Serie TV > True Blood
Segui la storia  |       
Autore: Dita    29/05/2010    5 recensioni
Questa è la mia prima fan fiction su True Blood. Anzi, questa è la mia prima fan fiction. E’ un racconto che all'inizio sembrerà sospeso... ma che poi troverà la giusta collocazione all'interno della saga. La fanfic è ispirata (più per la struttura, che per la trama) all'omonimo film "Before Sunrise - Prima dell'Alba" di Richard Linklater. La fan fiction non ha scopi di lucro ecc ecc, i personaggi appartengono a C. Harris, (a parte qualche piccolo personaggio di mia invenzione). Commentate senza pietà e buona lettura!
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
TB10 La casa era esattamente come l’avevo lasciata prima di andare al lavoro.
Andai in cucina, e misi nel fornetto a microonde una bottiglia di zero negativo. Avevo sempre tenuto solo quello, perché era il gusto preferito di Bill, ma Jessica ed Eric, se proprio dovevano, preferivano mischiarli. Due parti di zero negativo e una di B positivo per Jessica, due parti di zero negativo e una di zero positivo per Eric. Pazienza.
Per me preparai una tisana a base di tea.
Eric era seduto sul tavolo della cucina, e mi osservava preparare le bevande.
“Quanto manca all’alba?” gli chiesi mentre inzuppavo la bustina di tea nella mia tazza di acqua bollente. Già sudavo, non era stata una buona idea.
“Meno di un’ora” mi rispose.
“Certo che dev’essere una gran scocciatura” dissi porgendogli la bottiglia appena uscita dal microonde.
“Che intendi dire?” mi chiese, sorseggiando il suo tru:blood con faccia molto vicina al disgustato.
“Non poter mai sforare l’orario… è come tornare ad avere il coprifuoco. Non trovi?”
Mi sedetti sul tavolo accanto a lui.
“Non sono Cenerentola. Rischio ben peggio che trasformarmi in una zucca” mi storse un sorriso.
“Ma vivete solo dodici ore al giorno” insistetti.
“Il tempo non ci manca. E comunque, che vuoi che faccia?!” mi chiese con aria accigliata.
Mi accorsi di essere incappata in un ragionamento senza sbocchi.
“Che stupida” sorrisi “non lo so, forse credevo che si potesse indire un’assemblea interna e cambiare qualche regola.”
“Non sentiamo l’ansia e il bisogno di sfruttare il tempo, quindi non ci disturba più di tanto. E’ un nostro bisogno fisiologico, non una regola” mi spiegò. “Ma perché te ne preoccupi?”
“Perché ti saresti potuto trattenere di più…” dissi sfuggendo al suo sguardo scendendo dal tavolo, andando a buttare il tea bollente nel lavandino. 
“Adesso non stuzzicarmi” disse venendomi incontro. Mi spinse lentamente contro il lavello, rimproverandomi con il solo sguardo.
“È crudele da parte tua darmi certi segnali a quest’ora”.
Sfilò la matita che sorreggeva il mio ammasso di capelli, sciogliendomeli sulle spalle.
“Vedo che il coprifuoco inizia a disturbarti” iniziai a spingere la testa contro la sua mano, cercando un maggiore contatto. Sapevo di stare approfittando della situazione, si avvicinava il giorno, e sentivo di avere in pugno il ‘coltello dalla parte del manico’.
“Vai a prendere il vestito di Pam” si staccò.
Vedevo che ad Eric quella situazione stava iniziando ad infastidirlo, o innervosendo, ed io mi sentii quasi in colpa ad approfittare del suo costretto e precario autocontrollo. Provocarci e stuzzicarci, era una cosa che ad entrambi aveva sempre divertito, ma quella sera avevamo un po’ superato il solito limite, e anche se ora una parte di me voleva infilarsi nel caldo lettone insieme a Mr. Northman; l’altra parte era molto rassicurata dal fatto che l’arrivo dell’alba avrebbe portato via la mia tentazione e il mio tentatore, impedendomi di fare un pericoloso passo di cui avrei potuto amaramente pentirmi. Avevamo messo già troppa ‘carne sul fuoco’, sapevamo entrambi che non si sarebbe trattato di solo ‘buon divertente e spensierato sesso’, le cose si sarebbero complicate; e in più Eric aveva un temperamento egoista e meschino… sì, era inutile, sapevo che me ne sarei pentita.
