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Autore: VeganWanderingWolf    23/05/2010    1 recensioni
Qualche maligno dice che chi invece si risveglia dall’altra parte, si sveglia nel sogno, potrebbe non ricordare più nemmeno del sé stesso di quando non sogna.
Introduzione modificata per uso di codice html pesante.
Charlie_2702, assistente admin
Genere: Drammatico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non che non sia bianca

Non che non danzi soave nell’aria

Non che non si posi senza rumore su ogni traccia

Lei che tutto vede e niente riferisce, candida solamente si finge

 

 

Parte IV - Neve di bianco, occhio sì stanco

 

Libera si svegliò lentamente, riemergendo da un sonno privo di sogni con la testa pesante e un po’ confusa. In breve recuperò le coordinate che riguardavano il suo trovarsi nel bel mezzo di un bosco, rannicchiata in un sacco a pelo poggiato sul terreno, le cui asperità erano un poco ammorbidite dallo strato di bianca neve che lo copriva.

Ma poté recuperare solo una parte di quelle coordinate, constatò con delusione.

Benché tra tutte le sue ragionevoli ipotesi sul senso di quella situazione nessuna comprendesse il ritorno improvviso e miracoloso della memoria, lei non poteva fare a meno di sperarci, almeno un poco, inconfessabilmente.

Soprattutto perché, ora che quello zaino contenente il suo passato dimenticato le era stato sotto le dita e proprio all’ultimo era andato perduto, non aveva nessun’altra speranza alla quale aggrapparsi, niente che le promettesse che in qualche plausibile modo avrebbe potuto riavere indietro i suoi ricordi.

Si girò sulla schiena, muovendosi dentro al sacco a pelo con un certo impaccio, dal momento che non aveva potuto rinunciare a dormire con indosso ogni capo d’abbigliamento in suo possesso, a causa del freddo.

Una delle cose che ricordava molto bene, e che non avrebbe dimenticato molto presto, era l’enorme difficoltà che aveva incontrato la sera prima nell’addormentarsi nel bel mezzo di una foresta buia, sperduta chissà dove su montagne che si trovavano da qualche parte nel mondo, ché più di così non avrebbe saputo dire, con il freddo che aveva aspettato l’immobilità delle membra per aggredire più forte, raffreddando pazientemente strato dopo strato i vestiti. Alla fine per fortuna il suo corpo aveva potuto riscaldare l’interno del suo giaciglio, che era diventato un prezioso guscio caldo; con quel sacco a pelo, nonostante non fosse suo, aveva ormai stabilito un rapporto molto stretto, per via del fatto che, con molta probabilità, doveva ad esso il mancato assideramento.

Ma quando era caduta nel sonno, per esaustione più che per altro, aveva ancora addosso quella sensazione di vulnerabilità, esposta com’era in un ambiente sconosciuto e chiaramente adatto ad ogni sorta di animale dotato di pelliccia e di buona resistenza al freddo, di una spiccata abilità a procacciarsi cibo in quelle rigide condizioni o a cadere in letargo in attesa di stagioni più miti, e non certo quindi ad un essere umano.

Né era valsa la presenza di Vento a rassicurarla. Egli aveva passato la notte seduto sul suo zaino presso al fuoco, il sacco a pelo tenuto aperto sulle spalle; un po’ rannicchiato nel tentativo di ridurre al minimo la dispersione di calore, aveva fatto da sentinella, col fucile tenuto verticalmente appoggiato al terreno, alla gamba e contro la spalla. Non aveva quasi mai smesso di sfregarsi le mani guantate, e di tenere il suo solito corvino sguardo imperscrutabile intento sul buio d’intorno, appena rischiarato dalle ultime braci del fuoco che andava spegnendosi di ora in ora.

Ora Libera, mentre fissava supina le fronde verde cupo degli alberi, che costituivano un impenetrabile soffitto a nascondere il cielo – diffidando così la plumbea luce dal rischiarare più di tanto la foresta -, rammentò di essersi accordata con Vento la sera prima. Secondo tali accordi, loro due dovevano dividersi a metà il turno di guardia notturno.

Nonostante lo scarso entusiasmo di Libera, Vento le aveva fatto notare quanto Rosa e Caramello fossero chiaramente troppo provate per poter loro affidare il compito con un minimo di fiducia.

‹‹ Ti paio forse meno stanca? ›› aveva obbiettato lei, alzando un sopracciglio.

‹‹ No, certo, siamo tutti stanchi, credimi: la tua faccia non è da meno delle nostre. ›› aveva replicato lui, come al solito divertendosi con le sue stesse parole  ‹‹ Tuttavia, conto sul fatto che la resistenza e l’istinto di autoconservazione siano in te più potenti di qualsiasi stanchezza. ››

‹‹ Grazie ›› era stato tutto ciò che gli aveva risposto, restituendo ironia all’ironia.

Libera volse la testa a guardare altri due sacchi a pelo ravvicinati. Rosa e Caramello dormivano ancora, evidentemente, vicine e strette come le aveva viste la sera prima. Ora ricordava che si era addormentata dopo aver fissato a lungo, con una certa invidia e insieme una certa calma, le loro sagome vicine e il lieve movimento prodotto dai loro respiri.

Voltò la testa dall’altra parte, e vide qualche metro più in là l’altro compagno di sventura, chino e intento a cercare di accendere il fuoco.

Vento non l’aveva svegliata per chiederle di dargli il cambio al turno di sentinella, realizzò infine.

Questo la indispettì quasi subito, avendo l’impressione che quel gesto non fosse da attribuirsi alla sua gentilezza, semmai ne possedeva una che si spingeva fino a quel punto, ma piuttosto al desiderio di esibire la sua resistenza.

Ciò le diede lo spunto per decidersi ad aprire la cerniera del sacco a pelo e ad alzarsi. Si infilò gli scarponcini che aveva lasciato appoggiati lì accanto, si strinse di più addosso il giaccone che portava e si alzò in piedi, marciando poi verso i resti del fuoco.

Vento non diede alcun segno di averla udita avvicinarsi, benché il rumore della neve compattata dal suo peso ad ogni passo fosse chiaramente percettibile nel silenzio che li circondava.

Libera si fermò accanto a lui e per qualche momento restò ad osservare, dall’alto della sua modesta statura, gli sforzi del ragazzo per accendere il fuoco; al momento stavano producendo scarsi risultati.

‹‹ Cosa stai facendo? ›› chiese lei, giusto per ottenere una qualche reazione.

‹‹ Dammi la tua opinione ›› rispose sarcastico, irritato.

‹‹ Voglio dire ›› precisò lei, trattenendo l’esasperazione  ‹‹ A che cosa ci serve un fuoco ora? Insomma, citando le tue parole di ieri sera… : ‘Faremmo meglio a fare in modo che nei prossimi giorni la nostra principale fonte di riscaldamento sia il camminare.’››

Vento emise un lieve sbuffo divertito tra le labbra.

‹‹ Lieto che le mie parole ti siano rimaste così impresse. ›› osservò, con una certa amara allegria.     ‹‹ Comunque, ho intenzione di fare un po’ di caffè e qualcosa da mangiare. Per camminare meglio ci serve qualcosa nello stomaco. Potremmo considerarlo il nostro principale pasto della giornata, magari. Ancora meglio se restasse l’unico. ››

Libera alzò gli occhi al cielo, che, dalla piccola radura sgombra di alberi presso la quale si erano accampati, era ben visibile. Una serie di nuvole bianco fumoso e grigio-sporco navigavano con pigra lentezza, non si vedeva altro. Nonostante ciò, la luce del giorno sembrava troppo forte per essere luce di alba.

