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Autore: Thoas Pensiero    15/06/2010    2 recensioni
Luccicano, solo per lui.
Come un faro nella nebbia devono farsi trovare.
Luccicano mostrando un vuoto,
mostrando di essere speciali.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rebecca Perliace.

NOVITA’.

Mi chiamo Rebecca Perliace. Non sono mai stata brava nel fare amicizia, soprattutto perché mia madre doveva viaggiare per lavoro. Quindi evitavo di stringere amicizie che sarebbero proseguite a distanza, ed infine acconsentii di studiare in una scuola privata con la promessa di mia madre che ci saremmo stabilite permanentemente in una casa, non più hotel.
Oltretutto soffro le altezze da quando a cinque anni caddi dall’altalena dopo una spinta esagerata da parte di mio cugino Kayl, purtroppo le distanze dalle nostre residenze più recenti alle nuove mete il mezzo di trasporto più rapido era l’aereo. Volevo stare con i piedi per  terra. Cosa c’era di così sbagliato?                                                                                                                   
Dopo sei anni di viavai come manager, mia madre era riuscita ad ottenere un impiego lavorativo con un minimo di tre anni nella speranza che diventasse fisso.
Tornammo ad abitare a Canali, nella stessa casa in cui, anni prima, stavamo tutti insieme: io, mia madre e mio padre, morto di tumore quando avevo solo dodici anni.
Fuggire dall’amara realtà sembrava per mia madre l’unica soluzione per non pensarci troppo.
Alla fine se ne era fatta una ragione e non considerava nessun altro luogo tanto adatto da essere chiamato casa.
Arrivammo verso mezzogiorno dopo due ore di aereo e quattro di macchina.
Quando scesi dall’auto dubitai della mio equilibrio che fino ad allora mi aveva consentito di camminare tranquillamente senza alcuna difficoltà; respirai profondamente l’aria fresca ormai libera dallo smog di città, non che New York fosse un brutto posto in cui vivere, ma nei miei sogni restava la campagna. Vedere nuovamente la mia vera casa provocò  un insieme di emozioni, l’una la nemesi dell’altra, vaganti tra serenità e un’antica ferita mai rimarginata.
Con qualche difficoltà  riuscii a maneggiare le chiavi per aprire il cancelletto di casa: un sentiero di pietra conduceva alla porta di ingresso. Entrata in casa tastai la parete in cerca di un interruttore.
Accesa la luce mi adoperai  a spalancare le ante delle finestre, mia madre insieme a me squadrava il salotto da cima a fondo. Niente era cambiato: i divani, ricoperti da una fodera verde sbiadito, accoglievano nel loro grembo coperte  e i telecomandi della tv. Sulle pareti erano esposti diversi quadri di natura morta e altri di nobili personaggi a me totalmente sconosciuti. Agli angoli della casa, comodini di tinta verde, abbinati ai divani, con lampade.

-    Bhè non è così male. Per lo meno i mobili ci sono già. Ci resta solo da spolverare.- dissi cercando di essere convincente. Mia madre sospirò e con un ultimo sguardo alla casa mi sorrise

-    Proviamo a ricominciare da qui.- ricambiai il sorriso e la abbracciai

-    Ok. Incomincia a portare le tue cose dentro, ti raggiungo fra poco. Voglio accertarmi che la cucina sia ancora utilizzabile.-

Annuii e ripercorsi nuovamente il sentiero fino a tornare alla macchina.
Aprii  la portiera anteriore e con mio grande dispiacere non sapevo da dove iniziare:
I bagagli si incastravano  alla perfezione, sembravano poter crollare non appena fosse tolto un singolo oggetto.
Decisi di cominciare con qualcosa di semplice e misi la mia borsa a tracolla. Come mi aspettavo una reazione a catena fece cadere dal portabagagli metà del suo contenuto. Una valigia cadendo si era aperta liberando bottigliette di shampoo, balsamo e dentifricio.

-    Fantastico.- sussurrai  tra me iniziando a raccoglierli. Mentre stavo per  procedere una mano mi precedette prendendo uno shampoo “Dove”. Alzando lo sguardo vidi un giovane ragazzo forse della mia età, ma apparentemente più maturo. Indossava un cappotto nero che copriva una giacca a righe blu, jeans  e scarpe nere. Un abbigliamento molto eccentrico che però su di lui stava a pennello. Era moro, con  gli occhi marroni. Si era messo in ginocchio davanti a me e mi guardava con un sorriso sgargiante.

