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Autore: kiku77    27/05/2010    14 recensioni
Al rientro dal Brasile e dopo gli impegni con la nazionale, Tsubasa si concede una settimana alle Hawaii per ultimare la sua preparazione atletica: il suo sogno di andare a giocare in Europa sta per diventare realtà.Cosa succederà a Sanae, invece?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sanae non rispose subito. Fissò il capitano e sorrise.

Si alzò e con la mano fece cenno di seguirlo.

Tsubasa allora cominciò a camminare dietro di lei, in ansia per via del suo silenzio, ma anche incuriosito dal suo atteggiamento.

Una volta fuori, entrambi si misero un momento le mani sul volto, tanta era la luce che ricadeva sui gradini. Il sole scoppiava e l’aria era come rarefatta.

Sanae, ancora senza parlare, prese il capitano per mano, spostandosi verso un lato, ai piedi dell’edificio e poi alzò la testa per farsi baciare. Qualche passante, avanzando, volgeva lo sguardo verso i due, che continuavano a baciarsi all’angolo del Museu Picasso. Entrambi avevano gli occhi spalancati e si guardavano per perdersi l’uno nell’altra.

“Vieni…” disse lei.

Tsubasa non disse una parola e si lasciò guidare dal corpo profumato di Sanae che si muoveva con eleganza e sicurezza per quelle strade che adesso sembravano ancora più belle e più solide.

Camminarono a lungo, per tre quarti d’ora, circa. Ogni tanto si fermavano per baciarsi, altre, sostavano e si abbracciavano.

La città ascoltava i loro passi, il loro silenzio e intanto faceva sempre più caldo.

“Ma… siamo a casa…” disse Tsubasa, rendendosi conto che Sanae aveva preso la via del parco che stava proprio dietro al suo palazzo.

“Avanti… vieni” disse lei, facendo pressione con la mano.

Era il primo posto che aveva visto della città. Lì, aveva mangiato il suo primo panino. Aveva lasciato la sua valigia in custodia, come un fardello che raccoglieva tutto ciò che da lì a poco non sarebbe più stata e proprio su quel sentiero aveva sentito i profumi buoni della città.

Arrivò fino ai grandi rododendri.

“Ecco… sposiamoci qui. Adesso…” disse lei.

Tsubasa era divertito. Lei era seria anche se sorrideva; aveva detto quelle parole con convinzione, come se volesse sposarsi davvero lì.

“Qui?... Beh, temo sarà un po’ complicato…” disse allora il capitano toccandosi la testa.

“Qui, adesso, Tsubasa” ripeté Sanae, staccando un fiore dal ramo più vicino a lei e reggendolo fra  le mani come se fosse il suo dono di sposa.

Tsubasa continuava a guardare e a non capire.

“Ti ho dovuto dividere sempre con gli altri… per tutta la vita, fino ad ora, ho sempre dovuto condividerti con il pallone, con gli altri ragazzi, con tutti i tuoi impegni… solo per un momento ti voglio tutto per me. Avremo il matrimonio al tempio, come tutti; con il vestito bianco, i testimoni, i nostri genitori… ma quando arriverà quel giorno, ti avrò già sposato, Tsubasa, perché io in realtà ti sposo adesso…”

Lui la guardò e la trovò ancora più bella del solito. Non fu una sensazione visiva: fu piuttosto come un’onda di calore che ti investe e quasi ti acceca, e tu vorresti solo sprofondarci dentro, annullarti, e scoprire che fuori da quella luce non c’è niente, non sei niente.

Adesso era tutto chiaro; era così trasparente, che temeva di toccarla perché era diventata una bellissima creazione di vetro, su cui il cielo rifletteva le sue verità; non c’erano ombre o parole da decifrare.

Si avvicinò e le fece una carezza.

Le prese la mano e fece finta di metterle l’anello al dito.

“Con questo anello ti sposo…”

Sanae aveva un po’ di bagnato sul volto ed era felice.

Prese a sua volta la mano di Tsubasa e fece lo stesso.