‹‹ Ma che ora è? ›› chiese, colpita dal pensiero di aver dormito più di quanto non avesse sperato di riuscire in quella situazione.

‹‹ Non lo so. Mattina inoltrata. ›› rispose l’altro evasivamente, continuando ad avvicinare la sua espressione concentrata e sempre più contrariata al mucchio di legna bagnata, carbone della sera prima, corteccia secca e fazzoletti di carta: una combinazione la cui combustione prima di scaturire sembrava voler fare diversi ripensamenti sulla possibilità fisica di una sua comparsa.

‹‹ Fammi un favore. ›› disse ancora Vento dopo qualche minuto  ‹‹ Prendimi della carta dagli zaini di quelle due. ››

‹‹ Della carta ›› ripeté lei.  ‹‹ Dai loro zaini. ›› puntualizzò, ancora più scetticamente.

‹‹ Esatto. ›› replicò lui in tutta tranquillità.

Ma dal momento che lei non dava segno di avere intenzione di muovere un passo, le lanciò un’occhiata, e sorrise appena, obliquamente.

‹‹ Avanti, garantisco io. Ovvero, mi prendo ogni responsabilità. ››

‹‹ Se questo bastasse a tranquillizzarmi… ›› commentò la ragazza, incrociando le braccia sul petto, come a sottolineare la sua riluttanza ad eseguire la richiesta.

‹‹ Oh, avanti… ›› la blandì lui con pazienza, mentre armeggiava ancora con la legna e il resto ‹‹Hanno un sacco di carta in quegli zaini. C’è più carta che altro. E visto che quello spazio poteva contenere cibo o altre cose ben più utili, mi sembra ragionevole farne un uso più appropriato alla situazione in cui ci troviamo. ››

‹‹ I libri son solo combustibile per te? ›› replicò di colpo lei, senza capire realmente perché lo stesse dicendo (e forse anche pensando). Forse aveva il pensiero ancora rivolto al suo zaino, a quegli scritti che potevano riportarle memoria, darle un passato. O forse aveva solo voglia di litigare, criticare, sfogarsi in qualche modo.

Lui tornò a fissarla, con sguardo serio e attento.

 ‹‹ Non mi pare che abbiano le uniche stampe in circolazione, son tutte cose riacquistabili non appena trovano una libreria. Se noi invece finiamo per non riuscire a riscaldarci e a mangiare, qui ed ora, beh, non credo che dopo il game over ci sia data un’altra possibilità.  In tutta franchezza, per quanto siano importanti i loro libri e i loro esami, penso che anche loro sarebbero bendisposte a valutarle come cose secondarie rispetto alla loro sopravvivenza, se non altro perché il fatto che siano vive mi pare proprio una necessità minima per poter leggere un libro e dare un esame… Sono certo che anche loro arriverebbero alle stesse conclusioni dopo un’attenta riflessione, ma per evitare tutte quelle discussioni che ci farebbero perdere tempo, potremmo intanto pensare ad accendere il fuoco.››

Benché quell’argomentare avesse un senso preciso, Libera ebbe l’impressione che il ragazzo stesse tentando di distrarla con le parole mentre la studiava con lo sguardo, che ora ignorava il “tentativo di fuoco” ed era fisso su di lei. Avrebbe voluto voltargli le spalle, ma si limitò ad evitare accuratamente di incrociare i suoi occhi, tenendo i propri rivolti altrove, da nessuna parte in particolare.

‹‹ Bene, ottimi argomenti. In ogni caso chiederò il loro permesso prima… ›› insisté, ostinata.

‹‹ Sii ragionevole ›› riprovò lui, in tono quasi lamentoso  ‹‹ Quelle ne farebbero una tragedia, nemmeno stessimo mandando sul rogo le loro madri… ››

‹‹ Ascolta. ›› lo interruppe, con fare pratico  ‹‹ Ora guardo se trovo dei fogli bianchi tra le loro cose, in caso contrario le sveglierò, e potrai ripetere tutto il tuo discorso a loro, e vedremo. Nel frattempo, comunque, continua a provare ad accendere quel maledetto fuoco senza dover sacrificare niente, per favore. ››

Vento non le rispose, ma con la coda dell’occhio lo vide riprendere a trafficare con il ‘combustibile potenziale’, mentre lei andava a frugare negli zaini delle ragazze, sentendosi vagamente in colpa. Poco dopo fu di ritorno con alcuni fogli bianchi strappati da quaderni di appunti e l’aria rassegnata e colpevole. Qualche indaffarato minuto più tardi, finalmente il fuoco prese piede, con molta riluttanza, nel mucchio.

Restando in silenzio, lei e Vento sistemarono vicino alle fiamme crepitanti una piccola caffettiera e le gavette con il cibo, poi si sedettero accanto alla calda fiamma, di tanto in tanto sporgendosi a muovere un po’ il tutto affinché si riscaldasse uniformemente, e godendo del calore che si irradiava nel corpo.

Dopo qualche momento che fissava le lingue di fuoco e gettava lunghe occhiate intorno al paesaggio bianco, verde, marrone e grigiastro della foresta e della neve, Libera lo fissò sul viso di Vento, altrettanto immerso nei suoi pensieri, apparentemente.

‹‹ Perché non mi hai svegliato per darti il cambio, stanotte? ›› chiese, con calma.

Accanto a quel piacevole fuoco, immersa nel suo calore rinfrancante e con odore di caffè e di cibo che iniziava a riempirle le narici, aveva ormai dimenticato l’animosità irritata che l’aveva colta prima, quando aveva realizzato questo particolare.

Lui le rivolse una smorfia delle sue, simile a un sorrisetto. ‹‹ Non preoccuparti, potrai rifarti stanotte. Probabilmente per allora avrò davvero bisogno di dormire… ››.

‹‹ Vuoi dire che, grazie al tuo inutile sforzo di stanotte, la prossima notte dovrò passarla totalmente insonne io? ››  lo rimbeccò subito lei. Doveva aspettarselo.

‹‹ Dividila con le altre due. Personalmente credo sarebbe meglio lasciar loro fare il turno di guardia insieme. Magari così c’è una pallida possibilità che riescano a rimanere sveglie per la maggior parte del tempo. ›› scherzò, e si allungò a controllare lo stato del caffè.

Guardandolo, e notando le occhiaie piuttosto pronunciate che rendevano ancora più inquieti e penetranti i suoi occhi scuri, lei si chiese come avrebbe potuto affrontare una giornata di camminata dopo non aver nemmeno dormito.

Lui le lanciò uno sguardo e sembrò intuirne i pensieri, perché aggiunse  ‹‹ Non che mi pesi tanto una notte insonne. Là alla baita ho dormito per la maggior parte del tempo. Non c’era molto altro da fare. ››

Libera si trovò a trattenersi dal chiedere cosa era successo prima di quello che lei riusciva a ricordare, prima di quando si era svegliata là senza memoria. Ma aveva ormai la sgradevole sensazione che in ogni caso Vento avrebbe trovato il modo di evitare di rispondere chiaramente a una domanda così diretta. Forse, però, poteva ottenere qualche informazione aggiuntiva cercando di affrontare la cosa indirettamente…

‹‹ Invece Mangiafuoco non sembrava dormire nel vero senso della parola da diverso tempo. ›› osservò, in tono calcolatamente distratto.

