quel pugno
con squisita anticipazione.
‹‹ Hai l’espressione di chi vorrebbe ammazzare qualcuno. ››
Speranza alzò lo sguardo su Vento.
Erano rimasti solo loro due vicino al fuoco, ormai l’unica fonte
di luce nel buio della notte.
Rosa e Caramello si stavano indaffarando
a preparare i loro sacchi a pelo per dormire, cosa che colpiva molto Speranza.
Lei, specialmente considerando quanto si sentiva esausta, non desiderava altro
che potercisi infilare dentro, e per lei l’operazione
non avrebbe richiesto tutta quella meticolosa cura che ci mettevano le ragazze.
Ma lei non poteva infilarsi nel sacco a pelo: le spettava il primo
turno di guardia per la prima metà della notte. La sola idea le triplicava la
stanchezza.
Si poteva ancora udire Rosa borbottare tra sé e sé. Aveva iniziato da quando lei e Caramello
erano state informate del loro turno della seconda metà della notte, e non
aveva ancora smesso. In quanto a Caramello non aveva detto niente, ma il suo
viso terreo e sconvolto era stato comunque molto eloquente. Speranza sospettava
che si fossero trattenute da ogni commento per evitare di dare a Vento
l’opportunità di ribattere qualcosa riguardo al loro “fare del vittimismo” e
della giustizia implicita nel fare turni che spettassero a tutti.
‹‹ Beh… volevo solo parlarne, insomma, spero
di non essere io. ›› aggiunse Vento ironico, visto
che lei non aveva risposto.
‹‹ No, non tu, in questo momento in particolare. ››
rispose lei, con sincerità.
‹‹ Rassicurante ›› ironizzò l’altro.
Tornò il silenzio, durante il quale osservarono il fuoco, grati
del calore che trasmetteva ai loro corpi provati dal freddo.
Poi Vento si mosse, prendendo tra le mani il fucile che portava a
tracolla; sospirò appena, stancamente, e disse ‹‹
Immagino che tu non sappia usare un fucile. ››
‹‹ Lo immagini in base a cosa? ›› lo
provocò lei.
La consapevolezza che lui forse sapeva qualcosa del suo passato ma
non le diceva niente le pesava addosso da tanto ormai, comunque troppo tempo
perché non provasse continuamente il desiderio di tentare di farlo parlare in
proposito, nonostante il suo evidente rifiuto. Davvero non capiva, non riusciva
nemmeno a intuire su come poteva risultarle il suo diniego?
Peraltro, egli le rivolse la solita occhiata adombrata da quello
che pareva arrabbiato risentimento.
‹‹ Sai usare un fucile? ›› chiese
direttamente, con la voce irrigidita.
‹‹ No. ›› disse altrettanto freddamente
lei.
‘Ma tu lo sai già, no?’ pensò; si trattenne dal dirlo solo perché
certe sue espressioni ancora la spaventavano, non poteva farci niente, anche se
odiava farsi intimidire in quel modo.
Tuttavia, quando quegli occhi scuri assumevano certe sfumature
profonde e dirette e taglienti, era come se lui facesse affidamento a un
personale bagaglio di tali tormenti e dolori che chi non li aveva vissuti non
poteva immaginare e, perciò, non poteva intuire nemmeno cosa lui era in grado
di fare, quanto pericoloso e nocivo potesse essere. Una minaccia più
sottilmente terribile e spaventosa perché non si basava sull’ostentazione di
forza e di spietatezza, ma sull’avere subito tale dolore da sapere ormai
benissimo come darlo, e avere perso nella sofferenza provata ogni remora a fare
del male.
Ma quegli sguardi sparivano così in fretta come erano comparsi, e
la loro fugacità non faceva che renderli ancora più temibili, proprio perché
apparivano fulminei come può esserlo la ferocia immediata e irrazionale.