“Con questo anello ti sposo…”

Non c’era nessuno a guardarli: per testimoni, ebbero solo una folata di vento e gli alberi di rododendro, carichi di frutti e fiori.

 

 

“Ormai dovresti saperlo che se mi guardi così, mi rendi nervosa…”

Yukari era seduta sulla sponda del letto, con la schiena ancora nuda. Si era infilata gli slip e gli dava le spalle.

“Non so in che altro modo guardarti” rispose Taro, sdraiato su un fianco.

Lei si era girata un istante e lui ebbe subito la certezza che non era lì per restare.

“Quando devi ripartire?” chiese, senza tanti giri di parole.

“Domani” ripose Yukari, prendendo il biglietto dalla borsa e mostrandoglielo; “… tra una settimana in Giappone scadono le iscrizioni all’università… devo fare in fretta, altrimenti perdo l’anno”.

“Già” pensò Taro; le lezioni in Giappone cominciavano prima che in Europa.

“Quindi… quindi andrai all’università…” aggiunse lui, per non ripiombare nel silenzio.

“Sì, credo di sì… non so ancora che facoltà scegliere, ma di sicuro mi verrà in mente qualcosa.”

Nel frattempo si era alzata e aveva cominciato a vestirsi.

Taro aveva ancora voglia di fare l’amore con lei, ma si vergognava a dirglielo e quindi la lasciò stare.

“Però… puoi vedere se si può modificare il mio biglietto? Visto che sono qui… vorrei andare a Barcellona, da Sanae… anzi… non è che vorrei, ho proprio… io… ecco… ho bisogno di vederla… sarà molto in pensiero per me, credo…”

Taro diede un’occhiata al biglietto.

“Non solo lei, Yukari…” disse, cercando i dettagli del volo e le clausole della compagnia aerea.

 “Sì, lo puoi cambiare: non c’è la penale”.

“Non credo mi bastino i soldi… puoi prestarmeli tu? Poi te li rendo…”

Taro si alzò e anche lui cominciò a vestirsi.

“Nessun problema”.

Pensò che soltanto lei potesse fare un viaggio del genere per andare da lui e fare l’amore. Era pazza. Ostinata. Era la sua bestia selvatica.

Qualche ora prima, era rientrato dall’allenamento.

Arrivato a Parigi, i suoi vecchi amici avevano fatto a gara per poterlo ospitare. Lui aveva scelto Jean, il ragazzo che amava tutto tranne il calcio. Aveva pensato che stare in casa con un compagno di squadra, alla lunga l’avrebbe annoiato. Taro non era come Tsubasa: amava il pallone sopra ogni cosa, ma era il figlio di un artista; aveva bisogno anche di altro.

Jean studiava architettura alla Sorbona, e, cosa più importate, abitava nei pressi dell’Istituto del Mondo Arabo, nel V arrondissement, un’area stupenda della città. Taro la considerava una “zona franca”: un luogo dove nascondersi e  mischiarsi con gli odori e i sapori di un mondo lontano.

Il profumo della carta, nei giorni pieni d’umidità, si sentiva appena si varcavano i viali polverosi del quartiere e a lui quell’odore piaceva.

L’appartamento era vecchio e piccolo, ma la sua stanza non era affatto male.

Era stato preso in seconda divisione, ma da subito, gli osservatori del Paris Saint Germain gli avevano messo gli occhi addosso e l’avevano opzionato per l’anno successivo.

Aveva ripreso i contatti con una fetta del suo passato e ambientarsi di nuovo a quella vita era stato abbastanza naturale e facile.

Controllava la posta elettronica due, tre volte al giorno, nella speranza di trovare una mail di Yukari, ma a parte le lunghe lettere di Sanae e gli allegati buffi di Ryo, la casella restava vuota. Al tramonto, prima di salire le scale del suo palazzo, infilava la mano nella buchetta, illudendosi di trovare una lettera ma non c’era mai niente.