‹‹ Già. Lui aveva deciso di occuparsi di tutta la situazione come se fosse unicamente sua la responsabilità. Pensi che quelle due si sveglieranno da sole prima o poi, a proposito di dormite? ›› cambiò repentinamente discorso, lanciando un’occhiata alle sagome ancora rannicchiate nei loro sacchi a pelo.

‹‹ Lasciamole riposare un altro po’… dopotutto stanotte dovranno fare il loro turno anche loro. ›› disse Libera, sospirando pesantemente.

Poi un pensiero sgradevole la colse, e chiese  ‹‹ Pensi che quei… quelle creature gialle che abbiamo visto ieri… che potrebbero attaccarci di notte? ››

Lui le lanciò uno sguardo profondo, ma breve, per poi spostarlo sulla foresta.

‹‹ No, non credo che dovremmo preoccuparci di loro. In un bosco così ci saranno molti altri animali, però,  che potrebbero essere attratti, se non proprio da noi, dalle nostre provviste. Leoni di montagna, orsi… ››

‹‹ Questo sarà meglio non dirlo alle altre, forse. ››

‹‹ Sono d’accordo. ›› annuì Vento.

Il ragazzo tolse la caraffa dal fuoco e versò in due gavette vuote, porgendone poi una a lei.

‹‹ Tieni il tuo caffè, Libera. ›› disse, con tono un po’ autoironicamente cameratesco.

Mentre sorseggiavano l’amara bevanda in silenzio, lei rifletté di nuovo sul suo nome. Ci aveva pensato molto anche la sera prima, ed era giunta a una conclusione.

Si posò la tazza in grembo, assumendo una posa piuttosto grave.

‹‹ Ascolta. ›› disse ‹‹ Il nome che mi hai dato… insomma, penso che al momento abbia un contenuto troppo importante perché io possa portarlo a cuor leggero. Forse un giorno ne avrò veramente bisogno, più bisogno di ora. Magari allora mi chiamerò Libera. Ma adesso prenderò un altro nome. ››

Detto ciò alzò lo sguardo su Vento, che la fissava attentamente, e che dopo qualche istante si limitò a fare un cenno d’assenso. Poi, come ripensandoci, lui aggiunse ‹‹Penso che sia una cosa appropriata. E’ bene che tu te ne sia accorta ora. ››

Seguì un momento di silenzio, che di nuovo ruppe lei   ‹‹Dovremo camminare molto, probabilmente.›› disse, lo sguardo concentrato sui pensieri e abbassato sui suoi scarponi.

‹‹ Abbiamo un solo fucile e qualche idea della direzione.›› proseguì ‹‹ Quel che ci serve davvero, però, è di mantenerci protesi e sicuri verso il fatto che usciremo da questa situazione sani e salvi. Per questo io…. io mi chiamerò Speranza. ››

Vento non trovò nulla da ribattere, ed entrambi continuarono a bere in silenzio il loro caffè.

Poco dopo, mentre il ragazzo toglieva dal fuoco le gavette col cibo ormai caldo, Speranza si alzò e andò a svegliare Rosa e Caramello.

 

***

 

‹‹ Bene, “squadra”. Se abbiamo preso tutto possiamo anche partire. ›› disse Vento, senza  grande entusiasmo, e rivolse uno sguardo alle ragazze.

Speranza stava aiutando Caramello a sistemare le cinghie che le legavano lo zaino al busto.

Rosa, che si stava accomodando l’orlo dei guanti da sci sotto le maniche del giubbotto, gli rivolse un’occhiata truce. Evidentemente era ancora piuttosto arrabbiata per via di quella carta bianca da appunti che avevano usato per accendere il fuoco, nonostante non avesse spinto la sua protesta fino al punto di rifiutare di mangiare il cibo e bere il caffè che quella carta aveva contribuito a riscaldare.

Speranza gli si avvicinò.  ‹‹ Qual è esattamente la direzione? ›› chiese.

La sera prima aveva appreso che le Tute stesse avevano loro dispensato qualche indicazione su come raggiungere un qualche centro abitato, e che le indicazioni corrispondevano a quanto appariva su una delle cartine che quelli della baita avevano loro consentito di portarsi dietro.

Quando Speranza aveva chiesto perché dunque gli uomini e le donne della baita non si servissero anch’essi di quella strada per andarsene, Rosa aveva spiegato che quello che loro cercavano non era una strada per andare tutti via dalla baita, dal momento che sapevano bene che fuori ad aspettarli c’erano le Tute in agguato, bensì un percorso relativamente sicuro attraverso il quale qualcuno potesse andare a chiamare soccorsi, o in cui gli assediati avrebbero potuto, oltre che camminare, anche trovare rifugi naturali per difendersi in caso di scontro diretto con le Tute. Inoltre c’erano altre difficoltà, come il fatto che le vie che conoscevano erano molto lunghe e tortuose, e condurre per esse tutto il nutrito gruppo che stava nella baita sarebbe stata un’impresa non da poco.

‹‹ Ma quindi, in un certo senso la spedizione che dovrebbe chiamare i soccorsi, nei loro piani, saremmo noi? ›› aveva chiesto Speranza, piuttosto confusa.

‹‹ In un certo senso… ›› aveva detto Rosa, ma scuotendo il capo ‹‹ Però penso che loro fossero abbastanza convinti del fatto che non avremmo mai superato le Tute indenni. In effetti… ci sono diversi punti che non mi sono chiari. È evidente che le Tute devono averci considerato innocui perché hanno intenzione di assalire la baita ben prima del tempo che ci occorrerà per raggiungere qualcuno a cui chiedere aiuto. ››

‹‹ Oddio… ›› aveva mormorato angosciosamente Caramello.

‹‹ Ma forse sottovalutano la capacità di resistenza di quelli che sono rimasti alla baita. ›› si era affrettata ad aggiungere Rosa  ‹‹ Se riescono a resistere finché noi non troviamo soccorso allora… ››

‹‹ Va bene, adesso concentriamoci sui turni di guardia… ›› aveva interrotto Vento a quel punto, proprio prima che Speranza iniziasse a condividere con gli altri le sue congetture sul perché e percome si fosse creata quell’assurda situazione, su chi potessero essere le Tute e così via…

«Dobbiamo seguire il corso di questa sorta di fiume» le stava rispondendo ora Vento «Almeno fintanto che non arriviamo in vista della valle. A quel punto dovremo cercare una strada che scende e orientarci a vista verso il paese più vicino. ››

‹‹ Hanno detto quanta strada sarà? In chilometri, all’incirca…? ›› chiese ancora Speranza.

‹‹ No. Non hanno voluto dirlo. Dicevano che dipende da troppi fattori e da quanta neve incontreremo in certi punti, e quanto ci metteremo a trovare un buon punto per scendere nella valle, dal nostro ritmo di marcia… e roba del genere. ››

‹‹ Perché avrebbero dovuto dirci la strada e non il tempo che ci occorrerà per percorrerla? Non si riesce a evincere dalla cartina? ›› insisté Speranza, mentre camminavano seguendo il piccolo letto di fiume riempito di neve e senza acqua, che probabilmente giaceva ghiacciata sotto lo strato di neve.