Speranza si chiese se solo lei li notasse, o forse se in realtà li
notassero anche gli altri ma non osassero ammettere cosa avevano visto. Lei
stessa preferiva non soffermarsi a rifletterci troppo sopra, anche perché,
l’istante che non li aveva più davanti, già le sembravano irreali e
impossibili, come un’illusione, o come qualcosa che supera l’immaginazione.
Forse, se fosse riuscita a riflettervi sopra, avrebbe finito per
vedersi costretta a negare che qualcuno potesse avere un simile sguardo, ed
apparire per il resto del tempo una persona così reale, concreta e generalmente
non folle, una persona abbastanza concepibile secondi i parametri medi del
termine ‘umano’. O forse avrebbe sospettato che quegli sguardi la turbassero
anche perché le ricordavano qualcosa del passato che aveva dimenticato.
‹‹ Allora ti do qualche dritta. ›› disse
Vento, con tono pratico e ancora distante.
Con modo quasi professionale, come se glielo stesse vendendo, le
spiegò le basi per utilizzare il fucile, dal banale ‘prendere la mira e premere
il grilletto’ alle accortezze come ‘appoggiarlo alla
spalla per evitare la botta del calcio nel rinculo’,
e così via.
Combattendo la stanchezza, Speranza ascoltò ogni parola con
attenzione e chiese chiarimenti.
Era una strana lezione. A differenza di tutte le altre a cui aveva
assistito nella sua vita, l’avere capito e l’essere in grado di rimettere in pratica
proficuamente quanto appreso non implicava il poter contare su un buon voto o
su un arricchimento della sua cultura personale, ma, essenzialmente e senza
mezze misure, la capacità di sopravvivere.
‹‹ Mi sento in dovere di confessare… ›› disse alla fine Vento ‹‹ che
non credo avrai tutta questa voglia di piantare una pallottola nel cranio di
qualche animale. Perciò credo che potresti sparare il primo colpo come
“d’avvertimento”, insomma abbastanza vicino all’aggressore ma senza colpirlo.
Dopodiché, se questo non toglie il disturbo e se nel frattempo a causa del
rinculo non sei finita per terra, servendoti su un piatto d’argento nel menù
del potenziale predatore, sarebbe meglio per tutti se tu non ti facessi più
scrupoli nel prendere la mira. ››
Speranza ci rifletté su per qualche momento, e si rese conto che,
effettivamente, non le sarebbe parso affatto bello sparare a chicchesia, tranne forse a Vento, solo “per avvertimento”,
s’intende.
Soppesò il fucile, piuttosto pesante, tra le mani, e si chiese se
minacciandolo con quello avrebbe potuto ottenere qualcosa di più da lui,
piuttosto che quelle occhiate taglienti.
Lui sapeva persino alcune delle sue naturali inclinazioni prima
che lei scoprisse di averle. Non era affatto giusto. In un certo senso era come
se lui avesse su di lei un vantaggio che non ricordava di avergli mai concesso.
Ma lei di lui non si ricordava affatto.
Appoggiò il fucile sulle gambe incrociate e sospirò.
‹‹ Che c’è? ›› le chiese Vento,
mostrandosi un po’ meno freddo di prima.
La battuta sul colpo d’avvertimento sembrava averlo messo un po’
più di buonumore, per quanto poco di buonumore potesse mai sembrare.
‹‹ È pesante. ›› disse lei, riguardo al
fucile, non sapendo che altro dire.
Vento non aggiunse altro, come se avesse intuito che lei non stava
realmente pensando al significato letterale di ciò che aveva detto.
Nel breve silenzio che seguì, lei si ritrovò a concentrarsi per
tentare di ricordarsi qualcosa sul suo singolare compagnoni viaggio.
Certo, le trasmetteva talvolta un senso di famigliarità, non
direttamente ed esclusivamente collegato a quando egli faceva involontariamente
riferimento a qualcosa che sapeva su di lei. Ma, a parte questo, anche
fissandolo non le veniva in mente niente.