Salii le scale e mi fiondai in camera, lasciando Eric al piano di sotto.
Era nell’armadio, il vestito, ma non ricordavo proprio né in quale cassetto né in quale anta. Forse l’avevo gettato negli scatoloni? Accidenti a me, e alla mia idea del vestito smarrito. Non feci nemmeno in tempo ad aprire un cassetto, che mi ritrovai improvvisamente buttata sul letto, schiacciata dal peso di Eric.
“Che vuoi fare?” chiesi confusa, e un po’ spaventata dalla sorpresa.
Appoggiò la testa sulla mia spalla, inserendo il volto nell’incavo del mio collo, e iniziò a baciarmi. Una scia di lievi e delicati baci, di quelli che fanno venire il solletico.
“Ho deciso che voglio passare gli ultimi attimi di questa notte con te” mi sussurrò.
Spingeva il viso contro la mia pelle, come un animale che chiedeva attenzioni. Istintivamente lo abbracciai, e cercai di spostare il suo peso su un fianco, in modo da rimanere uno di fronte all’altro. Lo accarezzai, e lui rimase immobile a guardarmi. Aveva i lineamenti distesi, lo sentivo rilassarsi ad ogni mio tocco, ma gli occhi erano arrossati, come se fossero molto irritati: segno che il suo corpo avvertiva l’avanzare dell’alba, ormai prossima.
All’improvviso sentii un lacerante vuoto allo stomaco.
“Perché ho come l’impressione che dopo stanotte, non ti rivedrò per molto tempo?”
“Perché anch’io ho questa sensazione?” si fece più vicino, ed io mi strinsi contro di lui, cingendogli il fianco con la mia gamba. Non resistetti, buttai i buoni propositi, e lo baciai, di nuovo. Baciai le sue labbra disegnate, così dolci anche se fredde, così morbide…
“La tua pelle ha un sapore strano, dolce e amaro allo stesso tempo, come le mandorle” gli sussurrai.
Mi sorrise, formando quei piccoli archi intorno alla bocca che adoravo tanto, e lo baciai ancora.
“Tu invece, non hai nulla di amaro. Forse leggermente salato, scommetto che il sole ha il tuo stesso sapore.”
Si lasciava baciare, mentre mi accarezzava e mi stringeva contro il suo corpo freddo. Un freddo che apprezzai molto, dato il caldo che provavo.
“Non te ne andare” dissi contro la sua bocca.
“Rimarrò qui finché non ti sarai addormentata.”
“Lo farai davvero?”
“Se non ci impiegherai più di tre quarti d’ora, si” sorrise.
“Come ti senti? Sei stanco?” chiesi guardando i suoi occhi rossi.
“Mi sento cadere.”
Parlava lentamente.
“Ti tengo” lo strinsi più forte, ricambiandogli il sorriso.
“Ti vorrei vedere anche domani” si fece più serio.
“Mi arrabbierei se non fosse così.”
“Vorrei passare con te tutta la notte” disse appoggiando una mano sulla mia gamba.
“Dovresti comportarti bene.”
“Sarei molto dolce.”
“Non troppo.”
“Non lo sono mai.”
Mi baciò anche lui, fece scorrere la mano sotto il vestito, dalle mie gambe fino alla schiena. Si girò supino e mi sollevò, mettendomi a cavalcioni sopra di lui.
“Scopami”, mi disse “anche se dovessi bruciare”, si riattaccò alla mia bocca.
“Sta zitto.”
Diventarono baci rabbiosi. Sapevamo di non poter finire ciò che stavamo iniziando.
Mi ribaltò sul letto, sdraiandomi sulla schiena e mettendosi sopra di me, continuando a sfregare il suo ventre contro il mio. Mi abbassò la scollatura del vestito fino alla vita, scoprendomi i seni, e si attaccò avidamente ad uno, azzannandolo, strappandomi un sussulto prese a succhiarlo energicamente. La sua bocca su di me e l’idea di nutrirlo, mi procurava un tale piacere da non rendermi conto, di stare affondando le unghie nelle sue spalle. Fu un dolore sopportabile, che scomparve definitivamente quando Eric si preoccupò di rimarginare le ferite con la sua saliva.
Non volevo che se ne andasse, non volevo che arrivasse il giorno, non volevo staccarmi da lui. Mi ritrovai a pregare che la luce dell’alba non arrivasse mai, che non venisse mai a portarmelo via.