Ad ogni curva ed ansa che compariva da dietro la cortina di alberi del bosco, lei sentiva l’ansia strisciarle alla gola, aspettandosi da un momento all’altro di rivedere quei bizzarri e inquietanti animali dal pelo giallo comparire davanti a loro, come il giorno prima. Benché, invece, ogni ansa si rivelasse poi solo piena di neve e di niente, lei non riusciva a impedire che l’immagine del giorno prima le saltasse davanti agli occhi ossessivamente, facendola sussultare al minimo intravedere una sfumatura gialla sulla neve, prodotta da qualche ago d’abete o di pino giallo caduto dal ramo, o anche dalla sua immaginazione ormai.

‹‹ Vuoi davvero sapere con esattezza la distanza? ›› replicò Vento, lanciandole uno sguardo ambiguo.

‹‹ In effetti, sulla cartina non sono segnati che posti lontani per scendere a valle. Io spero di trovarne di più vicini al punto dove arriveremo noi. Non possiamo rischiare di perderci nella foresta e quindi è meglio che seguiamo i punti di riferimento più chiari, come questo torrentello. Affronteremo il problema della discesa a valle quando sarà il momento. ›› spiegò tuttavia il ragazzo. 

   E quello sguardo era sparito repentinamente dai suoi occhi, che erano tornati a concentrarsi su dove doveva posare i piedi.

***

Dopo tanto camminare, era certo naturale che ogni passo diventasse più pesante e che ci si sentisse le gambe devastate. Ma ciò che dava più noia era il continuo biancore della neve, che abbacinava lo sguardo e inebetiva i sensi, col suo avvolgere ogni cosa, attutendo i suoni e cancellando gli odori. Il suo aspetto più fastidioso in assoluto però era il modo in cui i piedi vi affondavano, per fortuna non troppo in profondità la maggior parte delle volte, rendendoli impacciati e poco agili come burattini impegnati ad avanzare nella farina coi loro arti legnosi – perché irrigiditi dal freddo e gradualmente dalla fatica nel loro caso.

Faceva rabbia, a lungo andare, il modo in cui quella neve apparisse allo sguardo perfettamente e ugualmente affidabile in ogni suo punto; così, in certi momenti e in certe zone irregolari del terreno, ci si trovava a sprofondare del tutto, senza preavviso, fino al ginocchio, perdendo regolarmente l’equilibrio e rischiando di piantarsi anche con la faccia nella neve, schiacciati dal peso dello zaino che faceva ottimamente le veci di una zavorra utile per affondare un po’ di più. Invece si cadeva raramente del tutto, giacché l’infida neve, che assorbiva piede e metà gamba in sé con fare ipocritamente accogliente, fasciava anche strettamente. In tal modo, tutto ciò che si aveva era un disequilibrio in avanti, un malriuscito tentativo di forzare dolorosamente un piegamento del ginocchio dalla parte sbagliata.

La neve, tuttavia, conserva molte altre proprietà. Come quella di infilarsi in ogni possibile minima fessura inimmaginabile riesca a trovare tra gli abiti, tendendo a colmare scarponi e infradiciare calzini, senza rivelarsi immediatamente come farebbe un sasso o della sabbia, ma prendendosi il suo tempo per bagnare subdolamente ogni tessuto e inumidire la pelle in modo ottimale per il futuro formarsi di geloni e sgradevoli inizi di vesciche.

Insomma, Speranza, che all’inizio aveva ammirato quel paesaggio invernale, iniziava a pensare che in esso ci fosse indubbiamente qualcosa di perversamente sbagliato: la neve.

Di tanto in tanto incrociavano le piccole tracce di qualche animale del bosco, che erano però talvolta difficili da distinguere rispetto ai buchi formati da piccoli cumuletti di neve che cadevano dai rami degli alberi. Vedere continuamente tracce, piuttosto che esseri viventi in carne e ossa, iniziava a mettere addosso una certa malinconia e vaga ansia. Inizialmente Speranza temeva che avrebbero potuto imbattersi nelle tracce di quelle strane creature dal manto giallo, ma poi si era rammentata del fatto che esse, grazie alla loro grande coda a strascico, cancellavano le orme che lasciavano dietro di sé eccellentemente. Forse tuttavia potevano imbattersi nei segni di uno strascico, e in quel caso non ci sarebbero stati dubbi su chi avesse lasciato una simile sorta di impronte. Cercava di non figurarsi quale sarebbe stata l’orrorifica e ansiosa reazione di Rosa e Caramello nel caso si fosse loro dovuto spiegare allora dell’esistenza di quelle creature, e magari persino descriverle. Eppure forse le avevano già viste, dal momento che, quando lei alla baita aveva accennato al “canto”, avevano avuto quella reazione spropositata.

Sebbene procedessero in silenzio, Speranza era accompagnata e anzi quasi perseguitata da molti pensieri, e soprattutto da molti interrogativi senza risposta, che la rendevano ancora più nervosa di quanto già non si sentisse. Si sforzava evidentemente di non produrre nemmeno un solo lamento in parole, benchè molti dovessero salirle alle labbra spontanei, e si limitava a lanciare piccoli strilli pacati di spaventata sorpresa ogni volta che affondava nella neve fino alla coscia o che scivolava su una radice d’albero nascosta dallo strato nevoso. Ciò non contribuiva certo a tranquillizzare i nervi spossati di Speranza, ma se non altro gli urletti cessarono quando Caramello si avvezzò a inciampare e affondare spesso.

In quanto a Vento, lui procedeva davanti a tutti, come se si fosse improvvisato guida ufficiale, lo zaino e il fucile in spalla e i passi pazienti, che non esitavano, anche se dovevano essere provati dalla fatica. Sembrava spinto avanti da un cocciuto senso del dovere, nemmeno quello fosse il suo ultimo compito, la sua ultima occasione di dimostrarsi valido a qualcosa; ma la sua espressione rimaneva colma di cinica indifferenza. Era avvolto dalla sua solita aura di imperturbabile calma, come se in fondo procedesse senza aspettarsi di arrivare da nessuna parte, e con ciò sembrava come uno di quei tanti alberi che li circondavano, silenti ma non confondibili con materia morta, irrigiditi e immobili nel freddo intenso, eppure dall’aria imperscrutabilmente vigile.

Quando qualche soffio di aria gelida spirava insistente, essi ondeggiavano un poco, le loro chiome si muovevano insieme, seppure ognuna col suo ritmo, facendoli sembrare una collettività di individui che cantavano tutti la medesima nenia, muovendosi non per il vento ma con esso, corali. Si alzava allora nell’aria un rumore particolare, che cangiava di intensità senza che si potesse più dire se era la forza del vento o la posizione nello spazio dell’ascoltatore o il diverso ritmo di ognuno a provocare la varianza di sfumature, un rumore antico e sovrano come quello dell’oceano, suoni che forse possono incantare, ma che cantano anche, inevitabilmente, qualcosa che gli umani sembrano non poter comprendere mai, per quanto vi provino e aspirino a interpretare e capire. Con l’aria di chi non ha bisogno di studiare codici appositi per rendersi incomprensibile e intraducibile, cantavano e mormoravano nella brezza suoni più antichi di ogni essere umano, e su altri livelli rispetto alla portata della sua comprensione.

