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Autore: Diana924    02/06/2010    2 recensioni
Caterina de'Medici è a letto, e ripercorre la sua vita, il 24 dicembre 1588...
Genere: Malinconico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Regine ed amanti-Francia'
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Sento dei rumori sopra di me, nelle stanze di mio figlio. Faccio per alzarmi, ma è inutile, non è ho la forza. Io che da trent’anni reggo lo Stato non ho la forza di alzarmi! Chiedo ad una delle mie damigelle di andare a vedere e ricado sui cuscini. Sogno, quel sogno di tanti anni fa, più di mezzo secolo fa. Io in un prato di gigli, accanto a tre leoni, dopo un istante di buio i tre leoni giacevano morti ai miei piedi. Ora so cosa voleva significare: il prato di gigli è la Francia, i tre leoni i miei figli, Francesco II, Carlo IX ed Enrico III, tre re, due morti, uno cacciato da Parigi, che gli preferisce il signore di Guisa.   Io, Caterina de’Medici, regina di Francia! Ancora considero tutto questo un miracolo, io una semplice fiorentina sul trono dei gigli. Devo ringraziare Ruggeri, il mio astrologo di fiducia, che da quando ero bambina mi segue e mi consiglia.

Firenze, la mia città, dove riposano mio padre e mia madre, morti poco dopo la mia nascita. Firenze, la città dove sono cresciuta, la città che governavano mio cugino Ippolito e il mio fratellastro Alessandro de’Medici.

Ippolito, il gentile, il colto Ippolito, un autentico Medici.

Alessandro, il violento, il bastardo, l’ignorante Alessandro. Si odiavano, ricordo che una volta quando avevo dieci anni, se le diedero di santa ragione. Mi spaventai moltissimo e corsi da Ippolito: << Non vi picchiate! >> urlai. << Bene, andate da lui, e io che sono vostro fratello? >> disse Alessandro. Corsi verso di lui e lo abbracciai. All’epoca mi era così facile risolvere le dispute.

Poi ci fu il Sacco di Roma e la mia vita cambiò. Il mio prozio Clemente VII fu fatto prigioniero dai lanzichenetti di Carlo V, l’imperatore sul cui impero non tramontava mai il sole, e noi a Firenze perdemmo tutto il nostro potere. Ippolito e Alessandro riuscirono a fuggire, io rimasi a Firenze, protetta da mia zia Clarice Strozzi. Poi instaurarono la repubblica e decisero che dovevo andare in convento. Prima mi misero in un convento di suore francescane, poi in uno di suore benedettine. Nel secondo, quello delle Murate, mi trovai subito a mio agio. Poi mi fecero uscire, solo quando Sua Santità riuscì a riprendersi Firenze. Insidiò come duca Alessandro, rese Ippolito cardinale e ci mandò a Roma, io e Ippolito. Ippolito è stato il mio primo amore, e so che anche lui mi amava, secondo i progetti di papa Leone X, zio di mio padre, l’avrei dovuto sposare, ma evidentemente Clemente VII aveva altri piani per me.

Mi promise in sposa a vari uomini, prima di decidere che avrei sposato il duca d’Orleans, figlio cadetto del Re di Francia Francesco I; si chiamava Enrico di Valois. Partimmo da La Spezia, il papa mio zio viaggiava su una nave sontuosissima, e su un’altra aveva collocato Il Santissimo Sacramento. Arrivammo a Marsiglia e là conobbi il mio futuro marito, il duca d’Orleans Enrico di Valois. Enrico di Valois, quanto l’ho amato, lo amo ancora. Fu amore a prima vista.