Che sentimenti guidavano questi pensieri? Perché mi ritrovavo a desiderarlo a tal punto? Perché continuavo a temere che una volta andato via non sarebbe più tornato? Che avrei dovuto aspettare molto tempo per riavere questo momento…
Coricò la testa sopra il mio petto, e lo circondai con le braccia. Rimanemmo così. Iniziai ad accarezzarlo, e mi accorsi che il corpo di Eric emetteva delle strane e profonde vibrazioni; mi sentii come se avessi avuto tra le braccia un grosso e pericoloso felino sedato, che mi faceva le fusa.
“Un penny per i tuoi pensieri” dissi, distogliendo l’attenzione dai miei.
“L’alba” disse, e appurai che furono gli stessi. “Dovrò lasciare qui la macchina.”
“Te la riporterà Ginger, quando verrà a lasciarmi la mia.”
Annuì.
“Dovresti darle un aumento!” dissi ridendo.
“Ha già fin troppe cose da farsi perdonare” disse ruotando gli occhi.
“Vuole diventare una di voi, ma mi pare di capire che non accadrà mai”
“E’ patetica. Non è decisamente il mio tipo. Né di Pam.”
“E quale sarebbe il tuo tipo?” chiesi prendendo a giocare coi suoi capelli.
Alzò lo sguardo, fino ad incontrare i miei occhi.
“La voglio appetitosa, curiosa, impavida, acuta, schietta… dal carattere forte,e un po’ sfacciata.”
“Come Pam.”
“Come te.”
Mi schioccò un bacio sulle labbra, e inaspettatamente arrossii.
Non sapevo se dovessi sentirmi offesa o lusingata, per aver alluso alla trasformazione; ma in quel momento, stavo talmente bene con lui, da decidere di prenderlo come un suo modo di fare complimenti.
Ora ero io ad essere sdraiata sopra di lui, immersa nelle sue grosse e forti braccia.
Affondai il volto nel suo petto, e le strane vibrazioni che emanava, simili alle fusa che faceva la mia gatta Tina, mi pervasero il corpo, rilassandomi. Scorreva fluidamente le dita sulla mia schiena, disegnando ghirigori incomprensibili. Senza rendermene conto, mi assopii, e scivolai in un sonno profondo.
Quando riaprii gli occhi, il sole splendeva e illuminava la mia stanza. Ero sola nel letto.
 
La giornata era calda e assolata, anche troppo per essere le sette del mattino…
Guardai l’orologio e saltai giù dal letto in preda all’ansia. Erano le due del pomeriggio, e sarei dovuta essere al lavoro già dalle otto. Presi il cellulare e vidi cinque chiamate perse di Sam. Mi affrettai a richiamarlo.
“Dove diavolo eri finita?! Vuoi farmi preoccupare?!” rispose al primo squillo, era arrabbiato, naturalmente.
“Scusami Sam” dissi dispiaciuta “sta notte ho avuto la febbre, e l’antibiotico mi ha intontito un sacco, non sono riuscita a svegliarmi.” Non potevo certo raccontargli che ero stata fino all’alba insieme ad Eric!
“Ma stai bene ora?!” calmò il tono, era davvero preoccupato.
“Si, ti prometto che verrò al turno serale!” glielo dovevo.
“Ho mandato a casa tua Arlene prima di mezzogiorno, mi ha detto che è rimasta mezz’ora attaccata al campanello! Che razza di sonno pesante hai?!” aveva ripreso ad urlare.
“Scusa” non sapevo che altro dire.
“Vuoi che ti ricordi come ho trovato l’ultima camerieriera che non è venuta al suo turno di lavoro senza avvisare?!”
“Veramente l’ho trovata io!” mi stizzii.
“Sookie…” sospirò.
“Scusa Sam, non capiterà più. Sarò lì per il turno serale, ok?” dissi con tono calmo e accondiscendente.
“Va bene, ti aspetto per le cinque” riagganciò.
“Uff” sbuffai ributtandomi sul letto, cercando di riordinare le idee. Lì mi accorsi di essere, sotto le coperte, mezza nuda! Il vestito che credevo di avere ancora indosso, era accomodato sulla sedia vicino al letto. Eric… dinuovo non sapevo se essergli grata o arrabbiata. Poi mi ricordai che per come era finita la notte, il vestito poteva solo essermi di impiccio. Si era preoccupato di farmi dormire comoda.