Così i giorni erano trascorsi nell’abitudine degli allenamenti e nella solitudine interiore: anche quando usciva con gli amici, in fondo lui si sentiva come morto. Pensò che piano piano sarebbe passato, ma quella sensazione di dolore, di qualcosa che lentamente ti taglia dentro e ti sbrana, era inesorabile.

Gli mancava il sesso. Gli mancava lei. Era inutile.

Cominciò a convincersi che non avesse senso cercare di dimenticarla, ma anche aspettarla. Perciò sperò di incontrare una ragazza e di trovarla bella, ma fino a quel momento non era successo. Ad ogni modo provava a ripetersi che fosse solo questione di tempo: Parigi era piena di belle ragazze; prima o poi una l’avrebbe di sicuro colpito.

Quel pomeriggio, invece di prendere l’autobus, aveva camminato fino a casa. Il tempo era bello e il sole cominciava a scendere. Era stanco, ma il pensiero di ritrovarsi da solo o con Jean, l’aveva spinto a perdere tempo passeggiando. Non aveva progetti per la sera; nessuno l’aveva invitato e sapeva che in tv non c’era niente.

Aveva incontrato due giovani arabi, con la barba un po’ lunga e i sandali e dall’odore dei vestiti, sentì che avevano appena bevuto il tè.

Avvicinandosi al cancello, aveva infilato la mano nella buchetta. Niente.

Nello stesso identico modo di sempre, aveva aperto la porta ed era entrato.

“Sono arrivato…  ci sei Jean?”, aveva chiesto, appoggiando le chiavi sulla mensola.

“Taro… finalmente…” aveva detto Marie, la ragazza di Jean, avanzando di un passo.

“Cominciavamo a sentirci in imbarazzo… la tua amica non ha spiccicato una parola… perché non hai detto che sarebbe arrivata?”

Taro l’aveva guardata e poi aveva scrutato oltre il corridoio: Jean era in piedi, in cucina. Aveva fatto il caffè o forse il tè. Da lì il tavolo non si vedeva e gli odori erano confusi. C’era in effetti  un profumo diverso; diverso dal solito. Improvvisamente, lui l’aveva isolato dagli altri. Era gelsomino. Gelsomino selvatico. Entrando nella stanza, aveva girato la testa.

Yukari era in piedi accanto alla finestra e respirava muovendo il petto, come le succedeva quando se la faceva sotto dalla paura. Era il modo in cui aveva respirato alla stazione e in biblioteca o prima di vederlo, attraversando come una ladra il giardino dei peschi, a Nankatsu, quando ancora stava con Ryo.

“… anch’io” disse lei, dal nulla.

Lui non aveva capito, forse non aveva neanche sentito. Era confuso, senza parole.

Yukari era andata verso di lui, cercando subito la sua bocca. Non le importava che i suoi amici vedessero. Non le importava niente.

Avevano cominciato a baciarsi in modo disordinato, come quando non sai più come si fa e allo stesso tempo hai talmente tanta voglia di farlo che provi ad inventarti un modo nuovo.

Jean si era allontanato, capendo che doveva lasciarli soli e aveva invitato Marie ad uscire.

Taro l’aveva guidata verso la sua stanza e avevano fatto l’amore senza dirsi una parola.

Lei aveva pianto.

 

Adesso Taro, con il suo biglietto in mano, da quella prospettiva, temette che le cose stessero andando più o meno come quel giorno in biblioteca. Solo che stavolta Yukari aveva attraversato i continenti per andare da lui.

Yukari si sedette sul letto e, afferrandolo per una mano, lo spinse a fare altrettanto.

“Vieni con me?”

Taro non si aspettava una domanda, tanto meno una proposta.

“A Barcellona?”

“Sì…”

“Non posso… io mi alleno domani… “

“Sei diventato famoso?” chiese Yukari.

Taro sorrise.

“Beh… no… ma l’anno prossimo sicuramente vado a giocare in un club molto importante.”

“Bravo… siete tutti così bravi, io invece… niente… non so fare niente…”

Lei si guardava le mani e si mordeva le labbra.

