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Autore: NeverThink    14/06/2010    9 recensioni
Il dolce profumo della sua pelle, le labbra dischiuse, il respiro regolare, il suo cuore che scandiva il tempo che passava velocemente. Guardando i suoi occhi, tutto mi era chiaro. Tutte le mie scelte, i miei errori, le decisioni ragionevoli, avevano un fine: mi avevano portata a… lui, il mio angolo di paradiso.
[...] -Laira. – Dissi porgendoli una mano.
-Robert. – La sua mano calda strinse la mia. Sorrisi, prima di spegnere la sigaretta oramai finita.
-Ti ho vista prima. – Incrocia le braccia al petto e lo guardai incuriosita. –Nella sala. – Mi guardai un momento intorno.
-Non guardavo te. – Mi affrettai a rispondere. Come mi aspettavo. Tutti troppo pieni di sè stessi, per guardare realmente il mondo e le persone che gli circondavano. Le mie tesi ero fondate.
-Lo so. – Posai ancora gli occhi su di lui e fu come se il suo sguardo mi penetrasse, come se arrivasse a me, come se vedesse Laira, non una cameriera. Uno sguardo troppo intenso da poter essere retto. Rimasi sorpresa da tale risposta. Qualcosa che non aspettavo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per te, donna di malafede.
Ti voglio bene.

 

CAPITOLO 22



Wake up
Look me in the eyes again
I need to feel your hand upon my face
Stateless, Bloodstrem.

 


«Questo posto è… magnifico.» mormorai guardandomi intorno.
«Amo venire qui. Oramai questo tavolo è… come se fosse mio.» rise sommessamente.
Corrugai la fronte, posando le posate sul patto e posando il tovagliolo si stoffa color avorio sulle labbra. «Quindi suppongo tu abbia portato qui molte ragazze.» dissi chinando appena lo sguardo, prima di posarlo ancora, titubante, sul suo viso.
I suoi occhi ardevano come fiamme blu. «No. Sei la prima. Vengo qui da solo.»
«Devo crederti?» chiesi seria senza scostare il mio sguardo dal suo.
«Sì.»
Non v’era traccia di menzogna nei suoi occhi limpidi, così sorrisi prima di sfiorarmi collo e riafferrare la forchetta. Mentre mi portavo alle labbra un gamberetto, abbozzai un sorriso. A Robert, non sfuggì.
«Perché sorridi?» chiese curioso inclinando appena il capo.
Masticai lentamente, guardandolo negli occhi. Poi voltai lo sguardo, guardandomi intorno. «E’ un posto da mozzare il fiato.» esordii. E così era. Ci trovavamo in un lussuoso ristorante nel centro della città. Una terrazza ornata di rose, gigli ed orchidee. Illuminati dalla fioca luce di lanterne. Oltre la ringhiera di ferro nero, la città si stagliava possente.