-    Serve aiuto?- mi chiese agguantando un altro prodotto per capelli. La sua voce era dolce e pacata, suonava come una melodia per le mie orecchie. Mi ci volle qualche secondo per recuperare la capacità di parlare.

-    Grazie.- riuscii infine a dire ritrovando la voce. In breve rimise tutto dentro la valigia e se la caricò in spalla, poi agguantò altre due borse come non pesassero nulla.

-    Grazie, ma non è necessario.- mi sorrire nuovamente ammaliandomi

-    Non è un problema. Non ho altro da fare e inoltre devo darvi il benvenuto come nuove vicine.-

A quella constatazione sorrisi impercettibilmente. Lo condussi in casa  cercando di rimuovere dal cammino possibili ostacoli. Arrivati in casa gli feci appoggiare i bagagli in salotto.

-    E’ davvero una bella casa. Molto accogliente.- disse guardandosi intorno e sorridendomi nuovamente. A quel punto mia madre tornò dal suo giro di controllo.

-    Ho controllato i fornelli, tre su cinque funzionano, direi che non è male- alla vista del nuovo presente si zittì.

-    E chi sarebbe questo bel giovanotto?-

-    Perdonate, mi chiamo Thoas, Thoas Pensiero. Sono vostro vicino. Volevo augurarvi buona permanenza e spero che vi troviate bene.-

-    Grazie mille per il benvenuto Thoas. Se tutti qui sono garbati e gentili come te non abbiamo motivo di preoccuparci. Che scuola frequenti  se posso chiederlo?-

-    Il liceo scentifico-tecnologico Aldo Moro.Sono al quinto anno.- rispose prontamente. Ebbi un sussulto, era li che avrei studiato anchio e come sospettavo aveva la mia stessa età.

-    Aldo Moro? Non è il tuo stesso indirizzo Rebecca?-  mi chiese mia madre come non lo sapessi già.
Da quando aveva deciso di tornare a casa non parlava altro che della sua scuola liceale. Naturalmente le sue descrizioni  paradisiache mi avevano talmente sedotto da farmi scegliere lo stesso indirizzo.

-    Si,  ineffetti.- dissi in un fil di voce

-    L’Aldo Moro è un ottima scuola. Non ti pentirai della scelta.- disse amiccando un sorriso

-    Bene, meglio se tolgo il disturbo. Arrivederci. Se avete bisogno di qualunque cosa, perfavore, chiedete; sono alla casa accanto.-

-    Certo. E grazie.- lo salutò mia madre facendomi l’occhiolino. Arrossii leggermente. Poi, girandomi verso Thoas  per salutarlo notai che zoppicava. Una chiazza scura ricopriva i jeans vicino al  ginocchio. Lo riconobbi come sangue. Sentii l’impulso di informarmi e così lo raggiunsi sul percorso di pietra.

-    Thoas- sentendomi si voltò immediatamente

-    Si Rebecca.- sorrise solare.

-    Cosa ti sei fatto al ginocchio?- chiesi indicandogli la grande chiazza nero-rossastra. Thoas si sbirciò il punto interessato e il suo umore vacillò per qualche istante per poi riequilibrarsi.

-    Niente, non è niente. Sono caduto dalla bicicletta- non ero convinta. Se mai era caduto dentro una fossa, su un sasso o un chiodo bello grosso. Vedevo che cercava di mantenere l’aria serena,ma c’era dell’altro. Ne ero sicura. Del liquido rosso scuro scese sulle scarpe.

-    Quando te la sei fatta? Sanguina ancora.-

-    Deve essersi rotta la bendatura…ci vediamo a scuola ok?- disse dileguandosi dalla conversazione uscendo rapidamente dal cancello.

-    Ok…ciao.- che tipo strano. Giacchè ero di strada raccolsi l’ultimo bagaglio e tornai in casa.
Non so dirvi perché, ma una grande sicurezza mi invadeva nei riguardi di Thoas, sapevo di potermi fidare di lui. Ma cosa mi prendeva? Da quando ero così estroversa da concedere tanta fiducia ad uno sconosciuto?
Eppure è così. Quando aveva detto di venire da lui per qualunque problema ho capito che parlava sul serio, in piena sincerità ogni parola che diceva. Credo che nessuno possa comprendere fino in fondo questo stato d’animo.


  
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