“A fare l’amore sei bravissima…”

Yukari gli diede una spallata, arrossendo.

“Non fare lo stupido, dai… dico sul serio…”

“Anch’io… a far perdere la testa ai ragazzi sei unica… “ aggiunse.

“… a distruggere le amicizie, a rompere le cose che non si aggiustano… a tradire… anche quelle cose le so fare bene…”

“Non hai distrutto nessuna amicizia. Anzi… io e Ryo forse siamo più amici adesso di prima… a volte gli errori portano anche del buono…”

Yukari gli prese una mano. Abbozzò un sorriso, ma non riusciva a rilassarsi completamente. Non sapeva bene come comportarsi, perchè lei aveva già detto tutto, solo che si stava rendendo conto che Taro non aveva capito.

“Beh… cosa vuoi fare? Vuoi mangiare?” chiese allora lui, perché era terribilmente a disagio.

“Sì… ”

Finirono di prepararsi, ricadendo in quel silenzio che somiglia a una struttura di atomi e sostanze gassose sospese. Entrambi i volti si erano incupiti e l’aria era pesante.

Taro la portò alla caffetteria dell’ Istituto del Mondo Arabo. Era un posto pieno di profumi  e molto ben arredato.

Lui ordinò il tè e fece portare a Yukari un piatto di riso speziato.

Dopo qualche minuto, passarono due ragazze che si fermarono a salutare Taro. Si scambiarono qualche battuta in francese e lui sembrava essere diventato un po’ rosso in faccia. Yukari sentì il fuoco dentro.

Una volta che furono lontane, lui si toccò i capelli e riprese posto sulla comoda poltroncina di pelle scura.

“Fai così con tutte quelle che ti passano accanto?” chiese lei, seria e nervosa.

Taro la fissò per qualche minuto: con gli occhi lei lo stava attraversando dentro.

“… sono amiche di Jean… comunque ho solo ricambiato il saluto… e poi non mi sembri nella condizione di potermi dire cosa devo o non devo fare”.

Nel frattempo il cameriere era tornato portando il tè e il riso.

Lei cominciò a mangiare senza più guardarlo e senza rivolgergli una parola in risposta. Mangiava e insieme al riso ingoiava anche la rabbia e il pianto che le saliva da dentro. Adesso sapeva che non solo era completamente innamorata di lui, ma era anche terribilmente gelosa. Al solo pensiero di andarsene, di non ritrovarselo accanto, di non dormire con lui, credette di non farcela.

Ma che altro poteva fare? Non poteva restare lì.

Taro la fissava e sperò che finisse di mangiare presto perchè voleva tornare in casa e spogliarla ancora. La voleva toccare per quel poco tempo che restava.

Il tè scendeva lungo la gola e lasciava un livido dentro, come se fosse veleno.

“Pensavo saresti stato felice di vedermi, invece…” disse lei, di nuovo dal nulla, appoggiando la forchetta e prendendo la tazza per bere.

A Taro venne da sorridere.

“Beh non c’è da stare molto allegri con te… sei appena arrivata e stai già ripartendo… non vedo come potrei essere felice…”

Lei finì il tè.

“Io credevo che fossi felice per quello che ho detto…”

Lui allora sorrise in modo più evidente.

“Per quello che hai detto? Non mi pare tu abbia detto granché, veramente…” disse Taro.

“Non hai sentito? Ho detto… - anch’io-… anch’io, Taro…”

Taro scosse la testa.

“Anch’io cosa?” chiese allora, innervosendosi.

“Anch’io ti amo…,” disse, quasi rassegnata; “ non ricordi più di avermelo detto tu per primo, alla stazione?” chiese Yukari, nervosa più di lui, alzandosi e prendendo l’uscita.

Taro sentì qualcosa che si rompeva. La sensazione che tutti avevano provato, ecco che colpiva anche il suo corpo: un filo che si strappa, il chicco d’uva che si spacca, il cielo che si squarcia.