Sciovolai giù dal letto e andai verso il bagno, imbattendomi nel riflesso dello specchio. Indossavo solo un paio di mutandine, ero spettinata da far spavento, e avevo i seni gonfi. Uno in particolare era livido, intorno al capezzolo, ma stava già guarendo. Lo toccai, e arrosii ripensando all’accaduto.
Sentivo ancora il sudore appiccicarmi la pelle, necessitavo urgentemente di una doccia.
Sotto il getto tiepido dell’acqua, ripensai alla notte appena trascorsa: alla follia che mi aveva guidato verso il Fangtasia, all’irresponsabilità che mi aveva portato ad accettare l’invito di Eric, al romantico e bizzarro momento trascorso in riva al Red River a bere strani intrugli voodoo, al bacio passionale da vecchio film hollywoodiano vicino al fiume, e a come tutto era precipitato poi… il punk che spacciava sangue per conto di Eric, il locale putrido pieno di V-addict, la storia delle streghe… io ed Eric in macchina, a quel pensiero arrosii dinuovo… poi mi ricordai della litigata, e quasi mi risalì la rabbia. Ma avevamo chiarito, e mi rattristai al pensiero di come in seguito tutto era diventato perfetto, quando ormai era già troppo tardi. Io che non lo lascio andare, che mi tradisco invitandolo in casa, dichiarando quando mi piaccia ‘la sua compagnia’; lui che fa di tutto per passare gli ultimi minuti con me… e io che mi addormento tra le sue braccia. Che strano, avevamo deciso di vederci anche quella sera, ma era come se sapessi già che non sarebbe accatuto, che lui non ci sarebbe stato... ma era una sensazione diversa dalla sfiducia, una sensazione che non riuscivo a capire.
Fuggii da quel pensiero uscendo dalla doccia.
Ancora in accappatoio, andai a prepararmi qualcosa da mangiare. Mangiai lentamente e soprapensiero, un grosso toast imbottito, accompagnato da un fresco succo di frutta. Tra non molto sarei dovuta andare al Merlotte’s, a servire clienti volgari e a subire la paternale di Sam. La serata sarebbe stata lunga e stressante…
 
Quella notte finii il lavoro sfinita, Sam non aveva fatto altro che ripetermi le sue ramanzine per tutta la sera, ed Eric non si era ancora né visto né fatto sentire. Avevo tenuto il cellulare dentro il taschino del grembiule, e l’avevo tenuto controllato più volte, anche mentre ero in servizio, anche se andava contro le regole. Nessun messaggio, nessuna chiamata, nessuno squillo. A quel punto, disillusa, non mi rimaneva che un solo desiderio: tornare a casa e infilarmi nel mio comodo letto, a dormire, e mandare a fanculo il mondo.
Salii in macchina salutando Sam, Tara e Lafayette.
“Ehi bella, come va?!” disse Tara, venendomi incontro alla macchina.
Tara era davvero una persona sagace, con un pessimo caratteraccio, dovuto secondo me a questa misera cittadina, oltre che ai problemi con sua madre, ma le volevo bene. Aveva una personalità troppo esplosiva per Bon Temps. Tara era quella che io definivo ‘una persona da un litro, in una bottiglia da mezzo litro’.
“Buona notte Tara” la abbracciai.
“Allora non vuoi proprio dirmi che ti succede” disse guardandomi dritta negli occhi.
“Ti ho già detto che sto bene, ho solo avuto un po’ di febbre questa notte, si vede che devo ancora smaltirla” mi divincolai dal discorso.
“Mi prendi in giro Sookie, pensi davvero che io creda alla storia della febbre?! Non hai mai un medicinale in casa quando serve, e la storia dell’antibiotico che ti ha steso, traballa come le gambe di mia madre quando era ubriaca” disse incrociando le braccia. Brutto segno, non mi avrebbe lasciato andare senza una scusa convincente o una verità.
“Arlene oggi è venuta a citofonarti, ed eri in casa, perché la tua macchina era parcheggiata, quindi dovevi davvero dormire come un sasso, ma perché?! Con chi sei uscita? Dovevi vederlo anche stasera non è vero?” continuava ad avvicinarsi. “Avanti Sook, a me puoi dirlo, non lo dirò a Sam!” mi diede una pacca sulla spalla.
Non mi andava davvero di raccontare la parentesi della notte precedente, non sentendomi così stipida ed ingenua.
“Devi aver fatto molto tardi ieri notte per essere stata così stanca sta mattina. Fammi indovinare: sei andata a dormire all’alba.”