«Perché io?» chiesi desiderosa di risposte.
«Uhm... bella domanda. Non lo so. Forse lo stesso motivo che mi spinge a fare questo.» disse carezzandomi la mandibola con i polpastrelli. «O questo.» continuò baciandomi il dorso della mano, senza staccare i suoi occhi dai miei. «O ciò che mi ha spinto a baciarti…» indugiò un attimo, come a corto di parole. Fece un sospiro. «Ciò che mi ha spinto a cercare i tuoi occhi ogni giorno. Ciò che mi ha spinto a passare il weekend alla locanda. Non lo so, Laira. So solo che se non avessi fatto tutto ciò, l’avrei rimpianto. Dolorosamente.»
Le sue inaspettate parole mi colsero di sorpresa, lasciandomi interdetta, col respiro corto. Mi colpirono in pieno viso, come una secchiata d’acqua fredda. Per qualche inspiegabile motivo, il mio cuore accelerò i suoi battiti, dandomi alla testa.
«Oh.» mormorai.
Robert scosse il capo e sospirò, frustrato. «Solo “oh”?» chiese prima di posare il suo sguardo sul mio.
Cercai di reprimere, inutilmente, un sorriso. «Se non ci fosse il tavolo ad impedirmi i movimenti ti bacerei.», sorrisi.
Robert rise, inclinando poi il capo di lato, perdendosi in un sospiro. Poi si alzò leggermente dalla sedia, sporgendosi sul tavolo e posando le sue labbra morbide sulle mie. Una miriade di farfalle spiccarono il volo all’interno del mio stomaco e tutto, intorno a me, parve sparire. C’erano le sue labbra, plasmate delicatamente sulle mie, il suo respiro caldo sul mio viso purpureo. Sorrisi nel bacio e lui si allontanò appena, quanto bastava per parlare. Le sue labbra, sfioravano ancora le mie.
«Perché sorridi?» chiese con voce calda e roca.
«Non c’è sempre un perché nella vita, Rob. Certe cose accadono e basta.»  sussurrai sfiorandogli la mandibola con i polpastrelli.
Lo sentii sorridere e, dopo aver baciatomi a fior di labbra, torno a sedersi, guardandomi con aria maliziosa. Le mie gote parvero prendere fuoco sotto il suo sguardo. Mi sfiorai il collo con una mano, imbarazzata.
«Sai… le orchidee sono i miei fiori preferiti.» dissi dopo aver masticato un altro boccone.
Robert si voltò, allungando la mano verso un vaso per prendere un fiore. Poi mi porse la bellissima orchidea.
«Si dice che quando si regala un’orchidea ad una donna è come se fluttuasse su una nuvola di infinite possibilità.» mormorai osservando le sfumature rose del fiore, sfiorandolo delicatamente con i polpastrelli.
«Ed è vero?» chiese.
Alzai lo sguardo sul suo viso ed i suoi ardevano come fiamme verdazzurro. «Sì.»