Capì che era qualcosa di molto più grande e grave della sua minuscola vita; qualcosa che è capace di attraversare un continente e anche di restare fermo su stesso.

Si alzò frugando in tasca per lasciare i soldi sul tavolo e andò verso di lei.

“Yukari aspetta… “ disse raggiungendola.

“Dillo… dimmelo ancora… Ryo l’avrà sentito mille volte, ma a me, così, non l’hai mai detto…”

Yukari si avvicinò a lui e gli sfiorò le labbra alzandosi sulla punta dei piedi. Lui fece per rispondere al bacio ma lei si negò.

“Io faccio molto di più che amarti Taro… io, io ti scelgo… nessuno mi può spogliare… nessuno, a parte te… ti ho scelto quel pomeriggio al bowling. Solo che mi ci è voluto tutto questo tempo per capire…”

Lei indietreggiò ma lui la riprese e questa volta la baciò con sicurezza.

Fu un bacio perfetto: avevano imparato di nuovo come si fa e i movimenti delle labbra sembravano trasmettere tutte le parole che non erano stati capaci di dirsi.

 

All’aeroporto, avevano cambiato il biglietto ed ora, seduti in disparte,  per non sprecare neanche un minuto, non facevano che baciarsi e guardarsi. Si erano amati tutta la notte e Yukari, proprio come la mattina dopo la loro ultima volta, sentiva il suo odore impresso sulla pelle. Non si era lavata per trattenere tutto di lui.

“Chissà quando ci rivediamo…” disse, provando a staccarsi un momento da lui, che invece continuava a insistere nel cercare la sua bocca.

“Appena finisce il campionato torno a casa, in Giappone. Non manca molto…”

Yukari nuovamente spostò la testa.

“Quanto?”

“Un paio di mesi…”

“Mi sembra un’eternità…” disse lei abbassando lo sguardo e rifiutando un altro bacio.

“Anche a me…”

“Tu almeno hai il calcio… i tuoi amici… io, invece… non so se ce la faccio, Taro…”

“Certo che ce la fai… e poi se proprio vedi che non resisti, ti compro un biglietto e vieni qui… anche solo per una notte… l’hai già fatto, no?”

Lei allora lo baciò. Sì, l’aveva fatto. Aveva chiesto alla bella ragazza con l’eyeliner di farle il biglietto ed era andata da lui. Avrebbe potuto rifarlo senza vergogna o senza temere di sembrare pazza. Taro lo sapeva: sapeva com’era fatta.

Lo speaker annunciò il volo e Yukari, se non voleva perderlo, doveva andare al check-in e correre al suo gate.

Si alzarono. A guardarli da lontano, sembrava che piangessero, ma forse era solo l’umido che si crea sul volto quando passi così tanto tempo a baciare le labbra di una persona.

Taro con l’indice le disegnò un otto, circondando in parte la fossetta del collo.

Lei sorrise e corse via.

 

 

Era arrivata a Barcellona prima di pranzo e Sanae, ritrovandosela alla porta, l’aveva abbracciata e l’aveva fatta entrare.

Yukari aveva pianto, raccontando, tra i singhiozzi, che cosa l’avesse portata fin lì, mentre Tsubasa, un po’ in difficoltà, aveva preso a camminare da una stanza all’altra, provando a fare il tè e cercando i fazzoletti per asciugare tutte quelle lacrime.

Dopo una mezz’ora, seduti sul divano, avevano parlato con più calma e Sanae e Tsubasa l’avevano poi lasciata da sola affinché potesse dormire.

Il capitano aveva chiamato Taro avvisandolo che era arrivata e che stava bene.

Sanae aveva preso i vestiti dallo zaino, li aveva lavati e messi ad asciugare.

A metà pomeriggio, Yukari si era svegliata trovando Sanae seduta sul tappeto a vegliarla, come si fa con i malati in ospedale.

Si sentì al sicuro e le parve di stare  un po’ meglio.