Non la sopportavo quando iniziava a fare il detective, ed io rimasi impassibile, cercando di non far fuoriuscire risposte involontariamente.
“Deve essere stata una serata molto movimentata se eri così stanca. E a te il tipo piace, ma non è Bill, altrimenti lo saprei. Ti aveva promesso un altro appuntamento per stasera, ma non si è fatto sentire. E sai come lo so?” sorrideva, fiera delle sue deduzioni.
Io non risposi, se avessi aperto la bocca in quel momento, non avrei saputo se piangere o inveire.
“Lo so perché quando sta sera sei venuta al lavoro, avevi la testa tra le nuvole e camminavi volando sopra le farfalle, e da qualche ora invece, hai l’umore che è peggio del mio!” mi guardava con un sorriso sghembo, in attesa di una conferma.
“Ciao Tara” mi limitai da dire, sventolandole la mano davanti alla faccia.
Misi in moto la macchina allontanandomi dal parcheggio del Merlotte’s, lasciando Tara con un pugno di mosche.
 
La notte era quieta, e il buio mi diffondeva tranquillità. Volevo tornare a casa, guardarmi un bel film, mangiare schifezze e andare a dormire. E dimenticare quella pessima giornata, fatta di attese, ritardi e sogni ad occhi aperti. “La prossima volta che mi chiama per un favore, o si azzarda a provarci o a provocarmi, gli sputo in un occhio” pensai innervosita. “Calma Sookie, pensa al bel film che ti guarderai stasera. Niente di nuovo però, non ho voglia di dover stare attenta a seguire la trama, un vecchio film andrà benissimo.” Conoscere già la fine dà una piacevole sicurezza, e ne sentivo il vitale bisogno, anche se si trattava di una sicurezza futile. “Mi riguarderò per l’ennesima volta Via Col Vento.”
Poi venni improvvisamente distratta dai miei pensieri, quando vidi che i fari della mia vecchia auto illuminarono qualcosa di insolito. Sobbalzai. Un uomo correva sulla stada vicinale come se ne fosse andato della sua stessa vita. Incuriosita e confusa lo raggiunsi con la macchina, ed abbassai il finestrino.
“Hai bisogno di aiuto?” domandai. Lui mi scoccò un occhiata terrorizzata, ed io mi sentii il cuore salirmi in bocca, quando lo riconobbi.
“Eric!” urlai. Lo superai, bloccai la strada mettendo la macchina di traverso, e gli corsi incontro.
Si fermò di scatto dinnanzi a me, sibilando con le zanne del tutto estese.
Rimasi impietrita, non gli avevo mai visto rivolgermi uno sguardo così minaccioso, così all’erta. Era pronto ad attaccarmi.
“Eric sono io. Che hai? Così mi spaventi” dissi sporgendo le mie mani tremanti in avanti, lentamente, con fare conciliante.
Non avevo mai visto uno sguardo così perso e confuso come quello di Eric in quel momento. Mentre mi osservava sulla difensiva, mi avvicinai cautamente.
“Eric?” gli sfiorai il volto con una mano.
La situazione mi era totalmente incomprensibile, e dall’espressione che teneva in volto, lo era per me quanto lo era per lui.
“Eric?” ripetè con una voce insolitamente rauca.
Non capivo.
Appoggiò una mano sopra la mia, come per risucchiarne il calore e l’energia.
Si sporse verso di me, scrutandomi, guardandomi come se fosse la prima volta.
“Chi sei?”
Pensai di stare sognando, quando quella domanda mi colpì in faccia come una secchiata di acqua gelida. Guardai nuovamente i suoi occhi spaventati, il suo viso stressato, e il suo corpo ferito, e realizzai che Eric non era lì con me.









Eh si ragazze la fanfiction è finita.
So che probabilmente molte di voi rimarranno deluse, ma come avrete capito, io sono un "coito interrotto vivente"...
D'altronde era stata pensata fin dall'inizio come una semplice parentesi pre-quarto-libro...
(ok ci sn delle differenze, qui siamo in piena estate mentre nel libro in pieno inverno; nel libro Chow è ancora il barista... va bhe, sottigliezze... ^_^')
Spero almeno di essere riuscita a distrarvi dall'attesa della terza stagione!
Grazie infinite alle commentatrici!!!
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > True Blood / Vai alla pagina dell'autore: Dita