«Sono stata bene, questa sera.» mormorai voltandomi a guardarlo.
Aveva appena spento l’auto e teneva le mani stretta al volante.
Lui sorrise flebilmente senza guardarmi. Fissava le sue dita. Inclinai il capo e corrugai la fronte.
Forse la scelta più saggia sarebbe stata annuire col capo, augurargli buona notte e scendere dall’auto per poi varcare la porta di casa.  Ma tutto ero, io, fuorché saggia.
«Ehi, cosa succede?» mormorai sporgendomi appena per guardarlo in volto. Il suo viso era imperscrutabile. Non sapevo cosa pensare, confusa continuavo a guardare i suoi occhi fissi sulle proprie mani. Poi, colpita dalla verità, sussultai. Mi si rivelò come un fulmine solitario che illumina la buia campagna durante un temporale. Fugace, violenta, crudele, improvvisa.
«Oh.» soffiai indietreggiando appena, senza poggiarmi allo schienale del sedile e, con la cena che si rivoltava nello stomaco, annuii piano col capo, più a me stessa, che a lui. 
Come potevo esser stata così cieca? Come potevo esserci cascata ancora?
Immagini di una vita passata presero a susseguirsi nella mia mente, dandomi alla testa, mozzandomi il respiro. Con la coda dell’occhio vidi Robert voltarsi, ma non presati attenzione all’espressione dipinta sul suo viso. Mi portai una mano sulla fronte, prima di sbattere più volte le palpebre, scacciando via lacrime di rabbia. Deglutii e posai la mano sulla maniglia. Fissai un punto indefinito del cruscotto, raccogliendo la poca voce rimastami. «Non scomodarti. Non ce n’è bisogno.» sibilai con voce glaciale. Feci per aprire la portiera, ma la sua mano strinse con forza il mio braccio, trattenendomi.
«Di cosa non dovrei scomodarmi.» chiese quasi sorpreso. Non risposi subito. Mi voltai a guardare la sua mano stretta al mio braccio. Accortosi dello mio sguardo omicida, come volessi all’istante mozzargli l’arto, la fece scivolare via.
Poi alzai gli occhi sul suo viso. «Non scomodarti a dirmi che è stato un errore.» mormorai con voce tremante, ferita dal suo sguardo vacuo, posato sul voltante.
«Cosa?» chiese con voce strozzata.
Non risposi, mi limitai a guardarlo negli occhi con sguardo duro.
Stupida, stupida, mi ripetei cercando di lottare contro lacrime di rabbia e delusione.
Respinta.
Poi Robert spalancò gli occhi. «Credi sia stato un errore? Credi abbia mentito?»
Ancora non risposi. La voce mi era bloccata in gola.
«Dio, Laira, sei assurda. Ti ho inseguita per così tanto tempo. Ho atteso il momento in cui ti sentissi pronta, perché lo sai, non è sfuggito nulla. Ho aspettato che il tuo passato non premesse più sulla tua vita.»
Abbassai lo sguardo, poggiandomi con la schiena al sedile, meditando sulle sue parole.
«Laira…» gemette e sentii i suoi polpastrelli sfiorarmi la mandibola.
Non mi voltai. Chiusi gli occhi, assaporando quel semplice e delicato contatto.
«Non mi pento di niente. Ringrazio Dio, se davvero esiste, di avermi condotto da te.» mormorò. «Non potrei mai ferirti.»
«Non dirlo, ti prego.» gemetti, mentre le lacrime premevano per uscire, mentre il ricordo di lui si faceva avanti nelle mia mente. «Non anche tu.»
«Guardami, ti prego.» sussurrò al mio orecchio, premendo il palmo della mano sulla mia guancia destra e costringendomi a voltarmi.
I suoi occhi ardevano come fiamme blu e verdi, dandomi alla testa. Erano dannatamente vicini ai miei, tanto che potei perdermi in essi per dolci istanti infiniti. Il suo respiro caldo mi carezzava la pelle, quasi fosse una mesta carezza.
«Vorrei potessi leggermi dentro. Capire cosa sto provando ora.» mormorò. Afferrò con delicatezza la mia mano e se la portò sul petto. Il suo cuore martellava con violenza contro di essa, eco del mio.
Avevo il fiato corto ed abbozzai un sorriso. Poi presi l’altra sua mano e me la porti sul cuore.
«Grazie.» mormorai prima che, sorridente, posasse le sue labbra calde sulle mie.
«Ti chiamo domani.» mormorò carezzandomi con la mani il collo e poggiando la fronte sulla mia.
«Ne sarei felice.»
«Non ti libererai tanto facilmente di me, Laira.» disse con voce suadente, calda.
«Me la caverò.» risposi. Poi, sorridendo e baciandogli la punta del naso, uscii dall’auto.
Aprii la grande porta di ferro e legno e mi voltai a guardarlo.
Sorrisi. Mi baciai le dita della mano e alzai la mano a mo’ di saluto. Lui mi strizzò un occhio, prima di ripartire.
Salii nel mio appartamento mentre milioni di farfalle si libravano libere.