“Posso lavarmi più tardi? “ chiese all’amica:”… ho ancora il suo odore addosso…”

Sanae non arrossì per niente, anzi, la guardò dritta negli occhi. Sapeva benissimo cosa volesse dire sentire sul proprio corpo l’odore della persona che si ama.

“Certo… però alzati… devo mostrarti un posto…”

Yukari prese la sua giacca.

Sanae andò verso Tsubasa, che stava preparando la borsa per l’allenamento.

“Noi usciamo… porto Yukari al parco…”

Il capitano la strinse a sé e le sorrise.

“D’accordo… ci vediamo stasera…” disse, baciandola.

Yukari li guardò e sentì quanto già Taro le mancasse; si morse il labbro e cercò di farsi forza.

“Andiamo…” incitò l’amica.

Sul viale alberato, il sole pomeridiano creava giochi di luci e ombre con le foglie mosse dal vento e l’aria era tiepida. Si stava benissimo.

Sanae raccontò quello che era accaduto in quei giorni e al chiosco si fermarono a comprare dei panini.

Decisero di non sedersi ma di continuare a camminare e mangiare, godendosi quel momento muovendosi.

Costeggiando la recinzione del parco e vedendo le case al di là della strada, si diedero un’occhiata.

Scoppiarono in una risata all’unisono e, cercando di fare in fretta, attraversarono, infilando i resti dei loro panini nelle prime buchette che incontrarono. Corsero via veloci e, di nuovo attraversando poco più avanti, si diressero verso l’entrata del parco. Continuando a ridere e a correre, si portarono all’interno, fino ad arrivare ai rododendri.

“Oddio… che fiatone…” disse Yukari mettendosi le mani ai fianchi.

“Ecco… è qui…”

Yukari lasciò che il respiro lentamente tornasse normale.

“Che bello…” disse, guardandosi intorno.

“Dunque questo è il posto del tuo matrimonio?” chiese, virgolettando con le dita ciò che aveva detto.

“Sì… è stato il matrimonio più bello del mondo…” rispose Sanae, ricordando il momento in cui lei e Tsubasa avevano fatto finta di scambiarsi le fedi nuziali.

“Sanae…” disse Yukari, senza proseguire.

Lei sorrise.

D’improvviso sentirono una musica arrivare da poco lontano. Fecero qualche passo e videro una ragazza, seduta su qualcosa che non riuscivano a scorgere, muovere con delicatezza l’arco sul suo strumento.

Suonava il violoncello e aveva lasciato aperta la custodia per raccogliere qualche moneta.

Aveva i capelli lunghi e Sanae, sin dalle prime note, si accorse di quanto fosse brava.

“Che bella musica…” disse Yukari, avanzando fino a lei e prendendo posto per terra, per ascoltarla.

“Bach… la suite numero 1” disse Sanae, ripensando a suo padre, ad Hideo, quel giorno terribile, al rientro dalle Hawaii.

Terribile e stupendo allo stesso tempo. Tutto era lontano e diverso, eppure c’era qualcosa dentro di lei che era sempre uguale; come una voce, un metronomo che tiene il tempo e calcola la distanza tra un pensiero e l’altro. Come una musica che hai sentito da quando eri bambino e conosci a memoria. Ma ancora ti vengono i brividi se l’ascolti.

Sentiva che il suo corpo era cambiato e se sfiorava Yukari, adesso si rivedeva un po’ anche in lei. Quella tristezza che hanno le ragazze dipinte sul volto, ora era impressa anche sul suo. Eppure non era affatto triste. Allora che cos’era? Come poteva chiamarla? Le parole non bastavano. Per un momento, temette che non le sarebbero bastati neanche i pensieri. Poi, d’istinto, cercò la mano di Yukari.

Si strinsero, continuando ad ascoltare in silenzio, rapite dall’intensità che trasmetteva quella sconosciuta.

“Voglio vivere tutta la vita così, Yukari…” disse, quando il pezzo finì e la gente attorno cominciò ad applaudire.

Yukari la fissò.