Come poteva lui non aiutarla minimamente a ricordare, non dirle
niente, sapendo che ora lei non aveva niente del suo passato, e per di più
serbarle rancore? Per cosa, per aver dimenticato? Come se lo avesse fatto
appositamente? Quando mai era considerato plausibile prendersela con qualcuno
che soffre di amnesia contro il suo volere, e rifiutarsi per giunta di essergli
d’aiuto e appoggio?
Abbassò gli occhi sul fucile che teneva in grembo, sul quale
passava le mani distrattamente, assorta nei suoi pensieri, come cercando di
prendervi confidenza, per quanto quell’arma fatta di metallo ghiacciato e di
legno duro le apparisse in ogni caso ostile ed estranea. Ma era tutto ciò che
aveva. Qualche provvista, tre sconosciuti, un fuoco e un fucile, e forse uno
zaino di indizi da qualche parte. E nel bel mezzo di quella foresta, nel buio
della notte fredda, nel precario equilibrio della sua esistenza senza passato,
sembrava già molto.
‹‹ Sembra che tu ci sappia fare con le armi ››
si ritrovò a dire, forse più che altro per distogliersi dai suoi stessi pensieri.
Se doveva passare mezza nottata in compagnia solo di quelli, tanto
valeva approfittare almeno della presenza di Vento per quanto possibile, anche
se lui continuava ad essere così misteriosamente e ostilmente ingiusto verso di
lei.
‹‹ So usare un fucile, tutto qui. ›› disse
lui.
‹‹ Ma questo fucile è tuo? ››
‹‹ No, me l’hanno dato alla baita. ››
‹‹ Quanti gliene saranno rimasti…? ››
‹‹ Non saprei. ›› rispose Vento,
guardandola ‹‹
Una dozzina almeno. ››
Sembrava chiedersi perché lei si preoccupasse di quelli della
baita, ma non lo disse.
‹‹ Loro sono in di più, certamente hanno meno fucili che persone,
anche se non di tanto. ››
‹‹ Beh, di tanto sì, contando anche i bambini. ››
disse distrattamente Vento.
Lei lo guardò in tralice ‹‹ Bambini…? ››
ripeté lentamente.
In quella ricordò Manona, la donna che
le aveva dato da mangiare nella tenda dell’accampamento delle Tute, e la sua
domanda sui bambini. Aveva pensato che fosse pazza o che avesse strane idee su
quello che accadeva alla baita. Forse era lei quella con le idee strane.
‹‹ Quali bambini? ›› chiese, con voce
quasi acuta.
Vento tornò a fissarla attentamente, poi scosse piano la testa e
disse ‹‹
Lascia perdere… ››.
‹‹ Vento ›› disse lei, con massima
serietà.
Una volta lo aveva chiamato per nome, e lui era sembrato sentirsi
costretto a rispondere, e ora lei inconsciamente riutilizzava lo stesso modo.
‹‹ Quali bambini? ›› ripeté, con voce più
dura.
Lui le rivolse un’occhiata particolare, come se pensasse che lei
si stesse auto-danneggiando, esitò ancora, scosse la testa di nuovo e sembrò
seriamente infastidito ‹‹ Lo sapevo… ›› mormorò, parlando a se stesso ‹‹ Che stupido. ››
‹‹ Vento ›› disse ancora lei, e si alzò in
piedi.
Lui tornò a guardarla, prendendo tempo. Di colpo il suo sguardo si
fece cupo e crudele, come se lei lo avesse appena colpito.
‹‹
Perché piuttosto non mi spari adesso? ›› sibilò con
tono irriconoscibile, velenoso, così piano che lei dubitò di averlo udito.
‹‹ Che succede? ›› la voce di Rosa sembrò
restituire realtà a tutto, allontanare le ombre, e lo sguardo di Vento
ridivenne indifferente, e si abbassò sul fuoco. Ora sembrava molto triste.
Speranza dovette riprendersi un momento da questa serie di
repentini mutamenti, prima di riuscire a rispondere a Rosa.
Si voltò verso di lei ‹‹ Rosa, quali bambini…? ›› disse, piuttosto incoerentemente.
La ragazza diventò molto seria.
‹‹ Intendi i bambini della baita? ››