Mi sedetti sul letto sfilandosi le scarpe e lasciandole ai piedi del letto. Mi passai una mano sul collo nudo e mi portai la mani ai capelli liberandomi delle forcine. In pochi secondi una cascata di capelli, neri ed ondulati, mi ricadde sulle spalle. Sopirai e mi lascia cedere sul materasso.
Fra la mia palpebra chiusa e l’occhio era intrappolata l’immagine del viso di Robert, del suo dolce e sincero sorriso.
Sorrisi flebilmente, fra me, portandomi le mani sul viso.
Abbracciavo con dolcezza il ricordo delle sue labbra calde sulle mie, morbide come mousse.
Risi, agitando le gambe in aria, godendomi il mio cuore palpitante d’affetto, emozione, gioia. E intanto ridevo, ridevo con la bocca del cuore. Ridevo felice e spensierata come non succedeva da tempo. Voltai la sguardo alla radiosveglia. Segnava le due del mattino.
«Oh, al diavolo!» esclamai gattonando sul letto e sporgendomi verso il comodino per afferrare il telefono. Pigiai il tasto per le chiamate rapide e attesi sorridendo.
«Pronto?» borbottò la voce assonna di Andrew. «Non le hanno insegnato che non si chiama quest’ora?» biascicò poi.
«Neanche per la dolce Laira?» chiesi in un risolino.
Per alcuni istanti non udii altro che il suo respiro regola a pesante, tanto che pensai si fosse riaddormentato. Alzai un sopracciglio ed aprii la bocca per parlare, ma Andrew mi precedette.
«Hai bevuto, vero? Sai che non reggi l’alcool.» sospirò.
M’accigliai. «No, certo che no!» esclamai ridendo e reggendomi la testa con una mano, stesa sul letto.
«Allora devi aver fatto uso di droghe.»
«Nah.» dissi con una smorfia.
«Bevuto una pozione ringiovanente?»
«Nah.»
«Hai visto i conigli!»
Risi. «Andrew!»
«Allora dammi un motivo plausibile per non sgozzarti domani. Per quale motivo tu mi hai… aspetta, non sei uscita con Pattinson oggi?» chiese.
Sorrisi. «Già.»
Mi alzai sul letto e prendendomi un lembo del vestito con le mani, scoprendomi le gambe fino al ginocchio, presi a saltare sul materasso.
«Cosa stai facendo?» chiese confuso.
«Nulla.» dissi sempre sorridente.
Andrew tacque per un momento. «Stai saltando sul letto?» chiese e la sua voce era un suono acuto.
«Forse.» dissi ridendo.
«Allora è più grave di quanto pensassi.»
«Dai, indovina.» dissi col fiatone.
«Ha fatto ciò che penso?»
«Cosa pensi?»
«Ti ha baciata.»
«Sì!»
«Bene, ora posso dire che sei una contraddizione vivente. Prima tremi ed ora salti su un letto.»
«Sì, lo so. Sarà l’ora.»
«Dimenticavo che dai di matto quando non dormi. E credo tu abbia anche delle ore arretrate. La pianti di saltare che sento malissimo!» mi sgridò.
Mi bloccai all’istante, sedendomi a gambe incrociate. «Scusa.»
Ci fu un attimo di silenzio in cui riflettei sul mio repentino cambiamento di umore. Mi succedeva, dovevo ammetterlo, di sentirmi leggermente euforica quando non disponevo di ore sufficienti di sonno. Certo, se poi alle poche ore di sonno era associato un evento inaspettato, qualcosa che andasse oltre le aspettative della mia monotona vita, beh, le cose si complicavano. E quello era il caso.
Sfiorandomi le labbra, ripensando con dolcezza al viso di Robert, sorrisi.
«Dai, racconta.»
«Andrew… credo andrò a dormire. Ne parliamo domani?»
Andrew sbuffò. «Tu mi hai svegliato a quest’ora del mattino per dirmi che ne parliamo domani?»
«Sì, in teoria sì.» mormorai.
Sospirò. «Okay. Passo da te con la colazione. Laira?»
«Sì?»
«Era ora ti baciasse.»
«Cosa?» chiesi corrugando la fronte, confusa.
«Ne parliamo domani?» chiese imitando la mia voce.
Risi. «D’accordo. Ti voglio bene, Andrew.» mormorai sorridendo con dolcezza, come fosse davvero di fronte a me.
«Ti voglio bene, Laira. Sempre.», e riappese.
Mi feci cadere sul materasso, poggiando le testa sul cuscino. Chiusi gli occhi e senza nemmeno accorgermene nel giro di pochi secondi mi addormentai.
L’immagine del viso di Robert proiettata sulla palpebra chiusa del mio occhio.

 

*

Salve gente. Eccomi qui, finalmente.
Purtroppo non ho molto tempo… i temi d’esame mi chiamano a gran voce.
Perciò ringrazio di cuore gli angeli che hanno recensito lo scorso capitolo.
Perdonatemi se non lo faccio a modo, ma prometto che nel prossimo capitolo sarà fatto. Avrò finito gli esami! *-*

Grazie: ginevrapotter, Sognatrice85, Piccola Ketty, lazzari, mathi, Nessie93, Ello, cris91, Fairwriter e KeLsey.

Grazie. Grazie di cuore.

 

Vostra, con immenso affetto, Panda.

   
 
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