“Anch’io, Sanae…”

Rimasero sedute ancora, sperando che la ragazza riprendesse a suonare.

Era passata un’eternità dall’ultima volta in cui avevano condiviso qualcosa. Ognuna, a suo modo, aveva trovato la via, inciampando, cadendo, ferendosi. Avevano occhi giovani e corpi che parlavano: l’aria era piena di bellezza anche se non sapevano che erano loro stesse a generarla. Non avevano ancora capito che la bellezza veniva  da lì, dalla terra su cui sedevano e dai loro corpi, dal loro vissuto.

Ci sarebbe voluto del tempo.

Rimasero ad ascoltare ancora.

Yukari teneva gli occhi chiusi e pensò alle mattine trascorse alla sorgente sacra, alle mani del poeta che sfioravano il suo petto, adorandola e portandola lontano. Sperò che i giorni corressero veloci per poter stare nuovamente con Taro e in quel momento sentì che dentro di lei tutto si muoveva finalmente in sintonia con il mondo esterno. Ebbe la certezza di essere destinata a lui, non su una stella, non di nascosto, ma alla luce del sole.

Sanae attraversò un tempo immaginario sfiorandosi il dito su cui Tsubasa aveva messo un anello che solo lei poteva vedere. Pensò alla carta alla vaniglia che aveva scelto per le partecipazioni, all’abito che la sarta del suo palazzo le stava imbastendo, a tutte le cose che ancora doveva fare e organizzare. La sua condizione mentale andava ben oltre la felicità: non riusciva bene a spiegarselo nemmeno lei.

Si sentiva viva. Infinite prospettive si aprivano, come raggi che si infrangono e splendono ognuno nel suo modo unico e speciale. Si volse verso Yukari e ritrovò in lei la stessa pienezza, la stessa voglia di afferrare ogni singolo raggio, ogni minimo spiraglio di vita.

“Siamo qui. Adesso”, sussurrò, alzando il volto, cercando il cielo.

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Ciao a tutti…

Ecco, è finita.

Per prima cosa mi scuso per aver postato dopo alcuni giorni ma questo fine settimana sono stata via e non ho potuto scrivere. Cioè, a dire la verità, ho “scritto” tantissimo, ma solo con la testa…

Mi sento sempre un po’ giù quando finisce una storia; vorrei dire tante cose e spiegare perché ho costruito questo cap così. Allo stesso tempo spero solo che chi avrà voglia di leggerlo, se lo lasci scivolare addosso come meglio sente e crede…

Vorrei ringraziare tutte le persone che hanno letto “Prospettive”; coloro che l’hanno messa tra le storie preferite, seguite, da ricordare. Ringrazio tutti coloro che continuano a leggere anche le altre mie ff e le persone che mi hanno messa fra gli autori preferiti.

Grazie, davvero.

Un ringraziamento speciale va a tutte le persone che, nel corso della storia, hanno lasciato una recensione. Grazie per il tempo che avete dedicato alla fanfic, “rubandolo” dai vostri impegni, dalla vostra vita. Grazie per aver manifestato il vostro punto di vista, le vostre opinioni, il vostro recepire e sentire il corso degli eventi. E’ stato di grande aiuto.

 

Miki87: MIKI87: lo voglio scrivere due volte stasera il tuo nick. Grazie, per le tue parole, per esserci sempre stata. Mi mancheranno molto le tue frasi, piene di sintesi, ma così taglienti e vere, da farmi sempre rimanere un momento ferma su me stessa a pensare. Questa storia l’hai capita sin dall’inizio; hai capito fino in fondo cosa volevo trasmettere e la tua ultima recensione ne è la prova. Grazie per quello che scrivi a proposito dell’idea del cerchio e come l’hai riflessa sui pg. Bellissima la tua considerazione finale su Yukari; grazie per averla capita, per amare anche quello che si rompe, che è imperfetto e che nonostante tutto, attira così tanta luce.