Mio zio fu contento di me, e mio suocero mi trovò incantevole. Mio marito invece aveva il cuore preso da un’altra donna. La mia nemica, solo ora che è morta sono in pace. Diana di Poitiers, vedova del Gran Siniscalco Luigi di Bréze. Aveva vent’anni più di mio marito, ma lui l’ha sempre amata con incredibile passione. Io scoprì però che Diana era una mia alleata, contro Anna de Pisseleu, potente favorita di mio suocero. Madame d’Etampes, suo titolo di duchessa era calvinista convinta e odiava la siniscalco. Povera Eleonora d’Asburgo, seconda moglie di Francesco I, venne messa da parte e la vera moglie era la Pisseleu.   Era una donna arrogante, e si circondava di eretici. Mi resi conto che la vera lotta era fra le due donne, era meglio aspettare. Aspettare ed osservare. Attesi, per dieci anni, nell’ombra, facendo lo sforzo di mostrarmi sottomessa ed umile. Non avevo figli, ma Diana impedì che venissi ripudiata, una nuova moglie non sarebbe stata accomodante come me.

Nel frattempo il fratello di mio marito era morto e lui era divenuto Delfino ed io Delfina. Un passo verso il trono che Ruggeri e i suoi colleghi mi avevano promesso.

Poi nel 1544 nacque il mio primo figlio, Francesco, come il nonno, la mia salvezza, niente conventi, niente ripudio.                                                                                           Non lo vidi molto a lungo, perché Diana si occupò di lui, come con tutti gli altri miei figli. Ho avuto dieci figli e oramai solo due sono vivi, Enrico e Margherita.

Nel 1547 morì mio suocero, universalmente rimpianto dalla Francia e soprattutto dalla Pisseleu, che si ritirò in un suo castello. Il marito ve la tenne per anni. Ne uscì solo cadavere diciassette anni dopo.

Diana ora regnava, su mio marito, sulla Corte e sulla Francia.Era aiutata in questo dalla potente famiglia dei Guisa, cadetti dei Lorena. Il duca Francesco e i suoi fratelli spadroneggiavano a corte. Subito dopo di loro veniva il vecchio connestabile Anne de Montmorency e i suoi nipoti, gli Chatillon. Uno di loro, Gaspard, era amico di Francesco di Guisa e divenne Ammiraglio, io lo chiamavo il mio compare. Ricevette l’ordine di San Luigi; vent’anni dopo l’avremmo voluto strangolare con quello. Ma allora erano loro i miei alleati, non i Guisa.

Il giorno dell’incoronazione a Reims ricevetti il primo degli affronti che ho dovuto subire dalla vecchia, ossia Diana.  Avevano addobbato la città con i colori di Diana, il bianco e il nero, che mio marito ha portato per tutta la vita. E in Chiesa, quando la corona di regina di Francia mi era troppo pesante sua figlia, la duchessa di Mayenne cognata del duca Francesco, la prese e la depose ai piedi di sua madre. Perché non sulla sua testa pensai, tanto è lei la regina, non io, io sono solo la madre dei Figli di Francia.

E poi c’era il monogramma di mio marito. Una “ H ” e una “ D ” intrecciate. Qualcuno vi vedeva due falci di luna, emblema di Diana, pochi la mia iniziale, la “ C ”, tutti il simbolo di un concubinato reale che è durato ben dodici anni.

L’anno dopo il duca Francesco e Diana, insieme al cardinale di Lorena, organizzarono e combinarono il matrimonio fra mio figlio, il Delfino Francesco, e Maria Stuart, piccola regina di Scozia, figlia di una sorella del duca, Maria di Guisa. La bimba arrivò a corte e fu un successo: incantò tutti. Mi piacque, ma mi riferirono che mi aveva chiamata questa figlia di banchieri fiorentini, quante lacrime di amarezza sopportate, quanti oltraggi. Io sapevo chi ne era l’autrice, una bimba di sei anni non poteva pensare quelle cose: Diana.

La piccola Maria aveva come governante una scozzese, lady Fleming. Ora il connestabile pensò che se il re avrebbe avuto una nuova amante sarebbe finito l’impero di Diana. Sciocco, la vecchia stravinse e io mi irritai profondamente quando scoprì che lady Fleming era incinta.                                                                                                              

   
 
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