Speranza pensò che il suo stesso nome, e in particolare il significato d’esso, sarebbero risultati parimenti sconosciuti e insignificanti per quelle fronde, alla foresta tutta, e ugualmente insignificante sarebbe stato agli occhi di ciò che li circondava se loro quattro, ma anche quelli della baita e le Tute, fossero sopravvissuti o meno, se avessero continuato a vagare all’infinito sperduti o fossero riusciti a superare la morsa del gelo e la trappola della mancanza di orientamento per tornare tra i più facili confini dell’urbanità. A quella foresta non importava che lei avesse o meno la sua memoria, e non poteva sospettarla di avergliela portata via, immagazzinata e nascosta all’interno di quei tronchi, sparsala nei singoli aghi e rami delle sue maestose chiome, dispersa in particelle ognuna delle quali da sola non era più memoria. Una foresta simile non aveva bisogno di prendere altra memoria, aveva la sua, troppo antica e profonda perché una memoria di un solo essere umano potesse valere qualcosa a confronto. Tuttavia, se loro non fossero riusciti alla fine ad uscire da essa, e fossero rimasti lì perduti, non sarebbero in un certo senso diventati parte della sua memoria? Una parte molto piccola e forse insignificante, ma pur sempre una parte…

Si riscosse dai suoi pensieri piuttosto bruscamente. Si erano fermati.

Rosa si era avvicinata a Caramello con l’aria volenterosamente generosa afflitta da un senso di impotenza, mentre l’altra sembrava sul punto di scoppiare a piangere. Speranza si avvicinò a loro di qualche passo, ma poi si fermò, capendo: non poteva fare niente, come Rosa. Per quanto Caramello si sentisse stanca, perduta, spaventata e afflitta, loro dovevano continuare a camminare e trovare da soli la loro salvezza, o almeno provarci.

Vento si era fermato più avanti, non accorgendosi immediatamente del loro stallo, e sembrava limitarsi ad aspettare.

Rosa alzò una mano sulla spalla di Caramello, accarezzandogliela piano per infonderle conforto e coraggio, e Speranza si ritrovò a lanciare un’occhiata piena di insensato risentimento agli alberi, alla neve e a tutto quello che le capitava sotto agli occhi, come se cercasse qualcuno da incolpare.

‹‹ Che succede? ›› chiese Vento, con tono pratico.

E Speranza concentrò immediatamente su di lui la frustrazione dell’impotenza. Prima che potesse dire qualcosa di poco amichevole, tuttavia, fu preceduta da Rosa.

‹‹ Possiamo fermarci per un po’? ››

Era una domanda retorica, ma Vento sembrò non capirlo o non volerlo capire perché rispose  ‹‹Non abbiamo fatto molta strada, non saranno passate nemmeno due ore da quando siamo partiti. Sarebbe molto meglio proseguire. ››

‹‹ Ma tanto vale fermarsi un poco adesso e fare più strada complessivamente, piuttosto che strafare e dovere poi fermarsi molto più a lungo, no? ›› disse subito Speranza, accorgendosi solo dopo aver parlato del tono aggressivo che aveva usato.

Vento le rivolse uno sguardo incupito, che la stupì e la fece rabbrividire. Forse anche Rosa era stata zittita da quello sguardo, perché non aggiunse niente, e calò un silenzio teso, prima che Vento dicesse, lentamente  ‹‹ Bene. Allora facciamo questa pausa breve. ››

Tutti e quattro si appressarono agli alberi a margine del torrentello coperto di neve, dove deposero gli zaini.

Caramello si sedette immediatamente a terra, senza nemmeno aspettare che Rosa trovasse nello zaino un telo che usavano per non appoggiarsi direttamente sulla neve, che nonostante il materiale impermeabile dei loro abiti da montagna trovava sempre con incredibile perizia il modo di inumidire e raffreddare.

Vento guardò Rosa rovistare nello zaino e mormorò ‹‹ Magari evitiamo di accamparci visto che è una pausa breve ›› poi si allontanò dalle altre a passi lenti, per fermarsi a qualche metro da loro, e mettersi ad osservare in silenzio quel tanto di lontananza che la strada aperta dal letto del torrente tra gli alberi permetteva di vedere.

Speranza realizzò che se non si fosse allontanato avrebbe finito per rivolgergli qualcuna delle parole acidamente risentite che le si erano accumulate in bocca alla vista della sua insensibilità. Era chiaro che Caramello soffriva quella situazione e la fatica fisica più degli altri, e sul suo viso si leggeva limpidamente una profonda stanchezza. Nonostante ciò non si era lamentata ad alta voce nemmeno una volta. Quindi Vento avrebbe potuto dimostrarsi anche un po’ più comprensivo.

‹‹ Avrai i piedi freddi. ›› stava dicendo Rosa gentilmente a Caramello  ‹‹ Prova a tirarli fuori dalle scarpe e a massaggiarli un po’, potrebbe aiutare. ››

Caramello annuì sempre in silenzio e seguì il consiglio, con movimenti lenti e affaticati, mentre Rosa estraeva dallo zaino un termos col caffè caldo avanzato dalla mattina, e ne versava nel tappo di plastica un po’ per Caramello.

Anche Speranza distolse il suo sguardo risentito da Vento, e si sedette vicino alle altre due, approfittando della pausa per riposarsi. Non si era resa conto di quanto quella relativamente breve ma faticosa camminata l’avesse stancata, finché non si sedette e sentì il corpo rilassarsi dolorosamente.

Dopo aver bevuto Rosa le passò il termos, e lei ringraziò.

Qualche altro minuto di silenzio più tardi, Caramello sussultò ed emise una specie di colpo di tosse, come se il caffè che stava sorseggiando le fosse andato di traverso. Ma quando si portò una mano arrossita dal freddo a coprirsi il volto e le sue spalle presero a sussultare ritmicamente, Speranza comprese che non era più riuscita a trattenersi dal piangere.

Rosa le si appressò, le passò un braccio attorno alle spalle e disse ‹‹ Non è niente. È la stanchezza e questo maledetto freddo… bevi il caffè con calma, ti farà sentire meglio e ti scalderà, e ti sentirai meno stanca… stai tranquilla. Dovremo camminare ancora, ma man mano ti abituerai. Non siamo tanto abituate agli sforzi fisici, è naturale, di solito stiamo quasi sempre sedute a studiare ›› e guardò Speranza, come se lo stesse spiegando a lei, ma poi la ragazza capì che cercava solo appoggio per le sue motivazioni tranquillizzanti.

‹‹ Già, è logico… ›› disse Speranza, cogliendo volentieri lo spunto  ‹‹ Ma poi camminando ci

si abitua alla fatica, ci vuole un certo allenamento. Domani faremo già meno fatica e potremo camminare di più. ›› collaborò, con sollievo.

‹‹ Mi dispiace ›› balbettò Caramello, tra i singhiozzi.

‹‹ Dispiace a me a dire la verità ›› disse Speranza.

Le due ragazze le rivolsero uno sguardo interrogativo.

‹‹ Beh… anch’io sono molto stanca… ma non avevo il coraggio di chiedere una pausa, e ora sono qui che approfitto del fatto che tu ti sia fermata per riposarmi anch’io… Accidenti, un altro paio di passi e sarei crollata dritta nella neve e forse non avreste nemmeno sentito niente. ››

Le sembrò di avere detto una cosa completamente stupida, ma poi vide le due ragazze sorriderle pallidamente. Anzi, Rosa dopo un momento emise addirittura una risatina, e fu il turno di Speranza di guardarla confusa.