Benji79: grazie di cuore per avermi accompagnata in questa storia. Ho sempre letto con attenzione e curiosità le tue recensioni e anche se lo dico sempre, mi affascina tanto il tuo gusto per il dettaglio. Anche  nella tua ultima rece mi ha fatto piacere leggere che la frase sul riso ti sia piaciuta. Sai, quando scrivo una storia, io vedo le scene così tante volte nella testa che quasi potrei ripetere cap per cap a memoria; non una sola virgola è a caso. Anche le frasi minime, che possono sembrare di collegamento, sono ragionate. Una volta che la storia è finita, poi, la lascio completamente, quasi me ne dimentico, tranne qualche frangente in particolare. Ma intanto che la scrivo, è come un tormento (un dolce tormento) che mi vive dentro. Lo so, è solo una storia, ma è come se la vivessi parallelamente alla mia vita reale. Era molto importante quella frase e ti sono grata per averla sottolineata. Grazie davvero.

DolceBarbara: grazie mille per quello che hai scritto nella tua recensione… sono così felice di sapere che questa storia ti abbia fatto emozionare! Grazie per tutto il tempo che mi hai dedicato. Non è stato facile gestire questa storia perché alla fine erano due in una… soprattutto il finale, nella costruzione narrativa, mi ha dato qualche problema, ma spero che ti piacerà. Grazie.

Hitomichan: che bello leggerti… grazie per aver trovato il tempo per recensire e mi fa un certo effetto pensare che tu ( come probabilmente altri che hanno letto la storia) sia stata al Museu Picasso. Io, come dicevo a Marychan82, qualche cap fa, non sono mai stata a Barcellona. La cosa, forse mi ha “aiutata”, perché per come sono fatta io, se parlo di qualcosa che conosco o che ho davvero visto, posso perdermi. In effetti in questo cap, dove parlo di Parigi, città in cui sono stata spesso e che mi ricorda dei momenti fondamentali del mio passato, ho temuto di cadere come una pera cotta… beh spero di essermela cavata… Grazie di cuore per aver seguito anche questa storia…

Giusyna: eh… credo che la tua recensione me la ricorderò per un pezzo… è la testimonianza, di quanto tu sia entrata dentro il mio modo di scrivere. Grazie. Arrivata alla proposta di matrimonio, si è presentato il problema di cadere nel banale, ovvero con lei che dice “sì”. Sanae, per come la vedo io, è troppo acuta, troppo “interessante” per dire solo “sì”: doveva succedere qualcosa. E le risposte mi sono spuntate da dentro, da sole. Non so se ti sia piaciuta come soluzione narrativa… spero di sì. I tuoi commenti sono stati davvero preziosi, alcuni illuminanti. Ho pensato molto alla scrittura, attraverso le tue parole. Grazie infinite…

Marychan82: ok, se potessi lascerei vuoto lo spazio per questa risposta. Sono troppe le cose che vorrei dirti e che ho pensato. Quando rispondo poi non so essere asciutta e sintetica, mi perdo e non so più dove sto andando. Mi manchi già da domenica, da quando ho letto la tua recensione. Parlare con te, leggere ( o ascoltare?) i tuoi pensieri, le cose che avevi da dire e da spiegare, è stato come entrare in una stanza dove c’è profumo e tutto è limpido, anche se ci sono libri e frasi scritte su pezzetti di fogli ovunque. Grazie per tutto quello che hai scritto per questa storia e per tutto quello che hai dato a me. Dal mio profondo…

Babytvb81: grazie per la tua recensione e per aver seguito e amato questa storia… spero che il cap finale ti sia piaciuto.

Krys: ti ringrazio molto per la recensione  e per aver sottolineato l’evoluzione dei pg. Anch’io sono un po’ triste; è stato bellissimo scrivere questa fanfic, e so già che alcuni pg mi mancheranno molto… è stata una storia lunga e molto “complessa” per alcuni aspetti, ma l’ho amata davvero tanto.Grazie per averla apprezzata.

Spero di ritrovarvi con la prox storia…

 

 

   
 
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