‹‹ Scusa… per un attimo mi è venuta alla mente l’immagine di te con la faccia nella neve… ››

Speranza si impedì di trovarla una malignità, perché in fondo anche questo fece sorridere Caramello di nuovo.

Anche per sorridere o ridere ci vuole un certo allenamento, pensò all’improvviso, senza capire perché, e guardò Vento ancora in piedi, lontano da loro, che voltava le spalle in silente e immobile contemplazione di chissà cosa.

Dopo qualche momento, quando Caramello si era calmata e le sue guance pallide avevano ripreso un po’ di colore, sia per il caffè che per le lacrime probabilmente, Speranza si alzò, cercando di ignorare il forte desiderio del suo corpo di rimanere più a lungo nella posizione più riposante possibile, e si appressò a Vento.

Il ragazzo non diede alcun segno di averla sentita avvicinarsi, nemmeno quando lei si fermò di fianco a lui.

Si chiese se fosse arrabbiato per il fatto che avevano chiesto di fare una pausa. E da quando si sentiva così responsabile della loro sopravvivenza? Più che altro sembrava infastidito che gli avessero interrotto la marcia. O forse, e questo sembrava addirgli molto di più, aveva fretta di uscire al più presto da quella situazione per non trovarsi costretto ancora a lungo in loro compagnia.

Eppure, non era stato proprio lui che si era preso la briga di confrontarsi prima con Mangiafuoco e gli altri e poi con le Tute allo scopo di recuperare lei, e lui che si era premurato di procurarsi il necessario per affrontare con loro il cammino fino a un qualche paese abitato? Certamente avrebbe potuto essere molto più egoista di così; che cosa poteva spingerlo invece a occuparsi e preoccuparsi e impegnarsi così anche per loro, nonostante i suoi modi così ruvidi?

Non sembrava che provasse nessun tipo di affetto per nessuna di loro, anche se talvolta l’ombra di una confidenza appariva negli scambi di parole e gesti, ma una confidenza pur sempre distante e disinteressata. Quando quella notte era rimasto sveglio tante ore solo a fare da guardia al loro sonno, che cosa poteva averlo trattenuto dall’andarsene per conto suo, lasciandole lì ad arrangiarsi? Forse un minimo di etica che gli impediva di essere in fondo totalmente indifferente a riguardo delle loro vite…, ma che altro?

‹‹ Perché lo fai? ›› chiese in un sussurro Speranza, senza guardarlo.

Dov’era finita la volontà di fargli una bella ramanzina per il suo comportamento nei confronti di Caramello? si chiese tra sé e sé, quasi immediatamente dopo aver parlato.

‹‹ Fare cosa…? ›› disse piano l’altro, e il suo tono e la sua espressione la spiazzarono completamente.

Sembrava calmo e disponibile, come fino a quel momento non era mai stato. Come se di colpo avesse lasciato cadere ogni difesa e ora fosse più disposto che mai a confrontarsi apertamente e tranquillamente. ‘Chiedimi qualsiasi cosa, stavolta ti risponderò e basta’ sembrava dire, come un pacato invito quasi triste.

Non era affatto preparata a quell’atteggiamento ora. Per questo spazzò in fretta via dalla sua testa, almeno per il momento, i pensieri quasi inconsci che la tormentavano di domande, e li sostituì prontamente con qualcosa di più pratico e semplice, come spaventata.

‹‹ Intendo… con Caramello… E’ chiaro che è terrorizzata e molto stanca e nonostante questo ce la sta mettendo tutta quindi… ››. La voce le morì in gola.

Vento le aveva rivolto un sorriso leggero e appena amaramente divertito, come se avesse capito benissimo che non stava dicendo quello che aveva realmente pensato di dire, e glielo stesse rinfacciando, ma con rassegnata sconfitta; pareva aspettarselo da lei, e non serbarle rancore nonostante tutto. Nonostante tutto cosa? Perché mai avrebbe dovuto serbarle rancore? Non era semmai il contrario, in base a quello che lei sapeva?

Mentre cercava di venire a capo di quell’ingarbuglio di raziocinio che incespicava in invisibili inciampi di insensate sensazioni istintive, vide lo sguardo di Vento tornare distratto e lontano, e scostarsi da lei per tornare a fissare il paesaggio.

‹‹ Sì… ›› disse lentamente ‹‹ Hai ragione. Ma non è proprio il caso di essere indulgenti verso ogni capriccio, o non arriveremo mai… comunque, visto che dev’essere una situazione molto stressante e difficile per lei, immagino che sia comprensibile… allora, mi dispiace. So che non è a te che devo dirlo. ›› aggiunse infine, e tornò a guardarla, come chiedendole seriamente se ora andava meglio.

‹‹ Anche lei l’ha detto… che le dispiace. Sono certa che si rende conto della gravità della situazione e che si stia impegnando… e si sente già abbastanza in colpa da sola per averci rallentato. Per inciso, anch’io ero stanca, e fermarmi un po’ mi ha fatto bene. ››

‹‹ D’accordo. Quando vi sentirete meglio ripartiremo… ›› disse lui.

Nonostante il suo sguardo lontano, capì che l’aveva ascoltata attentamente.

‹‹ Hum, e da quando sei tu il capo-spedizione? ›› gli chiese.

Vento le rivolse una smorfia-sorriso quasi divertita.

‹‹ Ovvio, perché io porto il fucile. ›› disse, scherzando ‹‹ Oh, e perché me lo sono guadagnato dopo la veglia di stanotte. ›› aggiunse, con un luccichio astuto dello sguardo al di sopra delle occhiaie.

‹‹ Certo. ›› ribatté lei, ironicamente  ‹‹ Erano proprio queste le regole che tu hai deciso senza consultarci. ››

‹‹ , sai, non sono mai stato un fautore della democrazia. ››

‹‹ Non l’avrei mai detto. ›› commentò sempre ironica Speranza.

‹‹ A proposito, domattina ci sarà una lotta ai vertici del potere perché sarete in tre ad avere

diritto di comando in seguito ai turni di guardia di stanotte. ›› notò Vento, e le ammiccò.

Speranza se ne stupì, impreparata, rendendosi conto che effettivamente il loro scambio di battute era diventato confidenzialmente scherzoso nell’arco di pochi minuti; strano, considerando che non si conoscevano che da due o tre giorni.

Vento parve interpretare immediatamente il suo stato d’animo, perché un’ombra gli oscurò l’espressione quasi divertita, appesantendo l’atmosfera percettibilmente.

Come due persone che troppe esperienze negative hanno portato lontano e reso nemiche, che rincontrandosi si ritrovano senza accorgersene a scherzare come ai vecchi tempi, e poi ritornano bruscamente ad accusare il peso di tutto ciò che è successo tra loro e tutto il tempo passato.

Di nuovo Vento distolse lo sguardo e gli ritornò l’espressione lontana e vagamente triste.

‹‹ Hai detto che sei stanca… sarà meglio che riposi anche tu prima che ripartiamo. ›› disse solo, con tono distaccato.

Speranza lo interpretò come un congedo. Si limitò ad annuire, e tornò vicino alle altre due ragazze, lasciando Vento a contemplare in solitaria il paesaggio, come se vi leggesse chissà cosa.

 

***

 

Anche se forse nessuno di loro vi avrebbe scommesso sopra qualche cosa, dopo quella pausa riuscirono a camminare ancora per un paio d’ore, finché non occorse un’altra pausa. E stavolta fu Vento a proporla, cosa che sembrò fargli guadagnare un po’ di perdono da parte di Rosa e di Speranza per il suo comportamento di prima verso Caramello.

Quest’ultima alla fine aveva preso il ritmo, e sembrava gradualmente meno provata, nonostante aumentassero i chilometri innevati che si lasciavano alle spalle, passo dopo passo.

Fu così che, tra camminate e pause e pasti frugali a base di pezzi di pane e formaggio e di acqua e caffè, trascorsero le ore che li separavano dal tardo pomeriggio, quando la luce del giorno, che non era comunque mai stata molto intensa, prese a calare rapidamente nel tramonto grigio e fumoso dell’inverno. Iniziarono allora a prestare maggiore attenzione selettiva al paesaggio che li circondava, studiando il terreno e la posizione delle maestose strutture arboree rispetto al letto del torrente, in cerca di una buona zona dove passare la notte, fin quando non venne assunto allo scopo uno spazio tra gli alberi, dove il terreno non era eccessivamente pendente nel suo digradare dal fitto del bosco verso il torrente innevato.

Dopo aver riposato per qualche momento, iniziarono ad occuparsi delle loro preparazioni per la notte, lavorando in silenzio, come se si fossero ormai abituati a quella routine, o come se ancora si credessero pienamente quando dicevano a sé stessi che non era altro che una specie di avventura quella, che tutto ciò che dovevano fare era svolgere efficientemente le cose e stare in campana, e il resto sarebbe andato bene, fino a una conclusione in lieto fine di quel viaggio.

Speranza, che non si sentiva affatto ottimista, e che in diversi momenti durante la giornata si era aggrappata al significato del suo nome come se potesse contare realmente solo su quello, si chiedeva se la differenza tra lei e gli altri non fosse la memoria. Forse loro ricordavano cose e persone, luoghi e situazioni alle quali volevano tornare, dei quali sentivano la mancanza, e questo dava loro forza e determinazione.

Mentre lei, lei camminava alla cieca.

Tutto ciò che aveva era uno zaino con degli indizi, chissà dove; nient’altro, nessun’altro all’infuori di quegli improvvisati compagni di avventura. Come se il destino, dopo aver fatto tabula rasa della sua mente, si divertisse a metterle davanti qualche briciola dicendole ‘ecco qua, questo è tutto ciò che hai a disposizione, nient’altro, prendere o lasciare, e vedi un po’ che puoi farci con questi’, e ora si passasse il tempo a guardare che cosa riusciva a combinare.

D’accordo, in fondo non si sentiva una persona che crede nel destino o in qualcosa del genere. Ma ogni tanto accettare quella piccola auto illusione le dava almeno l’opportunità di avere un qualcosa-qualcuno a cui dare la colpa di quello che le stava accadendo, qualcuno a cui indirizzare recriminazioni e maledizioni e quant’altro e al quale promettere un bel pugno – almeno – se mai si fossero trovati a faccia a faccia. In certi momenti di sconforto e senso d’impotenza e vulnerabilità, ecco, se non altro poteva pregustare quel pugno con squisita anticipazione.

‹‹ Hai l’espressione di chi vorrebbe ammazzare qualcuno. ››

Speranza alzò lo sguardo su Vento.

Erano rimasti solo loro due vicino al fuoco, ormai l’unica fonte di luce nel buio della notte.

Rosa e Caramello si stavano indaffarando a preparare i loro sacchi a pelo per dormire, cosa che colpiva molto Speranza. Lei, specialmente considerando quanto si sentiva esausta, non desiderava altro che potercisi infilare dentro, e per lei l’operazione non avrebbe richiesto tutta quella meticolosa cura che ci mettevano le ragazze.

Ma lei non poteva infilarsi nel sacco a pelo: le spettava il primo turno di guardia per la prima metà della notte. La sola idea le triplicava la stanchezza.

Si poteva ancora udire Rosa borbottare tra sé e sé.  Aveva iniziato da quando lei e Caramello erano state informate del loro turno della seconda metà della notte, e non aveva ancora smesso. In quanto a Caramello non aveva detto niente, ma il suo viso terreo e sconvolto era stato comunque molto eloquente. Speranza sospettava che si fossero trattenute da ogni commento per evitare di dare a Vento l’opportunità di ribattere qualcosa riguardo al loro “fare del vittimismo” e della giustizia implicita nel fare turni che spettassero a tutti.

‹‹ Beh… volevo solo parlarne, insomma, spero di non essere io. ›› aggiunse Vento ironico, visto che lei non aveva risposto.

‹‹ No, non tu, in questo momento in particolare. ›› rispose lei, con sincerità.

‹‹ Rassicurante ››  ironizzò l’altro.

Tornò il silenzio, durante il quale osservarono il fuoco, grati del calore che trasmetteva ai loro corpi provati dal freddo.

Poi Vento si mosse, prendendo tra le mani il fucile che portava a tracolla; sospirò appena, stancamente, e disse ‹‹ Immagino che tu non sappia usare un fucile. ››

‹‹ Lo immagini in base a cosa? ›› lo provocò lei.

La consapevolezza che lui forse sapeva qualcosa del suo passato ma non le diceva niente le pesava addosso da tanto ormai, comunque troppo tempo perché non provasse continuamente il desiderio di tentare di farlo parlare in proposito, nonostante il suo evidente rifiuto. Davvero non capiva, non riusciva nemmeno a intuire su come poteva risultarle il suo diniego?

Peraltro, egli le rivolse la solita occhiata adombrata da quello che pareva arrabbiato risentimento.

‹‹ Sai usare un fucile? ›› chiese direttamente, con la voce irrigidita.

‹‹ No. ›› disse altrettanto freddamente lei.

‘Ma tu lo sai già, no?’ pensò; si trattenne dal dirlo solo perché certe sue espressioni ancora la spaventavano, non poteva farci niente, anche se odiava farsi intimidire in quel modo.

Tuttavia, quando quegli occhi scuri assumevano certe sfumature profonde e dirette e taglienti, era come se lui facesse affidamento a un personale bagaglio di tali tormenti e dolori che chi non li aveva vissuti non poteva immaginare e, perciò, non poteva intuire nemmeno cosa lui era in grado di fare, quanto pericoloso e nocivo potesse essere. Una minaccia più sottilmente terribile e spaventosa perché non si basava sull’ostentazione di forza e di spietatezza, ma sull’avere subito tale dolore da sapere ormai benissimo come darlo, e avere perso nella sofferenza provata ogni remora a fare del male.

Ma quegli sguardi sparivano così in fretta come erano comparsi, e la loro fugacità non faceva che renderli ancora più temibili, proprio perché apparivano fulminei come può esserlo la ferocia immediata e irrazionale.

Speranza si chiese se solo lei li notasse, o forse se in realtà li notassero anche gli altri ma non osassero ammettere cosa avevano visto. Lei stessa preferiva non soffermarsi a rifletterci troppo sopra, anche perché, l’istante che non li aveva più davanti, già le sembravano irreali e impossibili, come un’illusione, o come qualcosa che supera l’immaginazione.

Forse, se fosse riuscita a riflettervi sopra, avrebbe finito per vedersi costretta a negare che qualcuno potesse avere un simile sguardo, ed apparire per il resto del tempo una persona così reale, concreta e generalmente non folle, una persona abbastanza concepibile secondi i parametri medi del termine ‘umano’. O forse avrebbe sospettato che quegli sguardi la turbassero anche perché le ricordavano qualcosa del passato che aveva dimenticato.

‹‹ Allora ti do qualche dritta. ›› disse Vento, con tono pratico e ancora distante.

Con modo quasi professionale, come se glielo stesse vendendo, le spiegò le basi per utilizzare il fucile, dal banale ‘prendere la mira e premere il grilletto’ alle accortezze come ‘appoggiarlo alla spalla per evitare la botta del calcio nel rinculo’, e così via.

Combattendo la stanchezza, Speranza ascoltò ogni parola con attenzione e chiese chiarimenti.

Era una strana lezione. A differenza di tutte le altre a cui aveva assistito nella sua vita, l’avere capito e l’essere in grado di rimettere in pratica proficuamente quanto appreso non implicava il poter contare su un buon voto o su un arricchimento della sua cultura personale, ma, essenzialmente e senza mezze misure, la capacità di sopravvivere.

‹‹ Mi sento in dovere di confessare… ›› disse alla fine Vento ‹‹ che non credo avrai tutta questa voglia di piantare una pallottola nel cranio di qualche animale. Perciò credo che potresti sparare il primo colpo come “d’avvertimento”, insomma abbastanza vicino all’aggressore ma senza colpirlo. Dopodiché, se questo non toglie il disturbo e se nel frattempo a causa del rinculo non sei finita per terra, servendoti su un piatto d’argento nel menù del potenziale predatore, sarebbe meglio per tutti se tu non ti facessi più scrupoli nel prendere la mira. ››

Speranza ci rifletté su per qualche momento, e si rese conto che, effettivamente, non le sarebbe parso affatto bello sparare a chicchesia, tranne forse a Vento, solo “per avvertimento”, s’intende.

Soppesò il fucile, piuttosto pesante, tra le mani, e si chiese se minacciandolo con quello avrebbe potuto ottenere qualcosa di più da lui, piuttosto che quelle occhiate taglienti.

Lui sapeva persino alcune delle sue naturali inclinazioni prima che lei scoprisse di averle. Non era affatto giusto. In un certo senso era come se lui avesse su di lei un vantaggio che non ricordava di avergli mai concesso.

Ma lei di lui non si ricordava affatto.

Appoggiò il fucile sulle gambe incrociate e sospirò.

‹‹ Che c’è? ›› le chiese Vento, mostrandosi un po’ meno freddo di prima.

La battuta sul colpo d’avvertimento sembrava averlo messo un po’ più di buonumore, per quanto poco di buonumore potesse mai sembrare.

‹‹ È pesante. ›› disse lei, riguardo al fucile, non sapendo che altro dire.

Vento non aggiunse altro, come se avesse intuito che lei non stava realmente pensando al significato letterale di ciò che aveva detto.

Nel breve silenzio che seguì, lei si ritrovò a concentrarsi per tentare di ricordarsi qualcosa sul suo singolare compagnoni viaggio.

Certo, le trasmetteva talvolta un senso di famigliarità, non direttamente ed esclusivamente collegato a quando egli faceva involontariamente riferimento a qualcosa che sapeva su di lei. Ma, a parte questo, anche fissandolo non le veniva in mente niente.

Come poteva lui non aiutarla minimamente a ricordare, non dirle niente, sapendo che ora lei non aveva niente del suo passato, e per di più serbarle rancore? Per cosa, per aver dimenticato? Come se lo avesse fatto appositamente? Quando mai era considerato plausibile prendersela con qualcuno che soffre di amnesia contro il suo volere, e rifiutarsi per giunta di essergli d’aiuto e appoggio?

Abbassò gli occhi sul fucile che teneva in grembo, sul quale passava le mani distrattamente, assorta nei suoi pensieri, come cercando di prendervi confidenza, per quanto quell’arma fatta di metallo ghiacciato e di legno duro le apparisse in ogni caso ostile ed estranea. Ma era tutto ciò che aveva. Qualche provvista, tre sconosciuti, un fuoco e un fucile, e forse uno zaino di indizi da qualche parte. E nel bel mezzo di quella foresta, nel buio della notte fredda, nel precario equilibrio della sua esistenza senza passato, sembrava già molto.

‹‹ Sembra che tu ci sappia fare con le armi ›› si ritrovò a dire, forse più che altro per distogliersi dai suoi stessi pensieri.

Se doveva passare mezza nottata in compagnia solo di quelli, tanto valeva approfittare almeno della presenza di Vento per quanto possibile, anche se lui continuava ad essere così misteriosamente e ostilmente ingiusto verso di lei.

‹‹ So usare un fucile, tutto qui. ›› disse lui.

‹‹ Ma questo fucile è tuo? ››

‹‹ No, me l’hanno dato alla baita. ››

‹‹ Quanti gliene saranno rimasti…? ››

‹‹ Non saprei. ›› rispose Vento, guardandola  ‹‹ Una dozzina almeno. ››

Sembrava chiedersi perché lei si preoccupasse di quelli della baita, ma non lo disse.

‹‹ Loro sono in di più, certamente hanno meno fucili che persone, anche se non di tanto. ››

‹‹ Beh, di tanto sì, contando anche i bambini. ›› disse distrattamente Vento.

Lei lo guardò in tralice  ‹‹ Bambini…? ›› ripeté lentamente.

In quella ricordò Manona, la donna che le aveva dato da mangiare nella tenda dell’accampamento delle Tute, e la sua domanda sui bambini. Aveva pensato che fosse pazza o che avesse strane idee su quello che accadeva alla baita. Forse era lei quella con le idee strane.

‹‹ Quali bambini? ›› chiese, con voce quasi acuta.

Vento tornò a fissarla attentamente, poi scosse piano la testa e disse  ‹‹ Lascia perdere… ››.

‹‹ Vento ›› disse lei, con massima serietà.

Una volta lo aveva chiamato per nome, e lui era sembrato sentirsi costretto a rispondere, e ora lei inconsciamente riutilizzava lo stesso modo.

‹‹ Quali bambini? ›› ripeté, con voce più dura.

Lui le rivolse un’occhiata particolare, come se pensasse che lei si stesse auto-danneggiando, esitò ancora, scosse la testa di nuovo e sembrò seriamente infastidito  ‹‹ Lo sapevo… ››  mormorò, parlando a se stesso  ‹‹ Che stupido. ››

‹‹ Vento ›› disse ancora lei, e si alzò in piedi.

Lui tornò a guardarla, prendendo tempo. Di colpo il suo sguardo si fece cupo e crudele, come se lei lo avesse appena colpito.

 ‹‹ Perché piuttosto non mi spari adesso? ›› sibilò con tono irriconoscibile, velenoso, così piano che lei dubitò di averlo udito.

‹‹ Che succede? ›› la voce di Rosa sembrò restituire realtà a tutto, allontanare le ombre, e lo sguardo di Vento ridivenne indifferente, e si abbassò sul fuoco. Ora sembrava molto triste.

Speranza dovette riprendersi un momento da questa serie di repentini mutamenti, prima di riuscire a rispondere a Rosa.

Si voltò verso di lei  ‹‹ Rosa, quali bambini…? ›› disse, piuttosto incoerentemente.

La ragazza diventò molto seria.

‹‹ Intendi i bambini della baita? ››

 

 

  
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